B. Paolo VI Omelie 30967

Domenica, 3 settembre 1967: PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI ALBANO

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PER TUTTI IL CUORE E LA PAROLA DEL PAPA

Il Santo Padre rivolge anzitutto vari saluti, incominciando da quello al Signor Cardinale Pizzarda e al Vescovo di Albano; e quindi al Clero, alle autorità civili, alle Famiglie religiose, ai sodalizi di Azione Cattolica, di assistenza e di carità; e, in modo speciale, ai giovani, ai lavoratori sia dell’agricoltura che dell’industria.

Inoltre Sua Santità fa riferimento a due categorie di assenti. La prima è quella degli ammalati sia negli ospedali e cliniche, sia nelle proprie residenze; dei vecchi, dei sofferenti in genere. Ad essi un particolare pensiero di affetto e di augurio con l’assicurata preghiera e la benedizione del Papa.

La seconda categoria di assenti è quella di coloro che non hanno voluto partecipare alla Udienza a motivo di antichi rancori, diffidenze, ostilità al!a religione, pretendendo di vivere, come dicono. fuori della comunità cristiana. Appartengono essi alla Chiesa? Per il Papa, certamente sì; poiché sono dentro il suo cuore ed hanno tutto il suo affetto, che si traduce in sollecitudine paterna, in speranza e stima, in fiduciosa preghiera. A tutti i lontani, perciò, vanno egualmente oggi il pensiero ed i voti del Padre.


CONOSCERE IL MONDO PRESENTE E VIGILARE

Ed ora - continua Sua Santità - tutta la serie di saluti testé espressi è da considerarsi forse come l’incontro cordiale di persone che si conoscono e scambiano una parola, per proseguire, subito dopo, ciascuna nel proprio cammino? Non è così. Il saluto del Papa è una specie di chiamata, di invito c non si esaurisce In se stesso. Intende arrivare al cuore di ogni visitatore e ascoltatore per dire: vieni accanto a me, a parlarmi, a sentirmi. Così il gesto amabile del Pastore e del Padre è un appello in nome di Nostro Signore Gesù Cristo per destare, nell’intimo dei cuori, il senso genuino della vita. Qual è la mèta ultima; quali sono i doveri; e dove si ripongono le speranze degli uomini? La parola del Papa è appunto diretta a ricordare a ciascun redento: tu sei creato da Dio e sei destinato a tornare a Dio. La vita è una vocazione; essa ha il suo preciso destino e quindi la sua aspettativa; ogni elemento nel tempo deve perciò compendiarsi nella realtà della luce emanante dal Redentore.

Da ciò consegue che la vita cristiana non è un lago stagnante. È un esercito di anime vibranti, le quali sono pronte, pregano, vegliano, operano; tutte hanno qualche cosa da chiedere e da offrire. È ovvio incominciare dai giovani. A ognuno di essi il Santo Padre vorrebbe ricordare: perché vivi? Lo sai che devi compiere una missione? Sei convinto che ogni singola vita possiede un suo compito affidatole dal Signore?

Bastano questi. semplici spunti per ridestare nelle coscienze, specie in quelle dei giovani, il desiderio di conoscere quanto mirabile e grande è il destino da Dio assegnatoci.


NECESSITÀ DI UNA SCELTA FELICE

Noi vogliamo in questo momento - tale la premessa del Santo Padre alle varie parti del suo Discorso - compiere un atto di riflessione sulle cose della nostra età, del nostro tempo. Come caratterizzare il momento storico, sociale in cui viviamo?

A tutti è chiaro che l’ora presente costituisce uno stato, anzi un movimento di attesa. C’è qualcuno che, oggi, si appaga di rimanere inerte? No. Tutti vogliono qualche cosa di nuovo; tutti aspettano quanto si augurano che debba succedere; e moltiplicano in conseguenza le aspirazioni. Il tempo nostro ha scosso gli animi, per cui in tutti domina non la tranquillità, bensì l’agitazione.

Ebbene, quale l’insegnamento da questa prima osservazione? La risposta è nel Vangelo: noi dobbiamo essere nell’attitudine, ivi definita: di operosa vigilanza. Bisogna essere desti. Il Cristianesimo non è fatto per la gente che dorme, per chi, senza aspirazioni di sorta, vive meccanicamente, in maniera abitudinaria, immobile nella propria inerzia, lasciandosi portare dalla consuetudine. Se dunque v’è un disagio che scuote ed agita gli uomini, ecco il Signore a dirci esplicitamente: vigilate, state attenti, aprite gli occhi, ascoltate le voci. L’anima va tenuta, quindi, in stato di. pronto ascolto, e non certo nel torpore di stanchezza, e tanto meno di pigrizia, decadenza, scetticismo o sfiducia. Il monito è: pienezza di attenzione.

Si è sovente detto che la religione cristiana addormenta gli intelletti; è un oppio, asserì qualcuno. Non è vero. Se autentica è la vocazione, se autentica la vita cristiana, essa toglie ogni letargo ed obbedisce all’ingiunzione di Gesù ai discepoli: vigilate, siate desti. E cioè: usate la vostra coscienza, il vostro pensiero nel guardarvi intorno, nel cercare di capire sempre. Abbiate l’anima aperta - come oggi si dice - alle cose che vi circondano, e arriverete così a comprendere il senso giusto della nostra età e del nostro tempo.

Da questa fondamentale vigilanza emerge un primo dovere. È necessario sempre cercare di essere informati. Se abbiamo una benda sugli occhi, non conosceremo mai la strada da percorrere, né potremo ammirare il paesaggio circostante. Eliminiamo lo schermo e poniamo ogni impegno a vedere? a intendere e vagliare notizie.

