B. Paolo VI Omelie 19367

Festa di San Giuseppe, 19 marzo 1967: SOLENNE RITO DELLA «DOMINICA IN PALMIS»

19367

Fratelli e Figli carissimi! e voi Giovani amici, che avete accettato il Nostro invito a partecipare a questo rito, straordinariamente significativo!

Sapete che cosa stiamo facendo?

Noi vogliamo rinnovare la memoria, e, sotto certi aspetti, la scena, anzi, più che la scena, l’avvenimento popolare e modesto, ma clamoroso ed estremamente importante e decisivo, dell’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme, la città santa, affollatissima in quei giorni per l’affluenza di popolo da ogni parte della Palestina, a causa dell’annuale celebrazione della Pasqua giudaica. Questa era la festa storica degli Ebrei: ricordava il passato: la liberazione del popolo eletto dalla schiavitù egiziana; rinnovava la coscienza del suo destino teocratico, e confermava la speranza profetica di futuri rivolgimenti gloriosi, quelli inerenti alla promessa divina che quel popolo custodiva con l’antica fede di Abramo.


L’AVVENTO E LA VITTORIA DEL MESSIA

Una tensione spirituale nasceva sempre da quella celebrazione; ma quell’anno questa tensione pasquale parve raggiungere un grado altissimo d’intensità: la predicazione di Gesù, succeduta a quella di Giovanni il Precursore, aveva messo gli animi in fermento; le polemiche sempre più aspre fra Gesù e i Giudei, e sempre più rivolte a dare una risposta decisiva sulla Persona di Gesù e sulla sua missione, il miracolo strepitoso della risurrezione di Lazzaro, compiuto in quei giorni a poca distanza da Gerusalemme, tutto concorreva a produrre una singolare eccitazione, sia nel gruppo che si raccoglieva d’intorno a Gesù, sia fra la gente, che aveva saputo della sua vicinanza alla santa città. Fu allora che il grande fatto si verificò: Gesù, che s’era mostrato fino allora riluttante a permettere d’intorno a sé manifestazioni solenni di popolo, fu Lui stesso che quel giorno (la domenica antecedente la tragedia del Calvario) la volle e la predispose; voi ricordate come si svolse l’umile e gloriosa cavalcata di Gesù da Bethania, da Bethphage a Gerusalemme. L’apparizione di Gesù sul crinale del monte degli ulivi, sopra l’asinello, fu come una scintilla che provocò un incendio d’entusiasmo, di gioia, di acclamazioni, di evviva, di osanna; e subito l’improvvisato trionfo popolare acquistò un significato sacro, religioso, straordinario; il significato dell’avvento del Messia: quello era il Messia, atteso da secoli; quello era il Messia, era il Cristo, l’inviato e il consacrato da Dio, Colui nel quale si riassumeva tutta la storia passata del popolo ebraico protesa nell’aspettazione del Cristo, Colui nel quale si scioglievano le attese e si adempivano le promesse, Colui che inaugurava finalmente il nuovo regno di Davide, anzi il meraviglioso regno di Dio. Gesù, in quell’ora decisiva, fu riconosciuto, fu proclamato, Lui assenziente, il Cristo.

Cristo: comprendiamo noi lo sconfinato valore di questo titolo? Tanto spesso lo usiamo, e forse non misuriamo l’importanza ch’esso riveste, per il suo straripante significato: Cristo vuoi dire il Re consacrato, pieno di Spirito Santo, luogotenente di Dio nel mondo; un significato universale e centrale per tutta l’umanità, un significato che non è limitato ai confini della storia ebraica, ma che trabocca e si estende al mondo, a tutti i tempi e a tutti gli uomini; arriva a noi. Noi oggi siamo invitati a riconoscere in Cristo il centro dei nostri destini, il nostro Maestro, il nostro Salvatore, il Dio fatto uomo, Colui che è principio e termine della nostra storia temporale e spirituale, Colui che è Presente, e che per nostra fortuna e per nostra gioia possiamo riconoscere, quale Egli si disse: la via, la verità, la vita.


CRISTO CENTRO DEI NOSTRI DESTINI

Più che approfondire, in questo breve momento, l’immenso significato della esaltante parola «Cristo», Noi vogliamo soffermarci sul fatto che oggi, come allora, noi siamo invitati a riconoscere in Gesù di Nazareth, il Cristo; siamo invitati ad una professione di fede, che si irradia in due direzioni: verso di Lui Gesù, a cui tributiamo, sull’esempio di Pietro, l’esultante omaggio della nostra scoperta, della nostra adesione, della nostra letizia: «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente!»; e verso di noi, della nostra vita, che a buon diritto potrà e dovrà sinceramente dirsi cristiana. È una grande scelta quella che facciamo: vogliamo, ancor oggi, dire a noi stessi, dire alla società che ci circonda, dire al mondo vicino e lontano, che noi crediamo in Gesù Cristo, e che lo vogliamo seguire, e che seguendo Lui non camminiamo alla cieca, nelle tenebre, ma nella luce della sua parola, dei suoi esempi, della sua grazia (cfr.
Jn 8,12).

Questo dev’essere per noi il sentimento e il proponimento di questa giornata: si rinnova in essa per noi la proclamazione messianica di Gesù.

Tre circostanze Noi noteremo a ciò relative; e le noteremo specialmente per voi, giovani che Ci ascoltate.


