B. Paolo VI Omelie 27045

27 avril 1975: BÉATIFICATION DE CÉSAR DE BUS

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... in francese

Rivolgiamo un particolare saluto ai pellegrini di lingua italiana, presenti a questa solenne celebrazione liturgica per la beatificazione di Cesare de Bus. Il nuovo Beato è figura che attrae e fa pensare: la sua storia singolare; il suo fermissimo proposito di conversione, proprio durante un Giubileo, quello del 1575; il suo programma di evangelizzazione fino alla morte, continuato fino al giorno d'oggi mediante la Congregazione religiosa dei Dottrinari, da lui fondata, presentano un fascino tutto moderno, e ci dicono che nulla è impossibile a chi abbia preso sul serio la vocazione cristiana, che è fondamentalmente vocazione alla santità. Il nuovo Beato ha perciò tanto da dirci, e ci incoraggia col suo esempio forte e mite a seguire sempre più da vicino Cristo Maestro, Via, Verità e Vita. La diletta Nazione italiana ha anche un titolo particolare per invocarlo, perché Cesare de Bus appartenne a una famiglia di origine anch'essa italiana e le sue reliquie sono custodite a Roma: sia egli propizio al popolo fedele, che affidiamo alla sua intercessione e alla sua protezione.

On thi day of joy we acclaim the merits of Christ and the power of his Pascha1 Mystery reflected in the life of Blessed Cesar de Bus. We present before the world fresh motivation for confidence and Courage. To all the members of the Church of God we repeat the words of Jesus: «Let not your hearts be troubled . . . I am the way, and the truth, and the life» (
Jn 14,1 Jn 14,6). In a special way, we wish to express our love and support for those who are devoted «to prayer and to the ministry of the word» (Ac 6,4) - to all those who through their teaching give glory to the Lord.

Auch euch, liebe Pilger Deutscher Sprache, gilt Unser herzlicher Willkommensgruss. Beherzigt in eurem Bemühen um religiöse Erneuerung in diesem Heiligen Jahr die Worte des seligen Cesar de Bus, der uns ermahnt: "Das Christentum muss mehr gelebt als gepredigt werden!"Vir alle sind dazu berufen, durch unser christliches Leben, für unsere Mitmenschen Weg zu Christus und Vermittler seiner Versöhnung zu werden. Dazu ermutige und bestärke uns der selige Cesar de Bus durch sein eigenes Lebenszeugnis und durch seine mächtige Fürsprache.

A todos vosotros, queridos peregrinos de lengua española presentes en la Basílica, dirigimos nuestro cordial saludo. Pedimos al Señor, por intercesíon del nuevo Beato, que os ayude siempre a vivir con entusiasmo y generosidad los ideales de una auténtica vida cristiana. Con estos deseos, impartimos a vosotros y a vuestros familiares nuestra paterna Bendición Apostólica.






1° maggio 1975: FESTA DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

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La buona educazione cristiana, che trova nella Sacra Scrittura le sue abituali espressioni, mette nel nostro cuore e sulle nostre labbra, parole cordiali di saluto per questa religiosa riunione: che la grazia e la pace (
Rm 1,7) del Signore sia con voi! Siate i benvenuti a questo spirituale convegno! La nostra voce vuole aprirsi oggi specialmente verso di voi (Cfr. 2Co 6,11), Lavoratori, che sempre abbiamo avuto presenti nella nostra stima e nel nostro ministero. Grazie per la vostra presenza! non è quella di forestieri, ma quella di fratelli e di figli, per i quali sentiamo il dovere, un grato dovere, di particolare affezione e di speciale considerazione. Grazie, carissimi; e con voi siano salutati quanti altri fedeli di Roma, o pellegrini qua venuti in occasione dell'Anno Santo; a tutti il nostro riconoscente e benedicente saluto!

Ma questa sacra celebrazione, vi diremo con semplice sincerità, mette nel nostro animo una certa trepidazione. Perché? perché essa, questa celebrazione, si qualifica da due note, che, a prima vista, non sembrano facilmente consonanti; prima nota: oggi è il primo Maggio, e sappiamo quale risonanza abbia una tale data nell'opinione comune, specialmente nel mondo del lavoro: è la festa del lavoro! seconda nota: codesta riunione riveste un carattere religioso, sia perché essa è rivolta al culto di S. Giuseppe, artigiano, padre putativo di Gesù e vostro particolare patrono, Lavoratori, sia perché questo rito sacro si collega con quelli del giubileo, che fa di questo 1975 un anno santo, un anno dedicato alla revisione spirituale e morale delle nostre coscienze, per metterle in ordine, di fronte a Dio e alla Chiesa, e richiama alle basiliche romane, fra le quali San Pietro, quei credenti, che, sulla tomba del primo Apostolo, Martire e Vescovo di Roma e della Chiesa cattolica, vogliono professarsi fedeli e implorare perdono e fortezza per rimettersi in forma nuova e felice a vivere da uomini buoni e da veri cristiani.

