B. Paolo VI Omelie 27866

Sabato, 27 agosto 1966: SANTA MESSA PER LE FIGLIE DI SANT’ANGELA MERICI

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EDIFICANTI ESEMPI

L'Augusto Pontefice intrattiene il devoto uditorio con affabile conversazione, della quale diamo i principali punti, così come abbiamo potuto annotarli.

Sua Santità ricorda, in primo luogo, i particolari vincoli di ammirazione che legano la sua persona e quelle di alcuni suoi familiari alla gloriosa istituzione bresciana, nata quattro secoli or sono dal cuore apostolico di S. Angela Merici.

Il primo incontro, - ricorda Sua Santità - avvenne proprio a Roma, in occasione di un viaggio che Egli compì, all’età di non ancora dieci anni, nel 1907, con i genitori, i fratelli, la nonna e una zia. In quella circostanza la Famiglia Montini fu ricevuta in privata udienza da S. Pio X, al quale il venerato padre del futuro Sommo Pontefice illustrò il programma delle celebrazioni indette per il primo centenario della Canonizzazione di S. Angela Merici, compiuta il 24 maggio 1807 da Pio VII.

Il Santo Padre rievoca altre non dimenticabili occasioni di edificanti ricordi ed esprime la ammirazione per alcune nobili anime da Lui incontrate nella Compagnia di S. Angela, che, con esempi luminosi di virtù, di dedizione, di umile bontà, si prodigarono in opere elette: il loro nome è rimasto impresso nel suo spirito e vivo nella sua memoria.

Più oltre Sua Santità ama ricordare le figure e le opere delle impareggiabili sorelle Elisabetta e Maddalena Girelli, alle quali si deve il rifiorimento delle Compagnie di S. Orsola, in questo secolo, specialmente a Brescia; e di Bianca Piccolomini, restauratrice dell’Istituto a Siena.

Nella casa di Maddalena Girelli, inferma, il sacerdote Giovanni Battista Montini, pochi giorni dopo la sacra Ordinazione, si recò a celebrare una delle sue prime Messe, ed anche questo avvenimento è collegato alle primizie del suo ministero sacerdotale. Edificante fu l’impressione delle eccezionali virtù delle due sorelle; e senza dubbio sono nel giusto coloro i quali ritengono che tali virtù possano essere proposte alla Chiesa per una auspicata glorificazione delle due degnissime Serve di Dio.

Altra gradita conferma dello spirito e del metodo delle brave Orsoline fu la grande straordinaria Missione in Milano nel 1957, durante la quale le Figlie di S. Angela Merici si prodigarono con intenso fervore.



FEDELTÀ ALLE ORIGINI E CONSAPEVOLEZZA DELL'ORA PRESENTE

Passando alla parte normativa della sua conversazione, l’Augusto Pontefice sottolinea l’iniziativa del recente congresso per la revisione delle Costituzioni. È una realtà che suscita grande compiacimento, aumenta la stima, fa apprezzare gli sforzi compiuti per rispondere agli inviti della Chiesa e alla stessa santa vocazione.

Il Santo Padre fa notare che, pur fondata da oltre quattro secoli, la Compagnia, nella sua struttura e nel suo programma, per i metodi e i risultati conseguiti, può ritenersi un’istituzione tra le più moderne; ed essa è sempre attuale, collaudata dalla bontà delle sue opere. Egli quindi si rallegra con le Consorelle presenti per i sentimenti di aperta adesione all’apostolato: sentimenti che rispecchiano le stesse origini dell’Istituto, e sono sempre scolpite, ancor oggi, nei loro cuori.

Il recente Concilio, nel suo Decreto Perfectae caritatis sulle anime in modo speciale consacrate al Divino Servizio - Decreto sicuramente conosciuto e meditato dalle zelanti Figlie di S. Angela - contiene una prima raccomandazione: di rimanere fedeli allo spirito e anche alle norme originarie del singolo Istituto Religioso. È legge di vita; si tratta di una logica, che non esclude o paralizza il beninteso progresso e rinnovamento; anzi lo ispira, lo richiede, lo suggerisce, lo conforta. Riflettendo a ciò che S. Angela ha voluto fare nel suo tempo, per la società che la circondava, si trovano preziosi suggerimenti anche per oggi. In una parola, il persistere bene ancorati alle origini conserva le energie spirituali, ne suscita altre ugualmente necessarie e indica la via a ulteriori sicuri sviluppi.



CARATTERISTICHE D'UN APOSTOLATO DI AMBIENTE

Altro argomento certamente molto approfondito è lo studio dello scopo fondamentale dell’Istituto, cioè la santificazione, a cominciare da quella personale, facendo ognuna tesoro di tutti i suggerimenti spirituali, ascetici, che la Chiesa offre a chi presceglie una speciale forma religiosa di vita per arrivare appunto alla perfezione.