GESÙ LA VERA GIOIA DELLA NOSTRA VITA

La prima circostanza è data dalla gioia, che, allora ed ora, accompagna la proclamazione di Gesù come Cristo, come rivelatore e realizzatore della nostra umana e sovrumana fortuna. Ricordatelo, giovani: Cristo è la gioia del mondo; è la nostra gioia. Vedrete tra pochi giorni Cristo in Croce, vedrete la vita cristiana contrassegnata dalla austerità e dalla penitenza? vedrete il dolore umano, proprio e altrui, entrare nell’essenza della fedeltà e della umanità cristiana. Non saremo noi a nascondere questa drammatica realtà della nostra fede e della nostra sequela a Gesù. Ma ricordate egualmente che Gesù è la gioia, la vera gioia della nostra vita. Non ve ne spieghiamo ora le ragioni, ma ve ne annunciamo la realtà. Ricordate che la vita cristiana non è triste, non è infelice. È contenta, è lieta, è serena. Essa è la sola che sappia veramente godere dei beni onesti e delle ore buone di questa vita, e che sappia, in ogni condizione dell’umana esistenza, trovare motivi e forme di segreta e inesauribile felicità. Se sarete fedeli nel seguire Gesù, ne farete la prova. Noi ve l’auguriamo, sì, nel gaudio pasquale.


IL RE DELLA PACE

Seconda circostanza. Gesù è stato proclamato Messia, ma non come l’attendeva la fantasia politica ed il «trionfalismo» di grande parte del popolo di quel tempo; Re, sì, ma senz’armi, senza ricchezze, senza potenza economica e temporale; Re, ma il cui Regno non è di questo mondo, non in concorrenza, o in antagonismo con le Potestà civili, Re dei cuori umani, Re nell’ordine della Redenzione, Re mansueto, Re della pace. Anche questo aspetto del regno instaurato da Gesù Cristo esigerebbe spiegazioni e commenti senza fine. Ma tutto dice il simbolo, che avete in mano, la palma, l’olivo. Contentiamoci ora di questo linguaggio simbolico: Gesù è la nostra pace (Ep 2,14). Se la pace è l’ordine, stabilito nella giustizia e nella sapienza, se la pace è il risultato comunitario, non della sopraffazione, della vendetta, del terrore, della violenza, ma di sentimenti collettivi cospiranti ad un bene comune; se la pace è il frutto della libertà, del perdono, della fratellanza, dell’amore; se la pace è lo sforzo generoso e continuo per generare un bene ragionevole e forte, a tutti accessibile; se la pace fra gli uomini è il riflesso della pace delle coscienze con Dio, anche questo, giovani, ricordate: solo da Cristo, dai suoi insegnamenti e da quel flusso misterioso di vera energia spirituale, che emana da Lui e che chiamiamo la grazia, potremo avere la pace; una pace, che sia vera ed in continua fase .di comporsi e di ricomporsi, e capace di alimentare, di sorreggere e di sublimare gli sforzi, che gli uomini vanno facendo per darsi pace, una loro pace, spesso effimera e fragile, quando non sia ipocrita ed oppressiva. Una pace vera, diciamo, che educhi gli uomini a rispettarsi gli uni gli altri; a collaborare fraternamente, a non fondare le loro speranze sull’egemonia e sulla gara degli armamenti; una pace, che creda all’amore e che faccia scaturire dai cuori chiusi e ribelli degli uomini insospettate sorgenti di bontà. Cristo, ricordate, è la nostra pace, e Lui può compiere questo prodigio. Agitate i vostri rami di palme e di olivi, e ditelo al mondo.


AI GIOVANI IL PROCLAMARE LA PRESENZA E LA MISSIONE DI CRISTO AI NOSTRI GIORNI!

Ditelo al mondo! E chi meglio d’altri lo può dire, se non voi, giovani? È questa la terza circostanza, a cui, terminando, accenniamo. È detto nella liturgia e lasciato capire dalla narrazione evangelica (Mt 21,15) che fra la turba acclamante il riconosciuto Messia i più fervorosi furono i giovani, furono i ragazzi. È questo un particolare molto bello e naturale; nessuno li eguaglia i giovani, i ragazzi nell’entusiasmo e nella vivacità; nessuno li frena e li fa tacere quando sono insieme e sono presi da una fantasia che li possiede e li esalta. Ma in questo caso l’episodio della gioventù osannante a Cristo assurge ad un particolare significato, che rivela una capacità, una vocazione propria degli adolescenti, quella di farsi i promotori coraggiosi e rumorosi d’un ideale, ch’è balenato come grande e vivo davanti ai loro spiriti; la storia contemporanea ce ne offre esempi impressionanti e non sempre edificanti. Ma se questo ideale fosse Cristo? Cristo con la sua parola di verità, di amore e di pace? Non potrebbe ripetersi la scena evangelica del trionfo messianico di Cristo per opera d’una gioventù intelligente ed ardita, che ha compreso Chi Egli sia?

Giovani amici! Sì, quella scena può ripetersi; può diventare storia del nostro tempo! Tocca alla gioventù, a voi, proclamare la presenza e la missione di Cristo ai nostri giorni! Tocca a voi, al vostro istintivo fascino per la libertà e per il coraggio francare questo incerto e stanco periodo storico dallo scetticismo delle generazioni passate, e assumere la posizione di figli della luce e di testimoni della verità cristiana; tocca a voi osare la ricostruzione del mondo moderno sulle basi della fede; tocca a voi dimostrare, se non lo sapete fare con difficili discorsi, con l’argomento meraviglioso e più eloquente della vostra vita cosciente e diritta; che alle seducenti ed equivoche espressioni del decadentismo intellettuale e morale di tanti ambienti moderni si può opporre e sostituire uno stile giovanile, pieno di forza, di bellezza, di gioia e, se occorre, d’eroismo e di sacrificio; uno stile cristiano.

