B. Paolo VI Omelie 15116

15 novembre 1966: XXXI CONGREGAZIONE GENERALE DELLA COMPAGNIA GI GESÙ

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Cappella Sisitina, 15 novembre 1966

Abbiamo voluto avervi concelebranti e partecipi al Sacrificio eucaristico, prima che voi, terminati i lavori della vostra Congregazione generale, riprendiate la via del ritorno, ciascuno alla propria sede, e da Roma, centro dell’unità cattolica, vi diffondiate per ogni verso sulla faccia della terra, per salutarvi, tutti ed ognuno, per confortarvi ed incoraggiarvi, per benedirvi nelle vostre singole persone, nella vostra intera Compagnia, e nelle opere molteplici, che a gloria di Dio promovete e servite nella santa Chiesa, e per rinnovare nei vostri animi, quasi in forma sensibile e solenne, il senso del mandato apostolico, che qualifica e fortifica la vostra missione, quasi dal vostro beato padre Ignazio, soldato quant’altri mai fedelissimo della Chiesa di Cristo, vi fosse conferita e rinnovata, anzi da Cristo stesso, di Cui indegnamente, ma veracemente, qui in terra, qui in questa Santa Sede, Noi facciamo le veci, a voi fosse confermata e misteriosamente accompagnata e magnificata.


RINNOVAMENTO DI ALTO MANDATO E SPLENDENTE MISSIONE

Perciò abbiamo scelto questo luogo, sacro e tremendo per la bellezza, per la potenza, ma specialmente per il significato delle sue immagini, e fra tutti venerabile luogo per la voce della Nostra umilissima, ma pontificale preghiera, che qui si esprime, in sé raccogliendo non solo la lode e il gemito del Nostro spirito, ma quelli sonanti ed immensi della Chiesa intera, dai confini della terra, anzi della intera umanità, che nel Nostro ministero ha chi la interpreta presso il sommo Iddio, e di Lui altissimo a lei trasmette l’oracolo. Questo luogo abbiamo scelto, dove, come sapete, i destini della Chiesa sono cercati e determinati, in certe ore storiche, che, dobbiamo credere, non pur dal volere di uomini sono dominate, ma dall’arcana ed amorosa assistenza dello Spirito Santo. Qui, oggi, il medesimo Spirito noi invocheremo a conclusione di questa piissima cerimonia: per la santa Chiesa, qui nel Nostro apostolico ufficio quasi riassunta e rappresentata, e per voi: per voi, membri, preposti e responsabili della vostra e Nostra Compagnia di Gesù.

E questa congiunta invocazione allo Spirito Santo vuole in certo modo sigillare il grande e trepido momento, che avete vissuto, sottoponendo tutta la vostra compagine e tutta la sua attività a severo esame, quasi concludendo, in occasione del testé celebrato Concilio Vaticano ecumenico secondo, quattro secoli della vostra storia, e quasi inaugurando con novella coscienza e con novelli propositi un nuovo periodo della vostra vita religiosa e militante.


QUATTRO SECOLI DI VITA RELIGIOSA E MILITANTE

Questo incontro perciò, Fratelli e Figli carissimi, assume un significato storico particolare, che a voi ed a Noi è dato determinare mediante la reciproca definizione del rapporto che intercede, che deve intercedere fra la Compagnia di Gesù e la santa Chiesa, di cui Noi abbiamo, per divino mandato, la guida pastorale e la riassuntiva rappresentanza.

Quale rapporto? A voi, a Noi la risposta alla domanda, che si gemina nel modo seguente:

1) Volete voi, figli di Ignazio, militi della Compagnia di Gesù, essere ancor oggi, e domani, e sempre, ciò che siete stati dalla vostra fondazione fino a questo giorno per la santa Chiesa cattolica e per questa apostolica Sede? Questa Nostra domanda non avrebbe ragion d’essere, se al Nostro orecchio non fossero giunte notizie e voci, riguardanti la vostra Compagnia - e del resto anche altre Famiglie Religiose - di cui non possiamo nascondere il Nostro stupore e, per alcune di esse, il Nostro dolore.

Quali strane e sinistre suggestioni fecero mai sorgere in alcuni angoli della vostra amplissima Società il dubbio se essa dovesse continuare ad esistere quale il Santo, che la ideò e la fondò, descrisse in norme sapientissime e fermissime, e quale una secolare tradizione, maturata da attentissima esperienza e collaudata da autorevolissime approvazioni, modellò a gloria di Dio, a difesa della Chiesa, a meraviglia del mondo? Forse invalse in alcune menti anche dei vostri il criterio dell’assoluta storicità delle cose umane, generate dal tempo e dal tempo inesorabilmente divorate, quasi non fosse nel cattolicesimo un carisma di verità permanente e di stabilità invincibile, di cui questa pietra della Sede apostolica è simbolo e fondamento? Forse parve all’ardore apostolico, di cui tutta la Compagnia è animata, che per dare maggiore efficacia alla vostra attività occorreva abdicare a tante venerabili consuetudini spirituali, ascetiche, disciplinari, non più aiuto, ma freno a più libera e più personale espressone del vostro zelo? E allora sembrò che l’austera e virile obbedienza, che ha sempre caratterizzato la vostra Compagnia, che sempre anzi ha reso evangelica, esemplare e formidabile la sua struttura, dovesse essere allentata, come nemica della personalità e ostacolo alla vivacità dell’azione, dimenticando quanto Cristo, la Chiesa, la vostra stessa scuola spirituale hanno magnificamente insegnato circa tale virtù. Così vi fu forse chi credette non essere più necessario imporre alla propria anima l’«esercizio spirituale», la pratica cioè assidua e intensa dell’orazione, l’umile, ardente disciplina della vita interiore, dell’esame di coscienza, dell’intimo colloquio con Cristo, quasi che l’azione esteriore bastasse a mantenere e illuminato e forte e puro lo spirito, e fosse valida di per sé all’unione con Dio; e quasi che questa ricchezza di arti spirituali solo al monaco si addicesse, e non fosse piuttosto per il soldato di Cristo l’armatura indispensabile. E forse ancora fu di alcuni l’illusione che per diffondere il Vangelo di Cristo fosse necessario far proprie le abitudini del mondo, la sua mentalità, la sua profanità, indulgendo alla valutazione naturalistica del costume moderno, anche in questo caso dimenticando che l’accostamento doveroso e apostolico dell’araldo di Cristo agli uomini, a cui si vuole recare il messaggio di Lui, non può essere una assimilazione tale che faccia perdere al sale il suo bruciante sapore, all’apostolo la sua originale virtù.


