B. Paolo VI Omelie 29370

Domenica 29 marzo 1970: SANTA MESSA DI PASQUA NELLA PARROCCHIA DI SAN GIORGIO A CASAL PALOCCO

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Dopo aver sottolineato la parentela spirituale che lo lega a tutti i diocesani di Roma, il Papa saluta il Cardinale Vicario, il Sindaco e le altre personalità presenti e descrive brevemente la comunità parrocchiale di Acilia, dove tra l’altro vivono molte persone venute da lontano. Sono venuto per incontrarmi con voi e per far sentire al cuore di ciascuno di voi che siete amati. Buona Pasqua: sia davvero un giorno grande e bello.

L’Augusto Pontefice annuncia la Risurrezione di Gesù, ricorda i momenti della Passione, evoca l’immagine del Sepolcro vuoto e quella della figura splendente dell’Angelo. È risorto: una frase da stampare nella memoria come la cosa più grande del mondo, l’avvenimento più straordinario della storia.

L’uomo d’oggi è abituato ad aver notizia della conquista dello spazio, delle scoperte meravigliose della scienza, delle nuove invenzioni. Ma sapere che la vita, che la nostra esistenza riprende è qualcosa di ben più strabiliante e bello. Ben lo sa chi è stato malato ed è guarito, chi ha conosciuto il buio della guerra ed ha ritrovato la pace. La Pasqua è la festa della vita, la festa della Risurrezione, della vittoria sulla morte. È il nuovo ordine che il Signore vuole stabilire nell’umanità, E non è solo un fatto personale. Il Signore è risorto per ciascuno di noi, che siamo tutti dei moribondi a causa della fragilità della nostra natura.

La vita di Gesù era tale che l’anima comandava sulla materia, mentre noi siamo fortemente condizionati dalla composizione del nostro corpo. Esso è destinato a diventare a sua volta strumento dell’anima, perché così il Signore ha stabilito. Siamo fatti per vivere in eterno. Quando una madre mette al mondo un bambino, dona al mondo una novità che non avrà mai fine. La vita è sacra, e dobbiamo proteggerla fin dal grembo materno.

Cristo è risorto, e tutti coloro che crederanno in Lui risorgeranno. Bisogna essere in convinta armonia con Lui, fare come una trasfusione della vita di Cristo nella nostra. Se riusciamo ad essere in comunicazione con questa sorgente della vita, siamo salvi. Se questo filo di congiunzione si spezza, siamo condannati. Essere con Cristo: ecco il cristiano.

Il Santo Padre sottolinea, poi, come la nostra Risurrezione si compia attraverso tre fasi. La prima è il Battesimo, quando infondiamo in una creatura come un’anima nuova, lo Spirito Santo, la Grazia, una comunicazione invisibile ma reale. È un dono che il corpo non vede, ma l’anima sì. La seconda fase consiste nella coerenza, nella fedeltà. Dobbiamo ascoltare la Parola del Signore, dobbiamo diventare discepoli, seguaci, credenti. In fondo, non c’è al mondo gente felice come i cristiani, se lo sono veramente, perché essi hanno sempre la gioia pasquale nel cuore.

Gesù ha chiamato tutti: il bambino, l’operaio, il povero. Ha riversato sul mondo felicità, gioia, letizia. Abbiate sempre l’anima - commenta il Papa - piena della gioia di Cristo. Dopo questa fase, della vita nuova, della vita cristiana, ci sarà la terza: la nostra Risurrezione. È la Parusia, l’apparizione finale dopo la nostra morte. I cimiteri si apriranno, i morti risorgeranno, la vita riprenderà, animata dall’anima immortale.

In una parola: coraggio, speranza, gioia, promessa di essere veramente cristiani e riconoscenza al Signore per averci fatto vivere la Pasqua, preludio della nostra vita eterna.






Cagliari, 24 aprile 1970: PELLEGRINAGGIO AL SANTUARIO MARIANO DI NOSTRA SIGNORA DI BONARIA

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Questo è il momento prezioso del duplice incontro, che ha dato motivo alla Nostra venuta da Roma a questo vostro Santuario della Madonna di Bonaria. Duplice incontro: primo, quello della Nostra umile persona, del Papa, con il Popolo Sardo; secondo, quello Nostro e vostro con la Madre di Cristo, Maria Santissima, che in questo luogo storico e sacro è venerata, da sei secoli, come la speciale Patrona della Città di Cagliari e dell’Isola di Sardegna.


