B. Paolo VI Omelie 22566

Domenica, 22 maggio 1966: CELEBRAZIONE DEL LXXV ANNIVERSARIO DELLA «RERUM NOVARUM»

22566

A Voi, Lavoratori, il Nostro saluto! A voi, che Ci rappresentate i vostri fratelli di fede e di lavoro di tutto il mondo, la Nostra affettuosa accoglienza! Siate i benvenuti! Siate fiduciosi di essere qui ricevuti come figli cari e fedeli! Come Lavoratori ben degni di portare le divise delle vostre fatiche e l’espressione delle vostre speranze al Papa, al Vicario visibile del Redentore del mondo, del vostro Divino Collega, il figlio del fabbro, Nostro Signore Gesù Cristo!


LE PREDILEZIONI DEL DIVINO COLLEGA

Perché siete venuti così numerosi da tanti diversi Paesi? Perché voi avete buona memoria; una memoria che si è trasmessa da alcune generazioni e che ricorda il 75° anniversario d’una grande parola, qui pronunciata, una parola magistrale, direttiva, liberatrice e profetica, del Nostro Predecessore d’immortale grandezza, Papa Leone XIII, circa la vostra sorte, circa la «questione degli operai», come allora si diceva, la questione sociale nascente dalle nuove ideologie e dalle nuove forme della produzione industriale e dell’economia moderna. Voi la ricordate quella parola; anzi tanto ne sapete valutare l’importanza, che col passare degli anni la sentite più forte e più vostra, veramente decisiva e orientatrice, e volentieri riconoscete che essa è stata una sorgente meravigliosa di pensiero e di azione; una sorgente, che ha generato una tradizione di dottrina, non solo nel mondo, ma qui, qui stesso, dando origine ad una serie di documenti pontifici di altissimo valore, quali l’Enciclica di Papa Pio XI «Quadragesimo anno», i Messaggi sociali di Papa Pio XII, l’Enciclica «Mater et Magistra» di Papa Giovanni XXIII. Voi comprendete benissimo che per camminare occorre la luce, per promuovere un progresso sociale occorre una dottrina - un’ideologia, come oggi si dice -; è il pensiero che guida la vita; e se il pensiero riflette la verità - la verità sull’uomo, sul mondo, sulla storia, su le cose - allora il cammino può procedere franco e spedito; se no, il cammino si fa o lento, o incerto, o duro, o aberrante. E comprendete che qui, da questa scuola, ch’è la Chiesa cattolica, da questa cattedra, ch’è il Magistero pontificio, viene la verità, che serve e salva l’uomo. Qui il Maestro della umanità, Cristo Signore, ci fa prima discepoli, e poi uomini sicuri e liberi, capaci di marciare sulle vie del vero progresso.


GRATITUDINE E FIDUCIA

La vostra venuta pertanto assume ai Nostri occhi il duplice significato d’un atto di riconoscenza e di una tacita interrogazione. Voi venite per ringraziare quel Papa ormai lontano, ma sempre ricordato e benefico; e professate fede, e convinzione, e impegno, e speranza in quella sua parola; e qui, donde essa partì, voi gli dite che quella parola, la «Rerum novarum», era vera e buona, ed è ancora viva ed operante; il tempo non l’ha esaurita, ma collaudata, tanto che voi la sentite ancora così attuale e feconda da derivarne coraggio per quei nuovi sviluppi dell’ordine sociale, a cui il mondo del lavoro è interessato. Di codesto atto di gratitudine e di fiducia, degno di uomini intelligenti e di figli fedeli, Noi vi ringraziamo, carissimi Lavoratori.

E poi Ci pare di sorprendere in fondo ai vostri animi una discreta domanda, quasi il bisogno di verificare quale eco abbia in questa sede quella parola di settantacinque anni fa. Risuona ancora? Ha tuttora lo stesso accento d’autorità, di profezia e d’amicizia? Sì, Lavoratori carissimi; se voi tendete l’orecchio, cioè fate attenzione a quanto oggi la Chiesa insegna, e fa per la vostra causa, sentirete che l’eco è fedele, anzi si è fatta voce più esplicita e più varia di motivi e di applicazioni. Tutto è stato detto e scritto in proposito; questa stessa celebrazione ha avuto ed avrà testimonianze autorevoli d’ogni genere circa la persistenza e lo sviluppo degli insegnamenti pontifici, provenienti dalla Enciclica leoniana; non solo una letteratura in proposito è scaturita e continua a produrre pagine meritevoli di considerazione e di divulgazione, ma si è formato un corpo di dottrine, interessanti l’economia, la sociologia, il diritto, l’etica, la storia, tutta la cultura in una parola, degne di prendere il nome di scuola sociale cristiana.

Se volessimo ridurre, a titolo di esempio e a ricordo di quest’ora significativa, in alcune proposizioni elementari l’eco della celebre Enciclica, Noi potremmo enunciare, fra gli altri, questi semplici, ma fondamentali assiomi:



CIÒ CHE LA CHIESA RITIENE UN DOVERE

- Primo. La Chiesa si è interessata a fondo della questione sociale. Nessuno la può rimproverare di assenza, di timidezza, di superficialità, d’incostanza. Essa ha sentito il grido di dolore del proletariato operaio, non solo, lo ha fatto proprio, non come fomite di odio e di vendetta, ma come esigenza di amore e di giustizia; e ancora prima di occuparsi degli altrui bisogni e degli altrui diritti, ha francamente riconosciuto il proprio nuovo dovere, che la storia delle vicende umane le poneva davanti: curarsi del mondo operaio, mettersi a fianco degli indifesi, e cercare con loro e per loro migliori condizioni di vita.