RIMANERE COERENTI E FEDELI ALLE FONDAMENTALI COSTITUZIONI

Nubi sul cielo, che le conclusioni della vostra Congregazione hanno in gran parte dissipato! Con quanto gaudio infatti Noi abbiamo appreso che voi, voi stessi, forti della rettitudine che sempre ha animato le vostre volontà, dopo ampio e sincero esame delle vostra storia, della vostra vocazione, della vostra esperienza, avete deliberato di rimanere coerenti e fedeli alle vostre fondamentali Costituzioni, non abbandonando la vostra tradizione che presso di voi godeva di una continua attualità e vitalità; e apportando alle vostre regole quelle particolari modifiche, alle quali la «renovatio vitae religiosae», proposta dal Concilio, non solo vi autorizza, ma vi invita; nessuna ferita voleste infliggere alla sacra legge che vi fa religiosi, anzi Gesuiti, ma piuttosto rimedio ad ogni usura del tempo trascorso e vigore ad ogni prova che il tempo avvenire le prepara, così che questo risultato primeggi fra i tanti maturati nelle vostre laboriose discussioni, che non solo una vera conservazione e un positivo incremento siano assicurati al corpo, ma altresì allo spirito della vostra Società. E a questo riguardo vi esortiamo caldamente che, anche in avvenire, conserviate nel programma della vostra vita il primato all’orazione, non deflettendo dai provvidi ordinamenti ricevuti: e donde mai, se non dalla grazia divina, a noi come acqua viva fluente per gli umili canali della preghiera e dell’interiore ricerca del divino colloquio, della sacra liturgia specialmente, donde mai troverà il religioso ispirazione ed energia per la sua propria soprannaturale santificazione; e donde mai l’apostolo trarrà la spinta, la guida, la forza, la sapienza, la perseveranza nel suo combattimento con il demonio, la carne ed il mondo; donde l’amore per amare a loro salvezza le anime, e costruire, accanto agli operai incaricati e responsabili del mistico edificio, la Chiesa? Godete, Figli carissimi; codesta è la via, antica e nuova, della economia cristiana; codesta è la forma che fa ad un tempo il vero religioso discepolo di Cristo, Apostolo nella sua Chiesa, maestro dei fratelli, fedeli o estranei che siano. Godete; la Nostra compiacenza, anzi la Nostra comunione vi conforta e vi segue.

E così Noi dobbiamo accogliere le vostre deliberazioni particolari: sulla formazione dei vostri Scolastici, sull’ossequio al magistero e all’autorità della Chiesa, sui criteri della perfezione religiosa, sulle norme orientatrici della vostra azione apostolica e della vostra cooperazione pastorale, sulla retta interpretazione e positiva applicazione dei decreti conciliari, eccetera, come altrettante risposte alla Nostra domanda: sì, sì; i Figli d’Ignazio, che del nome di Gesuiti si onorano, sono ancor oggi a se stessi e alla Chiesa fedeli! Essi sono pronti e forti! Nuove armi, lasciate quelle consuete e meno efficaci, sono nelle loro mani, con lo stesso spirito di obbedienza, di abnegazione, di spirituale conquista!


FIDUCIA GRATITUDINE AFFETTO DEL PAPA PER LA COMPAGNIA DI GESÙ

2) Ed ora l’altra domanda si presenta per determinare il rapporto della vostra Compagnia con la santa Chiesa ed in modo riassuntivo e speciale con questa apostolica Sede; e dalle vostre labbra, in certo modo, Noi desumiamo questa seconda domanda: Vuole la Chiesa, vuole il Successore di San Pietro, ancora guardare alla Compagnia di Gesù come a sua particolare e fedelissima milizia? come alla famiglia religiosa, che non tanto di questa o quella virtù evangelica ha fatto suo specifico scopo, quanto della difesa e della promozione della santa Chiesa medesima e della medesima Sede apostolica ha fatto scolta ed usbergo? Ancora le è confermata la benevolenza, la fiducia, la protezione, di cui sempre essa ha goduto? ritiene la Chiesa, per voce di Chi ora vi parla, d’aver ancora bisogno, ancora onore del militante servizio della Compagnia? è essa ancor oggi valida ed idonea per l’opera immensa - e cresciuta nell’estensione e nella qualità - dell’apostolato moderno?