Vanno d'accordo queste due note, profana l'una, religiosa l'altra? ovvero la loro sinfonia costituisce una stonatura? una forzatura artificiale? Si può forse conservare al primo maggio il suo carattere di festa del lavoro, ed insieme infondervi i sentimenti spirituali, propri d'una memoria liturgica in onore di S. Giuseppe, e insieme d'una celebrazione giubilare? La vostra presenza vince ogni dubbio e risponde: sì! Sì, Fratelli e Figli carissimi; noi raccogliamo codesta franca risposta; e vi diciamo che, dopo avervi molto pensato, noi la troviamo risposta vera e sapiente. Avremmo anzi molte, moltissime cose, da riferirvi a questo proposito. Ma bastino ora pochissime e semplicissime osservazioni. La prima però è un'osservazione capitale; ed è questa: come mai si può storicamente e logicamente sostenere che vi sia un'opposizione fra l'esaltazione del concetto del lavoro, quale oggi voi dovete avere nei vostri animi, e il compimento d'un atto religioso, altamente qualificato, qual è uno speciale atto di culto al Santo operaio di Nazareth, e unito alla celebrazione del giubileo, proprio di quest'anno santo? sono due atti contrari? si escludono l'uno dall'altro?

Ben lo sappiamo che la mentalità circa il lavoro, diffusa nel mondo moderno, si è affermata spesso come suprema e come esclusiva; ma sappiamo anche, e voi tutti sapete, che codesta mentalità professionale, codesta idealità operativa, cioè il lavoro, tanto è più alta, tanto è più degna, noi aggiungeremo, tanto è più sacra, quanto più si integra nella concezione superiore e globale della vita, nel riconoscimento del primo posto, che nella scala dei valori occupa l'uomo. L'uomo è primo. È l'uomo che produce il lavoro; e il lavoro, ch'è lo sforzo per dominare la terra, tende a servire l'uomo. Se così non fosse, l'uomo ritornerebbe schiavo; e il lavoro segnerebbe al livello materialista la statura, lo sviluppo, la dignità dell'uomo. Ora se l'uomo, cioè la vita nostra, è il primo valore, noi non possiamo decapitare l'uomo negandogli la sua essenziale proiezione verso la trascendenza; diciamo semplicemente: verso Dio, verso il mistero che tutto sostiene e tutto spiega; sì, Dio; che ha fatto dell'uomo un lavoratore, cioè un suo collaboratore (Cfr. 1Co 3,8) ma obbligandolo, dopo la prima fatale caduta, a guadagnarsi con sudore, con fatica, il suo pane, cioè il suo nutrimento, il suo perfezionamento, appunto in questo rapporto di forza dell'opera umana con il mondo da conquistare e da ridurre a strumento utilitario e a fonte di vita.

Il lavoro: pena e premio dell'attività umana. Così che in questa visione superiore, ch'è la vera, il lavoro ha di per sé un altro rapporto, ed è quello essenzialmente religioso; l'hanno ben compreso i monaci medioevali, tuttora maestri di vita, condensando in una felicissima formula tutto il loro programma: ora et labora, prega e lavora. Così è, così è, fratelli; e perciò questo nostro modo di celebrare il primo maggio non deforma l'aspetto celebrativo del lavoro umano, ma gli conferisce una spiritualità animatrice e redentrice. Noi dobbiamo comprendere questa parentela tra il lavoro e la religione, una parentela che riflette l'alleanza misteriosa, ma reale e confortante della causalità umana con la provvidenziale e paterna causalità divina. Finché il mondo del lavoro non saprà affrancarsi dalla suggestione radicalmente materialista ed ombrosamente laicista, dalla quale oggi è quasi allucinato, come se essa soltanto avesse fondamento scientifico e razionale e come se essa costituisse una liberazione, la liberazione di chi cammina senza sapere dove, e rappresentasse la formula obbligata e risolutiva dell'evoluzione sociale contemporanea, solo stimolo efficace e fecondo di civile progresso, noi non avremo una sociologia organica veramente umana, né tanto meno cristiana, ma una pesante convivenza organizzata da complicati ed impersonali ingranaggi economici e legali, non una società veramente libera, naturale e fraterna. Bisogna ridare le ali, ora spesso mozzate, al lavoratore, affinché riacquisti la sua vera e piena forma umana e la sua nativa levitazione; le ali dello spirito, della fede, della preghiera; gli orizzonti della speranza, della fraternità, della giustizia, della comunità e della pace.