NEL SIGNORE IL SALUTO ALL’ISOLA GENEROSA

Eccoci pertanto a celebrare il primo incontro, quello con voi, Sardi carissimi. Ecco a voi nel Signore il Nostro saluto. Noi lo dovremmo rivolgere dapprima al vostro Arcivescovo, il Cardinale Sebastiano Baggio, dal quale abbiamo avuto l’irresistibile invito per questo Nostro singolare pellegrinaggio, il Nostro cordiale e riverente saluto; così lo dovremmo esprimere agli altri Confratelli Vescovi qui presenti, alle Autorità civili e militari d’ogni grado, che assistono, con tanta Nostra compiacenza, a questa cerimonia; così alle altre Personalità e ai vari gruppi qualificati della comunità ecclesiale dell’Isola, al Clero, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei Seminari, al Laicato Cattolico, agli Amici ed ai Fedeli della Chiesa di Cagliari e dell’intera Sardegna. Ma ci vogliano concedere, tutte queste categorie di persone, che riserviamo per loro un altro momento di colloquio proprio per loro, e che diamo ora la precedenza e la preferenza al Popolo, che è qui presente, e che con le sue schiere e con la sua moltitudine ci offre un quadro stupendo, la visione genuina e rappresentativa di tutta la gente di Sardegna: a voi Sardi, a voi figli di questa Isola, nella quale convergono dal poligono mediterraneo le più antiche e le più varie linee etniche e storiche, ma voi ne costituite una sintesi quanto mai caratteristica e relativamente uniforme, a voi, cari figli della Sardegna, si rivolge il Nostro primo, affettuoso saluto. Piace a Noi incontrarvi e immaginarvi ancora scolpiti nella vostra fisionomia atavica di popolo semplice, laborioso, austero, taciturno, selvatico e triste, ma dai costumi umani e pii; un popolo adusato alle privazioni e alla fatica, un popolo isolato dal mondo, come la sua terra; un popolo dalle passioni fiere e tenaci, ma insieme dai sentimenti ingenui e gentili, capaci di esprimersi in leggendarie fantasie ed in canti gravi e calmi come echi incantevoli, che recano ancora la voce di secoli lontani. Forse Noi non vi conosciamo abbastanza, ma ciò che Noi sappiamo di voi basta per riempire il Nostro animo di affezione, di simpatia, di stima. Noi siamo molto contenti d’essere fra voi Sardi, vi salutiamo tutti di gran cuore: Siete anche voi contenti che il Papa sia venuto a trovarvi?

Siamo venuti per tutti. Ma a Noi piace rivolgere il Nostro particolare pensiero a voi, Pastori della Sardegna. Voi Pastori sembrate essere ancora i rappresentanti tipici della popolazione rurale dell’Isola. È noto anche a Noi, come a tutti, il duro e rupestre vostro genere di vita, che si svolge povera, primitiva e solitaria, e sempre congiunta, come quella dei Patriarchi biblici, alle sorti dei vostri greggi. Ci hanno detto che qualcuno di voi voleva venire a questo incontro con Noi guidando qua le sue pecore; voi ci avreste raffigurato al vivo la scena evangelica del buon Pastore, ricordando così a Noi il primo dei Nostri doveri, quello pastorale! Questo vi dice, cari Pastori Sardi, la simpatia con la quale vi salutiamo, e la comprensione che Noi abbiamo per l’umile, continua e silenziosa sofferenza, che caratterizza la vostra esistenza. Noi la vorremmo consolare e migliorare! Siamo perciò anche Noi riconoscenti con quanti si occupano di voi per alleviare le vostre misere condizioni materiali, economiche e sociali. Ci è conforto sapere che la piaga finora inguaribile della malaria è stata finalmente debellata, e che alla bella e selvaggia scena dei vostri monti e dei vostri campi è stato finalmente aggiunto il dono della salubrità: questa è una prima grande conquista, alla quale certamente altre seguiranno per migliorare le condizioni delle vostre abitazioni, della vostra istruzione, del vostro lavoro. Auguriamo dunque che la pastorizia rimanga professione onorata, rinnovata e florida della gente sarda e le conservi, con la semplicità, la sanità del costume.


AI MINATORI

Poi vogliamo salutare i minatori della Sardegna. Anche il vostro lavoro rappresenta una tradizione secolare del Popolo Sardo. Il suolo di questa Isola, aspro ed avaro alla superficie, nasconde tesori nelle profondità delle sue viscere. Fino dai primi tempi della sua storia la Sardegna è conosciuta come un’isola mineraria; e si deve a questa sua nascosta ricchezza se il Papa San Ponziano, l’unico Papa che prima di Noi abbia messo piede in Sardegna, vi fu deportato e condannato forse anche lui all’improba vostra fatica e allora ancor più dura, al tempo degli Imperatori Romani, Alessandro, Severo e Massimino, oltre diciassette secoli fa (235); certo è che qui morì martire, adflictus, maceratus fustibus, oppresso, torturato dalle bastonate (Lib. Pont.), fino a morirne, martire di Cristo e della Chiesa Romana.