E tocca finalmente a voi, carissimi giovani, annunciare la pace di Cristo nel mondo: senza la gioventù e senza Cristo non si può stabilire una pace efficiente nella società civile e nei rapporti internazionali. Nessun esercito agguerrito e nessuna abile diplomazia può fondare una pace sincera e duratura senza l’apporto della gioventù e senza i principii cristiani. Il che vuol dire che voi potete essere i più convinti e più dinamici araldi della pace. Per questo vi abbiamo invitati a questa celebrazione; ed affinché siate degni e siate fieri d’essere i portatori dell’olivo di Cristo, tutti di cuore vi benediciamo.



Giovedì Santo, 23 marzo 1967: «MISSA IN COENA DOMINI» NELL’ARCIBASILICA LATERANENSE

23367

OGGI CELEBRIAMO CON PIÙ VIVO FERVORE IL «MYSTERIUM FIDEI»

Venerati Fratelli e Figli carissimi!

Se vi è momento della nostra vita spirituale, della nostra professione cristiana, della nostra appartenenza alla Chiesa, nel quale dev’essere impegnata la nostra attenzione, la nostra coscienza, il nostro fervore, questo è. Momento estremamente bello e significativo, ma altrettanto intenso e difficile, contrario alla nostra abituale distrazione. È un momento di attrazione verso una Realtà presente e misteriosa, che impegna le nostre facoltà spirituali ad una singolare concentrazione. Entriamo nel mistero. Occorre essere iniziati. Diciamo semplicemente: occorre essere credenti. Noi avviciniamo, anzi celebriamo il «mysterium fidei». Abbiamo bisogno di quel supplemento conoscitivo, di quella virtù intellettiva, sorretta dal buon volere e illuminata dallo Spirito Santo, che si chiama la fede, per entrare nel segreto della Realtà, che oggi ci è preparata e per averne qualche vitale godimento. Perché oggi, e non sempre, quando celebriamo i divini misteri? Sempre, rispondiamo senz’altro; ma oggi con maggiore intensità, perché il divino sacrificio della Messa, che in altri giorni celebriamo, da questo deriva e a questo si riferisce. Qui è il mistero pasquale, quale e come a noi è dato ricordarlo, e riviverlo; e tutte le volte che ne rinnoviamo l’oblazione liturgica questo stesso mistero pasquale noi celebriamo.


CRISTO GESÙ MEDIATORE NEI RAPPORTI FRA DIO E L'UOMO

Ed entrati così nel cenacolo delle supreme divine comunicazioni, noi dovremmo rimanere silenziosi ed estatici, come chi troppo vede e solo qualche cosa comprende; e trepidando dovremmo avvertire almeno questo: che alla cena del Signore, come a nodo centrale, convergono a fascio i fili dell’antica storia della Salvezza, perché la Pasqua ebraica vi depone i suoi simboli profetici, che qui sciolgono i loro segreti e si trasfondono nella nuova forma, simbolica e profetica anch’essa, ma sostanziata di ben altra Realtà, mediante la quale forma si ha il memoriale perenne della nostra redenzione compiutasi col Sacrificio della Croce e la gloriosa Resurrezione, e ci è dato parteciparne la virtù e averne la promessa; così che dalla medesima cena del Signore un altro fascio di nuovi fili si parte, che invadono il mondo e la storia, e per ogni vivente si ramificano e arrivano, se vogliamo, a ciascuno di noi. Il linguaggio biblico è più chiaro d’ogni nostro discorso: l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento lì si toccano, e l’uno all’altro cede le intenzioni divine, anzi gli interventi divini nel sublime e formidabile disegno dei rapporti fra Dio e l’uomo, mediatore, qui pienamente, Cristo Gesù. Oceani di verità, e perciò di dottrina si aprono davanti a noi: l’Eucaristia, voi lo sapete, Fratelli e Figli qui presenti, è sintesi della nostra fede; e pertanto, dopo aver fatto uno sforzo di religiosa coscienza per astrarre i nostri spiriti da ogni circostante e differente interesse per fissare mente e cuore nel punto focale, a cui questa specialissima celebrazione è rivolta, ci sentiamo spinti a rivedere, sotto la nuova luce di questo stesso punto focale, ogni cosa: il mondo, la storia, la vita, noi stessi. Troppo, troppo, vorremmo esclamare, e con la voce dei Santi più comprensivi vorremmo anche noi balbettare: satis, Domine, basta, Signore, basta. Il che ci impone di contentarci ora d’un solo pensiero fra i tanti possibili, e di trattenere un momento la nostra attenzione sopra uno degli aspetti essenziali del mistero del Giovedì Santo, quello sul quale Ci piacerebbe far convergere ora il pensiero e la preghiera di questa santa assemblea.