Conseguenza di tale premessa è la santità di gruppo e, con essa, la provvida attività per la santificazione degli altri. Il Sodalizio di S. Angela venne ideato come un lancio - oggi si direbbe così -, una spinta, un impegno verso il mondo circostante.

In quali forme? Le principali sono due. La prima è l’originalità della Compagnia. Chi ne fa parte continua a vivere nella propria casa e del proprio lavoro. Abbiamo, perciò, un istituto religioso secolare che parve sorprendente anomalia nel secolo XVI. Ma San Carlo, con il profondo suo intuito pastorale, conferisce per primo il carisma della approvazione al Sodalizio; e ne abbiamo conferma in una delle sue sapienti omelie, in cui il santo Arcivescovo pone in evidenza le virtù, la vita esemplare, il singolare e benefico apostolato delle «Angeline».

Inoltre, le Compagnie di S. Angela sono note per un apostolato con la speciale caratteristica d’essere esercitato, si direbbe, in ordine sparso. Ed è quanto oggi la Chiesa promuove ed incoraggia. Far del bene nel proprio ambiente, santificare la famiglia, la scuola, l’ufficio, il laboratorio; irradiare ovunque il Vangelo. Ogni focolare domestico, ove una Figlia di S. Angela vive e svolge la sua missione, può dirsi privilegiato e benedetto.



MAESTRE ASSISTENTI ZELATRICI NELLA PARROCCHIA

Qual è, poi, il secondo punto d’impegno? Qui il Santo Padre si rivolge anche ai Superiori delle Compagnie ed a quanti sacerdoti essi rappresentano. Grande compito delle Figlie di S. Angela è la parrocchia. Esse sono le ausiliarie del Parroco. Devono essere, fra tutti, le più obbedienti, silenziose, devote, e anche le più intelligenti per ben capire quali siano gli obiettivi da raggiungere e in che modo arrivarci.

Ogni parrocchia moderna non può fare a meno del concorso di speciale e ben diretta assistenza femminile. In antico, il Parroco, date le solide condizioni delle famiglie, non necessitava di qualificati aiuti, perché esse costituivano un centro di ottime tradizioni e la salvaguardia attenta dei valori morali, specie nella gioventù.

Oggi non è più così. Oggi le giovani vanno alla fabbrica, all’ufficio, ai diporti; hanno una libertà che bisogna non reprimere, ma educare. Deve esserci, quindi, chi direttamente si occupi di loro. Vi sono le Suore delle diverse Congregazioni. Il loro compito è di prim’ordine; tuttavia esse non possono arrivare a tutto. Occorre allora che la Parrocchia susciti, nel maggior numero possibile, le sue maestre, le sue zelatrici, le sue assistenti: anime capaci, in una parola, di coordinare l’apostolato femminile, che il sacerdote, per evidenti ragioni, non può direttamente esplicare.



PORTARE CRISTO E IL VANGELO NEL MONDO CONTEMPORANEO

È un programma amplissimo. Le Compagnie di S. Angela intendono vivere e prosperare? Prendano sempre più a cuore le attività parrocchiali a vantaggio dell’infanzia, delle giovani, per diffondere ovunque il vero concetto della comunità, la preghiera nuova, l’istruzione religiosa, lo splendore del culto, l’ordine spirituale e morale, che fa veramente della parrocchia il centro primo della vita cristiana.

Ecco la grande speranza. Se tutte le parrocchie avessero i nuclei della Merici, si potrebbe guardare all’avvenire con grande fiducia, poiché le persone sono condotte ad agire, cor unum et anima una, intorno all’altare e al padre spirituale che è il Parroco; sì da ridare alla società di oggi quel senso di Cristo e quel ritorno fedele alla Chiesa e alla Legge divina, tanto auspicato, e mèta precipua del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Tutto ciò dà motivo - prosegue il Santo Padre - per ringraziare coloro che si occupano della assistenza alle Compagnie di S. Angela: i superiori, i direttori spirituali. Essi sanno del bene fin qui compiuto e - sia detto a lode di queste anime privilegiate - sanno quanto si può chiedere alla loro virtù, disposte, come sono, alla preghiera, al sacrificio, alla santità. Come maestri di spirito non dobbiamo trascurare questa zolla eletta del campo della Chiesa. Ivi possono germogliare i fiori più ricchi, i frutti più abbondanti; là si possono educare le anime che irradieranno, a loro volta, il Nome di Cristo e l’insegnamento del Vangelo nell’ambiente in cui vivono: saranno, cioè, veramente zelatrici e collaboratrici, come quelle che le precedono.