Voi, Minatori, avete così un collega, il Papa minatore, vittima per la fede cristiana, mediante la durezza della vostra fatica e della crudeltà dei suoi persecutori. Come non potremmo guardare a voi con compassione e con affezione particolare? Oggi certamente il lavoro nelle miniere non è più così inumano come era una volta; ma rimane sempre un lavoro gravissimo e rischioso. Noi guardiamo a voi, Minatori, con ammirazione e con un intimo rammarico d’essere a voi tanto inferiori nella scala della sofferenza, che come seguaci ed araldi della Croce, dovrebbe essere pure la Nostra. Ci siete di monito e di esempio. Perciò vi accogliamo con particolare onore, con particolare amore. Anche per le vostre condizioni Noi stessi, in nome di Cristo, siamo riconoscenti a chi cerca di migliorarle, a chi vi assiste, a chi vi ricorda che anche voi siete figli di Dio, e perché più degli altri obbligati a così improba e socialmente indispensabile fatica, più degli altri siete meritevoli della stima comune e della cristiana carità. A voi, Minatori, il Nostro cordiale saluto.


AI PESCATORI

E salutiamo poi i Pescatori. Ecco un altro mestiere che il Signore ha voluto additare ad esempio del Nostro ufficio apostolico. Pescatori erano i primi discepoli del Signore, pescatore era Simone, poi da Lui chiamato Pietro, senza che con ciò fosse cambiato il simbolo dell’attività, alla quale doveva essere dedicata la missione di Pietro e del fratello Andrea e quindi ancor oggi la Nostra: «Venite con me, Io vi farò pescatori di uomini» (
Mt 4,19). Anche a voi perciò, Pescatori, va la Nostra simpatia e si rivolge oggi il Nostro invito per questo incontro spirituale. E così vorremmo dire a coloro che lavorano nelle vicine, celebri saline della Sardegna. Il repertorio delle similitudini evangeliche contiene anche quella del sale: «Voi, disse il Signore ai suoi apostoli attribuendo a loro un carisma, un ufficio, una responsabilità speciale, voi siete il sale della terra» (Mt 5,13). Abbiamo in questo simbolo della Nostra funzione gerarchica un titolo per pensare anche a voi come ad amici.


AGLI EMIGRANTI

Ma vi è un’altra categoria di persone che Noi vogliamo espressamente salutare: sono gli Emigranti dalla Sardegna, qui oggi rappresentati, e sono specialmente gli Emigranti nella Sardegna, che sta diventando terra aperta all’attività d’ogni specie di lavoratori e di operatori provenienti dal Continente: possiate voi tutti trovare qui il Paese amico, al quale dare, dal quale ricevere, con i beni temporali, quelli spirituali, del cuore e della fede.


ALLA GENTE DEL MARE

E finalmente salutiamo la Gente del mare, oggi qua convenuta: donde venite, Marittimi, ora presenti davanti a questo Santuario? E perché venite? Quali sconfinati orizzonti voi aprite dinanzi al Nostro pensiero! Gli orizzonti del mare, gli orizzonti dei porti e delle città marinare, gli orizzonti dell’umanità che affida alle onde il proprio destino, per navigare, per lavorare, per trafficare, per esplorare, per tessere fra gli abitanti della terra relazioni di ogni genere. Voi fate del mare, che pare invalicabile elemento, e che separa gli uomini fra loro, una via di comunicazione, anzi la via più largamente e febbrilmente percorsa. Voi avete per casa la nave, per campo di lavoro il mare, per patria il mondo. Il distacco intermittente, ma continuamente ripetuto, dalle vostre famiglie è la vostra sorte, la solitudine del cuore, la estraneità delle compagnie, la nostalgia della casa, la frequenza del pericolo, la severità della disciplina sono condizioni normali della vostra vita. Lanciati sul mare verso paesi lontani e stranieri, chi pensa a voi? chi vi assiste? Chi vi aiuta a riposare, a pensare, a pregare? Oh! v’è chi nella Chiesa vi vuol bene, come marittimi, come uomini, come cristiani: la rete delle opere dell’«Apostolato del mare», ormai estesa in tanti porti della terra, non vi lascia soli, vi attende e vi assiste; voi lo sapete. La vostra presenza qui lo dice, perché questa cerimonia vuole essere anche per voi; e Noi siamo lieti di incontrarvi in questa occasione per offrire anche a voi, Marittimi, il conforto di sentirvi in comunione con la grande e comune famiglia dei credenti, la Chiesa, e sapervi affidati ad una eccelsa e rassicurante protezione, quella della Madonna.