Ora è risaputo che la informazione avviene attraverso due fonti. La prima è quella dei mezzi attuali della radio e della televisione, che ci pongono a contatto con le realtà giorno per giorno, si direbbe ora per ora. L'altra fonte è la stampa, nei suoi vari gradi. Va aggiunto che quest-i mezzi, i quali riescono a tenere tanto accesa l’attenzione, la coscienza degli uomini del nostro tempo, vanno anch’essi bene considerati. Dobbiamo cioè renderci conto se questi strumenti sono veramente informativi; se sono maestri e ci dicono la verità; se ci guidano e suscitano pensieri utili e buoni. In altri termini: volete essere gente del nostro secolo e gente sveglia? Cercate di attingere alla buona stampa - come si diceva una volta e come si dovrebbe dire anche oggi - adoperatevi ad ottenere le informazioni utili per la vita. Non rimanete nella ignoranza accidiosa; non siate pecore che camminano con la testa bassa; non chiudete gli occhi perché d’intorno troppe sono le cose che danno il capogiro e frastornano. Cercate - e ve lo dico nel nome del Signore - di essere intelligenti, di essere svegli, di capire le cose; e perciò lasciatevi guidare dalla informazione più adeguata, anzi suprema e perfetta, per condurre nel miglior modo la vostra vita: cioè la parola di Dio, l’istruzione religiosa, la scienza della esistenza terrena e della vita riservataci per l’eternità. Siate, o figliuoli, avidi, assetati di istruzione religiosa; siate realmente capaci di dare alle vostre anime non quattro rispostine di catechismo, tanto per superare un breve periodo di istruzione o un momento di esame. Abbiate sempre la brama della verità, di quella verità che ci pone a contatto con Dio, Via, Verità e Vita; che spiega i nostri destini e ci dà la scienza dei valori del nostro tempo e della nostra società. Siate cristianamente intelligenti.

Ad ottenere un tale felice risultato, il Santo Padre rivolge anzitutto al degno Presule della popolazione rappresentata nella Udienza l’invito ad essere sempre più, per le anime a lui affidate, il maestro, la guida, il Pastore zelante. A loro volta i sacerdoti non si stanchino mai di essere bravi interlocutori con quanti li ascoltano, impartendo in maniera perfetta la lezione di insegnamento religioso, predicando nella maniera più opportuna e adeguata, traducendo e diffondendo la ricchezza di verità di cui i sacerdoti sono custodi, E gli insegnanti, i dirigenti dei vari ceti e gruppi procurino di essere sempre sospinti da questo impegno di trasfusione della verità, e di tenere intorno a sé un popolo vigile, attento, volenteroso nella sua tensione spirituale, che deve preparare non soltanto i tempi nuovi, ma il conseguimento dei destini degli alunni e discepoli.


SENSO CRITICO DI FRONTE AL MONDO IN TRASFORMAZIONE

Un altro punto di riflessione proviene dalla realtà in cui ci troviamo. Si tratta di osservare attentamente un fenomeno elementare, ma della massima importanza.

Non vi accorgete - così il Santo Padre - che siamo in un periodo di trasformazione e che le cose mutano rapidamente? In effetti la nostra età è molto evolutiva. Sorgono nuove usanze; si sviluppano i mezzi di benessere a disposizione della vita; si elevano le classi sociali; aumenta l’istruzione del popolo; si allargano i rapporti tra gente e gente, e così via. Accade perciò di udire il facile appellativo di «sorpassati» per gli anziani; e ovunque è diffusa una inquietudine permanente poiché è considerata quasi verbo e orientamento risolutivo delle nostre vite la parola novità. Desideriamo vivere alla moda, si sente dire. Aneliamo alle cose del divenire e ci associamo, anche inconsapevolmente, al moto che trascina la nostra società verso non pochi cambiamenti.

Allora : come regolarci di fronte all’entità delle trasformazioni in corso e che investono le nostre abitudini personali, domestiche, sociali, culturali, ecc.? C’è, è vero, sempre una categoria di persone che rimane impaurita del vasto fenomeno e dice: io mi aggrappo al passato: come si stava bene una volta! non cambierò mai . . . Si tratta di staticità, di immobilismo, di desiderio di non far nulla, di rimanere quelli di ieri piuttosto che associarsi a quelli di oggi.

D’altra parte, ecco coloro che accelerano i cambiamenti, ubbidendo a un programma radicale. Dicono: scrolliamoci di dosso quanto era di ieri, dell’anno scorso, e facciamo tutto completamente nuovo. Atteggiamento contrario, dunque: vale a dire la fretta e, con essa, la precarietà propria delle cose che mutano inconsideratamente.

Come ci dobbiamo regolare? La cosa è di particolare importanza. Dapprima dobbiamo fare l’analisi delle idee, delle teorie che abbiamo ricevuto e ci vennero tramandate. Ad esempio: vi sono state, nella generazione passata, nel secolo precedente al nostro, delle forme sociali e spirituali, le quali si sono impresse nelle nostre anime, e hanno dato una configurazione al nostro popolo. A ricordarne alcune: le varie correnti anticlericali, marxiste, ecc. Sono forme valide, queste, oppure no? Il solo enunciato della domanda significa che dobbiamo avere, oltre che uno spirito vigilante, uno spirito critico. Saper scegliere, saper giudicare, saper vedere dove sono - come si dice adesso - i valori che meritano di essere conservati e dove invece sono gli pseudo valori, le cose che si conservano proprio per formalismo, per abitudine, per tradizionalismo, per pigrizia. E quante pigrizie vi sono anche nella nostra, società! Essa è - l’abbiamo visto - in così evidente e fermentante evoluzione; eppure, guardate come si aggrappa a tante sue formule divenute ormai vecchie e sorpassate, e che non hanno la validità per essere oggi conservate e sviluppate!