Ecco, Figli carissimi, la Nostra risposta: Sì; a voi è conservata la Nostra fiducia! E perciò il Nostro mandato per l’opera apostolica a voi assegnata; la Nostra affezione, la Nostra riconoscenza, la Nostra benedizione.

Voi Ci avete, in questa solenne e storica occasione, confermata la vostra identità, rinnovata di nuovi propositi, con la istituzione, che nella congiuntura restauratrice del Concilio di Trento, si pose a servizio della santa Chiesa cattolica; ebbene, è facile per Noi, è gioioso ripetervi parole e gesti dei Nostri Predecessori, nella presente congiuntura, diversa, ma non meno restauratrice della vita della Chiesa, successiva al Concilio Ecumenico Vaticano secondo; e di potervi assicurare che finché la vostra Compagnia sarà intenta a cercare la propria eccellenza nella sana dottrina e nella santità della vita religiosa e si offrirà come strumento validissimo di difesa e di diffusione della fede cattolica, questa Sede apostolica, e con lei certamente l’intera Chiesa, l’avrà carissima!

Se voi continuate ad essere ciò che foste, non vi verrà meno la stima e la fiducia Nostra!

E avrete quelle del Popolo di Dio! Quale mai segreto principio portò la vostra Compagnia a tanta diffusione e a tanta prosperità, se non la peculiare vostra formazione spirituale e la vostra struttura canonica? Che se codesta formazione e codesta struttura rimangono pari a se stesse, in sempre nuova fioritura di virtù e di opere, non è fallace la speranza del vostro progressivo incremento e della vostra perenne efficienza nella evangelizzazione e nell’edificazione della moderna società. Non è forse la vostra peculiare esemplarità evangelica e religiosa, storica e organizzativa, la migliore vostra apologia, e la più persuasiva nota di credito al vostro apostolato?

E non è forse su codesta consistenza spirituale, morale, ecclesiale, che si fonda la Nostra confidenza nell’opera vostra, anzi nella vostra collaborazione?



DIFESA ENUNCIAZIONE TESTIMONIANZA INVITTA DELLA FEDE

Lasciate che, al termine di questo incontro, Noi vi diciamo che Noi molto speriamo da voi. La Chiesa ha bisogno del vostro aiuto; ed è lieta, è fiera di riceverlo da figli sinceri e devoti, quali voi siete. La Chiesa accetta l’offerta dell’opera vostra, anzi della vostra vita; e soldati di Cristo, quali voi siete, alle ardue e sante battaglie del suo nome oggi più che mai vi chiama e vi impegna.

Non vedete di quanta difesa ha bisogno oggi la fede? di quanta aperta adesione, di quanta precisa enunciazione, di quanta assidua predicazione, di quanta sapiente illustrazione, di quanta amorosa e generosa testimonianza? Noi confidiamo in voi, quali valorosi testimoni dell’unica, vera fede.

E non vedete quali felici accostamenti, quali delicate discussioni, quali pazienti spiegazioni, quali caritatevoli aperture pone davanti al servitore e all’apostolo di questa santa Chiesa cattolica l’ecumenismo odierno? Chi meglio di voi vi dedicherà studi e fatiche, affinché i Fratelli ancora da noi separati ci comprendano, ci ascoltino e con noi condividano la gloria, il gaudio, il servizio del mistero dell’unità in Cristo Signore?

E la infusione dei principii cristiani nel mondo moderno, quale la ormai celebre Costituzione pastorale «Gaudium et spes» ha delineata, non avrà forse da voi abili, prudenti, forti specialisti? E il culto che favorite verso il Sacro Cuore non sarà tuttora per voi strumento efficacissimo per contribuire a quel rinnovamento spirituale e morale di questo mondo che il Concilio Ecumenico Vaticano secondo ha richiesto, e per adempiere fruttuosamente la Missione che vi è stata affidata di contrastare l’ateismo?

Non vi dedicherete con nuovo ardore all’educazione della gioventù nelle scuole secondarie e nelle università - sia ecclesiastiche che civili - titolo questo che è sempre stato per voi di somma gloria e fonte di abbondanti meriti?

Tenete presente che tante anime giovanili vi sono affidate, che un giorno potranno rendere alla Chiesa e alla Società preziosi servizi, se avranno ricevuto una completa formazione.



NEL MONDO OSTILE PRODIGARSI AL BENE DELLA IMMENSA FAMIGLIA UMANA

E le missioni! le missioni, dove già tanti vostri Confratelli meravigliosamente lavorano, sudano e soffrono e fanno risplendere come Sole di salvezza il nome di Cristo, non vi sono forse affidate da questa Sede apostolica, come già un giorno a Francesco Saverio, nella sicurezza d’avere in voi i messaggeri della Fede, più sicuri, più audaci, più ripieni della carità, che la vostra vita interiore rende inesauribile, confortatrice e ineffabile?