LA SECOLARE DEVOZIONE A MARIA

Ed eccoci allora, Fratelli tutti e Figli carissimi, davanti a Maria per il secondo e principale incontro, che ci ha chiamati oggi a questo Santuario della Madonna di Bonaria. Dobbiamo non solo riconfermare il culto, che per sei secoli ha fatto di questo Santuario un punto, anzi un ponte, di spirituale contatto delle Genti Sarde e degli Uomini del Mare con la benedetta fra tutte le creature, Maria Santissima, Madre di Cristo secondo la carne, e Madre nostra spiritualmente (Cfr. S. AUG., De S. Virg. 2; PL 40, 397). Dobbiamo soprattutto, a Noi pare, cercare di comprendere nuovamente le ragioni della nostra venerazione e della nostra fiducia verso la Madonna. Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve segnare un punto di illuminata ripresa, per tutti, della nostra venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio speciale, un conforto sincero, una speranza singolare della nostra vita religiosa, morale e cristiana.

Perché, oggi, che cosa è avvenuto? È avvenuto, fra i tanti sconvolgimenti spirituali, anche questo: che la devozione alla Madonna non trova sempre i nostri animi così disposti, così inclini, così contenti alla sua intima e cordiale professione com’era un tempo. Siamo noi oggi così devoti a Maria come lo era fino a ieri il clero ed il buon popolo cristiano? Ovvero siamo oggi più tiepidi, più indifferenti? Una mentalità profana, uno spirito critico hanno forse reso meno spontanea, meno convinta la nostra pietà verso la Madonna? Noi non vogliamo ora cercare i motivi di questa eventuale diminuita devozione, di questa pericolosa esitazione. Noi vogliamo adesso piuttosto ricordare i motivi della nostra obbligazione verso il culto di Maria Santissima, che sono validi oggi come, e più, di ieri. Non ci riferiamo ora alle forme di questo culto, ma piuttosto alle ragioni, che lo giustificano e che devono farcelo più che mai apprezzare e praticare: è ciò che ha fatto, a questo proposito, con magnifiche pagine, il recente Concilio Ecumenico. Qui Noi dobbiamo assai semplificare questo esame, e ridurlo a due fondamentali domande.

La prima: qual è la questione che oggi assorbe, si può dire, tutto il pensiero religioso, tutto lo studio teologico, e che, lo avverta egli o no, tormenta l’uomo moderno? È la questione del Cristo. Chi Egli sia, come venuto fra noi, quale sia la sua missione, la sua dottrina, il suo essere divino, il suo essere umano, la sua inserzione nella umanità, la sua relazione e la sua rilevanza con i destini umani. Cristo domina il pensiero, domina la storia, domina la concezione dell’uomo, domina la questione capitale della umana salvezza. E come è venuto Cristo fra noi? È venuto da Sé? È venuto senza alcuna relazione, senza alcuna cooperazione da parte dell’umanità? Può essere conosciuto, capito, considerato prescindendo dai rapporti reali, storici, esistenziali, che la sua apparizione nel mondo necessariamente comporta? È chiaro che no. Il mistero di Cristo è inserito in un disegno divino di partecipazione umana. Egli è venuto fra noi seguendo la via della generazione umana. Ha voluto avere una Madre; ha voluto incarnarsi mediante il mistero vitale d’una Donna, della Donna benedetta fra tutte. Dice l’Apostolo, che ha tracciato la struttura teologica fondamentale del cristianesimo: «Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il Figlio suo, nato di Donna . . . .» (Ga 4,4). E «Maria - ci ricorda il Concilio - non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed ubbidienza» (Lumen gentium, LG 56). Questa dunque non è una circostanza occasionale, secondaria, trascurabile; essa fa parte essenziale, e per noi uomini importantissima, bellissima, dolcissima del mistero della salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da Lei; lo incontriamo come il fiore dell’umanità aperto su lo stelo immacolato e verginale, che è Maria; «così è germinato questo fiore» (Cfr. DANTE, Par., 33, 9). Come nella statua della Madonna di Bonaria, Cristo ci appare nelle braccia di Maria; è da Lei che noi lo abbiamo, nella sua primissima relazione con noi; Egli è uomo come noi, è nostro fratello per il ministero materno di Maria. Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce.