Il bisogno di aggiornarsi riguarda anche teorie e movimenti, che ieri sembravano, nel proprio ambito, intoccabili. Basterà un esempio, ricordare una formula che ha avuto grande fortuna nei tempi andati e, sotto certi aspetti, tuttora la mantiene: la lotta dl classe. Ebbene, che cosa vediamo noi, se vogliamo essere perspicaci e guidati da spirito scientifico? Che tale proclamata lotta non ha ragione d’essere, non è una formula buona; va superata e deve essere risolta in altre enunciazioni più intelligenti, più reali. Proprio in questi giorni l’Ufficio Internazionale del Lavoro di Ginevra ha dato conferma della nuova realtà. Bisogna, pertanto, modificare il modo con cui abbiamo studiato la questione sociale venti, trenta, cinquant’anni or sono. Essa non è eliminata, ma deve adeguarsi a nuove realtà, ad altri desideri, altre aspirazioni e possibilità. La vocazione e i diritti di tutti gli uomini all’eguaglianza, al complesso organico di una società che collabora in se stessa e si sente unita da una comunione fondamentale e costituzionale di intelletti e di volontà: ecco un sistema più consistente di ogni teoria di ieri. E non avremo noi la capacità di sceverare ciò che è giusto da quanto non lo è, ciò che è vero da quanto è falso o è mediocremente valido ed utile? non sapremo scegliere ciò che sul serio è giovevole a noi?


«NON SI PUÒ FARE A MENO DI CRISTO»

Occorre possedere il senso critico. Per noi cristiani, questa facoltà va applicata anche a molti elementi che riguardano la nostra stessa professione religiosa. Noi arriviamo a sottoporre ad un esame obiettivo la stessa nostra fede: la prendiamo di fronte, e ci domandiamo, i giovani specialmente, con tutta sincerità: vale? resiste? è vera? merita? devo mantenerla, o spregiudicatamente posso trascurarla e persino combatterla? La risposta è unica, assoluta, irrefutabile: figliuoli, sia in voi salda questa fede; sappiate che quanto il Cristianesimo vi insegna come vero, è vero; quel che il Cristianesimo vi insegna come vitale, è vivo; quanto il Cristianesimo vi insegna come importante, è importante; ciò che il Cristianesimo vi insegna come necessario, è necessario.

Non si può fare a meno di Cristo. Non si può fare a meno degli alti valori che ci sono stati largiti dalla Rivelazione di Dio e vengono tramandati, attraverso i secoli, dalla Chiesa. Sono venuti a noi come un’eredità di cui non conosciamo l’immensa ricchezza. Sappiamo però che il Cristianesimo autentico è valore assoluto. Dobbiamo essere gente di fede che gioca, per così dire, la propria vita sopra questa scelta e afferma, solenne-mente, irrevocabilmente: scelgo e credo. Sono sicuro che, fondandomi sulla parola di Cristo, della quale la Chiesa è garante e maestra, non mi sbaglio. Sono sicuro che, dando a Cristo la mia adesione, io non l’affido a un capitano di ventura o ad uno che sarà sconfitto: la offro a Colui che è stato e sarà sempre il vincitore della vita e della morte.

Infine: tutti sono invitati a meditare un altro fenomeno che possiamo rilevare agevolmente. Qual è? Il notare che il nostro tempo è giovane; mira al rinnovamento. Non è un tempo ripiegato su se stesso; non un periodo di decadenza, in cui predomina la gente scettica, coloro che fanno quasi la professione di essere trascurati, ai quali non importa niente di niente. Questi sono falsi profeti; non possono guidarci; non ci danno l’entusiasmo e la verità delle cose; non ci infondono le energie e la capacità di godere dell’immenso dono della vita.


LA CHIESA ALL'AVANGUARDIA DEL RINNOVAMENTO

Adunque, il nostro tempo è sicuramente epoca di rinnovamento. Dopo tale rilievo, che cosa vediamo? Che la Chiesa è proprio all’avanguardia. Essa sta largamente rinnovandosi, nel proposito di perfezionare tutte le sue cose: il suo catechismo, i suoi riti, la sua liturgia, le sue associazioni, il suo patrimonio dottrinale. Vediamo di lasciare quanto è caduco, e lavoriamo, invece, a conservare integra la sostanza, tutto il seme fecondo.

Il Concilio ci ha prospettato tale rinnovamento. Il Santo Padre si sofferma ad un solo aspetto. Non avete compreso - Egli dice - che una delle caratteristiche più evidenti ed importanti del Concilio è quella che chiama alla partecipazione intrinseca sia della verità, sia della grazia, sia anche del costume ecclesiale, sia, in una parola, del funzionamento della Chiesa, tutti e ciascuno? Il Popolo di Dio, nelle singole persone che lo compongono, come nella sua collettività, è invitato ad essere più consapevole, più operante, più vicino ai punti focali dove la essenziale verità del Cristianesimo viene espressa, particolarmente nella preghiera, intorno all’altare. Vedete quanto sforzo la Chiesa dispiega per associare al suo eccelso mandato il Popolo del Signore; perché ciascuno di voi non sia nel tempio come un numero, come un palo che nulla riceve ed afferra, e si stanca e si esaurisce nell’attesa che la funzione si concluda. La Chiesa, al contrario, vi insegna ad essere, ciascuno, un’anima viva, un’anima parlante, un cuore pulsante, una coscienza aperta.