LA SUBLIME REALTÀ OLTRE OGNI OSTACOLO D'ORDINE NATURALE

Quale aspetto? Quello intenzionale, quello finale, quello della «comunione». Come colui ch’è esperto di certe prodigiose tecniche moderne sa adoperare certi magici strumenti, vittoriosi del tempo e dello spazio, e sa mettersi in relazione sensibile con scene e parole lontanissime e inafferrabili della nostra immediata percezione, così noi, entrando con la fede e con l’amore nel sistema sacramentale ideato da Cristo e istituito, cioé messo in opera, da Lui nella notte stessa in cui era tradito, «in qua nocte tradebatur» (
1Co 11,23), ci possiamo mettere a contatto con Lui, Cristo, sorvolando, per virtù della sua Parola, leggi ed ostacoli d’ordine naturale, di per sé insormontabili, e «fare la comunione», come siamo soliti a dire; fare la Pasqua. L’Eucaristia è il sacramento della permanenza di Cristo, ora vivente nella gloria eterna del Padre, nel nostro tempo, nella nostra storia, nel nostro terreno pellegrinaggio. «Vobiscum sum», sono con voi, dirà Gesù chiudendo la scena evangelica, e manterrà la promessa. L’Eucaristia è il sacramento della sua viva, reale e sostanziale presenza, dappertutto; dovunque è un suo ministro che fa ciò che Lui ha fatto, in sua memoria. «Fate questo - disse quella sera Gesù, istituendo insieme con l’Eucaristia il sacramento dell’Ordine, strumento umano, autorizzato, per rinnovarne il mistero e per diffonderla per tutta la terra - fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). L’Eucaristia è il sacramento che moltiplica, che universalizza la presenza e l’azione di Gesù: come una sola medesima parola può essere udita da molti e acquistare efficacia logica in quanti la ascoltano e la comprendono, così il Signore, mediante l’Eucaristia, si rende accessibile per ognuno di coloro che sotto tale segno lo accolgono. L’Eucaristia è Cristo per ciascuno di noi, rivestito appunto dalle apparenze di pane per dirsi adatto e pronto a saziare la nostra fame, per farsi desiderare, avvicinare, assumere, assimilare a se stesso. L’Eucaristia è la figura di Cristo sacrificato per noi, affinché ci fosse possibile e urgente ricordare per sempre la sua Passione, parteciparne il dramma sacrificale e ottenerne l’efficacia redentiva. Diciamo questo affinché ci sia palese l’intenzione .globale di Cristo: quella di unirsi a noi: quella di ammetterci alla sua comunione. Non è possibile farsi un’idea di ciò senza ammettere un eccessivo, un infinito amore che si proietta su ciascuno di noi e che non ci dà pace finché qualche comprensione, qualche rispondenza non scaturisca anche dal nostro arido cuore. È una scuola d’amore l’Eucaristia; e, per mettere i nostri animi in fase con la bruciante e travolgente corrente della sua carità, dobbiamo almeno dire con l’Apostolo, che in quella beata e tragica sera del Giovedì Santo posò l’orecchio sul petto di Cristo e ascoltò i palpiti del suo cuore: sì, «abbiamo creduto alla carità» (1 Is. 4, 16). E qui si perfeziona la nuova vita spirituale, interiore, d’ognuno che sia così venuto in comunione con Cristo.

Se non che ciò non è tutto. La grazia che ci è offerta dall’Eucaristia non è solo in ordine alla comunione con Cristo; un’altra comunione risulta da questo sacramento; ed è la comunione con quanti fratelli nella fede e nella carità sono assisi alla stessa mensa. Notissime, ma sempre memorabili le parole di S. Paolo: «Parlo a persone intelligenti; giudicate voi di quello che dico. Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione del corpo di Cristo? Perché unico è il pane, un unico corpo noi formiamo, pur essendo molti quando tutti partecipiamo di quell’unico pane» (1Co 10,15-17).


COMUNIONE CON I FRATELLI SOPRATTUTTO CON QUELLI CHE SOFFRONO PER IL SIGNORE

Ed ecco, Fratelli e Figli carissimi, che la realtà profonda e soprannaturale del mistero pasquale ci riporta nella realtà, mistica sì, ma anche visibile e sperimentale, della società nascente da Cristo, il suo corpo mistico, la Chiesa (cfr. S. Th. III 73,3), che vorremmo inondata, proprio in virtù di questo Giovedì Santo, dalla grazia propria di questo giorno benedetto, la grazia della comunione, la grazia dell’unità, con Cristo e con se stessa; ed a questo fine chiediamo la voi tutti il concorso della vostra preghiera, della vostra spirituale collaborazione.

Diciamo la grazia dell’unità per questa nostra Chiesa. romana, che qui ha la sua Cattedrale e che qui, negli adiacenti restaurati edifici, fissa il suo centro spirituale e pastorale. L’unità ha gradi diversi: può essere superficiale e formale, subita e non amata, consuetudinaria ed inoperante; e può essere profonda e cordiale, convinta ed operosa, tutta pervasa di mutua e santificante carità: questa unità, vivente di fede e di amore a Cristo e di sincera fraternità, Noi vogliamo infusa nell’Urbe Nostra, alla cui rapidissima ed eterogenea crescita non ha ancora corrisposto una adeguata consistenza morale e religiosa, che tuttavia Clero e fedeli vanno esemplarmente formando: Roma, unita nella viva memoria delle sue tradizioni, unanime nella fede e sempre intenta a generare vincoli ed opere di cristiana carità, Noi vogliamo; e Cristo suo maestro, suo salvatore, suo cittadino.