Una duplice vita: quella dell’esempio e quella dell’intercessione. Vogliamo essere cristiani, cioè imitatori di Cristo? Guardiamo a Maria; ella è la figura più perfetta della somiglianza a Cristo. Ella è il « tipo ». Ella è l’immagine che meglio d’ogni altra rispecchia il Signore; è, come dice il Concilio, «l’eccellentissimo modello nella fede e nella carità» (Lumen gentium, LG 53, 65, etc.). Com’è dolce come è consolante avere Maria, la sua immagine, il suo ricordo, la sua dolcezza, la sua umiltà e la sua purezza, la sua grandezza davanti a noi, che vogliamo camminare dietro i passi del Signore; com’è vicino a noi il Vangelo nella virtù che Maria personifica e irradia con umano e sovrumano splendore. E come scompare, se di ciò vi fosse bisogno, da noi il timore che dando alla nostra spiritualità questa impronta di devozione mariana, la nostra religiosità, la nostra visione della vita, la nostra energia morale debbano diventare molli, femminee e quasi infantili, quando appressandoci a Lei, poetessa e profetessa della redenzione, ascoltiamo dalle sue labbra angeliche l’inno più forte e innovatore che sia mai stato pronunciato, il Magnificat; è Lei che rivela il disegno trasformatore dell’economia cristiana, il risultato storico e sociale, che tuttora trae dal cristianesimo la sua origine e la sua forza: Dio, Ella canta, «ha disperso coloro che insuperbivano nei loro pensieri . .., ha rovesciato dal loro trono i superbi ed ha esaltato gli umili» (Lc 1,51-52).

E qui la seconda via Ella, la Madonna, ci apre per arrivare alla nostra salvezza in Cristo Signore: la sua protezione. Ella è la nostra alleata, la nostra avvocata. Ella è la fiducia dei poveri, degli umili, dei sofferenti. Ella è perfino il «rifugio dei peccatori». Ella ha una missione di pietà, di bontà, d’intercessione per tutti. Ella è la consolatrice d’ogni nostro dolore. Ella insegna ad essere buoni, ad essere forti, ad essere pietosi per tutti. Ella è la regina della pace. Ella è la madre della Chiesa.

Ricordate tutto questo, figli della Sardegna e Uomini del mare; e non dimenticate mai di guardare alla Madonna come alla vostra «massima Protettrice».





Domenica, 3 maggio 1970: CANONIZZAZIONE DI DON LEONARDO MURIALDO

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Ecco un momento di gaudio pieno per la Chiesa pellegrina nelle asperità della vita presente verso la pienezza del regno di Dio. Il gaudio nasce dal fatto che un membro della Chiesa, un uomo di questo mondo, un nostro fratello è riconosciuto Santo, e come tale proclamato, onorato, invocato. E Santo, che cosa vuoi dire? vuol dire perfetto, nel senso di quella perfezione tanto facile a concepire, per chi è alunno della Chiesa maestra, ma altrettanto difficile a definire nella sua realtà, perché la santità risulta essere sintesi di coefficienti molteplici e meravigliosi, quali sono, innanzitutto, un carisma divino straordinario, anzi una quantità di carismi, cioè un’abbondanza di doni di Dio (
Ep 3,19), che invade una vita umana fino a diventare in lei, in certa misura, esuberante e trasparente; e poi la santità richiede una statura morale nell’uomo, che chiamiamo Santo, eccezionale, tanto che si vogliono in lui riscontrare virtù in grado eroico e quindi la santità domanda una risultante conformità, sempre originale, al primogenito della famiglia umana (Cfr. Rm 8,29 Col 1,15), all’archetipo dell’umanità, al «Figlio dell’uomo», a Cristo, nostro maestro e nostro modello (Cfr. Jn 13,15); e finalmente la santità esige ed offre un’esemplarità, ovvero una singolarità, tali da meritare l’imitazione, o almeno l’ammirazione di chi entra nella sfera sociale della personalità del Santo.


FASCINO DELLA SANTITÀ

Ed è ordinariamente quest’ultimo aspetto della santità quello che conquide più facilmente la nostra comune attenzione. Noi siamo così avidi di incontrare l’uomo grande, l’uomo eccezionale, l’operatore dei miracoli, l’eroe, il campione, il divo, il «leader», che non possiamo sottrarci al fascino del Santo, che appunto personifica un essere superiore, e tanto di più se a questo possiamo attribuire, noi piccoli, l’esaltante titolo: è nostro! L’agiografia è uno studio d’antropologia superlativa, dovuta al fattore religioso, che sebbene procedente da un identico principio verso un identico fine, genera una indefinita ricchezza di tipi umani, uno distinto dall’altro nella meravigliosa varietà di volti umani trasfigurati, ciascuno da un proprio differente carisma (Cfr. 1Co 12,27 ss.).