Noi conosciamo le cento obiezioni a questo nostro sogno augurale; e prima fra esse quella che accusa la religione di inutilità, anzi di ostacolo al positivo progresso della civiltà. Nessuno di voi, noi pensiamo, può essere convinto di questo vecchio aforisma: «la religione, oppio del popolo», smentito dalla storia, intendiamo dalla storia animata dal Vangelo; aforisma superato dalla documentazione delle dottrine della Chiesa, tutte impregnate di amore per il popolo, e oggi più che mai testimoniate dall'impegno dei suoi figli e dei suoi santi. Potremmo, se volessimo polemizzare, ritorcere l'obiezione, chiedendo se l'impiego sistematico dell'odio, della rivolta, della violenza, della lotta contro membri d'una medesima società reclamato da rivendicazioni puramente positiviste, non abbia forse maggiormente ritardato le legittime e auspicate conquiste del mondo del lavoro esecutivo, suscitando contro le sue aspirazioni rigidi antagonismi ed implacabili egoismi. E potremmo, a questo proposito, ripetere le parole del nostro compianto e venerato Predecessore, Papa Giovanni XIII, il quale, proprio in un suo discorso di primo maggio, nel '59, citava parole sue, pubblicate qualche anno prima, a Venezia, per scongiurare, egli diceva, «il pericolo che penetri nelle menti lo specioso assioma che, per fare la giustizia sociale, per soccorrere i miseri d'ogni categoria,... bisogna assolutamente associarsi coi negatori di Dio e gli oppressori delle libertà umane» (Cfr. AAS 51, 1959, p. 358).

Ma vogliamo in questo felice momento raccogliere i nostri animi a più sereni pensieri. Lasciate, Figli carissimi, che noi salutiamo in voi tutto il mondo del lavoro e che lo assicuriamo della nostra affezione e della nostra cristiana amicizia. Lasciate che il nostro pensiero particolare si rivolga in modo speciale a tutti quelli che soffrono per la pesantezza e per la insalubrità della loro fatica, per la insicurezza della loro occupazione, per la insufficienza delle loro abitazioni e delle loro retribuzioni. Soffriamo con loro e vorremmo essere in grado di aiutarli! Noi osiamo invocare per tutte codeste pene e codeste insufficienze l'opera sollecita e intelligente delle autorità competenti, ed esprimiamo il nostro incoraggiamento e il nostro elogio per quanti dedicano cure e mezzi per dare ai lavoratori condizioni sempre più giuste e più stabili per la loro attività e per il loro benessere. E per voi, carissimi, e per quanti, Sacerdoti e Laici, vi vogliono bene, e, nel nome di Cristo e dell'umana solidarietà, sono a voi di conforto e di aiuto, oggi innalziamo al Signore la nostra preghiera e imploriamo da Lui, auspice il vostro collega e protettore San Giuseppe, una grande consolatrice benedizione.

Nous voulons saluer maintenant les pèlerins venus de France et des pays d'expression française. A travers eux, Nous adressons aussi notre salut cordial à tous ceux qu'ils représentent, en particulier à tous ceux qui travaillent pour assurer au monde le pain et le mieux-être. Que Saint Joseph soit leur modèle et les protège, et Nous, de grand coeur, Nous les bénissons.

As we honour Saint Joseph and extol his role as a worker and a just man, we likewise proclaim the dignity of al1 those like him who are engaged in honest labour and toil. To all the Christian workers of the World we say: «May the peace of Christ reign in your hearts, because it is for this that you were called . . .» (Col 3,14). We pray that you will be faithful to your responsibility in building a better World, and that the Lord will indeed give you joy and satisfaction as you fulfil your high vocation of service. And «do everything in the name of the Lord Jesus» (Ibid. 3, 17).

Unser herzlicher Gruß den Pilgern deutscher Sprache. Josef ist der bescheidene und gerechte Mann. Er verdiente sein Brot durch seiner Hände Arbeit. Er ist unser aller Vorbild beim Aufbau einer gerechten und friedvollen Welt. Er ist unser Fürsprecher in unseren kleinen und großen Anliegen, in unseren irdischen Nöten und auf unserem Weg zum ewigen Heil.

Dirigimos ahora nuestra palabra a todos vosotros, amadisimos peregrinos de lengua española. Que San José, a quien hoy veneramos corno ejemplo y protector del mundo del trabajo, os ayude a descubrir a Jesucristo en vuestra actividad diaria y en vuestra relación con los hermanos. Así lo pedimos de todo corazón.