IL POPOLO: LA SUA COSCIENZA E LIBERTÀ

- Secondo. La Chiesa ha proclamato la dignità del lavoro, qualunque fosse, purché onesto, e vi ha tessuto meravigliosi ragionamenti. S’è parlato perfino d’una «teologia del lavoro» (cfr. Chenu), tanto nel pensiero della Chiesa l’attività umana, anche manuale ed esecutiva, è stata riconosciuta nelle sue più umane e più misteriose implicazioni. E del Lavoratore, della sua persona, della sua singola e numerica unità sperduta nella folla (che la Chiesa non chiama «massa», ma popolo), della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi inalienabili e sacrosanti diritti al pane, alla famiglia, all’educazione, alla speranza spirituale, alla professione religiosa, che cosa non ha detto e proclamato la Chiesa? Chi più di essa ha avuto stima, rispetto, cura, amore della vostra personalità, Lavoratori che Ci ascoltate?

GIUSTIZIA SOCIALE E UMANA CONVIVENZA

- Terzo assioma. La Chiesa ha fatto proprio, non solo nella dottrina speculativa (come sempre fu, da quando risuonò il messaggio evangelico, che proclamò beati coloro che hanno fame e sete di giustizia), ma anche nell’insegnamento pratico il principio del progresso della giustizia sociale (cfr. Summa Theol.
II-II 58,5) e cioè della necessità di promuovere l’attuazione del bene comune, riformando la norma legale vigente, quando essa non tenga conto sufficientemente dell’equa distribuzione dei vantaggi e dei pesi del vivere sociale (cfr. Jarlot, Doctrine pontificale et histoire, p. 178). Oltre il concetto di giustizia statica, sancita dal diritto positivo, e tutrice d’un dato ordine legale, un altro concetto di giustizia dinamica, derivato dalle esigenze del diritto naturale, il concetto di giustizia sociale è reso operante nello sviluppo dell’umana convivenza.


DISPENSATRICE E MINISTRA DI CARITÀ

- Quarto. La Chiesa non ha temuto di scendere dalla sfera religiosa sua propria a quella delle condizioni concrete della vita sociale. Come il Samaritano della parabola evangelica, la Chiesa scese dalla sua cavalcatura, cioè dall’ambito puramente cultuale, e si fece ministra di carità, non pur individuale, ma sociale. Si è curvata sul campo economico; ha parlato dei rapporti fra capitale e lavoro, si è pronunciata sul contratto di lavoro, sul salario, sull’assistenza, sul diritto familiare, sulla proprietà privata, sul risparmio, su cento questioni pratiche essenzialmente collegate con le oneste e legittime necessità della vita. La sua carità si è armata di esigenze progressive, che chiamò umane e cristiane, e perciò giuste. Vagliò aspirazioni e interessi delle classi meno abbienti, e non esitò a cavarne, con sapienza e con prudenza, ma altresì con coraggio antiveggente, nuovi diritti da soddisfare; ispirò ed ispira tuttora una legislazione contraria al privilegio e all’egoismo, e protettiva dei deboli, degli umili, dei diseredati. Anzi: intimò allo Stato d’intervenire, non per assorbire diritti e funzioni, che spettano in una libera società ai cittadini, sia singoli che associati, ma per proteggere la libertà e l’eguaglianza dei cittadini stessi, e per assumere in proprio l’esercizio di quelle attività che solo l’autorità pubblica può svolgere con migliore garanzia del bene comune.

IL DIRITTO DELL’ASSOCIAZIONE OPERAIA

- E quinto. La Chiesa riconobbe il diritto di associazione sindacale, lo difese, lo promosse, superando una certa preferenza teorica e storica per le forme corporative e per le associazioni miste; intravide non solo la forza del numero, che il fatto associativo doveva portare in una società orientata verso la democrazia, ma altresì la fecondità dell’ordine nuovo, che poteva scaturire dall’organizzazione operaia: la coscienza del lavoratore, della sua dignità e della sua posizione nel concerto sociale, il senso di disciplina e di solidarietà, lo stimolo al perfezionamento professionale e culturale, la capacità di partecipare al ciclo produttivo, non più come semplice strumento esecutivo, ma per qualche grado anche come elemento corresponsabile e cointeressato, e così via.

IL MARXISMO NEGA LA PACE SOCIALE

- E poi un sesto assioma, quello più discusso e difficile. La Chiesa non aderì e non può aderire ai movimenti sociali, ideologici e politici, che, traendo la loro origine e la loro forza dal marxismo, ne hanno conservato i principî e i metodi negativi, per la concezione incompleta, propria del marxismo radicale, e perciò falsa, dell’uomo, della storia, del mondo. L’ateismo, ch’esso professa e promuove, non è in favore della concezione scientifica del cosmo e della civiltà, ma è una cecità, che l’uomo e la società alla fine scontano con le conseguenze più gravi. Il materialismo, che ne deriva, espone l’uomo ad esperienze e a tentazioni sommamente nocive; spegne la sua autentica spiritualità e la sua trascendente speranza. La lotta di classe, eretta a sistema, vulnera e impedisce la pace sociale; e sbocca fatalmente nella violenza e nella sopraffazione, portando all’abolizione della libertà, e conduce poi all’instaurazione d’un sistema pesantemente autoritario e tendenzialmente totalitario. Con questo la Chiesa non lascia cadere nessuna delle istanze vòlte alla giustizia e al progresso della classe lavoratrice; e sia ancora affermato che la Chiesa, rettificando questi errori e queste deviazioni, non esclude dal suo amore qualsiasi uomo e qualsiasi lavoratore.

Cose note, dunque, anche per una esperienza storica in atto, che non consente illusioni; ma cose dolorose, per la pressione ideologica e pratica, ch’esse esercitano proprio nel mondo del lavoro, di cui pretendono interpretare le aspirazioni e promuovere le rivendicazioni, generando così grandi difficoltà e grandi divisioni. Non ne vogliamo ora discutere, se non per ricordare che quella stessa parola, alla quale voi, Lavoratori Cristiani, oggi rendete testimonianza di onore e di riconoscenza, è quella che ci ammonisce a non mettere la nostra fiducia in ideologie errate e pericolose, e che ci invita piuttosto ad un’altra considerazione, che Noi poniamo alla fine di queste sintetiche osservazioni.