Tutto ciò non lede o sminuisce gli antichi statuti e programmi. Al contrario, li interpreta, li ringiovanisce; apre orizzonti nuovi e non lontani, anzi prossimi. Da qui l’augurio più cordiale del Papa alle Figlie di S. Angela. Sappiano esse infervorarsi ancor più ed attrarre altre anime, che si consacrino, con identico ardore, a Dio; che generosamente raccolgano la santa eredità e la esprimano nelle forme che la Chiesa ora desidera, e che le necessità del nostro tempo vengono indicando.

E la parola che troviamo a chiusura del Decreto Conciliare sul rinnovamento della vita religiosa può essere in tutta pienezza riferita alle Compagnie di S. Angela: Sappiate portare il buon odore di Cristo nel mondo in cui vivete. Questo l’augurio del Vicario di Gesù Cristo; l’oggetto della sua preghiera; come vuol essere l’auspicio della Benedizione Apostolica, che Egli sta per impartire.





Domenica, 11 settembre 1966: SANTA MESSA AL CENTRO INDUSTRIALE DI COLLEFERRO

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Il Santo Padre inizia la sua Omelia rivolgendo un fervido saluto al Vescovo Diocesano, al Parroco, al Clero, ai Religiosi, alle Autorità e alle molte Personalità presenti, agli Imprenditori e Dirigenti a tutte le categorie e alle Associazioni dei diletti Lavoratori.

È la prima volta che Egli visita questa città, e ne riceve una impressione che ben potrebbe dirsi simbolica. Simbolo di che cosa? Dei tempi nuovi, di questo doloroso, faticato ma anche glorioso dopoguerra, che ha visto risorgere il Paese in opere grandi, buone, oneste e protese verso l’avvenire, per cui si viene sempre più affermando un’impronta, una fisionomia che non esisteva in passato e cioè: la caratteristica industriale, del lavoro organizzato, dell’uomo che. opera non da solo con le sue mani, ma con le macchine e in ragguardevoli comunità. È il lavoro moderno.


UNA CITTÀ SIMBOLO DEI TEMPI NUOVI

E così: volendo commemorare uno storico Documento proprio sulle condizioni dei lavoratori, il Papa si è chiesto dove cercare un incontro con il mondo operaio. La scelta è stata per Colleferro, ed Egli ne è lietissimo; ringrazia il Signore di poter qui salutare una rappresentanza tanto qualificata e appunto del lavoro industriale.

Perciò i lavoratori sono l’oggetto principale della sua visita: alle loro persone, a quanto essi compiono, a tutte le iniziative di assistenza e di sviluppo connesse con la loro fatica vanno le sollecitudini più ardenti del Padre delle anime.

I carissimi ascoltatori sanno che il motivo precipuo della presenza del Papa tra loro è per tributare onore e gratitudine ad un suo grande Predecessore: Leone XIII. Settantacinque anni or sono quel Pontefice pubblicò un documento, ormai a tutti noto, che si intitola Rerum novarum: la grande Enciclica che tratta della questione operaia, della questione sociale. È stato un gesto determinante, storico, con cui la, Chiesa si è impegnata alle questioni di quanti lavorano, e da allora essa di continuo si è interessata ai bisogni, alle aspirazioni, alle fatiche, difficoltà, lotte; in una parola sola: alle anime dei singoli lavoratori.

Partendo da questa memoria è agevole riassumere il movente della visita del Papa.

Perché sono venuto? La presenza lo dice più che il discorso: sono venuto per dirvi che la Chiesa ama il mondo del lavoro, ama i lavoratori, gli operai, tutti quelli che svolgono un’attività secondo il modo con cui il lavoro moderno è organizzato, e con la psicologia, le esigenze le angustie che esso porta con sé. Sono venuto ad assicurarvi dell’affetto, della solidarietà, dell’interesse che la Chiesa ha per voi.



LA CHIESA AMA I LAVORATORI

Qui forse potrebbe affacciarsi in taluno una qualche obiezione: di certo non più quella, per tanto tempo diffusa, che negava senz’altro la presenza della Chiesa nel mondo del lavoro. Le molte prove di questo suo raggiante apostolato risplendono ovunque, ed hanno dissipato la inconsistente accusa. Piuttosto qualcuno ancora potrebbe avanzare un dubbio: sì, riconosciamo che la Chiesa si interessa; tuttavia, in pratica, che cosa essa può fare non avendo mezzi, capacità e competenza nelle questioni economiche, nei problemi industriali, sociali, del lavoro?

La sua funzione è quella di pregare il Signore, di predicare il Vangelo, ma non di andare in mezzo ai lavoratori. Il suo è, dunque, un amore inefficace, dimostrativo, verbale. Orbene il dubbio dilegua quando si pensi al reale e fattivo atteggiamento. Se ne hanno prove eloquentissime e chiare. Si tratta - e lo si può dimostrare con tanti esempi - di una premura non soltanto teorica; e nemmeno può asserirsi che essa assuma forme antiquate, inefficienti, paternalistiche, per proteggere e beneficare. La Chiesa veglia sul popolo; ne illumina la coscienza e la forza; lo conduce ed aiuta a sentirsi libero, arbitro dei propri destini. Basta dare uno sguardo a quanto è stato compiuto attuando i dettami sociali della Chiesa; all’azione politica ispirata dai principi cristiani, per avere di tutto mirabile conferma.