8 maggio 1975: SANTA MESSA DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

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Fratelli venerati e Figli carissimi,

Fedeli alla norma liturgica, noi sospendiamo per un breve momento il sacro rito, che stiamo celebrando, e cerchiamo di fissare la nostra attenzione sul mistero che oggi mette in festa la Chiesa: il mistero dell'Ascensione di nostro Signor Gesù Cristo al cielo, dove Egli siede nella gloria alla destra del Padre. Mistero dell'Ascensione! oh! veramente mistero! mistero per ciò che si riferisce a Cristo; mistero per il modo con cui a noi è dato ancora di pensare e di avere presente la sua divina ed umana figura, e mistero per il riflesso che questo estremo e supremo destino di Cristo ha su quello dell'umanità, sulla Chiesa da lui fondata, sulla terra e su ciascuna delle nostre esistenze.

Oh! veramente mistero, sia nel senso ontologico e teologico che questo avvenimento ultimo e conclusivo della vita di Gesù sulla terra ha nel disegno divino dell'Incarnazione e della Redenzione: quale nuova rivelazione ci è data dalla sua scomparsa dalla scena sensibile e storica di questo mondo! E sia nel senso fenomenico per cui Cristo è sottratto alla nostra terrena conversazione, e misteriosamente scompare dal nostro sguardo sensibile. Ricordiamo la brevissima, ma sorprendente narrazione del fatto, quale ci è data da San Luca nel primo capitolo degli «Atti degli Apostoli», della quale abbiamo testé ascoltata la laconica, ma scultorea lettura: dopo l'ultimo saluto agli Apostoli, con la profetica promessa della missione dello Spirito Santo e della diffusione del Vangelo fra i popoli, Gesù, «mentre essi guardavano, si levò in alto e una nuvola lo nascose ai loro occhi» (
Ac 1,8-9).

Primo aspetto dell'avvenimento, il solo sperimentale: Gesù si innalza, cioè si distacca dalla terra, e scompare, si nasconde: i nostri occhi bruceranno di insonne desiderio di rivederlo, di vederlo ancora; ma fino alla sua «parusia», cioè fino alla sua ultima e apocalittica apparizione, in un mondo totalmente diverso da quello nostro presente, non lo vedremo più! la generazione degli Apostoli scomparirà, senza che la tensione della loro attesa sia soddisfatta; così per le altre generazioni successive, così per la nostra presente generazione, che ancora vive del suo ricordo e ancora aspetta la sua trionfale e finale ricomparsa, Gesù rimane invisibile. Facciamo attenzione, Fratelli e Figli! Invisibile, ma non assente! Innanzi tutto: questo distacco escatologico, cioè ultimo e definitivo, di Gesù dalla umana conversazione è già di per sé una conferma della sua divinità, e un avallo del suo disegno salvifico nella storia universale dell'umanità. Gesù, nei discorsi della notte imminente alla sua passione e alla sua morte, dichiarò: «Io vi rivedrò e il vostro cuore esulterà, e nessuno potrà rapirvi la vostra gioia . . . Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; di nuovo lascio il mondo e vado al Padre» (Jn 16,22 Jn 16,28); «è un bene per voi ch'io me ne vada, perché se non vado, il Paraclito (quale annuncio!) non verrà a voi» (Jn 16,7).

