B. Paolo VI Omelie 60775

6 luglio 1975: SOLENNE RITO DI BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO CARLO STEEB

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Noi siamo lieti che l'arcana Provvidenza divina, dalla quale la Chiesa di Dio è assistita, ci conceda di proporre alla venerazione del Popolo di Dio, di quello della insigne Diocesi di Verona in modo particolare, la figura eletta del Sacerdote Carlo Steeb, di cui voi avete ora ascoltato l'elogio e che noi abbiamo dichiarato Beato, cioè accolto dal Signore nel suo regno glorioso d'oltretomba e degno del culto che tributano ad un membro di Cristo quei fedeli di una Chiesa locale, i quali, auspice il giudizio di questa Sede Apostolica, hanno potuto osservare nella vita e nelle opere del nuovo Beato rispecchiata l'immagine di quel Cristo, al Quale noi dobbiamo la nostra salvezza, e che, con intuizione apocalittica, noi dobbiamo riconoscere «degno, quale Agnello immacolato, di ricevere la potenza e la ricchezza e la sapienza e la forza e l'onore e la gloria e la benedizione» (
Ap 5,12): Cristo risplende e trionfa nel suo discepolo. È questa assunzione del servo buono e fedele . . . nel gaudio del suo Signore (Cfr. Mt 25,21), che noi oggi celebriamo, e che si riflette nei nostri animi esultanti: Carlo Steeb è in Cristo, in cielo, beato; e questa sua celeste beatitudine in qualche modo, in qualche misura, a noi, alla Chiesa di Verona, alla Chiesa di Germania e a tutta la Chiesa ancora pellegrina sulla terra, si comunica.

Fratelli e Figli carissimi, come si comunica? È questa la domanda che subentra nei nostri animi, se davvero hanno esultato per la proclamazione della beatitudine raggiunta da Carlo Steeb. Dapprima nella fede, in qualche sua viva convinzione interiore, del mistero della comunione dei Santi: è questa la via mistico-teologica, che ci rende fin d'ora partecipi, potenzialmente almeno, del regno che verrà. E poi quella comunicazione avviene nell'osservanza dei doveri che a tale atto di fede conseguono; doveri di culto, di venerazione, d'invocazione, di fiducia, e specialmente di imitazione. È a questo punto che principalmente e più facilmente si ferma fra l'interesse della nostra devozione e della nostra memoria. L'agiografia assume qui grande importanza; ma ricordiamo: essa per noi non è solo una scienza storica e biografica di quei personaggi distinti nella sfera religiosa, che chiamiamo Santi o Beati; è una scuola di perfezione evangelica; è un ripensamento della loro vita vissuta, per (scoprirvi la fenomenologia della grazia di Dio e dell'esercizio delle virtù nelle doro anime privilegiate; è uno studio di modelli eccellenti nella gara della sequela di Cristo, per cui San Paolo poteva dire e ripeteva senza ombra di vanità: «siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Co 4,16 1Co 11,1). Sono essi, questi Eletti, i gradini della scala che sale verso Cristo e verso Dio; e che al loro livello umano non disperiamo di potere noi stessi in qualche misura percorrere.

Allora il nostro sguardo si abbassa, e, non più abbagliato dalla «luce inaccessibile» (1Tm 6,16) della gloria celeste, si fa attento al sentiero terreno percorso dai fratelli più valorosi, specialmente se qualche titolo di umana conversazione a noi li avvicina: non sono i Santi e i Beati i nostri protettori, i nostri intercessori? i nostri amici? La nostra curiosità si fa doverosa. Chi era Carlo Steeb, che ora la Chiesa esalta come personalità singolare e luminosa, degna non solo che ne proclamiamo l'eccezionale virtù, ma che ne facciamo altresì lampada a guida dei nostri passi verso Cristo in questa e nella vita avvenire? Noi non faremo in questo momento il ritratto, né tanto meno il panegirico, del nostro nuovo Beato. Egli è già documentato da una serie di scritti biografici meritevoli di lettura, che noi ci limitiamo qui a raccomandare. Carlo Steeb è una figura che merita d'essere conosciuta, sia negli aspetti singolari della sua vita, sia in quelli comuni della sua professione ecclesiastica. Basti ora per dare valore di preghiera a questa rievocazione della sua beata memoria accennare ad alcuni aspetti salienti di questo esemplare servo di Dio.

Il primo aspetto saliente ed originale è la sua provenienza; voi la conoscete e ne indagate i provvidenziali segreti. Il nuovo beato Carlo Steeb viene dalla Germania, e precisamente da Tubinga, nel Württenberg, celebre centro rappresentativo di studi superiori universitari, cattolici in origine, protestanti poi al tempo della Riforma, rinomato anzi per le sue dissolventi correnti filosofiche, teologiche e bibliche variamente liberali, valorosamente originate in parte almeno da affermazioni di alto pensiero cattolico. Lo Steeb non frequentò l'università di Tubinga, ma non poté non respirarne l'atmosfera spiccatamente protestante, di cui l'ambiente familiare era saldamente convinto e profondamente imbevuto. Si sa come egli, venuto a Verona per integrare la sua formazione professionale, a malgrado delle domestiche raccomandazioni, in buona fede certamente, ma fortemente contrarie, si fece cattolico. Questo è il primo e notevole episodio della sua vita spirituale, che dovremo tutti studiare e comprendere; esso segna l'orientamento religioso della vita dello Steeb, orientamento libero, meditato, decisivo, non polemico a riguardo della religiosità, assorbita durante la prima educazione fieramente luterana, ma logico, quasi un ritorno, un ricupero, un inserimento naturale nella fede autentica e tradizionale.