E il mondo? questo mondo dalla duplice faccia, che il Vangelo ci scopre, quella della coalizione di tutte le opposizioni alla luce e alla grazia, e quella dell’immensa famiglia umana, per cui il Padre ha mandato il Figlio e per cui il Figlio ha immolato se stesso; questo mondo d’oggi, così potente e così debole, così ostile e così aperto, questo mondo non è per voi, come lo è per Noi, una vocazione implorante ed esaltante? e non è oggi qui, sotto lo sguardo di Cristo, il mondo nostro quasi fremente e pulsante a dire a voi tutti: venite, venite; vi aspetta la carenza, la fame di Cristo; venite che è l’ora!

Sì, è l’ora, Figli carissimi; andate, fidenti, ardenti; Cristo vi sceglie, la Chiesa vi manda, il Papa vi benedice.






Giovedì, 8 dicembre 1966: I ANNIVERSARIO DELLA CHIUSURA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

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Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria



Quanti pensieri affollano il Nostro spirito in questa festa dolcissima di Maria Immacolata, nel primo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, in questa Basilica, che ne ospitò la celebrazione sulla tomba dell’Apostolo Pietro, posto da Cristo a fondamento della sua Chiesa, presenti, oggi, le schiere delle Religiose di Roma, quasi per tradurre qua in immagine di spirituale bellezza e di biblica reminiscenza quel Popolo di Dio, che il Concilio descrisse e cantò, e che noi non vanamente aspiriamo ad essere, mentre il ricordo del mondo, in cui siamo, della storia, che stiamo vivendo, dinamica, formidabile, tremenda, non mai ci abbandona!


NEGLI SPLENDORI DI MARIA IMMACOLATA L’INNO ALLA «MATER ECCLESIAE»

Quanti pensieri! Ci basti metterli in fila, e presentarli semplicemente alla vostra considerazione, che saprà prolungarli in meditazione, oltre quest’ora benedetta, per l’avvenire, per la vita.

Diciamo dunque che oggi la nostra pietà onora il mistero della Immacolata Concezione di Maria: il mistero del privilegio, il mistero dell’unicità, il mistero della perfezione di Maria Santissima. Maria, la sola creatura umana, che per divino disegno (quanta sapienza, quanto amore esso contiene!), in virtù dei meriti di Cristo, unica sorgente della nostra salvezza, fu preservata da ogni imperfezione, da ogni contagio della colpa originale, da ogni deformazione del modello primigenio dell’umanità; la sola perciò in cui l’idea creatrice di Dio si rispecchia fedelmente ed in cui la definizione intatta ed autentica dell’uomo si realizza: immagine di Dio! Luce, intelligenza, dolcezza, profondità d’amore, bellezza, in una parola, sono sul volto candido e innocente della Madonna, che noi onoriamo: Tota pulchra es, Maria! Basterebbe questo pensiero per inebriare i nostri spiriti, che tanto più sono avidi di umana bellezza, quanto più falsa, più impudica, più deforme, più dolente, la sembianza umana ci è oggi presentata nella molteplice e quasi ossessionante visione dell’arte figurativa. Si fermi a questo pensiero chi vuole, per restaurare la scienza della bellezza e per scoprirne i suoi trascendenti rapporti, e per il gaudio interiore e per il costume esteriore ritrovi in Maria la più alta, la più vera, la più tipica figura dell’estetica spirituale umana.

Per noi ora è sufficiente ristorare a questa fontana purissima la nostra sete di umanità buona e bella ad un tempo, di umanità, in cui la grazia opera il suo prodigio rigeneratore, di umanità cristiana, in una parola. E siamo al Nostro secondo pensiero, quello che ci richiama all’anniversario del Concilio, che di questa economia della salvezza fu grande discorso, quasi un poema.


BRILLA IL CONCILIO FRA I GRANDI AVVENIMENTI DEL CRISTIANESIMO

Ad un anno di distanza noi cominciamo a meglio comprenderne l’enorme importanza; esso si iscrive fra i grandi avvenimenti del cristianesimo, anzi della vita religiosa dell’umanità, per la sua coerenza storica, per la sua felice celebrazione, per la sua ricchezza dottrinale, per la sua fecondità pratica, per la sua profondità spirituale, per la sua apertura universale. Non dobbiamo chiudere gli occhi su fatto di tale natura e di tale rilievo; non lo possiamo classificare fra le cose passate, quando per ogni verso ci segue, ci stimola, ci illumina, ci impegna. Perciò, mentre lo stupore per il suo carattere straordinario e la comprensione per il suo valore ecclesiale vanno crescendo nei nostri spiriti, un primo dovere avvertiamo da ciò derivare: quello di ringraziare il Signore che ci ha concesso di partecipare e di assistere a questo grande episodio dei suoi provvidenziali disegni nella storia della salvezza; e il rito, che stiamo celebrando, ancor più che semplicemente commemorativo, vuol essere espressivo della nostra riconoscenza al Signore, che ha guidato la sua Chiesa alla testé compiuta celebrazione conciliare.

Un secondo dovere succede a quello della riconoscenza, ed anche questo subito noi promettiamo di compiere; ed è la fedeltà al Concilio. Esso ci impegna. Dobbiamo comprenderlo; dobbiamo seguirlo. E, professando questo proposito di fedeltà a quanto il Concilio c’insegna e ci prescrive, sembra a Noi doversi evitare due possibili errori: primo quello di supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la «aggiorna».