Il Santo: oggetto perciò di conoscenza, di interesse, di legittima e commendevole curiosità. Chi era dunque Leonardo Murialdo, al quale oggi attribuiamo questo altissimo titolo di Santo? Finora egli era ben poco conosciuto. Noi stessi, quando nel novembre del 1963, avemmo la gioia di proclamare la beatificazione del Murialdo, profferimmo la medesima domanda, che un venerato, esimio e compianto amico, Monsignor Giuseppe De Luca, auspicava fosse soddisfatta, scrivendo, nel 1950, in occasione del cinquantesimo della morte del nostro Santo: «Il Murialdo è uno dei fuochi di quell’incendio cristiano che forma la gloria del secolo passato, gloria come d’uno stellato nella notte . . . . merita riconoscenza e, prima ancora, conoscenza. Elogi, encomi, celebrazioni, tutto sta bene, ma innanzi e soprattutto, io credo, conoscenza». Non è questo il momento di dare del Santo la notizia biografica, di narrarne la vita; e nemmeno di farne il panegirico. Abbiamo ora finalmente una amplissima documentazione sulla vita del Murialdo, vita altrettanto circonfusa di umiltà e di discrezione che ricca e prodiga d’instancabile attività; tre poderosi volumi raccolgono ogni notizia su di lui, così che chi volesse può sapere del nuovo Santo quanto è possibile e desiderabile; vita, opere, scritti, commenti, tutto; è l’opera meritoria di Armando Castellani, che dopo il primo biografo storico del Murialdo, il Reffo, e i non pochi altri che illustrarono la vita di lui, ha messo sopra un piedistallo di documenti, di testimonianze, di informazioni la figura di Leonardo Murialdo da farne risaltare quella autentica grandezza che l’odierna canonizzazione circonda della aureola della santità.


IMITAZIONE E DEVOZIONE

Abbiamo dunque la storia del Santo, e subito ne guardiamo la figura, ne ammiriamo la santità. Noi tutti diventiamo osservatori, ammiratori e, a Dio piacendo, imitatori e devoti. Cioè la conoscenza di lui non ci basta, vogliamo un giudizio, vogliamo vederne il volto, coglierne quelle linee caratteristiche, che lo definiscono. Anche questo spontaneo desiderio di sintesi, Noi ora non possiamo soddisfare. Vogliamo solo indicare i capitoli, che, a Nostro avviso, possono offrirci le chiavi per penetrare nella comprensione del nuovo Santo, e per aiutarci a classificarlo e a distinguerlo in qualche modo, nella «turba grande, - come la definisce il veggente dell’Apocalisse, - che nessuno riesce a enumerare» (Ap 7,9).

Il primo capitolo è quello del quadro storico nel quale la figura del Santo ci appare; anzi, possiamo ben dire, dal quale egli risulta ed emerge vivente. Quadro del tempo: l’Ottocento; quadro del 1uogo : Torino. Qui Noi non possiamo esimerci dal rivolgere alla fortunata Città natale e ambientale del Santo il Nostro vivissimo plauso. Torino ci appare, specialmente nel secolo scorso, una Città eletta e benedetta, una Città di Santi; pensiamo a Don Bosco! tanto nomini . . . . pensiamo al Cottolengo, pensiamo al Cafasso, pensiamo a Domenico Savio, pensiamo alla Mazzarello e ad altre figure splendenti di virtù cristiane che dalla nobile terra piemontese trassero radici di santità. Siamo in un solco di tradizioni cattoliche, che ci fanno risalire fino a San Massimo e ci ricordano la sacra Sindone; si direbbe che colà si respira una atmosfera di spiritualità favorevole alla fioritura della santità; colà si è formata una scuola di robuste virtù morali, da cui escono alunni e maestri d’un cristianesimo rinnovato e moderno. Non vogliamo trascurare il ricordo di altri coefficienti che caratterizzano, specialmente nel secolo scorso, l’ambiente piemontese, come quello politico, reso vivace e drammatico da grandi correnti di idee, da grandi figure e da memorabili avvenimenti; e come quello industriale, destinato a straordinari sviluppi con riflessi evidenti e diffusi ancor oggi nel campo economico e sociale. L’ambiente esercita potenti influssi su chi ne vive; non possiamo supporre che alla sua atmosfera sia rimasto estraneo il nostro Santo; anzi la sua attività ci dimostra che da essa egli trasse il suo respiro e la sua ispirazione e in una certa misura la sua forza ed il suo successo.