E aggiungiamo simile voto per tutta la Chiesa cattolica. Noi pensiamo in questo momento a tutta la nostra grande fraternità che in questa sera, disseminata in tutta la terra, compie con pari sentimento il medesimo rito pasquale; pensiamo a quelle comunità, impedite o mortificate, dove continua la Passione del Signore; pensiamo alle giovani Chiese dei Paesi in territori di missione; e a tutta questa immensa e amatissima comunione mandiamo il Nostro benedicente saluto: ave, Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica; ave, Chiesa viva di Cristo: tutti in Lui oggi siamo uno.


SALUTO ED AUGURIO ALLA ELETTA ASSISTENZA

E non dimentichiamo le tante Chiese e comunità cristiane, a cui ci uniscono lo stesso battesimo e tanti vincoli di fede e di amore all’unico Cristo Signore, e con cui ancora una perfetta, comunione non possiamo godere. Questa desideriamo, questa speriamo e invochiamo, mentre a tutte ed a ciascuna inviamo da questa Nostra Cattedrale, piena del fedele ricordo e della mistica presenza di Cristo Salvatore, il Nostro messaggio di pasquale carità.

Come, infine, non saluteremo le persone rappresentative che a questo rito sono state particolarmente invitate? Autorità dello Stato e della Città, Diplomatici e Patrizi romani, Uomini della cultura e del Foro, del pensiero e dell’azione, della Stampa e della Radiotelevisione; quanti esercitano sul corpo sociale l’influsso del loro pensiero e della loro parola: siate ringraziati e benedetti per questa spirituale adesione al rito più d’ogni altro invitante all’unità e alla interiorità degli spiriti; e sappiate che se Noi non abbiamo con la Nostra umile e popolare parola abbastanza onorato le esigenze della vostra mente e delle vostre rispettive funzioni, le onoriamo tuttavia tanto di più con la Nostra stima, con la Nostra benevolenza, col Nostro speciale augurio pasquale.

E questo sia per tutti i presenti, per l’intero Popolo romano, per tutti i Nostri figli ed i Nostri cari, con la Nostra Apostolica Benedizione.



Domenica del Buon Pastore, 9 aprile 1967: SANTA MESSA NELL'ARCIBASILICA LATERANENSE

9467
LA CHIESA È PER TUTTI CON LA LEGGE DELLA CARITÀ

Salute a voi, venerati Fratelli!

Salute a voi, Figli carissimi!

Salute alle Autorità dello Stato e della Città, presenti a questa cerimonia!

Salute a te, Roma di Cristo, oggi qui a Noi spiritualmente tutta presente.

Il nostro riverente pensiero va al Cardinale Aloisi Masella, Arciprete di questa Basilica Lateranense, e a tutto il venerando Capitolo che vi esercita il culto divino; va al Nostro Vicario Generale per la Diocesi di Roma, il Cardinale Luigi Traglia, qui presente con Monsignor Vice-Gerente, con i Vescovi Ausiliari e Delegati, e a tutti gli Officiali del Vicariato; va a voi, Parroci benemeriti e valorosi, a voi, Sacerdoti, che li coadiuvate nel lavoro pastorale; a voi, membri dei Capitoli Romani, e a tutto il Clero Romano; ai Nostri Seminari, ai Religiosi e alle Religiose, a tutte le Associazioni cattoliche, alle Confraternite; e a voi tutti, Fedeli, di questa santa Chiesa Romana. Noi abbiamo ora nel cuore tutta l’Urbe, con le sue Autorità civili ed ecclesiastiche, con le sue istituzioni, le sue Famiglie, le sue categorie sociali, i suoi figli più giovani, i suoi poveri, i suoi malati, tutti i suoi cittadini. Vorremmo passare in rassegna tutta la cittadinanza; e se la competenza del Nostro ministero riguarda quanti compongono la comunità ecclesiale, la Nostra affezione apostolica si allarga all’intera popolazione; e non mai come in questa occasione vuole tutti abbracciare, tutti considerare, tutti salutare; nessuno escludere, nessuno dimenticare.


ATTO DI APOSTOLATO E DI PRESENZA PER LA REDENZIONE DEL POPOLO

Perché mai questa profusione di sentimenti cordiali e devoti? Sia chiaro a tutti: perché oggi il Nostro ministero si qualifica come una visita: il primo pensiero, il primo gesto d’una visita è il saluto, è il desiderio dell’incontro, è l’interessamento per coloro che sono visitati. E appunto la Nostra visita si rivolge a Roma intera, anche se il Nostro dialogo pastorale dovrà poi contenersi nell’ambito della nostra famiglia cattolica. E sia chiaro a tutti che la Chiesa è fatta per tutti; e che il canone fondamentale della sua legge è la carità, la quale vuol dire per chi la rappresenta e la promuove un dovere di espansione, che non ha limiti, una capacità di amore, che non ammette esclusioni, una vivacità di sentimenti e di azione, che non deve conoscere tregua.

Ecco dunque come si configura nel quadro della vita della Chiesa la visita pastorale, che oggi qui inauguriamo.