RICCHEZZA DI INSEGNAMENTI E PROVVIDENZIALE FECONDITÀ RINNOVATRICE

E altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio, sarebbe quello di disconoscere l’immensa ricchezza di insegnamenti e la provvidenziale fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci viene. Volentieri dobbiamo attribuire ad esso virtù di principio, piuttosto che compito di conclusione; perché, se è vero ch’esso storicamente e materialmente si pone come epilogo complementare e logico del Concilio Ecumenico Vaticano Primo, in realtà esso rappresenta altresì un atto nuovo e originale di coscienza e di vita della Chiesa di Dio; atto che apre alla Chiesa stessa, per il suo interno sviluppo, per i rapporti con i Fratelli tuttora da noi disgiunti, per le relazioni con i seguaci d’altre religioni, col mondo moderno quel è, - magnifico e complesso, formidabile e tormentato -, nuovi e meravigliosi sentieri.

Ed è questa avvertenza della Chiesa viva che ci richiama in questa circostanza, ad un altro dovere verso il Concilio, quello della nostra interiore e personale riforma mediante la quale la professione della religione cristiana, a cui tutto il Concilio si riferisce, diventa per ogni singolo fedele una sincera ragione di vita, diventa un ritorno al Vangelo, diventa un incontro con Cristo, diventa un combattimento per la santità.

Ed eccoCi allora con voi, Religiose qui presenti, Nostre dilette figlie in Cristo. Voi Ci documentate, con la vostra vita ed oggi, qui, con la vostra assistenza, che vi sono anime nella Chiesa di Dio, le quali, al suo invito di fare della vita presente un perpetuo tirocinio alla santità, a cui appunto il Concilio esorta il Popolo di Dio, rispondono un sì totale, un sì assoluto, un sì definitivo; anime perciò che realizzano, tendenzialmente almeno, una pienezza di sapienza, di generosità, di carità, che illumina, che edifica, che conforta, che purifica, che santifica tutta la comunità ecclesiale.



SALUTO ALLE ANIME CONSACRATE AL SERVIZIO GENEROSO DEL SIGNORE

Beate voi, figlie in Cristo carissime, che tale posizione, tale missione avete assunto nella Chiesa. Voi, le seguaci umili ed ardite, che tutto avete osato per seguire, come le donne del Vangelo, i passi frettolosi e ardimentosi di Cristo; voi, le generose, che non solo le vostre cose, i vostri nomi e i vostri servizi gli avete offerto, ma i vostri cuori, le vostre vite; voi, le vergini consacrate, che S. Ambrogio chiama «piae hostias castitatis», vittime della pia castità (Exhortatio virginitatis, 94), e dell’amore avete fatto pieno a Cristo olocausto; voi, le piissime, le oranti, le silenziose, le contemplative, non mai tarde a pregare e ad intessere con Gesù l’interiore colloquio; voi, le ancelle sollecite, voi, le api «argumentosae», instancabili ad ogni cura, ad ogni assistenza, ad ogni umana e cristiana pietà, ad ogni fatica scolastica e ospedaliera; voi, le discepole e le apostole, docili, sagge e forti, che vediamo presenti e operanti dove Cristo è predicato, nelle attività benefiche ed apostoliche, nelle parrocchie, nelle missioni; voi, perciò quasi le ultime, e voi perciò quasi le prime nella comunità ecclesiale, siate salutate, siate benedette. Cantando oggi alla Madonna, la benedetta fra voi tutte, le acclamazioni bibliche: «Tu gloria Ierusalem, tu laetitia Israel, tu honorificentia populi nostri»; sembra a Noi di veder scendere su di voi stesse queste lodi, come se il manto di Maria tutte vi coprisse della sua bontà, della sua bellezza, della sua dignità, della sua santità. Siate tutte salutate, siate benedette!

Né la candida visione di questo giardino di anime fedeli distoglie dal Nostro spirito un altro pensiero, il pensiero del mondo, che ci circonda e di cui tutti facciamo parte. Due circostanze specialmente ravvivano in Noi questo pensiero: il Natale che viene, e la guerra, che in un angolo remoto del mondo, ma per tutto il mondo dolorosa e minacciosa, la guerra che continua. Come sono incompatibili questi due termini, questi due fatti: il Natale e la guerra!


LA PACE VERA PORTATA DA CRISTO È OPERA DELLA GIUSTIZIA

Noi non possiamo dimenticare, in questo momento ed in questo luogo, che i Padri del Concilio, sul punto di lasciare Roma, dopo anni di preghiera e di studio, hanno desiderato di rivolgere un rispettoso saluto ed una parola anche a «coloro che sono i depositari del potere temporale» per invitarli ad essere promotori dell’ordine e della pace, chiedendo loro, in pari tempo, per la Chiesa, la libertà di diffondere «ovunque e senza ostacoli» la, «buona novella di Cristo». Questo Messaggio evangelico, «in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questa nostra epoca di rinnovato fulgore, poiché esso proclama beati i promotori della pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Gaudium et Spes,
GS 77 Pass.). Ma la pace, la pace vera che Cristo ha portato al mondo - «Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis» (Jn 14,27) - è opera della giustizia. Essa è ancora - proclama il Concilio Vaticano II rifacendosi alla definizione di S. Agostino - frutto di quell’ordine che è stato impresso nell’umana società dal suo stesso Creatore, e che potrà essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta, fondata nella decisa volontà di rispettare la libertà e la dignità dei popoli e degli individui (Gaudium et Spes, GS 78). Quanto a Noi, chiamati da Cristo a governare la sua Chiesa, fin dall’inizio del Nostro apostolico ministero, nulla abbiamo trascurato per sostenere e promuovere, nella misura delle Nostre possibilità, la causa della pace, e per invitare insistentemente a comporre dissidi e divergenze tra le nazioni mediante sincere e leali trattative, senza che alcun indebito egoismo nazionale ed alcuna ambizione di supremazia abbia a prevalere, mentre profondo rispetto è dovuto a tutta la umanità, avviata ormai così laboriosamente verso una maggiore unità.