Noi siamo qui in un'atmosfera, che potremmo dire surreale. Ma questa rivelazione ci introduce finalmente nel disegno supercosmico dell'economia soprannaturale: «noi aspettiamo, scriverà l'Apostolo Pietro, nuovi cieli e nuova terra» (2P 3,13). Solo che noi, diciamo noi moderni specialmente, educati alla conoscenza scientifica del mondo, e soddisfatti e fieri della sovrabbondante ricchezza delle nostre conquiste sperimentali e culturali, non siamo facilmente predisposti ad ammettere un ordine diverso da quello che costituisce il quadro della nostra presente esplorazione; e sebbene esso ci sveli, ad ogni indagine, una ordinatrice sapienza polivalente, anzi staremmo per dire, una libera fantasia creatrice divina in ogni suo aspetto, noi siamo forse assaliti dal dubbio circa la possibilità, circa la futura realtà d'un ordine soprannaturale, e facilmente mormoriamo col servo cattivo della parabola: «tarda ormai il mio padrone a venire . . . » (Mt 24,28); per concludere, circa la dottrina escatologica del Vangelo: sarà vera? non manca forse di prove razionali? Dimenticando così, come dicevamo, che Gesù, - ora invisibile, e tollerante che la vicenda della natura e del tempo proceda col suo inesorabile ritmo, mentr'e il dramma della libertà umana svolge il suo gioco, docile o temerario, - Gesù non è assente, anzi Egli è ancora con noi; sì, con noi, per chi è attento a cogliere nel segno, cioè nel sacramento della sua parola (Jn 8,25) ovvero della sua immagine riflessa nell'umanità sofferente (Mt 25,40), oppure nella sua Chiesa vivente e testimoniante (Cfr. LG 1 Ac 9,4), e finalmente nella realtà sacramentale e sacrificale eucaristica la sua multiforme presenza. Come, del resto, Egli, all'ultimo congedo, aveva asserito: «Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Ma come, come vederlo, come riconoscerlo, come riascoltare la sua voce, come aprirgli il nostro cuore, se le vie naturali della nostra conversazione sono incapaci di superare l'abisso, che il mistero dell'Ascensione ha scavato fra Lui e noi? Lo sappiamo. Gesù si è nascosto, affinché noi lo cercassimo; e noi sappiamo qual è l'arte, qual è la virtù, che ci abilita a questa ricerca, anzi a questa scienza superrazionale della misteriosa presenza di Cristo fra noi. È la fede, che nel battesimo ci è infusa, e che ex auditu si determina (Cfr. S. THOMAE In IV Sent. 4, 2, 2, sol. 3), accogliendo cioè la parola di Cristo insegnata dalla Chiesa; la fede, che nel suo esercizio, come c'insegna S. Agostino, ha pure i suoi occhi, habet namque fides oculos suos (Cfr. S. AUGUSTINI Ep 120, PL 33, 456; et En. in Ps 146, PL 4, 1897); esercitata con amore e per amore alla divina verità, con gli «occhi del cuore», cresce nella sua certezza, approfondisce la sua visione, e diventa un'esigenza d'azione (Cfr. Ga Ga 3,11).

Festa perciò della fede questa nostra dell'Ascensione; una fede che spalanca la finestra sull'oltretempo riguardo a Cristo risorto, lasciandoci intravedere qualche cosa della sua gloria immortale: e sull'oltretomba riguardo a noi morituri, ma destinati, alla fine dei nostri giorni nel tempo, alla sopravvivenza nella comunione dei Santi e alla risurrezione dell'ultimo giorno per l'eternità. La fede allora diventa speranza (He 11,1); una speranza vittoriosa emana dal mistero dell'Ascensione, fonte ed esempio del nostro futuro destino, e che può e deve sorreggere il faticoso cammino del nostro pellegrinaggio terrestre. E la speranza, ci è assicurato, non delude: spes autem non confundit (Rm 5,5). Amen!






18 maggio 1975: SANTA MESSA NELLA BASILICA VATICANA

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Venerati Fratelli, Figli dilettissimi,

Parlare della Pentecoste! Due sentimenti, spontaneamente contrari, si agitano nell'animo di chi si propone di aprire le labbra su tema di tale natura e di tale importanza; il primo è quello paralizzante di trepidazione, che la Bibbia attribuisce a Geremia, il giovane predestinato, a cui il Signore comunica l'ordine d'essere profeta alle genti, e che la nostra Volgata dalla voce balbettante di lui traduce così: «ah! ah! ah! Signore Iddio, ecco ch'io non so parlare» (Ier. 1, 6), tanto questo tema sale al livello del sublime, e raggiunge l'ineffabile; si preferirebbe contemplare in assorto silenzio il mistero della Pentecoste. L'altro sentimento invece è quello d'un esuberante entusiasmo, quale erompe dal petto di Pietro, ormai da discepolo in funzione di apostolo con gli altri undici, il quale nell'ora dell'avvenimento strepitoso grida: «Uomini, ascoltate; ciò che ora accade è quello che fu predetto dal profeta Joele: e avverrà, dice il Signore, che Io negli ultimi giorni manderò del mio Spirito su ogni carne, e i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, e i vostri giovani avranno delle visioni e i vostri vecchi avranno dei sogni. Sì, in quei giorni, sui miei servi e sulle mie serve, diffonderò del mio Spirito e profeteranno . . . » (
Ac 2,14-18).

E indubbiamente questo secondo sentimento prevale e trascina il primo con sé, per dare alla Chiesa, al mondo l'annuncio del grande evento, rivelatore innanzi tutto della Vita intima di Dio, unico nell'Essere, trino nelle Persone, com'era già stato predetto da Cristo: «Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito, affinché rimanga in eterno con voi, lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede, né lo conosce; ma voi lo conoscerete, perché dimorerà in voi e sarà in voi» (Jn 14,16-17). Così che, Fratelli e Figli, il discorso di Pentecoste, vogliamo dire, la dottrina, la teologia, la scienza della suprema Realtà religiosa, il mistero stesso della Vita, infinitamente trascendente, di Dio, ci è oggi proposto, e non lo potremo mai più dimenticare, anche se la capienza del nostro pensiero ne rimane, al tempo stesso, inondata e sopraffatta. Sì, è difficile, anzi impossibile ai nostri occhi fissare il sole; essi ne restano abbagliati, bruciati; ma sta il fatto che nulla noi potremo con questi medesimi occhi vedere, se l'oggetto del nostro sguardo non sia illuminato dal sole.