CRISTO VI ATTENDE, VI ACCOGLIE, VI UNISCE

- E sia il Nostro settimo assioma, quale risulta a gran voce dall’Enciclica «Rerum novarum» e da quelle che la seguirono. Ed è l’indispensabile funzione che la religione ha nella promozione del progresso sociale e nella soluzione della famosa e ricorrente questione sociale. Non è funzione puramente strumentale, ma, diremmo, trasfiguratrice per i principi, le energie, i conforti, le speranze, che la religione - diciamo quella vera, quella fortunatamente nostra, quella cristiana - infonde in tutto il mondo del lavoro. Cristo, voi lo sapete, induce un’esperienza di Sé, della vita, della società, delle cose, del tempo, della giustizia e dell’amore, che non ha paragone, non ha definizione, se non quella della beatitudine da lui annunciata ai poveri, ai piangenti, ai perseguitati, agli onesti, agli affamati di giustizia e di amore.

Ebbene, Lavoratori carissimi, a Cristo Noi vi affidiamo. A Cristo Noi vi esortiamo, come a luce della vostra coscienza individuale e come a centro del movimento di Lavoratori Cristiani, al quale voi volete oggi dare dimensioni mondiali, e di cui Noi siamo lieti e fieri di salutare l’istituzione e di dare il Nostro paterno e fiducioso incoraggiamento. E affinché non vi manchi la sicurezza che Cristo vi attende, che Cristo vi accoglie, che Cristo vi unisce, che Cristo vi fortifica e vi santifica, sia su di voi dell’umile suo Vicario la Benedizione Apostolica.



Giovedì, 9 giugno 1966: SANTA MESSA NEL QUARTIERE DELLE VALLI A MONTE SACRO

9666

Solennità del «Corpus Domini»



Siamo fra Voi, siamo con voi per compiere insieme il grande atto di culto verso il Sacramento della presenza e del sacrificio di Cristo, che la festa odierna del «Corpus Domini» propone ai fedeli, ai più fedeli della comunità ecclesiale; a voi oggi, fedeli di Monte Sacro, e a voi, concittadini dell’Urbe, che siete venuti per associarvi a questo solenne rito celebrativo.

Voi comprendete l’intenzione pastorale, che ha fatto scegliere quest’anno il vostro quartiere per svolgervi la bella processione eucaristica: è un’intenzione onorifica, che vuole rendere omaggio a questa parte nuova e periferica della città: qui pure è Roma, la Roma nuova che non dev’essere meno dell’antica degna di tanto nome, e deve perciò essere integrata, non solo sotto l’aspetto urbanistico, ma altresì sotto quello morale, sociale, spirituale al Popolo romano; è un’intenzione fraterna e paterna perciò che qua Ci conduce, e che Ci consente, anche in questo momento estremamente sacro, di rivolgere a voi tutti, abitanti di questo quartiere, il saluto della Nostra carità; è una intenzione spirituale, che vorrebbe con questa celebrazione confortare i vostri sentimenti religiosi, risvegliare in voi la coscienza della vostra appartenenza al Popolo di Dio alla famiglia di Cristo, che è la Chiesa, e stringere con la vostra Parrocchia e fra di voi vincoli di maggiore comunione nella fede, nella preghiera, nell’esercizio del bene e nella professione cristiana. Sì, Figli carissimi, davanti al misterioso e prodigioso Sacramento, che ci fa riconoscere e esaltare Cristo vivo fra noi, non è profano questo Nostro umano e affettuoso saluto per tutti e per ciascuno di voi, ma è pio, è liturgico, è compreso dell’azione religiosissima, che stiamo celebrando, quando tale saluto scaturisce appunto dall’azione medesima, e suona, come nella Messa: che il Signore sia con voi, Dominus vobiscum!; che la pace sia con voi, pax vobis!; proprio come il Signore stesso ha detto e ripetuto, presentandosi risorto ai suoi discepoli. Che il Signore sia con voi, sì, Figli carissimi; che la sua pace sia con voi. Il Nostro saluto va ad ognuna delle vostre persone, ai vostri bambini, ai vostri figli, ai vostri malati, e specialmente a voi, genitori cristiani, a voi, famiglie di queste case, a voi tutti che qui abitate, lavorate, vivete: il Signore sia con voi, e la sua pace con voi!

Voi comprendete allora come alla Nostra intenzione pastorale si deve aggiungere, com’è proprio del Nostro ministero, un’altra intenzione, quella propriamente dottrinale e religiosa: siamo qui per un duplice fine, religioso l’uno e l’altro, immenso e sublime il primo, immenso ed umano il secondo. Vogliamo dire: siamo qui per fare un grande atto di fede nella mistica realtà dell’Eucaristia; e siamo qui per raccogliere una grande lezione di bontà e di amore, che dall’Eucaristia, per chi pone attenzione e devozione, si irradia dolcemente e magnificamente. Non sarebbe perfetta, non sarebbe coronata dalla sua più alta e più autentica espressione spirituale questa nostra solenne cerimonia, se non culminasse, da parte di tutta questa moltitudine, come da parte di ogni cuore, di ogni voce, in una professione di fede, franca, ferma e cordiale: «Tu solo, o Signore, hai parole di vita eterna! Noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Cristo Figlio di Dio» (
Jn 6,69-70). E detto questo, compiuto quest’atto di fede, una quantità di meravigliosi insegnamenti piove sulle anime assetate della conversazione divina. Una conversazione singolare, che si esprime in silenzio, ma che intesse un dialogo spirituale e morale interessantissimo; è il dialogo che fa proprio il linguaggio sacramentale, quello delle cose rese segni, fatte parole, del pensiero e dell’azione di Cristo, che di tale linguaggio, solo, nella sua profonda, «esistenziale» verità, accessibile al credente, si riveste, e così viene a colloquio con i suoi fedeli. La nostra avidità di conoscere, di capire, e anche, in qualche modo, di sentire, incalza con infantili, ma legittime domande: perché, Signore, ti sei rivestito delle apparenze di pane? Per insegnarti, ci risponde Cristo usando appunto il linguaggio sacramentale, che «Io sono il pane di vita» (Jn 6,48), cioè l’alimento, il principio interiore, rinnovatore, beatificante, della tua caduca e effimera esistenza terrena. E perché, Signore, anche delle specie di vino Ti sei rivestito? chiede la nostra filiale curiosità; per soddisfare e inebriare la nostra sete di felicità? Sì, risponde il Signore; ma ancor più per farti pensare e partecipare alla separazione del mio corpo dal mio sangue, cioè alla mia passione, al mio sacrificio; l’Eucaristia è il memoriale della morte redentrice di Cristo.