INSIGNE FIGLIO D'ITALIA

Dobbiamo congratularci con Torino, qui degnamente presente con il Rappresentante del Signor Sindaco (indisposto) di Torino, e perciò con l’Italia, di codesta prerogativa, non certo decaduta, di dare alla Chiesa e al mondo uomini buoni, provvidi e tipici, come quello di cui esaltiamo la figura e rendiamo imperitura la memoria. Con lei, Signor Cardinale Arcivescovo dell’avventurata Città, dove il Murialdo nacque, operò e morì, si fonde in spirituale comunione il Nostro gaudio; a lei per tutta l’Arcidiocesi e per tutta la Chiesa piemontese si rivolge la Nostra religiosa e cordiale compiacenza.

E sapendo presente a questa solenne cerimonia l’onorevole Mariano Rumor, Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia, esprimiamo la Nostra commossa e riconoscente soddisfazione per averlo ufficialmente partecipe, con altri Personaggi rappresentativi del Governo e della Nazione, alla celebrazione della memoria, delle virtù, delle opere e della gloria d’un così insigne Figlio d’Italia, col voto che ciò valga a confortare le migliori tradizioni religiose e morali del Popolo Italiano, a sostenere nel Paese ogni sforzo generoso per il suo civile progresso, e a meritargli, per virtù dei suoi cittadini, col favore di questo cittadino celeste, la prosperità, la concordia e la pace.

E questo riferimento della figura del Murialdo alla Nazione che fu sua, ci conduce ad accennare al secondo densissimo capitolo dell’azione nella società, a cui egli consacrò le inesauribili energie del suo genio operativo. Chi può riassumere in una formula quale fu la sua opera? è ben difficile farne la pur semplice descrizione, così che fra i molti titoli in cui essa si manifestò e si affermò due soli indichiamo come degni di speciale memoria: primo, la fondazione d’una Congregazione religiosa di San Giuseppe, istituto sacerdotale e laicale avente «lo scopo d’educare con la pietà e con l’istruzione culturale e tecnica i giovani poveri, orfani, o abbandonati, o bisognosi di emendazione»; ed è questo il secondo titolo che innalza e diffonde nel mondo il nome benedetto di Leonardo Murialdo.


PICCOLO ESERCITO DI VOLONTARI

Questa Congregazione: un altro piccolo esercito (conta circa 850 membri, di cui più della metà Sacerdoti, con cento case sparse in Italia e nel mondo), un piccolo esercito, fiancheggiato dal ramo femminile delle Suore Murialdine, di volontari, dedicati totalmente e per tutta la vita alle varie opere del ministero ecclesiastico, ma specialmente all’assistenza e all’educazione dei Figli del Popolo, con particolare preferenza per quelli più bisognosi e per quelli delle categorie, lavoratrici, le operaie specialmente, ci attesta il sommo interesse della Chiesa per il mondo della gioventù e per quello del lavoro.

Il Murialdo è fra i primi ad avvertire l’urgenza ed a creare la possibilità di andare incontro alla gioventù destinata al lavoro. È un pioniere della educazione specializzata dei giovani lavoratori. È lui che tenta i primi esperimenti dell’organizzazione operaia. È un promotore delle prime Unioni Operaie cattoliche. È lui che inizia a Torino un Ufficio cattolico di collocamento al lavoro per operai disoccupati, che istituisce un «Giardino festivo per operai», che apre Colonie agricole, Scuole tecnico-pratiche di agricoltura, Case-Famiglie per Giovani Operai, e suscita cento altre iniziative del genere. Il Murialdo ha l’intuito preveggente delle forme pedagogiche, professionali, associative, legislative, che dovranno dare alla nuova popolazione industriale l’istruzione, l’avviamento, la solidarietà, che poi la società moderna ha inserite nei propri programmi, e che dovranno fare di masse disperse, diseredate, indifese, inquiete e stimolate dalle voci classiste e rivoluzionarie del tempo, un popolo nuovo, cosciente dei suoi diritti, capace dei suoi doveri, fondato sul progressivo svolgimento della legittima giustizia sociale, libero e responsabile, come lo esige l’ordinamento democratico moderno.

Basti dire che fino dal dicembre del 1869 il Murialdo invia al Governo Lanza-Sella una petizione per una legislazione normativa del lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche. Il Murialdo ha la passione dei bisogni della gioventù e dell’umile gente, lui figlio di famiglia benestante, prete colto, fine e sempre disposto ad affrontare imprese benefiche, che lo rendono tribolato e spesso più povero dei suoi poveri.