INCOMPARABILE OPERA ATTIVA E RIGOGLIOSA

Noi vi conosciamo e desideriamo sempre più conoscervi. La Chiesa si è curvata sopra le vostre condizioni; ha esaminato i vostri problemi. Essa ancor oggi studia le condizioni di vita in cui siete; non ignora affatto le odierne esigenze dei lavoratori, soprattutto le trasformazioni sociali derivanti dalla macchina; sente i desideri e le domande per raggiungere una pienezza di giustizia e di armonia nella società.

Non ignorando affatto tali istanze, la Chiesa le esamina con tutta l’attenzione onesta e diligente; guarda in faccia le cose e cerca di comprendervi non soltanto nell’aspetto esteriore che può essere anche disciplinare e apparentemente ordinato, ma vi vede nel cuore, vi studia nel profondo della vostra psicologia. Quante volte, negli anni decorsi, andando in mezzo agli operai, soprattutto durante il ministero pastorale svolto nell’Arcidiocesi di Milano, è occorso al Papa di scorgere tanti volti di lavoratori silenziosi, muti, che sembrano soltanto osservare. In realtà non è che siano privi di un sentimento che non avvertono o che non vogliono esprimere. Sono diffidenti e perciò rimangono quasi intimiditi. Ebbene, la Chiesa spiega questo silenzio e questo riserbo. Essa arriva nell’intimo del cuore e coglie il risentimento per tutto quanto è ingiusto o il rammarico per cose non bene eseguite. Sa quindi rispondere all’interrogativo a proposito di chi realmente può bene guidare e ottenere tutto quanto è necessario non solo alla vita materiale, ma alla pace interiore.



LA PIÙ ALTA GUIDA E DIFESA

La Chiesa difende i lavoratori. Non sta semplicemente a guardare. Ha precisato la sua dottrina; ha speso la sua autorità per la tutela e la promozione dei lavoratori, ha fatto suoi i loro diritti alla dignità, alla mercede. Si schiera al di sopra d’ogni competizione e prende arditamente e risolutamente le loro difese. E ciò compie - si intende - senza voce rivoluzionaria, senza demagogici termini altisonanti, od ostili. Esercita, invece, tale difesa guardando le cose reali, giuste e possibili.

Si rifletta, poi, a quante opere la Chiesa ha suscitato per dare questa certezza e per venire incontro non soltanto con la parola, ma con i fatti concreti, con efficace organizzazione, alle tante necessità. Ogni giorno essa cura e sviluppa il coordinamento delle iniziative. Né va dimenticato che proprio la Chiesa - e ne parla diffusamente la Rerum novarum - propugna uno dei più grandi diritti della classe lavoratrice e cioè la libertà di associazione, l’elemento per sentirsi forza, per sentirsi popolo; e, in piena coerenza a questo principio, la Chiesa sempre più dispiega la sua attività illuminatrice e benefica.

LA IDEOLOGIA GIUSTA È QUELLA DI CRISTO

Ancora un’altra mirabile realtà. La Chiesa parla ai lavoratori. Il Papa è venuto a Colleferro per commemorare una grande parola, pronunciata settantacinque anni or sono da Papa Leone. Che cosa vuol dire questo continuo discorso della Chiesa? Una grandissima cosa. Sono le idee a guidare la vita; esse fanno trionfare le buone cause; danno al popolo la sua forza e tracciano i sentieri del suo destino. C’è ormai una parola corrente che riassume tutto ciò: l’ideologia. Essa è necessaria alle conquiste dell’avvenire. Ora, sappiamo tutti che l’insegnamento della Chiesa non è parola d’interesse, di passione, di opportunismo. Vi dice - e oggi vi ripete -: bisogna avere un pensiero; un’«ideologia». Sono le idee che muovono il mondo.

Sbagliare, perciò, sulle ideologie è gravissimo. Ed è della più alta importanza attenersi alla buona, alla vera, a quella collaudata dalle esperienze della storia, su cui riposa - e dovrebbero pure ammetterlo coloro che non hanno la fortuna di condividerla - la luce del Vangelo; la luce del grande, umanissimo e divinissimo Maestro, Nostro Signore Gesù Cristo.

Egli ci insegna, nella realtà più completa e sublime, il valore della vita, la dignità del lavoro, la libertà umana e come deve essere intesa e impiegata, il mistero della fatica e del dolore che Gesù ha voluto assumere su di Sé con il sacrificio della Croce, indicandoci che, attraverso il dolore, è possibile trovare virtù e redenzione e, con questa, la speranza temporale e religiosa.