E quant’altri insegnamenti possiamo derivare da questa sintesi del dogma cattolico, ch’è l’Eucaristia! Non è il momento di prolungare questo discorso; ma il momento è propizio per esortarvi tutti a diventare contemplativi del grande e così popolare mistero dell’Eucaristia. Tutti, diciamo, pensando a quale generazione voi appartenete, uomini del nostro tempo, gente moderna, figli del secolo ventesimo. Diremo un paradosso: voi, alunni tutti della mentalità contemporanea, siete in condizioni migliori, per maturità mentale e per necessità spirituale, che non fossero le generazioni passate, di apprezzare il Sacramento dell’Eucaristia, non fosse altro per l’impensabile scoperta che tutti - in certa misura anche quelli che non hanno la fortuna di credere - tutti possiamo fare con maggiore soddisfazione dell’intenzione - come dire? - sociale, universale, a tutti accessibile, per tutti e ciascuno concepita, propriamente espressa in questo Sacramento, che moltiplica fino alle dimensioni della fame, della recettività umana, l’offerta che Cristo fa di se stesso a chiunque voglia incontrarlo e vivere con Lui e di Lui. Nell’Eucaristia è contenuta e palese questa intenzione: il dono di Cristo per tutti, per ciascuno, per Noi, per voi. Lo ha detto Lui con indicazione chiarissima: «Questo è il mio Corpo, dato per voi; questo è il mio Sangue, sparso per voi. Fate questo in memoria di me».

Come proceda l’esplorazione del meraviglioso mistero eucaristico ora Noi non vi diciamo; ma solo concluderemo esortandovi ancora (per questo celebriamo qui il «Corpus Domini») a tentarla da voi stessi tale esplorazione. Chi bene la inizia, non torna più indietro, ma resta preso dall’incanto della rivelazione, e non più solo del pensiero di Cristo: ma dell’umanissimo, del divinissimo, dell’implacabile amore suo: «Dilexit me»; Egli mi ha amato (Ga 2,20). Comprendete questa parola? Ebbene, ricordate che per entrare nella sfera misteriosa ed avvolgente della Realtà eucaristica non servono i sensi, se non per introdurci nel linguaggio dei sacri segni; non basta l’intelligenza, che deve offrire tutto il suo umile sforzo, ma rimane impari alla comprensione della verità nascosta; si dovrà dire, come noi ora cantiamo: «sola fides suficit», basta la fede? Sì, se la fede non è sola; se cioè la carità la vivifica. Nel regno eucaristico comprende chi crede e chi ama. L’amore diventa coefficiente di intelligenza, perché è finalmente possesso. Nella conquista delle cose divine più serve l’amore, che non ogni altra nostra spirituale facoltà.

E questo accenniamo per ricordarvi che questa via dell’amore è aperta a tutti. È la via facile e consueta che vi invita alla Messa festiva; la quale, come sapete, è una celebrazione della carità fraterna in ordine al culto e alla conquista della carità divina.

Ecco; Noi vi lasceremo questa sola e somma raccomandazione: siate assidui, siate partecipi, siate amorosi della vostra Messa festiva e comunitaria; fate attenzione a Cristo, che si rende presente per rinnovare a vostra salute il suo sacrificio e il suo convito di ineffabile amicizia; fateCi in cuor vostro questa promessa: che darete importanza, darete interesse, affezione, fedeltà alla celebrazione della santa Messa; e Noi saremo felici; e Noi saremo sicuri di non avere indarno celebrato con voi la festa del «Corpus Domini»; e con tutto il cuore Noi ora pregheremo Cristo Signore di darvi la sua Benedizione.





Domenica, 3 luglio 1966: SACRA ORDINAZIONE DI SETTANTA SACERDOTI

30766


Venerati Fratelli!

Diletti Figli!

Impossibile isolare il momento di riflessione sulla parola del Signore, che la Liturgia concede, anzi prescrive a questo punto della santa Messa, dalla considerazione delle circostanze in cui questo grande rito si compie. Esse non sostituiscono e non soffocano la Parola del Signore, che, in fondo, sola merita la nostra attenzione; sembra infatti a Noi che le circostanze, in cui ci troviamo, aiutino a pensare e a comprendere ciò che il Signore vuol dirci, oggi; esprimano, a chi sa cogliere il significato delle cose e delle ore, qualche cosa del suo divino discorso, e servano di commento ai misteri che stiamo celebrando.



AL CENTRO DONDE PARTE OGNI CAMMINO DEL REGNO DI DIO

La prima circostanza è quella del luogo nel quale ci troviamo. Nessuno può sottrarsi all’inesauribile fascino di grandezza, di bellezza, di sacralità dell’edificio che ci ospita; veramente l’antica epigrafe, che dava una definizione della basilica, in cui ci troviamo, ripete nelle nostre menti il suo elogio: iustitiae sedes, fidei domus, aula pudoris; ma non Ci trattiene dalla spontanea ricerca del punto focale di questa folgorante visione; e subito lo spirito si raccoglie, quasi dimenticando tutto il resto, intorno a questo altare e ne cerca il segreto: perché qui? perché qui questo monumento; perché qui questa affluenza della pietà religiosa, quasi ad uno dei suoi centri più attraenti, più sacri e più ispiratori? Qui è Pietro: il luogo del suo martirio e del suo sepolcro; qui è il Principe degli Apostoli, colui ch’ebbe da Cristo promesse fatidiche; non si possono dimenticare: il fondamento, che non cede e non invecchia, il fondamento su cui riposa tutto l’edificio che Cristo costruisce con ogni materiale umano e attraverso i secoli, è qui; qui le chiavi, le potestà del governo della salute, che in terra si compie ed in cielo si celebra. E noi siamo qui, come viandanti alla stele, dove giunge e donde parte ogni cammino del regno di Dio, come pellegrini sparsi che al primo arrivo si scoprono fratelli fra di loro e figli di questa casa, come alunni pensosi, che vogliono carpire una parola almeno da questa cattedra, per farne seme di meditazione per tutta la vita. Non dobbiamo trascurare l’avvertenza a questa circostanza, che l’umile Nostra presenza e la paterna accoglienza, quali miseri, ma veri successori di quel Pietro famoso, può rendere più suggestiva, più dolce, più memorabile.