Certo fu questa scelta un atto eroico, che dovette costare un sacrificio enorme, potremmo dire totale, come quello della parabola evangelica circa l'uomo ricercatore di pietre preziose, che ne trova una di grande valore e per procurarsela vende tutto il suo avere. Così Carlo Steeb. Non sarà forse mai abbastanza valutato il dramma giovanile della sua conversione al cattolicismo, che gli costò la perdita dei rapporti familiari, affetti e vantaggi, e lo lasciò povero e solo, orfano quasi, sopra un nuovo ed impervio sentiero della vita. Qui egli certamente fu un eroe dello spirito. Bisogna comprenderlo. Non si inasprì, ma si fortificò. Il suo carattere si temprò di quella energia, di quella serietà, di quella umiltà, che poi sempre trasparirono dal suo volto virile e spirituale. Non fu uomo di molte parole, ma di molte opere e di profonda e contenuta sensibilità, e di fermissimi propositi. La sua forte psicologia nordica trovò umana e cristiana accoglienza nell'amabile temperamento locale; non ebbe ostacoli alla maturazione della vocazione sacerdotale, implicita nel primo e radicale dono di sé alla verità, al Vangelo, a Cristo Maestro, alla Chiesa famiglia dei fedeli credenti: subito si fece prete.

Questo processo spirituale è un paradigma, su cui noi dovremo riflettere in questo nostro periodo di ecumenismo, per penetrare quale forza di animo, quale spirito di rinuncia e di sacrificio siano a noi necessari per preferire ad ogni cosa la verità della divina chiamata (Cfr. Mt 19,27), e per saper attendere e preparare cos umile, paziente bontà, con non mai d'elusa fiducia, l'ora ignota della mutua ricomposizione della perfetta unità cristiana con i fratelli tuttora da noi separati (Cfr. Unitatis Redintegratio, UR 7 et 9; Ep 4, l-3). Il nostro Beato Carlo Steeb non ebbe la gioia di vedere spuntare lungo il corso della sua lunga vita terrena quell'ora benedetta, ma certamente, e forse per noi, la preparò. Così che il profilo biografico del prete solitario Carlo Steeb, durante il periodo centrale della sua vita ecclesiastica, risultò quello di un Sacerdote senza altra qualifica all'infuori di quella di Cappellano provvisorio in via di stabilità, destinato all'assistenza, empiricamente concepita ed eroicamente esercitata; assistenza religiosa e morale delle comuni umane miserie e delle improvvise calamità.

Per sulla fortuna egli si trovò in una città, Verona, dove le tradizioni della carità del prossimo, avevano ancora salde e fiorenti radici (pensate all'opera del Vescovo Gian Matteo Giberti, † 1543), ed hanno luminose testimonianze di attualità tuttora prosperose (pensate a Don Gaspare Bertoni, fondatore degli Stimmatini, nel 1816; alle Figlie della Carità Canossiane, fondate nel 1808 e approvate nel 1818; alle istituzioni di Don Nicola Mazza, nel 1828 e 1833; eccetera). Verona è stata in quel tempo feconda e geniale nel dare vita a nuove istituzioni benefiche; siamo negli anni delle guerre napoleoniche e dei bisogni incolmabili che esse produssero e da esse derivarono. Un'opera, che precede e suscita iniziative benefiche, è quella denominata dell'evangelica Fratellanza, promossa da Don Pietro Leonardi, la quale introdusse Don Carlo Steeb nel campo della carità assistenziale: il Ricovero, il Lazzaretto, l'ospedale, le Scuole trovano per anni questo prete austero, assiduo, premuroso, infaticabile, curvo su ogni umana infermità; alle malattie del corpo il suo programma pastorale aggiunge i bisogni delle anime; diviene un confessore paziente e sapiente.

La sua storia, che sembra uniforme e monotona, è come quella di un medico, sempre tesa, sempre nuova; bisogna averne una visione esatta per applicarla al nostro tempo, per convincersi di quanto sia ingiustificata la problematica, oggi purtroppo diffusa, circa la cosiddetta «identità» del Sacerdote, quasi che l'instabilità sociologica che talvolta crea la solitudine intorno al Prete arriva fino a insinuare nel suo animo il dubbio circa la propria ragion d'essere; basta infatti ch'egli conservi il genio del suo ministero ed abbia occhio e cuore per l'umanità, che, volere o no, lo circonda, per accorgersi della premente e privilegiata necessità dell'opera sua, oggi tanto più reclamata quanto minore è il numero dei ministri di Cristo «dispensatori dei misteri di Dio» (1Co 4,1), e quanto più varia e refrattaria è la psicologia delle folle lontane dal Vangelo. Il Beato Carlo Steeb insegna ed assiste. E poi il Beato è, come tutti sapete, il fondatore dell'Istituto delle Sorelle della Misericordia, le quali, qui tutte presenti di persona o di spirito, esultano di vedere elevato agli onori degli altari, il vecchio, piissimo loro maestro e promotore.

Qui d'Istituto stesso fa l'apologia di Don Carlo Steeb, e lasceremo alla schiera di queste ottime e dilettissime Sorelle, iniziata dalla candida e coraggiosa confondatrice Luigia Poloni, premorta allo Steeb, documentare nel numero e nella qualità il servizio di Carità, ch'essa promuove e diffonde a Verona, in Italia, nel mondo. Noi ci limitiamo a richiamare, una volta di più, l'attenzione del nostro tempo, sopra un fenomeno non unico, ma sempre originale come contesto, dove la fede religiosa si trasfonde mirabilmente in amore ed in servizio al prossimo, ed esorteremo tutti a ravvisare in tale fenomeno una nuova e stupenda prova della vitalità perenne e dell'autenticità indiscutibile del Vangelo nella Chiesa di Dio. Coraggio, coraggio, Figlie in Cristo carissime!

E concluderemo questo sommario discorso rivolgendo un particolare benedicente saluto al Pastore di Verona, qui presente, Monsignore Giuseppe Carraro, e a tutta la Chiesa di San Zeno da lui guidata con tanto zelo pastorale. Passano in questo momento davanti al nostro spirito figure degnissime di Sacerdoti, anche da noi personalmente conosciute e venerate, educate appunto alla scuola della santità Veronese, e tanti volti rivediamo di persone amiche, piene di ingegno, di brio, e di fedeltà cattolica, tutta la famiglia fedele e religiosa della felice Diocesi, la cui si associa certamente la Germania credente; e spontaneamente pensiamo codesta eletta porzione della Chiesa di Dio festante d'intorno al nuovo Beato, da lui attirata sulle orme dei suoi esempi e confortata dalla sua protezione.