Chi viene a voi? Veniamo Noi; Noi di persona, quando Ci sarà possibile; Noi nella persona del Nostro Cardinale Vicario e dei Vescovi che coadiuvano il suo ministero; e veniamo come mandati da Cristo, suoi rappresentanti e suoi ministri, successori diretti e legittimi di coloro ai quali Cristo diede appunto l’ordine di andare ad annunciare l’avvento del regno di Dio. Il Vangelo continua. La visita pastorale è un atto di apostolato, un atto di presenza di chi è responsabile del grande annuncio della comune salvezza, è un intervento autorizzato e comandato dal Vescovo-Pastore per rendere sensibile ed operante il disegno divino della redenzione, ch’è appunto una visita, del tutto insolita e sorprendente, di Dio all’umanità: «Visitavit et fecit redemptionem plebis suae»: Egli, il Signore, ha visitato ed ha redento il suo popolo (
Lc 1,68).

E a chi viene la visita pastorale? A voi, Fratelli e Figliuoli, per quanto è possibile a voi tutti e singoli, come dicevamo. Noi possiamo far Nostra la parola che l’Apocalisse riserva alla venuta misteriosa dello Spirito alle prime comunità cristiane: «Ecco, io sto alla porta, e busso» (3, 20). La visita pastorale vuole rivolgersi a tutti, alle comunità parrocchiali, specialmente; ma l’interesse pastorale vorrebbe arrivare dappertutto; dovunque è la Chiesa; anzi dovunque sono le anime. Naturalmente alle realtà esteriori della Chiesa si fermano i passi del visitatore, ma la carità che li muove vorrebbe arrivare, messaggera, di grazia, di luce e di pace anche alle realtà interiori, ai cuori bisognosi di conforto e di amore, allo spirito che anima le istituzioni, alle energie latenti e dormienti, depositate in fondo agli spiriti di uomini battezzati, e agli statuti ideali delle opere stanche e logore dagli anni.


ANIMAZIONE RISVEGLIO CHIAMATA A NUOVA COSCIENZA ED OPEROSITÀ

Non vi sfugga, Fratelli e Figli carissimi, questa intenzione di interiorità, propria della visita pastorale: essa non è un’inchiesta burocratica, o un semplice provvedimento giuridico; essa vuol essere un’animazione, un risveglio, una chiamata a nuova coscienza, a migliore operosità. E questo ci dice veramente lo scopo della visita pastorale. Perché si fa? che cosa vuole essa finalmente ottenere? Qui potremmo ripetere ciò che ora avete udito mediante la lettura del documento di indizione della visita pastorale, ovvero ciò che in altre occasioni recenti a questo proposito è stato detto; potremmo ricordare le auree parole del diritto canonico, che definiscono le finalità principali della visita pastorale (can. 343); Ci basti invitarvi a riflettere sulle trasformazioni subite in questi ultimi trent’anni dalla città che ha quasi raddoppiato la sua popolazione, sull’evoluzione delle idee e dei costumi, sulla recente celebrazione del Sinodo diocesano e sul solenne richiamo al rinnovamento della vita cristiana, proposto a tutta la Chiesa, a Roma perciò prima che ad ogni altra diocesi, dal Concilio Ecumenico Vaticano Secondo. È ora di vincere il sonno delle pigre consuetudini, dice l’Apostolo: «Hora est iam nos de somno surgere» (Rm 13,11); è l’ora di dare alla Chiesa di Roma un volto di freschezza e di bellezza: è l’ora di estendere a tutte le nuove borgate il flusso animatore e nobilitante della genuina vita religiosa; è l’ora di far rifiorire le memorie sacre ed incomparabili di Roma cristiana: sulle rovine, sulle tombe, sui vecchi cimeli, sulle antiche tracce di pietà e di santità, sui monumenti vetusti e grandiosi, su questa stessa Basilica, «omnium ecclesiarum mater et caput», venga l’ora dello Spirito vivificante; l’ora del fuoco nuovo. La Nostra visita lo verrà portando.


UNA RICERCA DI TUTTI I FIGLI CARISSIMI DELLA ROMA CATTOLICA

Ma come, come? voi Ci chiedete. Forse qualcuno si attende grandi cose dalla visita pastorale, come essa fosse un uragano di vento prodigioso e spettacolare. No, Fratelli e Figli Nostri. Non veniamo a voi, diremo ancora con San Paolo, «in sublimitate sermonis» (2Co 2,1), con splendore di parole e di opere; veniamo a voi con la sicurezza del Nostro mandato e della Nostra fede, ma rivestiti. Dio lo voglia, dello spirito di Gesù Cristo, della sua umiltà, della sua bontà, della sua dedizione, della sua arte di ascoltare e di farsi ascoltare: l’immagine di Cristo, rievocata dal Vangelo letto testé, sorge nello spirito Nostro e vostro; è il buon Pastore, che tutti ci sovrasta e ci infonde i pensieri giusti e i sentimenti appropriati, guida, esempio, sostegno della Nostra visita, la quale appunto pastorale si chiama. Noi non avremo nulla da portarvi, se non la sua Parola e la sua Grazia; non avremo nulla da chiedervi, se non voi, voi stessi: «Non quaero, qua; vestra sunt, sed vos» (2Co 12,14). Ancora l’immagine del pastore alla ricerca della pecora smarrita completa il profilo della visita pastorale: essa è una ricerca; una ricerca di anime bisognose di sapersi amate e guidate; una ricerca della Chiesa affinché davvero sia Chiesa; una ricerca di voi, Fratelli venerati, di voi tutti Figli carissimi di questa Roma cattolica.