ESSENZIALE E SEMPRE ATTUALE IL COLLOQUIO CON DIO

Con quali finalità? Primo: per il colloquio con Dio. È possibile ancora agli uomini del nostro tempo, parlare, direi in senso verticale, direttamente col Cielo? Sì, sì. La preghiera che la Chiesa ci pone sulle labbra, immette noi, segnatamente con il suo Rito più augusto, la Messa, nel grande colloquio fra Cielo e terra. E ciascuno di voi; ciascuno di voi, ragazzi e bambini, voi donne, voi uomini anche del lavoro, voi gente, che sembrate avere le labbra sigillate da un mutismo che dura da secoli e deve finalmente interrompersi, voi siete invitati a dischiudere queste labbra, ad aprire cioè la vostra anima e pronunciare la sublime invocazione, con il sacerdote, con Cristo presente: «Padre nostro, che sei nei Cieli . . .». Sentiremo l’energia potente, sociale e spirituale, che erompe nel cuore quando sapremo ripetere, con entusiasmo convinto, questa parola, che si direbbe magica, ma è ben più: essa è evangelica, divina.

Ecco, conclude il Santo Padre: vogliate, figliuoli: comprendere il valore di quest’ora che passa sulla nostra società, su voi e i vostri destini. È un’ora di rinnovamento. Rinnovate, come dice San Paolo, le vostre coscienze; rinnovate le vostre abitudini, i vostri costumi, cercando di dare - e qui i giovani possono davvero esserci testimoni che andiamo incontro ad una loro aspirazione e prerogativa - cercando di dare alla vostra espressione religiosa il carattere di autenticità.


IL CONFORTO PIÙ ALTO VIENE DA GESSO: «NOLITE TIMERE!»

Si tratta di conoscere la verità, di compiere il proprio dovere. È il compendio d’ogni perfezione: esso indica con sicurezza i bisogni del cuore e, soprattutto, risponde con fedeltà al messaggio di Cristo.

Se noi sapremo realmente far questo, la vita che si svolge intorno a noi, questo tumulto della società moderna, questi incubi e paure che gravano sulle nostre giornate - guerra, bomba atomica: che sarà domani?, non si vive più, ecc. - saranno dissipati, poiché la parola trionfante del Signore viene a noi con il saluto di salvezza, che il Papa ripete: Nolite timere. Non vogliate angustiarvi. Il Cristianesimo non può essere vissuto con la paura nel cuore. Procede e diffonde ovunque i suoi tesori: con l’amore, con la carità; anzi con la fede, con la speranza, e con la carità.



Venerdì, 29 settembre 1967: SYNODUS EPISCOPORUM - CERIMONIA INAUGURALE NELLA BASILICA VATICANA

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Gratia vobis et pax a Deo Patre nostro et Domino Iesu Christo!

A voi il Nostro saluto, che con grande venerazione e grande letizia vi accoglie, vi esprime la Nostra gioia di vedervi riuniti d’intorno a Noi, e riconosce in voi i Fratelli scelti per rappresentare tutta la Gerarchia della Chiesa Cattolica quali Pastori dell’intero Popolo di Dio al Sinodo Episcopale, di cui ora inauguriamo la prima riunione. Salute a voi, Fratelli carissimi: salute alle Chiese donde provenite e di cui Ci portate con la vostra presenza e con la vostra carità il segno magnifico dell’ineffabile comunione, che misticamente e realmente compagina la santa Chiesa di Dio. E a voi siano rese grazie per la voce, venerata ed eletta, che interpretando il comune sentimento, ora dice a Noi la vostra devozione, la vostra affezione, il vostro proposito di sempre concorde operare per la gloria di Dio e per la salute del mondo: voce degna del Nostro plauso, della Nostra riconoscenza; voce pari alla bontà dei vostri animi e alla coscienza del vostro mandato; vi fa eco fin d’ora la Nostra Benedizione.


NELLA LUCE SFOLGORANTE DEL «MYSTERIUM FIDEI» E «MYSTERIUM CARITATIS»

Voi sapete che cosa noi stiamo facendo.

Noi abbiamo insieme celebrato il Sacrificio Eucaristico, che per eccellenza è designato quale mysterium fidei e quale mysterium cavitatis. Né può essere altrimenti chiamato il prodigio sacramentale che attualizza fra noi, pellegrini nel tempo, la presenza reale di Cristo nell’incruenta rappresentazione della sua immolazione redentrice; nessuna scienza, che non sia la fede nella sua parola, ci dà certezza di così eccelsa realtà; e nessuna spiegazione ci dà di tanto dono qualche adeguata comprensione, se non la immensa carità di Cristo che lo istituì e la umile carità nostra, che tenta di corrispondervi nelle sue sconfinate implicazioni di amore unitivo e diffusivo. È la Messa, questa celebrazione della nostra ricorrente fortuna di poterci incontrare con Cristo, non solo per via di memoria, di simbolo, di promessa, ma per via altresì e principalmente di vera e viva comunione, se pur nascosta ed espressa nei segni sacramentali; la nostra forza, il nostro alimento, la nostra felicità, la nostra estasi, umile e beata che concede alla nostra faticosa e concreta vicenda terrena di gustare un ineffabile preludio della vita celeste; è il nostro misterioso incontro quotidiano, nel segno della sua Croce, col Cristo glorioso alla destra del Padre; è la forza operante di Cristo che compagina nell’unità del suo Corpo Mistico quanti partecipano di Lui fatto pane unico della moltitudine dei fedeli.

Perché, Fratelli, diciamo a voi queste cose, a voi pure ben note e a voi pure carissime?

Perché a Noi pare che esse possano e debbano essere particolarmente presenti nei nostri animi in una circostanza come questa, che tutti ci invita ad una piena e vivace professione di fede e di carità.