Era perciò Nostra intenzione profittare di questa ricorrenza per rinnovare il Nostro invito ad entrambe le parti contendenti a deporre le armi, almeno durante le feste natalizie, restituendo ad esse il senso morale e religioso che esse hanno e devono avere ormai universalmente nella coscienza dell’umanità.

Ma siamo stati prevenuti, felicemente prevenuti, come voi tutti sapete. La tregua d’armi nel Vietnam, da una parte e dall’altra, è già stata annunciata! La Nostra voce, tante volte piangente e implorante, si fa esultante e riconoscente. Noi vogliamo gridare il Nostro plauso, il Nostro ringraziamento. Sentiamo d’interpretare il sentimento del mondo. Mandiamo ai Capi responsabili, che hanno il merito di questo atto pio e cavalleresco, l’espressione dell’universale compiacenza.



LA PROSSIMA TREGUA NEL VIETNAM SI TRASFORMI IN ARMISTIZIO E QUINDI IN LEALI TRATTATIVE

Tuttavia questa temporanea sospensione non soddisfa del tutto l’attesa dell’umanità, perché essa è breve, perché è passeggera, perché lascia intravedere, con maggiore rammarico, la ripresa delle ostilità. Ci sia pertanto concesso di augurare che la tregua si trasformi in armistizio, che l’armistizio offra l’opportunità a leali trattative e che queste conducono alla pace. Più che augurare: chiedere, supplicare. Se, come è annunciato, dopo la tregua natalizia un’altra poco dopo sarà parimente concessa, perché non saldare da entrambe le parti in conflitto l’una tregua con l’altra, in un solo spazio continuato di tempo, in modo che possano essere esplorate nuove vie per un’intesa onorifica e risolutiva del conflitto?

Noi sappiamo che a questa ipotesi non manca il suffragio di uomini autorevoli; perché non dovrebbe essa raccogliere l’adesione di tutti? Quanto ciò sarebbe meritorio e glorioso per tutti, altrettanto sarebbe grave di responsabilità e di pericoli perdere la buona occasione per superare questo doloroso episodio della storia contemporanea.

Non permetta il Signore che cada nel vuoto il Nostro invito, a cui fanno eco l’ansia, le aspirazioni ed i voti dei fratelli cristiani, da Noi separati, i quali, come tutti i fedeli cattolici, auspicano per il diletto popolo vietnamita il ritorno alla tranquillità ed all’ordine.

Per questo, dilette figlie, vi invitiamo ad elevare con Noi nuove suppliche, perché il Signore datore di ogni bene ispiri nelle menti dei governanti saggi pensieri e propositi di pace, e dia loro la forza di seguire con coraggio la via che porterà al raggiungimento della pace.

E perché la nostra preghiera sia più efficace, affidiamola alla Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, e Regina della pace. Ella, che è «segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio fino a quando verrà il giorno del Signore» (Lumen Gentium, VIII, LG 68), interceda presso il Trono del Figlio suo e ci ottenga che tutti i popoli della terra, nella giustizia, nella libertà e nella pace, formino una sola famiglia, quale è nei disegni del Padre di tutte le genti.






Firenze, 24 dicembre 1966: SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEL FIORE

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NELLA GRANDE PROVA LA NUOVA CERTEZZA DI FEDE

Fratelli e Figli tutti carissimi!

Questa nostra presenza fra voi, dopo più d’un secolo che un Papa non mette piede a Firenze, nelle circostanze singolarissime che hanno dato motivo alla Nostra venuta, con l’assistenza così numerosa di persone d’ogni grado, che vediamo d’intorno a Noi, esigerebbe da parte Nostra una quantità di saluti e di commenti, che la brevità del tempo disponibile per questo breve sermone non Ci consente di fare. Ci dobbiamo limitare a ringraziare il Pastore della arcidiocesi Fiorentina, il Signor Cardinale Arcivescovo Ermenegildo Florit, delle buone e belle parole, ch’egli testé Ci ha rivolte, e Ci dobbiamo accontentare di ricambiare l’omaggio, ch’egli anche a nome vostro Ci esprimeva, con la conferma della Nostra devota e cordiale venerazione e con l’assicurazione, che nella sua degna persona Noi vogliamo dare a tutti voi, a tutta la vetusta, la gloriosa, la santa Chiesa di Firenze, della perfetta e fraterna comunione della Chiesa di Roma, nella medesima fede, nella medesima carità. Firenze e Roma: basta il binomio, che in questa notte qui rivive, per sollevare nello spirito un flusso di memorie, di sentimenti, di voti, che dobbiamo ora contenere nell’espressione, ma non nella sensibilità, nella commozione, che racchiudiamo nel cuore e che tradurremo nel trascendente colloquio con Dio e con Cristo nella Messa, ora iniziata. Roma e Firenze, città che la storia, l’arte, la fede, la rispettiva missione spirituale e civile, presentano nella parentela di madre e di figlia, anzi di sorelle, si abbracciano di nuovo, in questa santa notte, insieme pregando, insieme piangendo, insieme sperando.