«AMERICA LATINA, . . . UN NUOVO GIORNO ILLUMINA LA TUA STORIA»

Poi l’altra circostanza, che Ci obbliga a sostare in gratissimo e meravigliato pensiero, siete voi, carissimi figli, che abbiamo testé investiti del sacerdozio eterno di Cristo. Voi che venite dai Seminari della Obra de Cooperación Sacerdotal Hispano-Americana, dal Collegium di Lovanio, dagli Stati Uniti, dai Collegi Pio-Latino e Pio-Brasiliano dell’Urbe, da differenti Comunità religiose; Voi che venite da quel Seminario di Nostra Signora di Guadalupe, che il cuore magnanimo del Nostro venerato Fratello, il Vescovo di Verona ideò e attuò, che il concorso di questa Sede apostolica e dell’Episcopato Italiano, con altri benemeriti sostenitori, promosse e sostenne, e che l’Italia cattolica, quasi dimentica dei suoi gravi bisogni e amorosamente prodiga dei suoi gelosi tesori, destina ai Paesi fratelli dell’America Latina. L’America Latina! eccola davanti a Noi, in questo momento. Questi novelli Sacerdoti, che le sono destinati - molti dei quali già le appartengono, qua venuti per prepararsi e pronti a subito ritornarvi come ministri del Vangelo - ce ne fanno intravedere l’immensità; i Familiari dei neo-ordinati Ci stimolano a ricordare le molte Nazioni, a cui questi nuovi apostoli saranno mandati; e i Rappresentanti ufficiali di quelle medesime Nazioni, i quali hanno voluto assistere a questo rito solenne, Ci offrono il quadro stupendo dei loro rispettivi Paesi. Tanta è l’importanza di quanto stiamo compiendo, tanto il sentimento che riempie di commozione e di letizia questa cerimonia, che un vaticinio di amore e di speranza vorrebbe salire dal cuore alle labbra: America Latina, questa è l’ora tua. Erede fedele del patrimonio di fede e di civiltà, che l’antica, non vecchia Europa ti ha consegnato nel giorno della tua indipendenza, e che la Chiesa, madre e maestra, custodi con amore superiore talora alle sue forze realizzatrici, adesso un nuovo giorno illumina la tua storia: quello della vita moderna, con tutti i suoi impetuosi e portentosi problemi; vita non già paganamente profana, non già ignara dei destini spirituali e trascendenti dell’uomo, ma vita cosciente della tua originale vocazione a comporre in sintesi nuova e geniale l’antico e il moderno, lo spirituale e il temporale, il dono altrui e la tua propria originalità; vita non incerta, non debole, non lenta; ma giusta, ma forte, ma libera, ma cattolica: un immenso continente è tuo; il mondo intero attende la tua testimonianza di energia, di sapienza, di rinnovamento sociale, di concordia e di pace; testimonianza novissima di cristiana civiltà.

IMMENSA FIDUCIA NEGLI APOSTOLI DEL SIGNORE, LUCE DEL MONDO

Fratelli e Figli, che Ci ascoltate: come possiamo Noi osare simile linguaggio? Noi potremmo esporre le ragioni naturali, che a ciò Ci confortano. Conosciamo quanto basta la gente di quelle terre per essere pieni di stima e di fiducia. Voi che vi predicherete il Vangelo farete l’esperienza della bontà di quelle popolazioni e della loro predisposizione all’accoglienza delle verità superiori, quelle che idealizzano l’attività umana e quelle religiose che la ispirano, la guidano e la santificano. Non diciamo di più, in questo momento. Ma vogliamo invece dire una parola sulla ragione soprannaturale, che quasi a ciò Ci invita: la ragione soprannaturale è il vostro sacerdozio, cari Candidati al ministero sacro nell’America Latina.

Siamo infatti convinti che codesto sacerdozio (e parliamo di tutti i Sacerdoti, dei Vescovi specialmente, che del Sacerdozio hanno la pienezza), codesto sacerdozio possiede il tesoro di luce e di forza, che può dare a quelle popolazioni la capacità di rinnovamento, di sviluppo, di ordine morale e civile, che si attende da loro. Voi siete la luce del mondo, vi diremo con la parola di Nostro Signore. Voi siete il sale della terra. Voi siete il fermento. Voi siete i dispensatori della parola e della grazia. Voi siete i pastori e i maestri spirituali del popolo. Voi siete l’amicizia, la letizia, la forza, la speranza delle anime. Voi il conforto, il collega, il sostegno di chi soffre, di chi attende giustizia, di chi ha bisogno di pentimento e di resipiscenza. Voi, ancora, gli esponenti di quel principio attivo in seno alla comunità dei fedeli e alla società circostante, ch’è la gerarchia, il sacerdozio ministeriale, concepito da Cristo al tempo stesso come servizio e come autorità; tutto dedito, fino al sacrificio, per il bene altrui, e tutto trasfigurato da carismi e da funzioni, che solo dall’alto derivano, e che da tutti meritano ossequio e docilità.

Noi abbiamo fiducia, lo ripetiamo, immensa fiducia che il ministero sacerdotale sia sorgente di salvezza per il mondo; così il Signore ha stabilito; e confidiamo che lo sia, in modo particolare, per i diletti Paesi dell’America Latina. Per tale motivo è compiuto lo sforzo di cui voi, neo-ordinati, siete espressione, lo sforzo di collaborazione pastorale. Esso vuol rendere onore all’Episcopato e al Clero, che con tanta dedizione già apostolicamente lavorano in quelle terre benedette; vuol compiere atto di solidarietà, aumentando colà il numero dei Sacerdoti e offrendo il saggio di qualche utile esperienza ecclesiale, verso quelle buone e promettenti comunità cattoliche; e vuol dimostrare che i voti del Concilio ecumenico circa l’aiuto reciproco, che i membri della Chiesa cattolica devono prestarsi l’un l’altro, non sono parole vane, ma sono vive ed operanti e cominciano a portare i loro frutti.