LA MEMORIA CENTENARIA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Ci troviamo, come ci eravamo impegnati, a distanza di due anni dalla fine del Concilio Ecumenico, di nuovo riuniti in questa aula benedetta per un duplice scopo: per onorare con la oblazione della nostra fede la memoria centenaria del martirio dei Santi Pietro e Paolo, e per accendere la nostra carità in vista della felice celebrazione della prima riunione del Sinodo dei Vescovi. Queste nostre intenzioni non sono senza un evidente riferimento al Concilio medesimo, del quale questo incontro d’un così cospicuo e autorevole numero di Vescovi con l’umile Successore di San Pietro, se non riveste la solennità e la potestà, fa tuttavia propri alcuni principali propositi, primo fra questi il mantenimento e il rinvigorimento della fede cattolica, la sua integrità, la sua forza, il suo progresso, la sua coerenza dottrinale e storica, il suo riconoscimento d’indispensabile principio della vita cristiana, causa e ragion d’essere della Chiesa. Noi non possiamo dimenticare le parole sacrosante con le quali il Nostro Predecessore di venerata memoria Giovanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II e ne fissava l’altissimo impreteribile impegno:

«. . . Concilium Oecumenicum primum et vicesimum - quod efficaci magnique aestimando auxilio utitur eorum, qui scientia sacrarum disciplinarum, apostolatus exercendi resque recto ordine agendi excellunt - integram, non imminutam, non detortam tradere vult doctrinam catholicam, quae licet inter difficultates et contentiones, veluti patrimonium commune hominum evasit. Hoc non omnibus quidem gratum est, tamen cunctis qui bona voluntate sunt praediti, quasi paratus thesaurus uberrimus proponitur . . . In praesenti oportet ut universa doctrina christiana, nulla parte inde detracta, his temporibus nostris ab omnibus accipiatur novo studio, mentibus serenis atque pacatis, tradita accurata illa ratione verba concipiendi, et in formam redigendi, quae ex actis Concilii Tridentini et Vaticani primi praesertim elucet . . .» (A.A.S. LIV, 1962, PP 791-792).


SUPREMA GUIDA: LA FEDELTÀ DOTTRINALE

La sollecitudine della fedeltà dottrinale, che fu all’inizio del recente Concilio, così solennemente enunciata, deve perciò guidare questo nostro periodo post-conciliare, e con tanto maggiore vigilanza da parte di chi nella Chiesa di Dio ha da Cristo il mandato d’insegnare, di diffondere il suo messaggio e di custodire il «deposito» della fede, quanto più numerosi e più gravi sono i pericoli che oggi la minacciano, pericoli immani a causa dell’orientamento irreligioso della mentalità moderna, e pericoli insidiosi che dall’interno stesso della Chiesa si pronunciano per opera di maestri e di scrittori, desiderosi, sì, di dare alla dottrina cattolica nuova espressione, ma spesso maggiormente desiderosi di adeguare il dogma della fede al pensiero ed al linguaggio profano, che di attenersi alla norma del magistero ecclesiastico, lasciando così libero corso all’opinione che, dimenticate le esigenze dell’ortodossia, si possa scegliere fra le verità della fede quelle che a giudizio d’un’istintiva preferenza personale sembrano ammissibili, rifiutando le altre, quasi che si possano rivendicare i diritti della coscienza morale, libera e responsabile dei suoi atti, di fronte ai diritti della verità, primi fra tutti quelli della divina Rivelazione (cf.
Ga 1,6-9), e si possa sottoporre a revisione il patrimonio dottrinale della Chiesa per dare al cristianesimo nuove dimensioni ideologiche, ben diverse da quelle teologiche, che la genuina tradizione, con immensa riverenza al pensiero di Dio, delineò. La fede, come sappiamo, non è frutto d’un’interpretazione arbitraria, o puramente naturalista della Parola di Dio, come non è l’espressione religiosa nascente dall’opinione collettiva, priva di guida autorizzata, di chi si dice credente, né tanto meno l’acquiescenza alle correnti filosofiche o sociologiche del momento storico transeunte. La fede è adesione di tutto il nostro essere spirituale al messaggio meraviglioso e misericordioso della salvezza a noi comunicato per le vie luminose e segrete della Rivelazione; essa non è solo ricerca, ma innanzitutto certezza; e più che frutto delle nostre indagini è dono misterioso che vuole docili e disponibili per il grande dialogo di Dio che parla le nostre anime attente e fiduciose.


L'ARCANO CARISMA E L'ESIGENTE IMPEGNO DELLA FEDE

La tutela perciò della fede è parsa a Noi così imperiosa, dopo la conclusione del Concilio, che abbiamo invitato la Chiesa intera a celebrare un «Anno della Fede» in onore dei due Apostoli, principali maestri, e testimoni del Vangelo di Cristo, per meditare appunto sulla fede da loro a noi trasmessa, e per valutare, al confronto delle contingenze della vita moderna, la funzione decisiva che questa fondamentale virtù ha per la stabilità della nostra religione, per la vitalità della Chiesa, per l’edificazione del regno di Dio nelle anime, per il dialogo ecumenico, e per il contatto autentico e rigeneratore, che i seguaci di Cristo intendono avere col mondo contemporaneo. Vogliamo così confortare la nostra propria fede di maestri, di testimoni, di pastori nella Chiesa di Dio, affinché allo sguardo del suo unico sommo Capo, Cristo vivente e invisibile, sia trovata umile, sincera e forte; vogliamo altresì confortare quella di tutti i nostri figli, dei nostri studiosi di teologia e di religione specialmente, affinché essi vogliano con una rinnovata e vigilante coscienza della dottrina immutabile e certa della Chiesa collaborare sapientemente alla promozione delle scienze sacre e al mantenimento, nella luce e nella fecondità, del proposito inviolabile della dottrina cattolica.