Dio è il nostro sole. E la sua diretta fulgurazione ci ha rivelato che le Relazioni intrinseche alla sua sovrana esistenza sono Persone, le tre divine Persone; e che il Padre, eterno primo principio, genera il proprio Pensiero, il Verbo, il Figlio eterno, ch'Egli mandò al nostro mondo, affinché vestito della nostra umanità si chiamasse Gesù e ne vivesse il dramma salvifico; e poi lo Spirito anch'Egli divina Persona procedente come Amore dall'infinita compiacenza e beatitudine tra il Padre e il Figlio, fu pure mandato al mondo a compiere, a dilatare l'opera del Figlio, cioè di Cristo: ecco la Pentecoste, momento di pienezza e sorgente della forma istituzionale di questa opera divinizzante e salvatrice, ecco la Chiesa, «sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio», come afferma il recente Concilio (Lumen Gentium, LG 1), indicando così il primo effetto trascendente e il primo aspetto soprannaturale del nuovo e diretto rapporto, che Dio ha voluto instaurare con l'umile e sublime sua creatura, ch'è l'uomo, che siamo noi; e poi, continua la lezione del Concilio, ancora riferendosi alla Chiesa ne estende la definizione di «sacramento o segno e strumento dell'unità di tutto il genere umano».

Perciò noi fissiamo questo cardine di tutto il sistema religioso e teologico, che definisce le vere, le autentiche, le necessarie relazioni dell'umanità con la divinità: esse si realizzano ora nello Spirito Santo. «In verità, in verità ti dico, insegna Gesù a Nicodemo, se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santa non può entrare nel regno di Dio» (Jn 3,5). Dopo un simile discorso noi oggi vorremmo non solo possedere subito lo Spirito Santo, ma sperimentare gli effetti sensibili e prodigiosi di questa meravigliosa presenza dello Spirito Santo dentro di noi. Perché sappiamo che lo Spirito è luce, è forza, è carisma, è infusione d'una vitalità superiore, è capacità di oltrepassare i limiti dell'attività naturale, è ricchezza di virtù soprannaturali, ricchezza di doni, i celebri sette doni, che rendono pronto ed agile l'operare dello Spirito Santo coordinato al complesso sistema psicologico umano, e ricchezza di frutti spirituali che adornano di bellezza il fecondo giardino della cristiana esperienza (Cfr. Ga Ga 5,22-23).

Ma noi ora, annunciando il mistero di Pentecoste, sostiamo sulle sue soglie: come, come possiamo a noi procurarlo? Anche questa fase dell'avvenimento pentecostale merita e basta per ora alla nostra presente riflessione. La preparazione non è superflua anche se il grande Dono dello Spirito è gratuito, e può in noi trasfondersi con l'impeto del suo vento e con l'improvvisa accensione del suo fuoco, come accadde in quel giorno unico e storico della nostra prima Pentecoste. Anch'esso del resto, quel giorno prodigioso, ebbe la sua preparazione. Preparazione del silenzio interiore, in cui la coscienza ha maturato la sua conversione, la sua purificazione, la sua metánoia. Noi moderni siamo troppo estroflessi, viviamo fuori di casa nostra, e forse, come ebbe a dire un noto filosofo, uscendo di casa noi abbiamo perduto la chiave per rientrarvi. L'incontro con lo Spirito Santo e santificante, se pur sparge le sue tracce dappertutto nella scena delle cose esteriori («niente è senza voce» (Cfr. 1Co 14,10) per chi sa ascoltare), avviene nel segreto del cuore, dov'è custodita la parola del Signore (Cfr. Jn 14,23), là dove l'uomo è se stesso, nella solitudine della sua personalità.