Ein wort besonderer Begrüssung gilt den Pilgern aus der Heimatdiözese Rottenburg des neuen Seligen, die mit ihren Bischöfen zur feierlichen Selingsprechung ihres Landsmannes nach Rom gepilgert sind. Aber auch den vielen anderen Pilgern aus Österreich und der Schweiz gilt Unser herzlicher Gruss! Liebe Söhne und Töchter! Don Carlo Steeb, unser neuer Seliger, ist Konvertit, Priester und Ordensstifter. Welch bewegtes, aber auch reicherfülltes Leben deuten diese drei Worte an. Er sei uns lallen lauchtendes Vorbild und mächtiger Fürsprecher, so wie er, Gott zu suchen, Gott zu finden, Gott zu dienen in unseren Mitmenschen durch Werke der geistlichen und leiblichen Barmherzigkeit. Dann wird auch unser Pilgerweg auf Erden einmal einmünden in das unermessliche Licht der ewigen Seligkeit.

Merci à vous tous de vous associer à notre joie, à la joie de toute l'Eglise. Nous célébrons les mérites du bienheureux Charles Steeb, ou plutôt ce que Dieu a réalisé en cet admirable prêtre, qui s'est laisse attirer par sa Vérité, par sa MisériCorde. Plus de cent ans après, son initiative de charité est toujours féconde, a travers les Soeurs de la Miséricorde de Vérone. Voila comment s'opère le renouveau de l'Eglise dont nous avons aujourd'hui besoin: par la sainteté. Vous aussi, vous avez cette grâce en vous: puisse-t-elle déployer toute sa forte.

Today the Church of God proposes a new model of holiness to the world. With Christ the Lord we bless the Father, who continues to reveal the mysteries of the kingdom of heaven. We bless the Lord Jesus himself in the triumph of his grate. We bless the Holy Spirit, who lives in us and gives us the hope of eternal glory.

El solemne rito que estamos celebrando, nos propone un interrogante decisivo para nosotros: el de la presencia divina en nuestra vida. El Beato Carlo Steeb nos ofrece un admirable ejemplo a imitar. Su dedicación heroica al Señor y a los demas constituyen una urgente Illamada a vivir nuestra fe en esa plenitud ejemplar y sin claudicaciones, que el momento actual exige.






15 agosto 1975: SOLENNITÀ DELL'ASSUNTA

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Il giorno 1° novembre 1950, festa di tutti i Santi, durante l'Anno Santo, che allora si stava celebrando, sulla Piazza antistante questa Basilica di San Pietro, assistenti i Cardinali presenti a Roma con alcune centinaia di Vescovi provenienti dall'Italia e da varie parti del mondo, insieme al Clero e al Popolo dell'Urbe, circondato da numerosi Capi di Stato e da autorevoli Rappresentanti di diversi Paesi del mondo, davanti ad un'assemblea innumerevole di Fedeli pellegrini provenienti da tutta la terra, il nostro venerato Predecessore il Servo di Dio Papa Pio XII proclamava essere dogma di fede il fatto, il mistero, della Assunzione corporea in cielo della Beata Vergine Maria, Madre di Cristo, Madre del Verbo di Dio incarnato e quindi Madre di Dio, e per noi Madre della Chiesa, Madre nostra e Madre, come novella Eva, di tutta l'umanità in ordine alla sua salvezza. Noi celebrando oggi la festa dell'Assunzione ripensiamo a quel solenne avvenimento per farne nostri i sentimenti ed i propositi, e giova a questo intento l'opportunità dell'odierna liturgia.

Questa Liturgia doveva aver luogo nella Basilica veneratissima e a noi carissima di Santa Maria Maggiore, monumento unico e magnifico per l'ideale mariano, ch'esso cristallizza in immagini d'incomparabile pregio, per la pietà, per la storia, per l'arte; ma ragioni di spazio hanno consigliato di trasferire in questa più ampia Basilica di San Pietro questo rito solenne per renderlo accessibile a un maggior numero di Fedeli e di Pellegrini, e per onorare qui, dove più intensa è la loro affluenza alle sacre cerimonie del Giubileo, la sacra e benedetta immagine della Madonna, riconosciuta salus Populi Romani, immagine qua appunto accompagnata nel suo momentaneo trasferimento dal Signor Cardinale Carlo Confalonieri, degnissimo Arciprete della Patriarcale Basilica Liberiana, insieme con il venerato Capitolo della Basilica stessa. Siamo così lieti, non senza il valore simbolico e teologico dell'accoglienza di Maria nella casa di Pietro, di vedere qui riunito anche il Capitolo di San Pietro, con il suo egualmente degno Arciprete, il Cardinale Paolo Marella, che ha sempre accolto le nostre cerimonie dell'Anno Santo con grande e religiosa cortesia, e con tanta parte del Clero Romano, delle Famiglie Religiose, delle Delegazioni dei Santuari Mariani; e siamo parimente lieti di saperci circondati da molti Fedeli di Roma e da Pellegrini, di varia provenienza, così che questa celebrazione assuma un carattere rappresentativo e solenne, ed in unione di spirito con la Chiesa sparsa su tutta la terra sia reso a Maria Santissima un omaggio d'ammirazione e di fiducia, quale migliore non possa esserle tributato dall'umanità credente in occasione di questa sua festività.