Per questo, Fratelli e Figli carissimi, siamo venuti.

Sì, diamo a questa celebrazione religiosa, innanzi tutto, il suo pieno significato religioso. Celebriamo la beata memoria dell’umile e meravigliosa nascita di Cristo nel mondo, nella storia, fra noi, uomini dispersi e cercanti. Anzi una sua rinnovata presenza noi celebriamo. Ed è così vero, così suggestivo questo avvenimento, che non è fantasia pensare a noi stessi come a viandanti nello sconfinato panorama della vita, i quali si mettono al passo sopra uno stesso sentiero, e l’uno all’altro si rivelano pellegrini verso una stessa meta. Eccoci insieme. Dove andiamo? Andiamo a Cristo. Chi è Cristo? Dov’è Cristo? Il Salvatore? Il Maestro? Il Verbo di Dio vivente nella povera e pura carne di Gesù, resosi nostro Fratello, nostra guida, nostro Collega, nostro amico, anzi nostro capo, nostra Vita? Se questo è vero, come è vero, ecco, è stupendo, è sbalorditivo. Sì, è vero. Voi lo sapete, e Noi, successori d’una testimonianza apostolica, che di secolo in secolo testualmente si ripete e si rinnova per ogni età, siamo qua venuti per darvene nuova e piena certezza. Sì, è vero. È nato il Messia, il centro dell’umanità, Colui che conosce ciò che è nell’uomo (cfr.
Jn 2,25), Colui al quale, scienti o no, tutti gli uomini sono rivolti; Colui dal quale, scienti o no, tutti gli uomini aspettano la soluzione suprema. Sì, è vero. Diciamo noi pure: Arriviamo fino a Betlem, «transeamus usque ad Betlem» (Lc 2,15); e vediamo un po’ come stanno le cose, «et videamus hoc Verbum quod factum est» (ibid.). E questa curiosità, questa avidità di sapere, di toccare la realtà del fatto prodigioso della venuta di Cristo, l’Emmanuele, nel mondo; di credere, in una parola, al mistero della Incarnazione, non sia da alcuno soffocata in fondo allo spirito, ma tutto lo invada, lo stimoli, lo tormenti, lo sollevi, lo abiliti a credere e a pregare, lo porti a personale contatto con Lui, con Cristo: questo è il Natale.


SIGILLO DI DILEZIONE PATERNA NEGLI ANNALI DELLA CITTÀ

E nessuno sia stupito o scandalizzato se l’apparizione delude ogni fantasia trionfalistica (come oggi si dice), ma si presenti invece nelle vesti dell’umiltà, della povertà, dello squallore terreno; una rivelazione di suprema bontà (come or ora ha ricordato il Cardinale Arcivescovo), un’offerta di fratellanza a pari livello con ogni uomo, intenzionalmente compreso l’uomo minore, l’uomo minimo, e una tacita, ma potente lezione rieducativa sui veri valori della vita, non poteva avvenire che così: l’humilis Deus del Presepio è proprio quello che ci può convincere, e che può finalmente cavare dal nostro arido cuore la nuova scintilla, l’amore.

E questo, Fratelli e Figli carissimi, spiega il perché la Nostra celebrazione del Natale quest’anno ha scelto questa sede. Da quando la Chiesa di Dio Ci ha chiamati alla dignità e alla responsabilità della funzione pastorale abbiamo voluto celebrare, prima che nella esaltante solennità pontificale, nell’immediata vicinanza di qualche comunità bisognosa e sofferente. Firenze Ci è allora apparsa, quest’anno, come la più invitante stazione del Nostro notturno Natale. Siamo qua venuti, sospinti dalla carità del Natale, perché la vostra prova Ci ha chiamati, Ci ha quasi obbligati a venire. Siamo qua venuti, nel giorno della tenerezza e della fortezza dell’amore, per piangere con voi, dicevamo. Sì, Fiorentini, ai cento titoli, che voi potete avanzare per la Nostra affezione, per la Nostra stima, per l’umana e cristiana comunione, un altro titolo si è aggiunto, che ora, più d’ogni altro, Ci ha messi in cammino: il vostro dolore, così grande, così singolare, così fiero e così degno.

Viaggiando verso questa Città, ch’è fra le più celebri e le più attraenti del mondo, andavamo pensando che altri Nostri Predecessori, in tempi lontani, con maggiore decoro e con identica stima e minore fretta, vennero a Firenze, ammirando le sue bellezze, godendo la sua ospitalità, trattando i suoi affari; ma non ricordiamo che altri Papi, prima di Noi, siano venuti a Firenze solo e proprio per Firenze, come Noi questa notte siamo qua arrivati, e non già per Nostro godimento o per Nostro interesse, ma per vostro conforto, e per quello, se a loro può giungere, degli altri fratelli, Italiani ed Esteri afflitti da sventura simile alla vostra; così che questa semplice e furtiva visita Nostra ambisce ad avere negli animi vostri, o Fiorentini, e di quanti altri vi sono colleghi nella presente sventura, un unico apprezzamento, quello dell’amore, dell’amore del Papa. Nel segno dell’amore si sigilla nei vostri annali questa Nostra venuta.