Per questo gli apostoli, prima del grande giorno, erano «insieme perseveranti nell'orazione . . . con Maria, Madre di Gesù» (Ac 1,14): è il primo, fortunatissimo ritiro spirituale. Al silenzio perciò si unisce la preghiera, che nell'espressione tradizionale della Chiesa si pronuncia con un'implorazione ben nota, d'invocazione, di desiderio: vieni! vieni, o Spirito creatore! vieni, o Spirito Santo! E il miracolo si compie, per noi nel momento sacramentale della giustificazione, la remissione dei nostri peccati, lo sappiamo, mediante la confessione, che risuscita l'anima sollevandola allo stato di convivenza con la vita divina (Cfr. 2P 1,4), stato questo che chiamiamo di grazia sì, ineffabile grazia, stato che ci dovrebbe essere più caro, come c'insegnano i Santi, della stessa vita naturale, perché vale per essa e vale più di essa; è uno stato infatti di vita soprannaturale, a cui di per sé è assicurata la pienezza e la beatitudine della vita eterna.

A questo punto la preparazione già sfocia nel compimento del mistero pentecostale: lo Spirito Santo, cioè Dio Amore, vive nell'anima, e l'anima subito si sente invasa da un improvviso bisogno di abbandonarsi ,all'Amore, un super-Amore; e si sente insieme quasi sorpresa da un insolito coraggio, il coraggio proprio di chi è felice e di chi è sicuro; il coraggio di parlare, di cantare, di annunciare agli altri, a tutti «le cose grandi di Dio» (Ac 2,11). Ecco scoppiare il miracolo delle lingue, che per noi lontani, ma non pigri eredi di tanto prodigio, si traduce nella facilità e nella felicità della testimonianza, a tutti, per tutti, in uno sconfinato raggio di apostolato. Non solo di ministero, ma di positiva, volontaria, coraggiosa attività effusiva e diffusiva del messaggio di Cristo; di apostolato, ripetiamo. E qui si fermi oggi il nostro annuncio di Pentecoste: è l'annuncio della donazione d'una nuova vita interiore animata dalla presenza e dall'energia di Dio che si comunica in Amore; è la sublimazione della vita naturale in vita soprannaturale, vita di grazia, è l'accensione cosciente, personale della duplice vocazione del nostro povero essere caduco, timido, inetto, reso abile alla contemplazione interiore e all'azione esteriore; è il giorno natalizio della Chiesa apostolica, una, cattolica e sant'a; la nostra Chiesa, la Chiesa di Cristo! Esultiamo!






25 maggio 1975: CANONIZZAZIONE DEI BEATI GIOVANNI BATTISTA DELLA CONCEZIONE E VINCENZA MARIA LÓPEZ Y VICUÑA

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Gode oggi la Chiesa, lieta di registrare nell'albo dei Santi due nuovi nomi, che ella è ormai sicura di dichiarare, secondo la espressione di Gesù, «scritti in cielo» (
Lc 10,20): sono quelli ora «canonizzati» del Beato Giovanni Battista della Concezione, Riformatore dell'ordine della Santissima Trinità, vissuto dal 1561 al 1613, e della Beata Vincenza Maria Lopez y Vicuña, Fondatrice delle Figlie di Maria Immacolata, vissuta nel secolo scorso dal 1847 al 1890. Noi tutti abbiamo gioito ascoltando poco fa la lettura dei due rispettivi Decreti, che motivando con sommarie ma decisive notizie, le ragioni del giudizio della Chiesa circa le prove ed i meriti dell'a santità rispettiva della prima e dell'altra figura di queste persone, già onorate dalla beatificazione loro riconosciuta, hanno dato a noi la felicissima occasione di proclamare la loro canonizzazione.

La schiera dei Santi si accresce. Noi tutti dobbiamo goderne per la gloria di Dio, per l'onore del Signore nostro Gesù Cristo, per il gaudio che ne deriva alla Madre dei Santi, la Chiesa cattolica, ed in particolare alle rispettive Famiglie Religiose illustrate dall'opera e dalla virtù di questi loro Santi Patroni; e poi per l'edificazione di tutto il Popolo di Dio, che sa di poter venerare in questi suoi membri benedetti due fratelli esemplari, degni d'ammirazione e di devozione, e che confida inoltre di averli solidali ed efficaci intercessori presso l'unica fonte della nostra salvezza in virtù della comunione dei Santi, Cristo Signore.