Preferiremmo forse noi tutti di celebrarla in un assorto silenzio interiore questa straordinaria apoteosi della Madonna, piuttosto che enunciarla in concetti ed in parole, che subito si rivelano inferiori a esprimere un mistero superiore ad ogni nostra esperienza, che non vuole d'altronde essere malamente presentato da pura enfasi verbale. Ci conforta tuttavia a dire ora qualche breve parola sull'Assunzione di Maria il fatto che la sua recente definizione dottrinale fortifica di certezza la nostra fede, la nostra devozione, e autorizza perciò a studiare con fiducia gli aspetti molteplici e profondi di questa proclamata verità religiosa. Semplifichiamo perciò la nostra riflessione riducendola, come in un dittico, a due tavole, cioè a due aspetti distinti, se pure fra sé collegati: l'aspetto personale della Assunzione della Vergine, e l'aspetto umano, universale, sul quale la figura diventata celeste di Maria proietta la sua luce beata.

Quanto al primo aspetto ci sorprende subito il carattere di privilegio: Maria è la sola creatura umana, dopo il Signore suo Figlio Gesù, entrata in Paradiso, anima e corpo, all'epilogo della sua vita terrena. Questa sua eccezionale fortuna ci obbliga ad una fondamentale meditazione teologica, che dovrà sempre alimentare ed arricchire la nostra devozione alla Madonna, e cioè alla sua particolarissima relazione con Cristo, relazione che ha comportato una catena gloriosa di grazie singolarissime conferite all'umilissima ancella del Signore (Cfr.
Lc 1,38 Lc 1,43), grazie disposte a scala ascendente, vogliamo dire dimostrative d'un'intenzione divina intenta a modellare in Maria il «tipo» d'un'umanità nuova predestinata ad una trascendente salvezza (Cfr. Lumen Gentium, LG 8), a cominciare dalle due miracolose concezioni, di cui Maria è variamente protagonista: la immacolata concezione di Lei, che già la distingue in tutto il genere umano che nasce triste erede della colpa di Adamo, dalla quale Maria è miracolosamente preservata; e la misteriosa e verginale concezione di Cristo nel seno di Maria, per opera dello Spirito Santo (Lc 1,35); e se il peccato è causa della morte (Rm 5,13), da cui l'uomo nella primigenia idea di Dio doveva essere esente, ecco l'innocenza, ristabilita nella benedetta fra tutte le donne, costituire un primo titolo all'immortalità anche fisica della Madonna.

Poi il grande mistero dell'Incarnazione, cioè della maternità ineffabile e umana per cui Maria diventa Madre di Gesù Cristo, ch'è Dio, e così a Lui connaturata da essere definita «figlia del suo Figlio» (Dante); nuovo, sommo titolo questo che tanto inserisce Maria nel piano della Redenzione, che noi La ritroveremo al Calvario (Cfr. Lc 2,35 Jn 19,26-27), e poi nel Cenacolo il giorno della Pentecoste. Non per nulla Maria, illuminata da Spirito profetico, nel canto del Magnificat, previde e proclamò: «beata mi diranno tutte le generazioni» (Lc 1,48). E al suo presagio risponde la Chiesa con i suoi Santi, con i suoi Pastori e Dottori, con il coro dei credenti, tutti cercando in quel misterioso stato di pienezza, di beatitudine e di gloria, che chiamiamo cielo, la Regina del cielo. Questo è il primo quadro della nostra contemplazione di Maria santissima assunta col suo virgineo corpo e con la sua purissima anima, accanto a Cristo nel regno eterno di Lui: la realtà, la certezza dell'apoteosi vitale e soprannaturale della perfetta ed integra sua umanità.

Il secondo quadro? Oh! Questo è vasto quanto il mondo. Cioè vediamo il mondo sul quale si proietta il mistero dell'Assunzione. È la luce di Cristo che dalla sfera escatologica ci parla della vita futura, quella che attende pure noi dopo la morte. Ma quando? Ma come? Non si affonda nell'ignoto l'anima nostra immortale, dopo il distacco dal corpo; e non si dissolve in cenere questa parte essenziale della nostra vita? Non è un castigo definitivo la morte? Non è essa disperatamente vittoriosa sul nostro corpo, cioè su quello strumento indispensabile, componente della nostra umanità, nell'ambito del cui servizio si svolge la nostra temporale esistenza? La quale, man mano che l'uomo progredisce, ci si dimostra così ricca, anche se fugace, così bella, anche se afflitta da tante miserie, così felice, anche se tormentata dal dolore e sempre minacciata dalla sua fine. Negli uomini privi della nostra fede essa genera purtroppo l'inconsolabile illusione che l'esistenza corporale sia tutto per loro, condannati come sono a saziarsi d'una concezione materialista della vita presente, resa essa stessa tanto più amara e tanto più priva di senso, quanto più sazia d'un'effimera e perciò atroce esperienza di beni caduchi; mentre da tale esperienza dovrebbe essere stimolata al possesso di beni eterni: la verità, la perfezione, l'amore, la vita!

Una voce, a noi pare oggi di udirla nelle profondità del nostro cuore, risuona dal messaggio della rivelazione: «Dov'è, o morte, la tua vittoria?» (1Co 15,55). È la tromba della risurrezione: «Ecco io vi dico un mistero - è l'Apostolo che parla così -: noi risorgeremo veramente tutti!» (1Co 15,51). Ma quando? Ma come? L'eco di queste grida ripetute non si perde nel vuoto. L'agile, trionfale, santissima figura di Maria viva, risorta ci appare, nello splendore della sua Assunzione; Ella è l'anticipata primizia della nostra futura risurrezione, speranza e garanzia del nostro vero e reale destino. La luce è così virginea, dolce e candida, così profumata di materna bontà, così penetrante nella nostra scena temporale ed umana, da accrescere il grado stesso di valore della vita presente, ricomposta nell'ordine che si risolve nel gaudio promesso della vita eterna, ma fin d'ora per noi felice d'un dono che proprio Maria assunta ci offre, dalle mani di Cristo: il dono della speranza. O Maria, nostra speranza, salve!