Per questo, venerati Fratelli, vi abbiamo invitati a celebrare con Noi il mysterium fidei sulla tomba dell’Apostolo Pietro, e accanto a Chi gli è indegno ma autentico Successore, e a sperimentare una volta di più l’arcano e inebriante carisma della fede ed il suo esigente e corroborante impegno.

Poi dal mysterium caritatis, irradiante dal Sacrificio eucaristico, noi dobbiamo attingere lo spirito e quasi indovinare l’intima essenza del secondo scopo (importantissimo per la sua novità e per i suoi riflessi. sulla vita della Chiesa), che qui ci riunisce; vogliamo dire l’apertura del Synodus Episcoporum.

Noi non parleremo ora di questa nuova istituzione; già ne abbiamo detto la natura ed il fine nel Nostro «Motu proprio» del 15 settembre 1965 Apostolica sollicitudo (A.A.S. LVII, 1965, PP 775-780), e avremo domani occasione di aggiungere qualche cenno circa l’aspetto canonico dell’istituzione stessa; qui ora Ci basta indicare quale ne sia la fonte spirituale donde essa proviene; e quale il valore morale ch’essa vuole rivestire. Al quale proposito Noi dicevamo doversi questo nuovo organo del governo visibile della Chiesa riferire al Concilio testé celebrato, come a suo principio prossimo: durante il Concilio fu da Noi istituito e quasi dal Concilio fu generato. Nel Concilio infatti è emerso il bisogno d’una maggiore comunione non soltanto in essere, ma anche in azione dell’Episcopato cattolico, la cui collegialità il Concilio mise in giusta evidenza nel disegno costituzionale della Chiesa; come pure s’era già a Noi resa chiara ed urgente la necessità di valerci in più larga e sistematica forma della collaborazione e del consiglio dei Nostri Fratelli nell’Episcopato per il governo pastorale della Chiesa stessa, forma resa oggi praticamente più facile dallo sviluppo prodigioso dei mezzi di trasporto.

Vuol essere pertanto un ministero di carità ecclesiale questo Synodus Episcoporum; e che questo ministero di carità interno alla Chiesa abbia il suo più vero e profondo principio nel mysterium caritatis, con cui Ci piace indicare il Sacrificio eucaristico, Ci sembra dimostrato dal fatto che nostro Signor Gesù Cristo pronunciò proprio durante l’ultima sua cena pasquale le celebri parole, sintesi del suo Vangelo: «Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos, ut et vos ditigatis invicem. In hoc cognoscent omnes quia discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem» (Jn 13,34-35). Alle quali parole divine possiamo far seguire, quasi a commento, quelle notissime e stupende dell’Apostolo Paolo: «. . . unum corpus multi sumus, omnes qui de uno pane participamus» (1Co 10,17).


DILATARE GLI ORIZZONTI E STRINGERE I VINCOLI DELLA CARITÀ

Questo ci ricorda che la Chiesa è una comunione, una società fondata sulla fede e sulla carità. Abbiamo detto della fede. Che cosa diremo della carità, in ordine al tema che ora ci interessa? Diremo essere opportuno ricordarci sempre che la carità - l’Amore, ch’è da Dio, e che si diffonde nei cuori dei credenti e li abilita ad amare come Cristo li ha amati - è principio costitutivo e vitale della santa Chiesa, che non il sangue, non il territorio, non la cultura, non la politica, non l’interesse compagina interiormente, ma l’amore. E aggiungeremo una domanda: può questo amore aumentare nella Chiesa di Dio? Rispondiamo subito, con tante reminiscenze nell’animo delle alterne vicende di tale amore nella storia e nelle istituzioni ecclesiastiche: sì, può aumentare; deve aumentare. La Chiesa ha bisogno di amarsi interiormente, di amarsi di più; diciamo: coloro che la compongono, e tanto più coloro che la rappresentano e la guidano, devono sentirsi oggi maggiormente uniti fra di loro da quell’imponderabile ma formidabile vincolo che e l’amore, insegnato, comandato ed elargito da Cristo. Se fu detto magnificamente «dilatentur spatia caritatis» (Aug., Sermo 69; PL. V, 440), noi possiamo anche soggiungere: si restringano i vincoli della carità.

Alle difficoltà d’ogni genere che la Chiesa incontra nel secolo nostro, e all’impulso crescente ch’ella sente di doversi prodigare per la dilatazione del regno di Dio e per il bene dell’umanità, questo rimedio, questa forza deve dare la Chiesa a se stessa: crescere nella dilezione, che cristiana la qualifica, e che fa dei suoi membri «un Cuor solo ed un’anima sola» (Ac 4,32). E quale meraviglia, se così è, che coloro che come Vescovi sono posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio (cf. Ac 20,28) siano solleciti a lasciarsi vieppiù animare dalla carità di Cristo e a dare alla professione della carità un nuovo modo di esprimersi e di rivestirsi di una nuova forma istituzionale?

Questo vuol essere il Synodus Episcoporum. E così Dio ci aiuti a renderlo nella pratica realtà quale vuol essere nell’intenzione e nell’ispirazione, come dicevamo, ministero di carità derivante dal mistero della carità.