Tutto ciò proclama e insegna la Chiesa con l’autorità immensa che le deriva dal Magistero stesso di Cristo.

A suggello dunque del pio e fulgido incontro, tutti vogliano ricordare sempre che la Chiesa vuol bene ai lavoratori; li comprende; non ha alcun interesse di dominio. Vuole liberarli, elevarli e far loro capire i reali valori della vita; dare loro la gioia di essere uniti nell’amore e non nell’odio.

Ed aggiunge un’altra parola che nessuno, all’infuori di Essa, può pronunciare: al di là di questa vita si raggiunge, attraverso il sudore, le lacrime e le speranze di quaggiù, la vita superna e senza fine.

Per ottenere questo ineffabile dono a quanti Lo ascoltano, il Santo Padre rivolgerà ora speciale preghiera al Signore durante il Divin Sacrificio, auspicando ogni grazia per i Lavoratori e per quanti procurano ad essi i mezzi della quotidiana attività; per le famiglie di ciascuno; per l’intera cittadinanza di Colleferro.

Che la benedizione di Leone XIII e del suo Successore qui presente sia ognora sulla vostra terra per l’ordine cristiano: da lui, da voi sognato, nella fede e nell’amore.





MARTEDÌ 4 OTTOBRE 1966

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Fratelli, Figli, Signori,

Che avete accolto il Nostro invito a pregare per la pace, meditate un istante con Noi le ragioni che Ci inducono a questo atto spirituale. Noi le abbiamo esposte nella Nostra Lettera Enciclica «Christi Matri», ma giova qui richiamarle brevemente per dare consapevolezza e vigore al momento religioso che stiamo insieme celebrando.

Noi Ci occupiamo ancora della pace. Non temiamo che la ripetizione di questa tema Ci faccia colpevoli di parole retoriche, o superflue. È il tema della pace un soggetto di inesauribile riflessione, perché si riferisce ad una realtà umana di sommo interesse, e sempre esposta alle più gravi e imprevedibili mutazioni. È tema che non dobbiamo mai stancarci dal considerare e dal trattare? perché esso riguarda il vorticoso gioco delle sorti dell’umanità.



MERAVIGLIOSA CONSONANZA DI POPOLI: IL GRANDE RICORDO DEL VIAGGIO ALL'ONU

Lo scorso anno, proprio in questo giorno, Noi avemmo l’onore di dire una Nostra parola di pace davanti alla Istituzione mondiale più autorevole e più qualificata per promuovere e per salvaguardare la pace nel mondo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, residente a New York; ancora siamo grati per l’invito che Ci procurò l’occasione di portare il Nostro fraterno messaggio ai Rappresentanti delle Nazioni, colà radunati; ancora pensiamo con gaudio e con stupore alla meravigliosa corrispondenza, non mai prima d’allora celebrata con pari evidenza e con pari solennità, dello scopo supremo di quel sovrano consesso con l’umile, gaudiosa, perenne voce del nostro Vangelo, l’uno e l’altra singolarmente, misteriosamente consonanti nell’identica parola «pace»; ancora rinnoviamo il ricordo di quello storico e commovente momento per rinnovare l’augurio, che fu allora di tutti - il mondo ascoltava, pensava e plaudiva -: regni la pace nel mondo; non più la guerra, non più! Non più rivalità e contese e sopraffazioni ed egoismi; ma la fratellanza universale, nella giustizia e nella libertà.

Lo rinnoviamo, sì, il Nostro augurio, anzi il Nostro grido di pace, oggi, perché tutti sappiamo quanto ne sia grande il bisogno, quanto ardente il desiderio, quanto difficile il conseguimento. Dovremmo rinnovarlo con dolore: dallo scorso anno a questo le condizioni della pace nel mondo non sono migliorate. Lo ha detto anche un testimonio qualificato in ragione del suo alto ufficio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, nell’introduzione al suo rapporto annuale: «La situazione politica internazionale non è migliorata». Sappiamo tutti anzi quanto sia delicata, e quanto siano purtroppo fondati i timori di un successivo aggravamento. Lo abbiamo detto nella Nostra Enciclica.

GIAMMAI PERDERE LA CERTEZZA NELLA CAUSA DELLA PACE, NÉ LA FIDUCIA DI POTERLA CONSEGUIRE

Ma Noi soggiungiamo che non dobbiamo essere delusi. Che le ascensioni umane verso le vette della civiltà abbiano momenti di incertezza, di stanchezza e di difficoltà non deve fare meraviglia. Conosciamo la complessità dei problemi della convivenza umana. Conosciamo la debolezza dell’uomo. E che l’uomo, ad un certo punto del suo difficile cammino, senta la tentazione di fermarsi e di retrocedere; di andare avanti con le parole e di andare indietro con i fatti, fa dolore, ma non stupore. Così l’uomo; non solo debole, ma spesso incoerente; più fiducioso in un suo calcolo particolare ed empirico, che non fondato sopra la bontà delle idee grandi, umane, vere e progressive. E se così procede, oscillante e intermittente, il passo dell’uomo verso la pace, noi non dobbiamo perdere la certezza nel merito della causa della pace, né il coraggio per continuare a difenderla ed a promuoverla, né la fiducia di poterla in ogni caso conseguire. Noi dobbiamo sempre sostenere che la pace è possibile. Noi dobbiamo sempre fare ogni sforzo per renderla possibile.