IL SACERDOZIO ESIGE E GENERA CON LA SANTITÀ LA GIUSTIZIA EVANGELICA

Ed ora, venerati Fratelli e Figli carissimi, il Nostro pensiero dovrebbe fissarsi sul testo evangelico, proposto dalla Liturgia alla nostra meditazione. Non sosteremo, per dovere di brevità, che sopra una espressione del discorso di Cristo, la prima della pericope odierna: «Se la vostra giustizia non sarà maggiore . . .» (Matt. 5, 20), con quel che segue. Voi conoscete questa parola, grave come una minaccia, esigente come una sfida, penetrante come una vivisezione, originale come un programma nuovo di perfezione morale. Cristo non si contenta d’una giustizia puramente formale ed esteriore. Cristo ci vuole buoni d’una virtù che ci trasforma interiormente e che ci educa continuamente ad un’estrema sincerità di cuore e di azione. Se noi sovrapponiamo questa espressione alla nostra vita sacerdotale, quale stimolo, quale tormento verso la perfezione, verso la santità!

Ebbene non ci spaventi, ma ci incoraggi la severa parola di Gesù a fare della vita sacerdotale un’equazione progrediente verso la santità. Il sacerdozio esige e genera santità. La giustizia, che il Signore vuole da noi, è quella evangelica. Voi tutto già conoscete. Quella della carità, della grazia, della misericordia divina ricevuta e dispensata. Perché questo sia, oh! non dimenticate le auree massime della vostra formazione: custodire e alimentare la vita interiore, prima d’ogni altra cosa. Il silenzio, la meditazione, la preghiera personale; poi quella liturgica e comunitaria, che alla prima dà nutrimento e da essa ne riceve. Poi sapersi conservare immacolati anche se immersi nella conversazione pastorale e profana; perciò l’ascetica semplice e virile, che tempra l’animo a vigore personale, e snebbia lo spirito dagli incantesimi mondani. E poi sapersi donare, nella «diaconia», nella ricerca dell’altrui bene con sacrificio; la carità, la carità: non è la carità la via alla santità per il sacerdote destinato al servizio pastorale?

E finalmente Gesù! Gesù conosciuto; chi può mai dire di averlo conosciuto abbastanza? Gesù imitato; non è questa la norma più alta e più comprensiva di tutti i nostri doveri? Gesù seguito, nell’obbedienza che fa grande l’umile, dove Lui vuole, come Lui vuole, fino al Gethsemani, fino al Calvario. Gesù annunciato: quale gioia, quale onore, quale merito maggiore di questo? Gesù vissuto: Mihi vivere Christus est (
Ph 1,21): questo è tutto, Fratelli e Figli carissimi.

È il sacerdozio. È la missione. È il mistero. È la speranza. Adesso potete accogliere l’ultima parola: andate! predicate, battezzate; andate; Cristo vi manda; la Chiesa vi aspetta, il mondo è aperto dinanzi a voi!





Lunedì, 15 agosto 1966: SOLENNITÀ DELL'ASSUNTA

15866

NELLA MADRE DI CRISTO E MADRE DELLA CHIESA IL RIFLESSO AUTENTICO DELLA PERFEZIONE DI DIO

Al principio dell’omelia, il Santo Padre rivolge un amabile saluto al Vescovo Suburbicario presente al sacro Rito, il Signor Cardinale Pizzarda, che spesso ha la gioia di incontrare in questo territorio della diocesi di Albano, della quale il Papa si sente partecipe nel periodo della sua residenza in Castel Gandolfo. Il saluto è accompagnato da lieta constatazione: il rilevare come il Porporato svolge la propria missione, sempre zelante, vigilante e - ne sia lodato e ringraziato il Signore - tanto fiorente di salute e vegeta freschezza. Iddio benedica e ognor più avvalori un così santo ministero.

Sua Santità tiene, quindi, a rilevare due speciali motivi di gaudio, derivanti dalla ben riuscita religiosa adunanza. Il primo è di poter onorare, con una ghirlanda di anime, Maria Santissima nella sua grande festa di gloria e porgere fervidissimo omaggio alla Madre di Cristo e Madre nostra.

Le grandi celebrazioni che riguardano il Signore e la celeste Regina hanno l’inestimabile dono di dischiudere alle nostre anime tesori di luce, di verità, anzi di realtà, che, proprio con la guida di Maria, ci fanno meglio comprendere i grandi disegni della Redenzione.

Il secondo motivo di gioia è, per il Papa, quello di dare il paterno saluto, oltreché al Cardinale Vescovo come ha fatto poc’anzi, al Vescovo suffraganeo, a tutto il Clero, incominciando dal Parroco, che intende incoraggiare e benedire nel suo impegno pastorale; all’intera dilettissima Parrocchia con tutte le comunità religiose che qui hanno residenza e svolgono santo apostolato.

Il Santo Padre saluta altresì tutti i cittadini: da quelli delle Ville Pontificie con il Signor Direttore, ai religiosi della Specola Vaticana, al Signor Sindaco e a tutta la comunità municipale. Un particolare ricordo ai fratelli sofferenti di cui al sacro Rito è intervenuta una notevole rappresentanza.

Nel cordiale adunarsi e ritrovarsi presso la SS.ma Vergine Assunta in Cielo è la premessa per nuove grazie ed assistenze da parte della sua materna benignità.



UNA GLORIA INCOMMENSURABILE

Dopo questa premessa il Santo Padre espone agli ascoltatori un pensiero sopra la festa della Madonna ricorrente il 15 di agosto. Noi - dice il Papa - non abbiamo neanche la capacità di immaginare ciò che è la gloria di Maria SS.ma nel Cielo. Cerchiamo, sì, di usare le espressioni più rispettose della verità, ma quale essa realmente è le nostre doti sia conoscitive sia immaginative non riescono a definire. Non riusciamo, anzi, nemmeno a pensare la pienezza di vita di questo epilogo dei misteri di Maria nella sua gloria celeste.