Domenica, 8 ottobre 1967: SOLENNE BEATIFICAZIONE DI MARIA FORTUNATA VITI

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FELICITAZIONI ALLA INSIGNE FAMIGLIA BENEDETTINA

Terminata felicemente la lunga procedura della beatificazione di Maria Fortunata Viti, e conclusa ora la sacra cerimonia, nella quale abbiamo per ciò reso grazie a Dio e tributato onore a questa sua Figlia della Chiesa celeste, Noi esprimeremo le Nostre felicitazioni alla famiglia religiosa che l’ha educata alla santità nella Chiesa terrena, a quella famiglia benedettina, che è stata «scuola del divino servizio», per tanti secoli e per innumerevoli anime, tanto nel ramo maschile, che in quello femminile, e che oggi si allieta di annoverare fra le schiere delle anime elette, riconosciute degne dell’eterno premio, questa umile sua alunna, la quale testimonia col silenzioso suffragio delle virtù cristiane professate in grado eminente la perenne fecondità del grande albero, piantato da San Benedetto, e valido sempre a ornarsi di nuovi fiori e di nuovi frutti nelle stagioni tempestose della storia, quando dalla primitiva radice attinge con fedeltà la sua linfa evangelica.


LA NUOVA GLORIA DEL LAZIO E DELLE REGIONI CIRCOSTANTI

Ci congratuliamo con tutto l’ordine benedettino, che vediamo qui rappresentato in maniera tanto cospicua; e volgiamo in augurio per la sua stabilità, per il suo incremento, per la sua santificazione il gaudio che Noi stessi proviamo nel riconoscergli il merito d’aver dato al mondo un nuovo saggio della sua tipica santità. Cosi vogliamo felicitarci col monastero delle Benedettine di Veroli, che ebbe la fortuna d’aver membro della sua pia ed austera comunità la nuova Beata, per oltre settanta anni, e le fu ambiente fervoroso e raccolto di formazione allo spirito religioso e di esercizio delle virtù claustrali; e siamo sicuri che, auspice la protezione della gloriosa sorella, gli esempi da lei lasciati avranno nel monastero di Santa Maria de’ Franconi sempre fedele memoria e perpetua sequela. Ci è parimente grato pensare che l’esultanza del monastero di Veroli s’irradierà su tutte le Figlie di San Benedetto e di Santa Scolastica nell’intera Chiesa di Dio, e conforterà quei propositi di costanza nelle loro provate tradizioni e di rinnovamento postconciliare di vita religiosa, dei quali Ci fu edificante testimonianza l’incontro, che Noi avemmo con le Abbadesse e con le Priore dei monasteri benedettini in Italia, nell’ottobre scorso. Né vogliamo dimenticare nel coro di questa spirituale letizia la diocesi di Veroli e Frosinone, il suo degno Pastore qui presente, il suo Clero, i suoi Fedeli, e le vicine Abbazie celeberrime di Montecassino e di Casamari; così pure tutta quella cara regione di Ciociaria, con le sue Autorità civili, che vediamo qui degnamente rappresentate, e la sua popolazione, che avemmo lo scorso anno la soddisfazione di incontrare in una Nostra brevissima, ma indimenticabile visita a quei luoghi illustri per memorie pontificie; sì, esulti tutta la valle del Sacco e il sovrastante Abruzzo e la vicina Campania per questo religioso avvenimento, che esaltando all’onore degli altari una modesta, ma degna e singolare e autentica donna di quella terra benedetta, ne rievoca la storia intessuta di fede e di lavoro, ne personifica l’ingenua ed umana virtù, e ne impegna la presente e le successive generazioni alla sua secolare e rifiorente vocazione cristiana.


FISIONOMIA SPIRITUALE DELLA BEATA

Ed ecco che prima di sciogliere questa sacra riunione, la prima celebrativa della nuova Beata, noi vorremmo riportarne nei cuori la pia e dolce figura, non tanto nei suoi lineamenti sensibili, che, sebbene a noi ignoti nella loro fisica immagine, ci è facile immaginare simili a quelli di tante religiose raccolte e composte nella loro severa uniforme, spiranti verginale candore e spirituale serenità - tali, dicono i biografi, furono appunto le sembianze di Maria Fortunata, velate insieme ed ornate di monastica povertà e di deliziosa innocenza - quanto piuttosto ci piacerebbe definire a noi stessi la fisionomia spirituale della Beata, e recarne con noi, in sintesi, l’immagine agiografica, vista e compresa con un solo sguardo nel suo aspetto caratteristico, a nostro stimolo e conforto, ed a confronto con altre figure di anime sante, delle quali la Chiesa del cielo possiede bellissima varietà.

Sarebbe allora questo il momento di tessere il panegirico di questa nuova Beata; e la lineare uniformità della sua lunghissima vita sembrerebbe tentarne la prova, con facilità, come se fosse subito fatta. Ma non faremo questo panegirico; in primo luogo, perché una sua qualsiasi fedeltà narrativa e una qualsiasi introspezione psicologica di quella vita stessa Ci obbligherebbe a ben lunghe dissertazioni: la vita di Madre Fortunata, quantunque contenuta nello schema semplicissimo e disadorno d’una conversa in un monastero di clausura, non è povera, non è monotona, non è priva di delicate e complicate esperienze spirituali e di riferimenti quanto mai istruttivi con i costumi e con gli avvenimenti del tempo suo. Vi sarebbe infatti molto da dire. Ci compiacciamo con i biografi della Beata che hanno saputo mettere in interessante rilievo la ricchezza ascetica e mistica della sua povera vita. È nelle vostre mani il bel volume che descrive il profilo agiografico della Beata Maria Fortunata; ed è questa la seconda ragione che Ci dispensa dal parlare più a lungo di lei; sarà utile per chiunque vorrà fare migliore conoscenza della nuova Beata concedersi l’agio d’una tranquilla lettura di quelle pagine edificanti.