Chers Fils et chères Filles de langue française,

Avec Nous, réjouissez-vous; regardez Marie, célébrez-la, tette humble femme bénie entre toutes les femmes, dont la foi n'a jamais faibli et qui a mérité d'être aujourd'hui si près du Christ, dans la lumière de sa Résurrection. Voilà le salut auquel nous appelle notre Dieu, le salut que le peuple romain vénère en elle, que toute l'Eglise célèbre en elle. Par elle, nous demandons le secours de Dieu; avec elle, nous espérons; en elle, nous rendons grâces à Dieu.

On thi solemnity of the Assumption of Mary we proclaim the praises of the Lord. «Death is swallowed up in victory». We render thanks to God who has given us victory through Jesus Christ-and this victory is communicated to Mary and to the entire Church. Rejoice and be glad, People of God.

Vor dem gnadenbild der Gottesmutter »Salus Populi Romani« grüßer Wir an ihrem heutigen Festtag auch alle anwesenden deutschsprachigen Pilger. Maria, in den Himmel aufgenommen, ist der sichere Zufluchtsort und die Vermittlerin des Heiles für alle Völker. Durch sie nämlich gelangen wir sicher zu Christus, in dem allein uns allen die einstige Aufnahme in seine himmlische Herrlichkeit verheissen ist. Dazu verhelfe euch auch Unser Apostolischer Segen.

Amadísimos peregrinos de lengua española: 0s agradecemos vuestra presencia aquí, en torno a la mesa eucarística, con el Sucesor de Pedro. En comunión de fe y de amor tributamos hoy, Fiesta de la Asunción de María, un filial homenaje de devoción a la venerada como «Salus Populi Romani». Renovemos con Ella nuestra adhesión confiada a Cristo y vivamos con religioso entusiasmo nuestra pertenencia al Pueblo de salvación. Con nuestra Bendición Apostólica.

Desta Eucaristia, sob o olhar da Salus Populi Romani», o nosso pensamento, iluminado pela esperanca, vai para o Céu, ao celebrarmos, na fé, o mistério da Assunção de Maria. E no amor de Deus, que n'Ela e por Ela operou maravilhas, o nosso coracáo há-de inundar-se de amor filial e fraternal. Pela Mãe da Igreja, a todos, graça, paz e alegria!






14 September 1975: CANONIZATION OF ELISABETH ANN SETON

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In inglese...

Alors que Nous proclamons l'élévation d'une femme au rang suprême par l'Eglise catholique, Nous relevons avec joie que cet événement coïncide avec une initiative des Nations Unies, l'Année internationale de la Femme. Ce programme vise à promouvoir une meilleure prise de conscience des obligations qui incombent à tous pour reconnaître le véritable rôle des femmes dans le monde, et pour contribuer à leur authentique avancement dans la société. Et Nous nous réjouissons du lien qui est établi entre ce programme et la canonisation d'aujourd'hui, alors que l'Eglise rend le plus grand honneur possible à Elizabeth Ann Bayley Seton, et exalte son apport personnel extraordinaire comme femme, comme épouse, comme mère, comme veuve, comme religieuse. Puissent le dynamisme et l'authenticité de cette vie être un exemple pour notre époque - et pour les générations à venir - de ce que les femmes peuvent et doivent réaliser, dans le parfait accomplissement de leur rôle, pour le bien de toute l'humanité.

Vemos hoy exaltar al supremo honor de los altares a la Madre Isabel Ana Bayley Seton. Ella encarna de manera admirable el ideal de una mujer como joven, esposa, madre, viuda y religiosa. Pueda el ejemplo, la luz y dinamismo admirables que se desprenden de la nueva Santa ser siempre una guía para las actuales generaciones femeninas; de modo especial durante el presente Año International de la Mujer.

Liebe Söhne und Töchter! Die Heiligsprechung der seligen Elisabeth Ann Bayley Seton gewinnt im internationalen Jahr der Frau eine besondere Bedeutung. Die neue Heilige ist in ihren einzelnen Lebensabschnitten als Frau, ais Mutter, ais Witwe, ais Ordensfrau ein leuchtendes Vorbild, wie die christliche Frau in jeder Lebenslage in der Nachfolge Jesu Christi ihre Sendung zum Wohle der Mitmenschen zu erfüllen hat. Möge sie uns allen eine mächtige Fürsprecherin am Throne Gottes sein!

Concludiamo ora il nostro discorso con una parola per i fedeli di lingua italiana, perché anche ad essi la nuova Santa, che conobbe ed amò l'Italia, propone l'alto esempio del suo singolare itinerario spirituale. Autentica figlia del nuovo Mondo, ella già sposa e madre approdò ai lidi italiani, e fu qui che, dopo l'immatura scomparsa del consorte, in lei e per lei ebbe inizio quel profondo travaglio interiore che, sotto la mozione dello Spirito, dopo un'assidua ricerca personale, ma anche grazie ai contatti con una buona ed amica famiglia Livornese dei Signori Filicchi, la portò ad abbracciare la fede cattolica. Il soggiorno in Italia segnò, dunque, per lei l'«ora di Dio», un momento privilegiato cioè, da cui scaturirono poi coraggiose decisioni ed operose realizzazioni per il bene della sua Patria e della santa Chiesa. Confidiamo e preghiamo che anche a questa terra, da Dio benedetta, Santa Elizabeth Ann Seton voglia riguardare dal Cielo con affetto singolare, estendendo ad essa il potere della sua intercessione ed illuminandola con la luce delle sue virtù genuinamente evangeliche.



28 de septiembre de 1975: CANONIZACIÓN DE JUAN MACÍAS

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In spagnolo.

Onoriamo nel nuovo santo Religioso: dopo svariate esperienze, a trentasette anni Giovanni Macías si sentì chiamato a servire Dio nell'ordine Domenicano, ma nella sua umiltà volle essere Fratello Laico. Per un quarantennio, fino alla morte, fu destinato al servizio di portineria nel convento di Lima. E in questa umile incombenza egli seppe realizzare e vivere profondamente ed autenticamente la sua consacrazione religiosa, radicata nell'amore ardente 1009 a Dio, nella smisurata carità Verso i fratelli più bisognosi, nella pratica fedele dei Consigli evangelici, nella continua preghiera, lasciando a noi l'esempio di come si possa testimoniare l'impegnativo messaggio di Cristo anche nelle piccole ed umili tose.