Ed ora quindi l’ultima domanda: venendo Noi a visitarvi troveremo Noi aperta la porta della vostra casa? vogliamo dire, dei vostri cuori? Ci incontreremo davvero in nostro Signore Gesù Cristo? saremo da voi bene accolti? saremo capiti? Ci riserverete indifferenza, diffidenza, resistenza, durezza? ovvero la carità, per cui Noi siamo vostri e voi siete Nostri? daremo Noi insieme con voi all’antica e sempre viva Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nuova autenticità romana e cristiana? È la risposta che Noi attendiamo da voi, a partire da questo giorno inaugurale, la risposta dei fatti, la risposta dei cuori! E così la faccia in voi scaturire la Madonna Santissima, salute del Popolo romano, e questo austero Giovanni precursore di Cristo, battezzatore d’un popolo che ne attende la venuta, con l’altro Giovanni, il mistico evangelista amico di Gesù, e ancora i Santi Pietro e Paolo apostoli e martiri romani, con la Nostra Apostolica Benedizione.




PELLEGRINAGGIO AL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI FÁTIMA

Sabato, 13 maggio 1967: SANTA MESSA NELLA BASILICA DI FÁTIMA

13567

Tanto è il Nostro desiderio di onorare la Ss.ma Vergine Maria, Madre di Cristo, e perciò Madre di Dio e Madre nostra, tanta è la Nostra fiducia nella sua benevolenza verso la santa Chiesa e verso il Nostro apostolico ufficio, tanto è il Nostro bisogno della sua intercessione presso Cristo, suo Figlio divino, che Noi siamo venuti umili e fidenti pellegrini a questo Santuario benedetto, dove si celebra oggi il 50° delle apparizioni di Fatima e dove si commemora il 25° della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria.

IL SALUTO E LA LETIZIA DEL PADRE

E siamo lieti d’incontrarCi con voi, Fratelli e Figli carissimi, e di associarvi tutti alla professione della Nostra devozione a Maria Ss.ma e alla Nostra preghiera, affinché più manifesta e più filiale sia la comune venerazione, e più viva e più accetta sia la Nostra invocazione.

Noi vi salutiamo, Fratelli e Figli qui presenti, voi specialmente cittadini di questa illustre Nazione, che nella sua lunga storia ha dato alla Chiesa Uomini santi e grandi e un Popolo operoso e credente; voi salutiamo, pellegrini venuti da queste regioni e venuti da lontano; e voi fedeli della santa Chiesa cattolica, che da Roma, dalle vostre terre e dalle vostre case, sparse in tutto il mondo, siete ora spiritualmente rivolti a questo altare, tutti, tutti vi salutiamo. Noi celebriamo ora con voi e per voi la Santa Messa, e insieme ci componiamo come figli d’una stessa famiglia vicino alla Madre celeste per essere ammessi, nella celebrazione del Santo Sacrificio, a più stretta e salutare comunione con Cristo nostro Signore e nostro Salvatore.

Nessuno Noi vogliamo escludere da questo spirituale ricordo, perché tutti vogliamo partecipi delle grazie, che qui ora impetriamo dal Cielo: vi portiamo nel cuore, voi, Fratelli nell’Episcopato, voi, Sacerdoti, e voi, Religiosi e Religiose, che a Cristo siete consacrati con amore totale; voi, Famiglie cristiane, abbiamo presenti; voi, Laici carissimi, che volete collaborare col Clero per l’incremento del regno di Dio; voi, giovani e fanciulli, che vorremmo avere tutti a Noi d’intorno; e voi tutti che siete tribolati e affaticati, voi malati e piangenti, che certamente ricordate come Cristo a Sé vi chiami per farvi soci della sua Passione redentrice e per consolarvi. Il Nostro sguardo si spinge anche a tutti i Cristiani non cattolici, ma fratelli nostri nel battesimo, per i quali la Nostra memoria è speranza di perfetta comunione nell’unità voluta dal Signore Gesù. E si allarga a tutto il mondo: Noi non vogliamo che la Nostra carità abbia confine, e in questo momento la estendiamo alla intera umanità, a tutti i Governanti e a tutti i Popoli della terra.


SIA LA CHIESA: VIVA, VERA, UNITA, SANTA

Voi sapete quali siano le Nostre intenzioni speciali, che vogliono caratterizzare questo pellegrinaggio. Qui le ricordiamo, affinché diano voce alla Nostra preghiera e siano lume a quanti Ci ascoltano.

La prima intenzione è la Chiesa; la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Vogliamo pregare, abbiamo detto, per la sua pace interiore. Il Concilio Ecumenico ha risvegliato molte energie nel seno della Chiesa, ha aperto più ampie visioni nel campo della sua dottrina, ha chiamato tutti i suoi figli a più chiara coscienza, a più intima collaborazione, a più alacre apostolato. A Noi preme che tanto beneficio e tale rinnovamento si conservino e si accrescano. Quale danno sarebbe se un’interpretazione arbitraria e non autorizzata dal magistero della Chiesa facesse di questo risveglio un’inquietudine dissolvitrice della sua tradizionale e costituzionale compagine, sostituisse alla teologia dei veri e grandi maestri ideologie nuove e particolari, intese a togliere dalla norma della fede quanto il pensiero moderno, privo spesso di luce razionale, non comprende o non gradisce, e mutasse l’ansia apostolica della carità redentrice nell’acquiescenza alle forme negative della mentalità profana e del costume mondano! Quale delusione sarebbe il nostro sforzo di avvicinamento universale se non offrisse ai Fratelli cristiani, tuttora da noi divisi, e all’umanità priva della nostra fede nella sua schietta autenticità e nella sua originale bellezza il patrimonio di verità e di carità, di cui la Chiesa è depositaria e dispensatrice!