NELLA UMILTÀ IL MOTIVO PRECIPUO DEL TRIONFO

Ma ciò non Ci dispensa dal condensare in una sola parola questa vita, questa santità, quasi per classificare sotto tale parola quanto di lei si può dire; e la parola è umiltà. L’abbiamo espressa anche nel Breve di beatificazione; e pare a Noi cogliere il lato più vero di quella esistenza, come pure la ragione precipua della sua presente glorificazione, la quale ad altro non mira che a mettere in vista il riflesso della legge evangelica in quell’anima che di tale riflesso ha fatto sua perfezione.

Umiltà: Maria Fortunata personifica questa virtù. La sua grandezza è questa piccolezza. Siamo nel quadro del Magnificat; e questo già dice il grado d’autenticità cristiana e di profondità spirituale della perfezione propria di Maria Fortunata. L’umiltà è il suo messaggio; il quale ci invita e quasi ci obbliga a ripensare la paradossale esigenza della vita cristiana, fondata appunto sopra una convinta coscienza della propria nullità e sopra l’applicazione pratica di tale coscienza, sia nel giudizio personale che il cristiano deve coltivare di sé, sia nel confronto depressivo (così difficile!), ch’egli deve subire nella conversazione col prossimo, e sia nel colloquio accusatore della propria miseria a cui la presenza di Dio lo chiama, il colloquio della suprema sincerità e della abissale necessità di divina misericordia. E che l’umiltà sia reclamata da Cristo, come prima condizione dell’ammissione al suo regno, non ha bisogno di prove; basti ricordare fra le tante, di cui è pieno il Vangelo, la parola che sembra definire Maria Fortunata, oggi rivelata prima fra gli ultimi: «Se non vi convertirete e se non vi farete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (
Mt 18,3). Maria Fortunata è così; e questo spiega com’ella abbia preferito il più basso livello nella stessa vita religiosa, e come con vittoriosa naturalezza vi abbia svolto il suo nascosto e soggetto programma di perfezione.


GLI INSEGNAMENTI DEL GRANDE PATRIARCA DELLA VITA RELIGIOSA

San Benedetto le fu maestro. Tutti conoscono la celebre pagina della sua regola monastica, dove parla dei gradi dell’umiltà (c. VII); e dove a Noi pare scorgere la risposta alla gravissima obiezione che contro l’umiltà solleva la coscienza dell’uomo, di quello moderno in ispecie, che fa di se stesso vertice d’ogni valore e parla della propria personalità come del tesoro più prezioso da conquistare e da custodire; pagina, diciamo, dove si parla d’un duplice movimento dell’anima che si fa alunna della scuola d’umiltà cristiana: un movimento di discesa e un movimento di salita. San Benedetto svolge la sua lezione ricordando la biblica scala di Giacobbe: exaltatione descendere et humilitate ascendere; è il duplice movimento spontaneo e trascinante dell’anima che viene a contatto con Dio. L’umiltà è virtù fondamentalmente religiosa. Chi viene a contatto con Dio è al tempo stesso sprofondato nella avvertenza della metafisica realtà della propria piccolezza, della propria miseria, della propria nullità; ed è insieme sollevato all’inebriante e vertiginosa altezza della vicinanza di Dio e alla illuminata coscienza dei doni ineffabili che da Lui ci derivano; così che davvero «chi si umilia sarà esaltato, e chi si esalta sarà umiliato» (Mt 23,12), e che nulla perde di ciò ch’è vero, grande, unico nell’uomo che fa dell’umiltà evangelica la filosofia del suo pensiero, la sapienza cristiana della sua vita; anzi in tale umiltà scopre la vera gerarchia dei valori, e quasi senz’avvedersene fa propri quelli che la bontà di Dio mette a sua disposizione: è questo il tesoro degli umili, dove tutto è bello, perché porta il divino riflesso, tutto è pieno di pace, di letizia, di speranza, perché appunto agli umili questi doni superiori sono rivelati ed offerti (cf. Matth. Mt 11,25). Maria Fortunata ci si presenta appunto così; e sembra con quel suo sembiante soave e con quelle sue misteriose parole: «Potenza e carità di Dio!» introdurci nei sentieri aspri e veri e lieti della perfezione evangelica. Diciamo ora a noi stessi la verità: un senso di confusione, non forse di umiltà, ma piuttosto di umiliazione ci sorprende: ella, sì, ha saputo «humilitate ascendere»; e a noi resta di ammirare, invocare e, Dio voglia, imitare.


UNA SCHIERA DI ONORE LETIZIA SPERANZA SANTITÀ

Ed a questo punto il Nostro sguardo, dalla visione della nuova Beata, si allarga sulla schiera immensa delle Religiose cattoliche: claustrali assorte nel canto della lode divina e suore affaccendate nei più vari esercizi della carità, nelle scuole, negli ospedali, nelle missioni, anche esse tutte coperte dal velo oscuro dell’anonima umiltà e tutte protese nella ricerca dell’amor di Dio e del prossimo, d’una sognata perfezione evangelica. Il loro nome è umile sacrificio e fiammante amore; e tutte sembrano riflettere il sorriso, la purezza, il coraggio, l’obbedienza, il lavoro, la pietà di Maria Fortunata. Quante, quante sorelle seguono i tuoi. passi, o Beata! Quanto quieto splendore inonda da loro sulla Chiesa! A vedere il Popolo di Dio ingemmato da Te, o Beata Maria Fortunata, e dal loro generoso dono a Cristo Gesù, la Tua beatificazione, o Maria Fortunata, con la lunga schiera delle pie seguaci, si fa nostra letizia, e con nuovo ardore, con nuova speranza benediciamo il Signore.




B. Paolo VI Omelie 30967