Quali sono perciò i pensieri, che facciamo sorgere nei nostri spiriti in questo momento sacro alle loro più alte espressioni? Il primo pensiero, il primo proposito, è quello della perseveranza nel cercare la pace. Bisogna che l’umanità resti fedele alla grande idea concepita dopo l’immane tragedia della guerra: dobbiamo tutti, dobbiamo sempre cercare la pace; la pace per tutti. E se all’inizio di questa formidabile risoluzione fu la straziante esperienza della guerra, fu la paura, fu il terrore della sua ripetizione e delle sue moltiplicate e apocalittiche proporzioni, oggi dovrebbe piuttosto essere l’amore a sostenere tale risoluzione, l’amore per tutti gli uomini; l’amore della pace, diciamo, ancor più che il timore della guerra. E l’amore è fecondo di questi principi e di quelle idee, che generano la vera pace: cioè la fratellanza, la giustizia, la libertà, la collaborazione, la generosità.



I VERI PENSIERI DELLA PACE LA RENDONO DESIDERABILE E SINCERA ANZITUTTO NELLE COSCIENZE

Il che Ci suggerisce un altro pensiero, un altro proposito: noi tutti dobbiamo educarci alla pace, dobbiamo alimentare quelle «cogitationes pacis» (
Jr 29,11), quelle idee che la rendono desiderabile e sincera, e la stabiliscono, ancor prima che nella politica e nell’equilibrio esteriore, nella profondità delle coscienze, nella mentalità dell’uomo moderno e nel costume del popolo civile. Dobbiamo, a questo riguardo, osservare come l’idea della pace, nonostante tutto, progredisca nella coscienza, se non sempre nell’attività, del mondo contemporaneo: ecco che si va vanificando la equivoca propaganda, che cerca di strumentalizzarla a scopi diversi, che non sia l’ordine fondato sul rispetto dei diritti della persona umana e dei popoli liberi; così si va diffondendo l’intima persuasione che la pace vera e duratura non può essere basata sulla potenza di armi micidiali, né sulla tensione statica di ideologie contrastanti; e si va invece formando il concetto positivo della pace: la pace non è pacifismo imbelle, né egoismo gaudente, né indifferente disinteresse dei bisogni altrui; ma piuttosto frutto di uno sforzo pratico, continuo e concorde per la costruzione d’una società locale e universale, fondata sulla solidarietà umana nella ricerca di un bene per tutti comune. E guardando ai più grandi bisogni dell’umanità ed insieme ai più grandi pericoli per la sua contestabile tranquillità, la pace, Noi abbiamo detto, oggi si chiama sviluppo; sviluppo dei popoli che hanno ancora bisogno di troppe cose necessarie alla vita, e che costituiscono tuttora grande parte del genere umano.

Se così è, un altro pensiero ci sorprende, un altro proposito nasce negli animi nostri. La pace è difficile! Cosa grande, cosa necessaria, cosa tanto cercata e servita; ma cosa difficile, estremamente difficile. Però Noi dicevamo testé: non impossibile. Perché non impossibile? bastano le forze umane a procurarla, a mantenerla? Preferiamo in questo momento non dare esauriente risposta a questa angosciosa questione, che involge le tesi più ardue del pensiero e della storia, per concludere semplicemente con l’applicazione d’una parola di Cristo alla soluzione del terribile problema: se «questo è impossibile all’uomo, tutto è possibile a Dio» (Mt 19,26). Questa parola dà ragione dell’atto che stiamo compiendo: la preghiera per la pace. Esso trova la sua logica nella fede; nella fede cioè che l’uomo non è solo nel conseguimento dei suoi destini, e che una virtù potente e paterna può innestarsi nello svolgimento delle sue decisive vicende, la Provvidenza, l’aiuto di Dio, l’amore che scende dal Cielo, la bontà vittoriosa del Padre celeste per l’umana salvezza.