Cette grande fete de famille a laquelle vous avez le bonheur de participer réveille certainement en vous le désir d'une vie sainte, d'une vie enfin engagée sur les pas du Modèle Unique: le Christ! C'est le chemin ardemment suivi par Saint Jean Macías que Nous venons de canoniser. Il a surtout voulu être pauvre comme Jésus, et vivre pour les pauvres! Que cette leçon évangélique, si difficile a entendre aujourd'hui, gagne enfin nos coeurs. Oh oui, demandons les uns pour les autres cette grâce de choix, qui est la première des Beatitudes!

On this joyous occasion, as we proclaim and bless the power of God and the merits of Jesus Christ that have produced in Saint John Macias a full measure of holy charisms, we honour him and offer him to the entire Church as a model of the zealous emigrant. After the example of the Apostles and holy men and women of all ages, he left his homeland to go forth and to bring Christ to his brethren. In this way he endeavoured to answer the cal1 of the Evangelist, receiving with joy the message: «. . . let us love, not in word or Speech, but in deed and in truth» (
1Jn 3,18). May all who have emigrated for the Kingdom of God find strength in the intercession of Saint John Macías. Liebe Söhne und Töchter!

Die wunderbare nächstenliebe des heiligen Johannes Macías war vor allem die Frucht seines tiefen, lebendigen Glaubens. Er war ein Mann des Gebetes, der aus der innigen, mystischen Vereinigung mit Gott sein Leben in der Nachfolge Christi gestaltete. Seine glühende Verehrung galt insbesondere der heiligen Eucharistie und dem Rosenkranzgebet. Gerade als Mystiker zeigt uns der neue Heilige die letzte und unergründliche Quelle christlicher Heiligkeit. Möge er uns allen darin Vorbild und durch sein Gebet im Himmel unser aller Fürsprecher sein.






5 ottobre 1975: SANTA MESSA GIUBILARE PER I MALATI E L'UNZIONE DEGLI INFERMI

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Eccoci in mezzo a voi, figli carissimi, che il Signore ha voluto privilegiare - sì, per noi cristiani questa è certezza - con una prova d'amore, con la malattia e la sofferenza, in intima comunione col mistero della sua Croce. Il primo motivo del nostro incontro è proprio questo: ripetervi quello che già sapete, perché l'avete appreso alla scuola della fede cristiana e, forse, ancor più dal soffio interiore dello Spirito Santo, che vive nei vostri cuori: per chi crede in Cristo, le pene e i dolori della vita presente sono segni di grazia, e non di disgrazia, sono prove dell'infinita benevolenza di Dio che sviluppa quel disegno d'amore, secondo il quale, come dice Gesù, il tralcio che porta frutto, il Padre lo pota affinché frutti di più (
Jn 15,2). Ciò non significa, certo, un invito irrazionale ad accettare passivamente la malattia e a rinunciare alle cure per guarire. Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per aver riposto nella natura le energie atte a ridare sanità e vigore agli organismi malati, e per aver concesso agli uomini la facoltà di scoprire certi segreti, da utilizzare per il sollievo dei fratelli sofferenti. Né esalteremo mai abbastanza i meriti degli scienziati, dei chimici, dei ricercatori, i quali, nell'arco dei secoli, hanno rinvenuto ed applicato, con crescente successo, opportuni rimedi alle infermità umane.

Vogliamo, perciò, salutare anche i Medici, i clinici ed il personale sanitario che è qui presente con voi, cari Malati, e ringraziarli pubblicamente per la loro nobile opera, ispirata dalla carità cristiana. Un elogio cordiale e un incoraggiamento speciale vogliamo tributare ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, in modo particolare, che alla cura degli Infermi e dei Sofferenti dedicano con spirito squisitamente cristiano tutta la loro vita; e un plauso sia pure rivolto alle persone e alle istituzioni specializzate nell'assistenza sanitaria. Estendendo, anzi, il saluto a tutti i Medici, assistenti ed infermieri ed infermiere di ogni Casa di cura nel mondo, diremo ancora di più: Noi vediamo risplendere in voi un riflesso della figura taumaturgica di Gesù, che tante volte definì il suo ministero come opera di risanamento dei malati (Mt 9,12) e di sollievo per gli afflitti (Ibid. 11, 28); di Gesù che guariva i malati che gli erano presentati (Ibid. 4, 23; 21, 14; Lc 9,11), per l'impulso di tenera carità che aveva nel cuore, ma anche per la completezza stessa della sua missione salvifica, che si estende a tutto l'uomo, anima e corpo.

Sappiamo, infatti, che proprio in virtù della Redenzione, tutti i difetti inerenti alla natura umana, o derivanti dalle ferite del peccato, e lasciati per ora nell'uomo come occasioni di esercizio ascetico e di conformazione a Cristo Crocifisso (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, III 69,3), saranno un giorno cancellati, quando Dio asciugherà ogni lacrima e non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più ... (Ap 21,4), e il corpo risorgerà trasfigurato e raggiante nella sua nuova unità con l'anima vivificata nella gloria di Dio (Cfr. Rm 8,11 1Co 15,42 ss.). Ma ci piace ora parlare a voi Malati ed a voi che li assistete di un argomento particolare, che riguarda direttamente l'odierna celebrazione. Il Sacramento dell'unzione degli Infermi, che noi oggi amministriamo ad alcuni di voi, è stato istituito e trasmesso come segno efficace dell'amore redentivo di Cristo, che vuole risanare l'uomo principalmente nello spirito, senza, però, trascurare il suo corpo. Nel conferirlo la Chiesa non pretende certo di sostituirsi alla medicina, ed è ben lontana da concezioni o pratiche pseudoreligiose, che abbiano affinità con una qualsiasi forma di superstizione.