La schiera dei Santi, tali ufficialmente dichiarati, si accresce; e, a Dio piacendo, ancora, durante quest'Anno Santo, e poi negli anni successivi, si accrescerà. Non sorga in alcuno il dubbio che questo progressivo aumento di figli eletti dell'a Chiesa sia frutto d'una facile inflazione devozionale. Chi conosce la complessità e il rigore dei processi, che precedono tanto le Beatificazioni quanto le Canonizzazioni sa bene quanto la Chiesa sia cauta ed esigente nell'esigere le prove delle virtù di grado «eroico», o possiamo dire superlativo, eminente, comprovato da inconfutabili testimonianze, analizzato con rigore critico e con metodo obiettivamente storico, anzi convalidato da due verifiche, una negativa, quella così detta del «non culto», la quale assicura i giudici del processo non esservi l'influsso di qualche eventuale mistificazione popolare; e quella positiva dei miracoli, quasi come attestato trascendente d'un divino beneplacito all'eccezionale riconoscimento della santità, che la Chiesa intende venerare nei singoli e singolari candidati agli onori degli altari. La legislazione canonica è molto grave e prudente in questa materia, e tale rimane, anche se alcune forme procedurali d'altri tempi, non poco ritualizzate e complicate, dei processi in questione, dovranno essere alquanto semplificate, pur conservando la dovuta, essenziale e inequivocabile verifica dei titoli eccezionali reclamati per l'esito positivo di ognuno di tali processi.

Ma che la schiera dei Santi si arricchisca di nuovi nomi col procedere del cammino della Chiesa nel tempo, e che noi ne siamo i fortunati testimoni deve essere motivo di gaudio e di speranza: la Chiesa vive; non invecchia, ma fiorisce; e mentre le vicende della storia spesso ne turbano il pacifico svolgimento, anzi talora ne sconvolgono e ne affliggono il suo normale cammino terreno, ella reagisce in santità, offrendo a se stessa e al mondo il conforto e l'esempio di alcuni imprevisti e tipici suoi figli, che con mirabili carismi di carità e d'altre virtù evangeliche, e doni e frutti propri del Paraclito, sostengono la fede minacciata dei popoli, e offrono al loro secolo e a quelli successivi l'inestinguibile presenza dello Spirito vivificante in seno alla santa Chiesa di Cristo. E questa semplice riflessione, che potrebbe svolgersi in filosofia della storia ed in teologia della Chiesa pellegrina e militante, deve aprire oggi all'esultanza per le due Canonizzazioni ora felicemente celebrate; e le dia alimento e conferma qualche breve accenno biografico, anzi agiografico dei nuovi due eletti al titolo ufficiale di santità.

... in spagnolo.


Chers fils et chères Filles, réjouissez-vous avec Nous, en ce jour où l'Eglise inscrit officiellement parmi les saints un prêtre de I'Ordre des Trinitaires, le Père Jean Baptiste de la Co8nception, et Soeur Vicenta María López y Vicuña, fondatrice des Religieuses de Marie Immaculée. C'est grâce à une telle sainteté que l'Eglise se réforme de l'intérieur et rayonne la charité. Et cette sainteté est elle-même le reflet de l'Amour qui vient du Père, par le Fils, dans l'Esprit. Oui, c'est à la très Sainte Trinité que va d'abord notre louange. Que ce Dieu trois fois saint soit béni!

Today is the Solemnity of the Most Blessed Trinity and we have two new Saints. Dear sons and daughters, this is a day of jubilation for the entire Church of God. And as we propose these Saints to the veneration of the faithful, we bless and glorify the merits of our Lord Jesus Christ. For it is by his grate-and by his grate alone-that they have attained sanctity. We adore and thank the Holy Trinity, whose life is reflected in the lives of these Saints. May our praise ring out today in the whole Church: Blessed be God: the Father and the Son and the Holy Spirit! Blessed be God in his Saints!

Wir feiern heute, liebe Söhne und Töchter, das Fest der allerheiligsten Dreifaltigkeit und begehen gleichzeitig die Heiligsprechung von zwei neuen Heiligen: des heiligen Johannes Baptista von der Unbefleckten Empfängnis, des Reformators des Ordens der Trinitarier, und der heiligen Ordensstifterin Vincenza Maria López y Vicuña. Wir loben und preisen am heutigen Festtag dankerfüllt den dreifaltigen Gott, dass sich seine Gnadenfülle im Leben dieser beiden Heiligen so wunderbar entfaltete zum Segen ihrer Mitmenschen und der ganzen Kirche. Möge auch unser Leben durch ihre mächtige Fürbitte und nach ihrem Vorbild eine Verherrlichung des Vaters und des Sohnes und des Heiligen Geistes sein!

Em Eucaristia, convidamos os presentes de língua portuguesa à alegria: porque Deus, Trindade Santíssima nos chamou a participar, pela santidade, à Sua vida divina; e, pelos Santos canonizados agora, nos apela ao renovamento em Cristo, esclarecido e fiel, mediante o amor generoso e abnegado, e fraternal. Ao saudar e abencoar, cordialmente, todos os sedentos de ideal, jovens, donzelas e adultos, famílias cristás, neste Ano Santo de reconciliação o, diremos : vivei a mensagem deste dia luminoso!








B. Paolo VI Omelie 27045