«TUTTO È POSSIBILE A DIO»: A LUI LA PREGHIERA DELL'UMANITÀ ANSIOSA DI PACE RESPONSABILE NELLA GIUSTIZIA

Sì, pregheremo con fede, per la pace, specialmente nell’estremo Oriente; una pace che assicuri la libertà e la prosperità a quelle popolazioni, e che la trattativa leale ed umana, non la sopraffazione dell’insidia o della forza, renda possibile. E pregheremo per quanti altri focolai di lotte e di odio turbano la civile convivenza nel mondo. Pregheremo per quanti con pazienza, con sapienza, con lealtà, uomini ed istituzioni, lavorano per instaurare e promuovere la concordia e la pace fra gli uomini. Pregheremo con voi qui presenti, fedeli e cittadini di Roma, dove la pace civile si è fatta universale e cristiana, e con tutti coloro che hanno accolto il Nostro invito di invocazione religiosa e di elevazione spirituale, in favore della pace, fiduciosi che il coro delle voci della Chiesa cattolica e delle altre confessioni cristiane e non cristiane, anzi di tutti gli uomini di buona volontà, coro oggi solidale nel desiderare una pace, responsabile nella giustizia, di cui Dio è vindice e garante, muoverà le migliori energie morali, che sono ancora nel cuore dell’umanità, e otterrà dal Cielo ciò che gli uomini con le loro sole forze non sanno conseguire. E pregheremo con la voce purissima, dolcissima, fortissima di Colei, che recò al mondo il Salvatore, il Principe della pace; pregheremo cioè associando alla nostra afflitta e immeritevole preghiera l’intercessione di Maria, la donna del più alto amore, la madre gaudiosa e dolente d’ogni umana vicenda, la Regina della pace, Maria; e la nostra speranza rifiorirà invincibile.





DOMENICA, 13 NOVEMBRE 1966

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Signori e Figli carissimi!

Eccoci fra voi per celebrare la vostra Giornata! Come la chiameremo? Il vostro programma vorrebbe chiamarla, come ogni anno, la «Giornata del ringraziamento». Il titolo, certamente, è molto bello, pieno di profondo significato spirituale, e per sé tanto appropriato a questo momento dell’annata agricola giunta al suo termine, e pronta a iniziare un suo nuovo ciclo. Ma il ringraziamento suppone benessere e tranquillità, mentre ora noi tutti ci troviamo nell’afflizione, che le alluvioni dei giorni scorsi hanno inflitto non solo negli animi di quanti sono stati colpiti da così immane sciagura, ma negli animi altresì di quanti si sentono fratelli, concittadini, colleghi delle vittime e dei sofferenti per tanta calamità. Non possiamo cancellare dal Nostro spirito le visioni terrificanti e desolate di tante parti di questo Paese. Quali e quanti spettacoli di rovina e di tristezza! e quale oscura prospettiva per l’inverno che viene e per le stagioni successive incombe, per le zone colpite e in non piccola misura, sulla comunità nazionale!

Chiameremo perciò questa Giornata con altri titoli? Giornata della solidarietà e della comprensione? Sì. E profittiamo dell’occasione che ci riunisce nell’affetto e nella preghiera per mandare un pensiero, un pensiero pieno di compassione e di amicizia, a tutte le città, a tutte le borgate, a tutte le case, a tutte le persone, famiglie e comunità colpite da questa disgrazia; ma il ricordo speciale vuol ora fermarsi sulle campagne devastate dalle inondazioni: su i paesi rurali e montani, sulle borgate, le fattorie, le cascine devastate dalle alluvioni; guardiamo con immensa tristezza ai danni portati ai frutti di tante sudate ed oneste fatiche e quasi travolti prima dalla furia e oppresse poi dal dominio delle acque: case, strade, canali, impianti, coltivazioni, piantagioni, orti e giardini, allevamenti, stal!e, pollame, bestiame, macchine, scorte, . . . tutto travolto, tutto sepolto! E le persone? Care famiglie rurali, ottimi coltivatori e contadini, brave massaie, vecchi fedeli e giovani animosi, fanciulli fiorenti nel quadro vivo della natura, voi agricoltori tutti e voi tutte popolazioni delle campagne e delle montagne: oh! non rifiutate il Nostro fraterno saluto! ve lo mandiamo sulle ali dello spirito che ama e che prega!

Perché questa Giornata, proprio per la sventura e per la sofferenza che la qualifica, si chiamerà quest’anno per noi la Giornata della fraternità per tutta la gente rurale! Vediamo con compiacenza che questo sentimento non è nuovo, non è estraneo a voi, agricoltori, coltivatori e lavoratori dei campi qua convenuti. E le circostanze in cui ci troviamo ci offrono l’opportunità per riaffermare il sentimento di fraternità, che deve collegare tutta la varia ed immensa categoria delle popolazioni agricole. Dovrà essere approfondito codesto sentimento, dovrà essere confermato codesto proposito di fraternità; dovrà essere autenticato dalle radici di cui dev’essere alimentato: la radice della patria comune, la radice del lavoro comune, la radice della fede comune!