La Chiesa - voi lo sapete - si muove su di un altro piano: quello soprannaturale dei Sacramenti, che sono segni efficaci dell'intervento di Cristo, Salvatore e Medico divino, nella nostra vita e nelle nostre necessità fisiche e spirituali. Tuttavia, il Sacramento dell'unzione racchiude anche un significato profondamente umano, che si può riassumere in queste parole dell'Apostolo Paolo: Prendete parte alle necessità dei santi . . . . piangete con chi piange . . . . procurate di fare il bene (Rm 12,13 ss). E come non far nostra, oggi, dinanzi a Voi, l'altra sua grande parola: Chi è ammalato, senza che non lo sia anch'io? (2Co 11,29) E come dimenticare la testimonianza specifica che, di questo Sacramento, ci ha trasmesso l'Apostolo San Giacomo? Qualcuno di voi è infermo? Chiami gli Anziani della Chiesa: essi preghino per lui, ungendolo con olio nel nome del Signore; la preghiera della fede salverà il malato, il Signore lo solleverà, e se ha commesso peccati, sarà perdonato (Jc 5,14-15). Evidentemente, anche in questo Sacramento, la Chiesa guarda principalmente all'anima, alla remissione dei peccati ed all'aumento della divina grazia; ma, per quanto sta in lei, desidera ed intende procurare il sollievo e, se è possibile, anche la guarigione dell'infermo.

Basandoci sulle parole del Signore, trasmesse dagli Apostoli, e mossi dai loro sentimenti di carità, noi abbiamo di recente promosso la riforma del rito dell'unzione degli Infermi, perché apparisse meglio la sua finalità integrale e ne venisse facilitata ed estesa - entro giusti limiti - l'amministrazione anche al di fuori dei casi di malattia mortale. Ed eccoci, oggi, quali umili rappresentanti di Cristo Salvatore, ad amministrare un Sacramento, che ancora una volta raccomandiamo allo zelo dei nostri Fratelli e Figli - Vescovi e Presbiteri -, ai quali è affidata la cura pastorale di quella porzione eletta della Chiesa, che sono appunto i Malati. C'è, però, un secondo motivo che ci ha spinti a questa affettuosa presenza, nell'esercizio di un ministero sacramentale tanto prezioso. Noi vogliamo dirvi che nulla come la sofferenza, e, quindi, la malattia, cristianamente vissuta (preferiamo dire vissuta, e non solo sopportata), inserisce i credenti nel circolo di spiritualità, che l'Anno Santo ha riaperto nel mondo. Nulla li fa meglio partecipare a questo moto di rinnovamento e di riconciliazione che milioni di pellegrini, ormai, hanno compiuto, riconoscendolo come fondamentale per la loro vita di cristiani chiamati a far parte del Regno di Dio.

Nulla li rende più idonei a ricevere gli ineffabili doni di grazia, di perdono e di purificazione, che sono altrettanti frutti del Giubileo. Per questo, già nella Bolla «Apostolorum Limina», con la quale abbiamo indetto l'Anno Santo, abbiamo reso possibile agli infermi - come a tutti i fedeli impediti, per grave causa, di prendere parte al pellegrinaggio romano - di ottenere il dono dell'Indulgenza, se essi si uniscono spiritualmente ai pellegrini, offrendo a Dio le loro preghiere e i loro dolori. Sappiamo che molti infermi si sono uniti ai loro fratelli convenuti presso le Tombe degli Apostoli, facendo così un pellegrinaggio spirituale, in gran parte invisibile, che senza dubbio costituisce un filo d'oro nella catena di grazie di questo provvido evento ecclesiale. Come abbiamo detto nel recente Messaggio a tutti i Malati del mondo, noi «crediamo che la loro risposta generosa costituisca una delle componenti essenziali del presente Giubileo, perché, come ogni sofferenza s'iscrive nel mistero della Croce di Cristo, così l'accettazione di essa profila ancor meglio, nella sua più profonda significazione, lo spirito penitenziale che è proprio di ciascun Giubileo». Ma voi, cari figli qui presenti, non vi siete limitati al pellegrinaggio visibile.

Voi avete voluto essere insieme con noi in questa giornata del «Giubileo degli Infermi», accanto alla Porta Santa, che significa l'accesso al Tempio della divina misericordia, per meglio attuare e manifestare l'universale associazione al mistero della Redenzione, che ha luogo nell'Anno Santo, e per chiedere le grazie della consolazione e, Dio lo voglia, della guarigione o, almeno, del sollievo nella vostra sofferenza, ma soprattutto quelle della santificazione nella malattia e del progresso nella comunione con Cristo e col suo Mistico Corpo. È questo, un fatto che ci riempie di gioia e ci conforta nel ministero apostolico, pur tra le tribolazioni del tempo presente. Lasciateci dire che la vostra presenza ci dà la certezza quasi sperimentale che le forze del bene, consacrate dall'immolazione con Cristo Crocifisso, agiscono nel mondo per portarlo alla salvezza. Lasciateci aggiungere che contiamo su di voi, sulle vostre preghiere, sull'offerta e sul valore delle vostre sofferenze, e su questa stessa fervorosa celebrazione, per sperare che nell'intimo tessuto dell'umanità avvenga quell'interiore risanamento, che vuol dire serenità e pace dell'anima, e senza il quale a nulla varrebbero la salute fisica, il benessere ed ogni altra soddisfazione terrena.