Sappiamo che il Signore ha voluto anticipare per Lei quanto ha promesso a ciascuno di noi: la risurrezione; e ha dato alla Madre sua nel Paradiso la pienezza di vita, in anima e corpo, che Cristo ha già assicurato per Sé alla destra di Dio Padre. Si rimane assorti e quasi abbagliati dalla luce superna, infinita. Eppure è possibile cogliere qualche nota di consolante elevazione sulla Madonna, seguendo la traccia segnata dal Concilio. In qual modo esso ci presenta, nell’esposizione delle grandi verità cristiane, la Santissima Vergine?

È noto che la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium - il più importante tra tutti i Documenti - si conclude con un capitolo concernente la Madonna; ne illustra i titoli di diritto alla venerazione che noi Le dobbiamo, e i singoli misteri che L’accompagnano, dall’apparizione meravigliosa di questa Creatura nella storia umana alla missione che tuttora Ella esercita nel grande disegno della salvezza.



DUPLICE PREROGATIVA D’ECCELSO ONORE

Numerosi sono gli aspetti con cui la nostra mente è invitata a considerare questo essere incomparabile, unico: la Madonna. Il Concilio la considera particolarmente nella sua duplice relazione: con Cristo, con la Chiesa.

Del Divino Redentore Maria è la Madre; Colei che l’ha portato nel mondo, e pertanto Maria è associata al grande mistero dell’Incarnazione, non in una maniera episodica, esterna e superficiale, bensì in modo essenziale: Maria, è la Madre di Cristo.

Segue l’altro aspetto - si direbbe di più difficile intuito, ma tanto caro alla pietà cristiana - riguardante i rapporti di Maria con la Chiesa, coronati dal solenne riconoscimento che Paolo VI ha avuto l’onore di tributarle; e cioé: Maria non è soltanto la Madre di Cristo; è anche la Madre spirituale del Corpo Mistico di Cristo, cioè della Chiesa: Maria, Mater Ecclesiae!

E qui un aspetto notevole, che invita a riflessione particolare, ci viene offerto dal Concilio medesimo. Che cosa esso vede in Maria? E che cosa dobbiamo vedere noi?



IL PIÙ ALTO ESEMPIO E MODELLO

Il Concilio si è soffermato a contemplare la esemplarità di Maria, la sua tipicità.

Maria è mirabile esempio, modello, specchio. Che cosa riflette? La perfezione stessa di Dio. La Madonna può essere da noi contemplata, onorata e conosciuta quale esempio, il più alto, completo, splendente di Creatura, opera di Dio. Occorre rifarsi a un principio tanto vitale. Oggi si direbbe perduto il concetto vero dell’uomo. Più che mai l’umanità si presenta decaduta, guasta, con il peccato originale penetrato in tutti i rami, nell’intero albero della nostra vita terrena. E quando facciamo degli studi sull’uomo - sono, oggi, assai di moda le ricerche e le analisi del genere - troviamo innumerevoli imperfezioni, miserie, complessi; elementi pur nobili ed elevati, ma mescolati a profonde manchevolezze. I Santi, i pensatori le hanno viste e denunciate; il tempo moderno le pone in più chiara evidenza.

Se però applichiamo questi nostri criteri di studio a Maria, che cosa deduciamo? Che l’intento divino di fare dell’uomo l’immagine - vogliamo dire la fotografia, la similitudine - di Dio; questa proprietà di rispecchiare Iddio è, in Maria, perfetta. Perciò, guardando alla Madonna, noi cogliamo il riflesso immediato d’una bellezza vergine, pura, innocente, immacolata, nativa, primigenia, che non conosceremmo nella sua realtà esattamente se questa candida Creatura non fosse stata a noi data. È, questo, un cantico che meditiamo con gioia e con preferenza nella festa dell’Immacolata Concezione.

Ma torniamo alla letizia ineffabile dell’Assunta. Il Concilio mette in evidenza un altro aspetto: quello della imitabilità della Madonna, della sua figura, della sua forma di tipo, nei confronti della Chiesa, riassumendo frasi e concetti desunti dai Padri, specialmente da due - che per ragioni particolari al Papa sono molto cari - e cioè: Sant’Ambrogio, il quale definisce Maria typus Ecclesiae, l’immagine della Chiesa; e S. Agostino, che ripete con parole anche più chiare ed incisive lo stesso concetto.



LA MADONNA, IMMAGINE DELLA CHIESA

Come mai la Madonna è immagine della Chiesa? Intanto Maria è membro della Chiesa, è figlia anche Lei della Chiesa e della Chiesa fa parte. Ma, contemporaneamente, Ella riassume in se stessa tutte le doti dal Signore largite a questa sua mistica Sposa: la Chiesa. Soprattutto i Santi testé ricordati hanno visto nella Madonna la verginità congiunta alla maternità. Come la Chiesa è vergine e madre e genera i cristiani con la sua proprietà mistica costituita dalla grazia prodotta dai Sacramenti, così Maria generò, Vergine e Madre, il Cristo nella carne, per cui il Verbo di Dio divenne nostro fratello. Inoltre la similitudine, il rapporto fra Maria e la Chiesa può ancora procedere e mostrare in Maria tutta la perfezione acquisita dai Santi, e dai giusti in genere.

Troviamo in Maria, in grado di somma pienezza, la santità di cui gode la Chiesa: Ella è, per eccellenza, la Regina, lo Specchio di giustizia, la Stella del mattino, Colei verso la quale l’intera Chiesa si orienta, quando vuole accentuare la propria elettissima vocazione ad essere sempre e dovunque interamente di Cristo.