E allora la Giornata può assumere anche un altro nome: la Giornata della promessa! Una nuova promessa deve saldare i vincoli della vostra unione spirituale e professionale: quella di ridare all’agricoltura quanto le spetta nel concerto dell’intera società. Se la sua funzione è primordiale ed insostituibile, se la sua attività incontra nella vita umana tanta naturale rispondenza, se i suoi quadri sono suscettibili di ogni moderno rinnovamento: il prestigio, il profitto, il livello sociale, la formazione culturale, l’influsso sulla vita pubblica devono essere riconquistati all’agricoltura! Anche su questo punto vediamo con soddisfazione quanto è stato fatto, e quanto si vuol fare; e non possiamo tacere anche il Nostro personale riconoscimento ed il Nostro incoraggiamento per gli sforzi che da ogni parte sono rivolti per lo sviluppo moderno dell’agricoltura; ma sappiamo che per conseguire gli scopi di tali sforzi è necessario il concorso della gente stessa dei campi! È necessaria la loro fedeltà e la loro stima per scelta professionale qualificante; è necessaria la loro unione; è necessaria la loro rispondenza ai programmi di elevazione culturale indispensabili per fare uscire l’agricoltura dalla sua atavica ed empirica immobilità e per innestarvi le nuove forme di lavoro, di strumentazione e di amministrazione; è necessaria, in una parola la vostra coraggiosa perseveranza in quanto già state facendo con le vostre associazioni. La vostra promessa dovrà diventare più cosciente e più operante, proprio per apportare all’agricoltura devastata dalle presenti rovine una nuova e sollecita rinascita. La natura, che oggi s’è mostrata nemica e crudele, ritornerà presto tranquilla e feconda; la terra ancora una volta attende il vostro aratro e la vostra fatica; la primavera non sarà lontana e la messe non mancherà. Abbiate fiducia!

Ed ecco, a questo punto, risorgere un pensiero, che vi è abituale, e che proprio doveva avere in questa Giornata il posto d’onore; il pensiero della fede. La coltivazione dei campi ha questo di caratteristico e di nobile; vorremmo quasi dire di filosofico e di misterioso: essa obbliga all’impiego di tutte le forze e di tutte le abilità dell’uomo, del coltivatore; ma essa gli ricorda ad ogni istante che un altro lavoro deve fondersi col suo, il lavoro della natura. Uomo e natura sono i due fattori della produzione agraria. E la natura, che cos’è? questo mondo a noi esteriore e con noi compenetrato, questa vita che cos’è? La domanda, che sempre insiste nell’opera e nell’animo del bravo ed intelligente agricoltore, si risolve nell’osservazione dell’insufficienza dell’opera umana e nell’osservazione d’una causalità, meravigliosa, che deve venire in collaborazione con l’opera umana: e queste due osservazioni, che sono alla base della saggezza rurale, stimolano facilmente l’animo dell’uomo ad uno sforzo di salita, pure connaturale allo spirito umano; di salita a Dio; ad un atto religioso. Qui la nostra educazione cristiana ci viene in aiuto, e subito dà a tale atto religioso la sua espressione; la sua fede e la sua preghiera. Non è veto che voi sapete tutto questo?

E allora: se vogliamo dare nuovo impulso all’attività agricola, non è forse logico e bello che vi sia una «giornata» in cui ci ricordiamo di questa concezione del nostro mondo, della nostra fatica, e della nostra vita, in cui cioè alziamo la fronte sudata dalla terra e la volgiamo al cielo? e non è forse questa la giornata per tale atto, così semplice, così grave, così umano, così cristiano? non potremo dunque chiamare questa giornata la «Giornata dell’invocazione»? la giornata della preghiera? la giornata di Dio e della fede? e se siamo capaci di fare questo, non possiede già la nostra vita una grande fortuna? Quella di sapere scoprire nelle cose della natura una Mano creatrice e dispositrice. Quella di saper vedere nella nostra vita un dramma a due: noi e Dio. Quella di saper trovare in ogni contingenza del nostro cammino terreno uno stimolo al bene, un invito alla virtù, una possibilità di diventare migliori, un’occasione di servire e di amare. Quella, e voi la conoscete, di saper trarre dalle prove di questa vita, lezioni di bontà e di sapienza.

Se così è, se cioè noi possediamo questa fortuna, non è forse questo il momento, proprio perché tanto penoso e pensoso, di ringraziare Iddio che ci ha dato la fortuna anche nella sventura di credere e di amare? non dovremo ringraziarlo che fra tante prove Egli ci risparmia quella della disperazione; che anzi sempre con la speranza ci consola e ci sorregge?

Chiameremo perciò ancora questa la «Giornata del ringraziamento» e faremo ancora di essa la felice conclusione del vostro annuale lavoro, l’inizio del vostro annuale lavoro: reso oggi più unito, più forte, più fiducioso; con la Nostra Benedizione Apostolica.






B. Paolo VI Omelie 27866