Noi vogliamo chiedere a Maria una Chiesa viva, una Chiesa vera, una Chiesa unita, una Chiesa santa. Noi ora con voi vogliamo pregare, affinché le speranze e le energie, suscitate dal Concilio, abbiano a maturare in larghissima misura i frutti di quello Spirito Santo, di cui domani, Pentecoste, la Chiesa celebra la festa, e da cui proviene la vera vita cristiana; i frutti enumerati dall’Apostolo Paolo: «la carità, il gaudio, la pace, la longanimità, la benignità, la bontà, la fedeltà, la mitezza, la temperanza» (
Ga 5,22). Noi vogliamo pregare affinché il culto di Dio ancora e sempre primeggi nel mondo, e la sua legge informi la coscienza ed il costume dell’uomo moderno. La fede in Dio è la luce suprema dell’umanità; e questa luce non solo non deve spegnersi nel cuore degli uomini, ma deve piuttosto ravvivarsi per lo stimolo che le viene dalla scienza e dal progresso.


IL CONFORTO PER QUANTI SOFFRONO A CAUSA DELLA FEDE

Questo pensiero, che anima e agita la Nostra preghiera, porta in questo momento il Nostro ricordo a quei paesi nei quali la libertà religiosa è praticamente oppressa, e dove la negazione di Dio è promossa quasi essa rappresenti la verità dei tempi nuovi e la liberazione dei popoli, mentre così non è. Noi preghiamo per tali paesi; Noi preghiamo per i fratelli credenti di quelle nazioni, affinché l’intima forza di Dio li sostenga e la vera e civile libertà sia loro concessa.

E così la seconda intenzione del Nostro pellegrinaggio riempie l’animo Nostro: il mondo, la pace del mondo.

Voi sapete come la coscienza della missione della Chiesa nel mondo, una missione di amore e di servizio, sia oggi, dopo il Concilio, resa assai vigilante ed operante. Voi sapete come il mondo sia in una fase di grande trasformazione a causa del suo enorme e meraviglioso progresso nella conoscenza e nella conquista delle ricchezze della terra e dell’universo. Ma sapete e vedete come il mondo non è felice, non è tranquillo; e la prima causa di questa sua inquietudine è la difficoltà alla concordia, la difficoltà alla pace. Tutto sembra spingere il mondo alla fratellanza, all’unità; ed invece in seno all’umanità scoppiano ancora, e tremendi, continui conflitti. Due motivi principali rendono perciò grave questa situazione storica dell’umanità: essa è carica di armi terribilmente micidiali; ed essa non è moralmente così progredita come lo è nel campo scientifico e tecnico. Per di più, molta parte dell’umanità è tuttora in stato d’indigenza e di fame, mentre si è svegliata in essa la inquieta consapevolezza dei suoi bisogni e dell’altrui benessere. Perciò, Noi diciamo, il mondo è in pericolo. Perciò Noi siamo venuti ai piedi della Regina della pace a domandarle come dono, che solo Dio può dare, la pace.


LA PACE ESIGE ACCETTAZIONE E COLLABORAZIONE DELL’UOMO

È la pace, sì, un dono di Dio, che suppone l’intervento d’una sua azione, estremamente buona, misericordiosa e misteriosa. Ma non è sempre un dono miracoloso; è un dono che compie i suoi prodigi nel segreto dei cuori degli uomini; un dono perciò che ha bisogno d’una libera accettazione e d’una libera collaborazione. E allora la Nostra preghiera, dopo d’essersi rivolta al Cielo, si rivolge agli uomini di tutto il mondo: Uomini, Noi diciamo in questo singolare momento, uomini, procurate d’essere degni del dono divino della pace. Uomini, siate uomini. Uomini, siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione del bene totale del mondo. Uomini, siate magnanimi. Uomini, sappiate vedere il vostro prestigio e il vostro interesse, non contrari, ma solidali col prestigio e con l’interesse altrui. Uomini, non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione e di sopraffazione; pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione. Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest’ora, che può essere decisiva per la storia della presente e della futura generazione; e ricominciate ad avvicinarvi gli uni agli altri con pensieri di costruire un mondo nuovo; sì, il mondo degli uomini veri, il quale non potrà mai essere tale senza il sole di Dio sul suo orizzonte. Uomini, ascoltate mediante l’umile e tremante voce Nostra, l’eco sonante della Parola di Cristo: «Beati i mansueti, perché possiederanno la terra; beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio»!


LA PREGHIERA E LA PENITENZA

Vedete, Figli e Fratelli, che qui Ci ascoltate, come il quadro del mondo e dei suoi destini qui si presenta immenso e drammatico. È il quadro che la Madonna ci apre davanti, il quadro che contempliamo con occhi esterrefatti, ma sempre fidenti; il quadro al quale ci appresseremo sempre - e ne facciamo promessa - seguendo il monito che la Madonna stessa ci ha dato; quello della preghiera e della penitenza; e voglia perciò Iddio che questo quadro del mondo non abbia mai più a registrare lotte, tragedie e catastrofi; ma le conquiste dell’amore e le vittorie della pace.




B. Paolo VI Omelie 19367