Ché se in certi momenti proverete tutta l'umana debolezza che accompagna la malattia e, forse, la malinconia della solitudine, l'insufficienza dell'assistenza, o altre molestie e umiliazioni, vogliate allora ricordare l'esperienza meravigliosa di san Paolo, che, afflitto dalla sua «spina nella carne», si sentì dire dal Signore: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza trionfa nella debolezza (2Co 12,8-9). Per questo, egli poteva affermare di se stesso: Mi compiaccio delle mie infermità . . . . perché quando sono debole, è allora che sono potente (Ibid. 12). E questo vi auguriamo di cuore, cari Malati: la forza di Cristo sia sempre con voi! Un ultimo pensiero desideriamo confidarvi tra i tanti, cui voi stessi ci stimolate con l'esempio della vostra fede. Se nessun uomo è un'isola; se noi tutti siamo uniti nella solidarietà naturale che deriva dalla comune appartenenza al genere umano, alla sua vocazione ed alla sua storia; se «ogni anima che si eleva, eleva tutto il mondo», come è stato detto da un'anima eletta, Elisabetta Leseur; se soprattutto noi, seguaci di Cristo e membri del suo Corpo Mistico, siamo uniti, nel vincolo della carità, alle energie operatrici di salvezza ed agli stessi meriti che derivano dal Capo e quasi rivivono in noi: pensate che cosa avviene quando si attua la comunione nell'offerta delle sofferenze!

Allora il malato può ripetere con l'Apostolo: Io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa (Col 1,24). Sì, la Chiesa intera - e con essa tutto il genere umano - riceve molto dal vostro dolore, trasformato dal mistero della Croce, e diventato, perciò, come un lievito nella Comunione dei Santi. Noi pensiamo che specialmente l'odierna confluenza spirituale di tutti i Malati del mondo cattolico, dei quali voi qui siete come i delegati, stabilisca in questo momento un diretto contatto con i meriti e con le soddisfazioni offerte al Padre da Cristo Redentore, sicché la Chiesa non può non trarne un immediato vantaggio spirituale, cioè, un'effusione di nuova vita, di unità e di interiore incremento. Adesso, dunque, voi state aiutando, state costruendo la Chiesa! Quale stupenda realtà è questa alla luce del Vangelo! Quale apertura sul mistero del dolore! È una festa di comunione ecclesiale quella che stiamo celebrando, in questo momento, con tutti i Malati del mondo cattolico!

Per questo, sia a voi, qui presenti, che a voi, malati fisicamente lontani, ma con noi uniti nell'onda misteriosa della Comunione dei Santi, a tutti voi che, in modo esemplare, siete associati al ministero della Chiesa per la redenzione del mondo, a nome anche dei nostri Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, noi diciamo: Grazie! Sì, la Chiesa vi è riconoscente, perché riceve molto frutto dai vostri patimenti uniti a quelli di Cristo. Una parola infine noi dobbiamo aggiungere per i Pellegrini qui presenti, con la speciale qualifica di Devoti del Santo Rosario, la bella notissima preghiera che la Chiesa cattolica, fedele ad una tradizione che risale a San Domenico e che ha poi sempre goduto del favore dei nostri venerati Predecessori e sempre è stata coltivata dalla pietà dei Fedeli più fervorosi.

Noi esprimiamo la nostra compiacenza ed il nostro incoraggiamento a loro riguardo, facendo nostra l'esortazione, tante volte ripetuta dal nostro veneratissimo Predecessore Leone XIII, proprio in ordine al Santo Rosario, il quale scriveva: «Noi stimiamo assai opportuno, nelle presenti circostanze promuovere solenni preghiere, affinché la Vergine augusta, invocata nel Santo Rosario ci impetri da Gesù Cristo, suo Figlio, aiuti pari ai bisogni» (Supr. Apostolatus, 1° settembre 1883); e oseremo ricordare la nostra stessa esortazione, rivolta a tutta la Chiesa, lo scorso anno (Marialis Cultus, 42, 2 febbraio 1974) «sul rinnovamento di questo pio esercizio, che è stato chiamato "il compendio di tutto quanto il Vangelo" (PIO XII: AAS 38, 1946, p. 419), la Corona della Beata Vergine Maria, il Rosario». Possa la pratica di questo pio e privilegiato esercizio religioso alimentare la fede e la pietà nelle singole anime desiderose di comunicare con Cristo, mediante questa filiale e semplice conversazione con la Madre di Lui e Madre della Chiesa, e possa riaccendere il santo costume della preghiera collettiva, specialmente nelle Famiglie cristiane e nelle Comunità religiose, non che nelle Associazioni cattoliche e nelle Case di cura. La Madonna vi protegga tutti, Figli e Figlie, «perseveranti nell'orazione con Maria, Madre di Gesù» (Ac 1,14).

Chers fils, chères filles! Le Christ vous a appelés à le suivre, surtout au Jardin des Oliviers et au Golgotha! C'est là un dessein bien mystérieux de la Providence, qui trouve cependant tout son sens et toute sa valeur dans l'union intime au Christ! Avec Lui vous souffrez, et avec Lui vous sauvez les âmes! Que le Seigneur Jésus vous donne sa force, sa sérénité, et même sa joie!

Our loving thoughts go out to all the sick here present and to al1 the suffering of the World. We cannot take away your burden, but we can assure you, in the name of the Lord, that your sufferings have an immense value when United with his Passion. Yes, beloved sons and daughters, your sufferings have value for the entire Church; for you are one with the suffering Jesus. You will share his victory just as you fil1 up his sufferings. And in this hope may you find peace and joy.

En esta jornada dedicada a vosotros, los enfermos, queremos aseguraros que el Papa se une a vuestros sufrimientos y os ama profundamente. Considerad las penas y dolores de esta vida como una prueba del amor del Señor, que os llama a una comunión más íntima con el misterio de su Cruz. Os ayude a ello nuestra ferviente oración y nuestro constante recuerdo.

Seid alle herzlich wilkommen als Pilger des Heiligen Jahres! Wir freuen Uns, in eurer Mitte zusein. Gläubige, kranke Menschen werden durch ihr Leid geläutert; sie erkennen besser die Hinfälligkeit des irdischen Lebens und verstehen es, ihre Leiden in Vereinigung mit dem leidenden Christus für das Heil der Welt fruchtbar zu machen. Das Leiden führt uns zur ewigen Verklärung.







B. Paolo VI Omelie 60775