Tale realtà ci autorizza, anzi ci sollecita a vedere in Maria tutti gli aspetti che la rendono a noi maestra, e da noi imitabile, particolarmente, dice il Concilio, nella fede, speranza e carità, le virtù cioè che ci uniscono a Dio, le virtù teologali. Maria è stata perfetta nel vincolo che queste virtù fondamentali stabiliscono tra, Dio e le anime. E noi, guardando alla Madonna, siamo appunto sollecitati ed invitati ad operare con fede: Beata quae credidisti; ad avere ogni fiducia in Cristo; ad amarlo come Maria ha amato e lodato il Signore: Fecit mihi magna qui potens est.

E tutte le altre virtù umane che sembrano umili e più accessibili ai nostri poveri passi erranti sulla terra? Le troviamo in Maria. Il Vangelo, pur nelle sue linee semplici e sobrie, ne parla abbastanza perché il nostro entusiasmo e la nostra devozione, il nostro proposito di imitare la Madonna siano convinti, infervorati e come riassunti nell’odierna solennità. Vogliamo essere tutti seguaci, alunni, figli, discepoli di tanta Madre.



SGUARDO ALL'UOMO: OSTACOLI DA SUPERARE

Se dalla Madonna volgiamo lo sguardo a noi, troviamo, in quest’ordine di considerazioni, un inciampo, una obiezione. E cioè: la superiore pedagogia di imitare non raccoglie, in genere, il consenso della mentalità moderna. Oggi non si vuole imitare. L’uomo si dichiara e vuol essere sufficiente a se stesso, pieno di sé. Non intende chiedere ad altri come deve esprimersi e come comportarsi: pretende di trarre dal proprio essere tutto ciò che può formare oggetto delle sue aspirazioni. Una frase - che ha avuto molto corso anche nell’ambiente politico, suscitando pure accese polemiche - sintetizza il fenomeno: l’uomo moderno ha il culto della propria personalità. Si dichiara egocentrico e vuole svilupparsi con tutte le proprie attitudini. Molto spesso con i capricci, le passioni, gli istinti, i desideri non leciti, vuole raggiungere una pienezza attinta unicamente a se medesimo, non modellata, non rispecchiata su qualche inclito esempio che dice: qui sta l’uomo perfetto, l’eroe, l’apostolo, il santo. Al contrario, l’uomo persiste a ritenersi pago delle sole sue forze e del genio di sviluppo che ritiene racchiuso nel proprio animo.

Che dire, al riguardo? Anzitutto occorre dichiarare la realtà: non è vero che l’uomo sia contento di se stesso e non abbia più il senso, il gusto, il bisogno della imitazione. Anzi - si deve aggiungere - egli sente questa in modo eccessivo. Senza dubbio al tempo nostro è in auge una estesa propaganda per lo sviluppo della personalità; ma, nel contempo, - e lo notiamo, purtroppo, in tanta parte della nostra gioventù - c’è un gregarismo, una frequenza di imitare, un modellarsi sui gusti altrui, un correre alla sequela di quanti sono proclamati i «divi», le «dive», e l’uniformarsi ad esempi che la pubblicità, col favore del popolo, propone - e alcune volte in quali meschine ed ignobili forme! - da far naufragare ogni velleità di affermazione personale. Spettacolo triste: bisognerebbe quasi vergognarsi di essere tratti all’accostamento, al consenso per individui che non si vorrebbe mai chiamare col vero nome; tanto meno, poi, raccoglierne le sembianze. Eppure l’illogico fenomeno esiste. La gente va alla ricerca del tipo, del modello, del figurino; di colui o di colei che comunque impersoni un modo di vivere.


UNA SUPERIORE PEDAGOGIA DI VITA

Il che viene a confermare che la pedagogia della Chiesa, la quale propone un ideale - e quanto mirabile! - non è una pedagogia anacronistica e fuori tempo o inadeguata. Risponde invece, e appieno, alle aspirazioni sconfinate e sempre acute nel cuore moderno. Se si chiedesse alla gioventù, a tutti: non avete voi il desiderio della bellezza, della grandezza, della dignità morale, dell’eroismo, della bontà, dell’interpretazione giusta ed esauriente della definizione dell’uomo? Sì, sì, sarebbe la risposta; noi ci proponiamo, vogliamo ancora questi ideali. E, allora, dove cercarli? La Chiesa pone davanti a tutte le incalcolabili attese del cuore umano, ben dirigendone il dramma e il tormento, l’invito a guardare alla Madre, a Colei che impersona veramente la originaria, autentica idea di che cosa è l’uomo; immagine di Dio. Guarda a Maria - dice il materno richiamo - che è il modello della Chiesa e, piena di grazia, contiene in Se stessa tutto quanto la Chiesa può dare. Sii ammiratore, sii capace di scrutare, almeno con qualche sentimento, con qualche nostalgia buona, questo ideale purissimo di umanità che è la Madonna; di elevarti e rivolgerti a Lei con qualche preghiera.


«GUARDIAMO A TE, O MARIA!»

Un piccolo ricordo. Nell’istituto dove il Papa andava a scuola nella sua fanciullezza, c’era un cortile, e sulla parete principale gli educatori, i Padri Gesuiti, avevano collocato una statua della Madonna con una iscrizione semplice, popolare, ma oltremodo eloquente. Diceva: Maria, dall’alto, guarda sui figli.

Ebbene, la bella frase, il riconoscimento dello sguardo che Maria fa scendere sopra di noi, può essere sempre accolto, trasformato, anzi, in volenterosa risposta: E noi, dal basso, guardiamo a Te, o Maria!

Il mirare alla Vergine Santissima è davvero atto consolatore, orientatore; e conferma nella nostra anima l’insegnamento testé ricordato: la fede, la speranza, la carità, le altre virtù. Dirige, in tal modo la nostra vita, oltre i termini della esistenza terrena, a quanto sarà al di là dei confini del tempo presente e dopo la scena umana transeunte ed effimera. Maria specialmente con questa festa bellissima, ci guida a questo eternale futuro; ce lo fa anelare e scorgere; ce ne dà la speranza, la certezza, il desiderio. Sorretti da così splendente realtà, sapremo, con gioia indicibile, che il nostro umile e faticoso pellegrinaggio terreno, illuminato da Maria, si trasforma nel cammino sicuro - iter para tutum - verso il Paradiso.





B. Paolo VI Omelie 22566