E se tale è davvero il vostro apprezzamento, tanto a Noi basta, mentre, purtroppo, sappiamo bene, esso non basta a porre rimedio adeguato ai vostri lutti e alle vostre rovine. Vorremmo poter fare ben altro per vostra consolazione e per vostro soccorso!

Ci conforta il sapere che da mille parti è affluito spontaneo l’aiuto: questo suffragio di bontà è cosa stupenda! Stupendo in chi lo ha dato, stupendo anche in chi lo riceve: non offende la vostra fierezza, o Fiorentini, sì bene l’accresce per la prova di stima e di fraternità, che dappertutto vi, è tributata.



STIMA E FRATERNITÀ CRISTIANA DA TUTTO IL MONDO

L’interessamento dei fanciulli e dei giovani, ad esempio, vi deve piacere e commuovere; come quello dell’UNESCO e della Croce Rossa e di altri enti di cultura e di beneficenza, nazionali ed esteri, altamente vi onora! Così deve veramente sostenere il vostro coraggio l’attestato di solidarietà nazionale, che le pubbliche Autorità, con tanta prontezza e con tanta larghezza, vi hanno dato, prodigando aiuti generosi ed efficaci, ed altri preparando e promettendo. Siamo Noi stessi compiaciuti e riconoscenti di tanta comprensione umana e civile, ed anche cristiana, perché, a bene osservare, dalla scuola di Cristo essa non poco deriva.

Dicendo «bravi» agli altri, non vogliamo Noi stessi sottrarci al grato dovere della carità, tanto più che molti Nostri Fratelli e Figli, Vescovi e Fedeli, hanno messo nelle Nostre mani offerte preziose, che già hanno avuto la loro provvida destinazione, non esclusa Firenze; saremo felici se Ci sarà dato di lasciare, in un’opera di assistenza ai più bisognosi della popolazione fiorentina, il segno, per quanto simbolico e modesto, dell’amore che rimane, e della speranza che rivive.


«LA VOSTRA VOCAZIONE È NELLO SPIRITO ... LA VOSTRA MISSIONE È NEL DIFFONDERLO»

Ed eccoci alla terza intenzione di questo Nostro viaggio natalizio: siamo venuti per condividere la speranza, che vi ha tutti sostenuti nella sventura, per esserne Noi stessi confortati. Conosciamo le vostre virtù umane e civili, la vostra tempra fiorentina, vibrante d’intelligenza, di coraggio, di laboriosità, di senso acuto ed operante della realtà; sono virtù, codeste, che, messe alla prova, insorgono, si affermano e si accrescono; non cedono. Così avviene in codesta drammatica contingenza, che, invece di fiaccare, corrobora le vostre energie e le moltiplica.

Ma c’è ben altro nelle riserve della coscienza fiorentina: le riserve geniali e spirituali che vi ha depositato la vostra incomparabile tradizione; e se ora Ci asteniamo dal farvi alcun preciso accenno (e sarebbe pur bello e facile il farlo), ciò si deve all’ovvio proposito di non ripetere a voi ciò che già benissimo voi conoscete; il Nostro accenno a codesta ricchezza mira soltanto a ricordarvi ch’essa non dev’essere, come del resto non è, puro oggetto di contemplazione e di orgoglio, ma sorgente di ispirazione e d’impegno; non dev’essere soltanto storia passata e finita, ma stimolo ad una ricerca sincera e originale dei valori immortali e universali, ch’essa racchiude ed illustra; e studio dev’essere, e sforzo per rivivere e per emulare la grandezza spirituale d’un tempo, per bandire da voi, se bisogno vi fosse, ogni imbelle pigrizia, ogni decadente criticismo, ogni opaco materialismo; e per rinascere. Rinascere popolo vivo ed unito; popolo laborioso e credente, popolo tipico e moderno.

Rinascere, Figli carissimi, è una grande parola, spesso fraintesa dai satelliti della moda, o dai sovversivi delle strutture. È una parola che sa d’utopia per chi non conosce il Natale. Rinascere vuol dire rifare se stessi, i propri pensieri, i propri propositi; è ciò che il Concilio, ancor prima di altre riforme, ci ha predicato, con San Paolo: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità» (Ep 4,23). Vuol dire per voi, Fiorentini, ritrovare le energie interiori dello spirito, che la vostra tradizione cristiana ha inserito nell’essere vostro; e riacquistare coscienza della vostra vocazione a irradiare appunto lo spirito, e a diffondere nel mondo, cominciando da quello che viene qua pellegrinando alla vostra scuola, di arte e di storia e di lingua e di civiltà, quei valori immortali e universali, di cui dicevamo, e di cui la fede cattolica dei vostri Santi e dei vostri Grandi possiede la sempre feconda radice. E le supreme aspirazioni del nostro tempo, la giustizia, quella sociale specialmente, e la pace, quella internazionale specialmente, avranno da voi nuovo suffragio e originale servizio. La vostra vocazione, Fiorentini, è nello spirito, la vostra missione è nel diffonderlo.

Ed è per riaccendere in voi codesta coscienza, codesta fiducia, in un’ora che può essere decisiva per il vostro orientamento morale, che Noi siamo venuti a celebrare il Natale con voi; il Natale non solo di Cristo, ma vostro, il Natale della speranza cristiana.




B. Paolo VI Omelie 15116