Questo aspetto della figura del Santo sembra a Noi che debba interessare lo studio della vita cattolica in Italia e dello sviluppo dei movimenti sociali più che ora non sia; siamo facili all’oblio di questa tradizione del cattolicesimo militante nel campo sociale e nell’incremento e nella maturazione della coscienza nazionale; forse le vicende politiche del Risorgimento e le correnti anticlericali del tempo hanno contribuito a contenere l’affermazione delle opere sociali dei cattolici, le quali, ancor più che alle appassionate discussioni nell’opinione pubblica e nella vicenda politica, miravano alla offerta di contributi concreti, positivi, impegnativi d’un servizio organico, che solo la dedizione di persone votate a specifiche istituzioni, a ciò relative, poteva prestare. E ciò dimostrerebbe come il carattere confessionale di tali istituzioni non solo non impedì la loro nascita, ma la generò; e ricorderebbe anche a noi, oggi abituati a distinguere, e fino a separare, il campo religioso da quello temporale, che l’ispirazione religiosa realmente operante nell’ambito delle attività sociali, lungi dal frenare la loro espansione, conferisce loro la più intima, la più generosa, la più feconda energia, quella incomparabile ed inesauribile della carità. La storia delle opere, a cui il Murialdo pose mano e diede vita, lo dimostra e tuttora lo insegna.


FU STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO

E qui la conclusione ci porta al terzo capitolo, quello che tenta l’introspezione di quest’uomo di Dio. Ma dobbiamo fermarci sulla soglia. La vita spirituale e personale del Murialdo ci è, per ora, meno nota che non la sua multiforme attività esteriore; la pubblicazione dei suoi scritti e della sua corrispondenza renderà l’esplorazione possibile; ma forse essa non offrirà alla nostra indagine psicologica quegli aspetti singolari e, per così dire, anormali, di cui noi moderni siamo più avidi, nel campo agiografico, che non gli antichi, per i quali era invece sommo gusto la ricerca, e per certuni fantasiosi perfino l’invenzione decorativa, degli episodi meravigliosi e miracolosi. Ripeteremo intanto ciò che di lui è stato detto: egli fu straordinario nell’ordinario. Cioè la sua personalità sacerdotale ci si presenta nel profilo comune del buon prete di quel tempo e di quell’ambiente; e questo giudizio torna a grande lode della formazione ecclesiastica allora vigente (e tuttora degna d’alto apprezzamento), se essa sapeva modellare, nell’osservanza regolare e fervorosa della norma canonica, come tipo ordinario un prete straordinario, un santo. Si rivendica così la sapienza della pedagogia ecclesiale Post-tridentina, alla San Carlo, alla «San Sulpizio» dell’Olier (il Murialdo fu ospite di S. Sulpizio a Parigi per un certo tempo), nella quale pedagogia l’equilibrio, anzi la complementarietà, della vita interiore e della vita esteriore è preziosa caratteristica; né l’una, né l’altra proclive a singolarità carismatiche, ascetiche, o pastorali, ma l’una e l’altra forti, serie, perseveranti, e improntate non tanto all’affermazione della propria personalità, quanto piuttosto alla propria austera abnegazione nell’amore a Cristo e nell’umile conformità alla disciplina canonica.

Ma questa ricerca di normalità non sarà mai priva dell’originalità delle anime vive; basti ricordare quanto intensa fosse la sua spiritualità, e come le sue devozioni, cioè le espressioni preferite della sua religiosità, fossero rivolte con un fervore tutto personale alle verità somme e centrali della fede: la Santissima Trinità, l’Eucaristia, la Croce, lo Spirito Santo, la Chiesa, la Madonna, e con lei S. Giuseppe (che dà il nome alla Congregazione dei Figli del Murialdo)...

E per portare con noi un frammento di questa santità così semplice, così vera, così silenziosa e così feconda, e per sentirlo il Murialdo non solo vivo e glorioso in Cielo, ma nostro compagno e nostro modello nel pellegrinaggio sulla terra e nel tempo, ci fermeremo a queste sue parole, quasi a commiato, nell’ammirazione e nella fiducia per la sua santità:

«Non rendere - egli ebbe a dire - la religione o solamente soprannaturale, o solamente umana. Ma soprannaturale e umana. Alla virtù aggiungi la bontà, la dolcezza, lo spirito di amicizia, la naturalezza, la disinvoltura, la festevolezza . . .» (CASTELLANI, II, 756).

Sembra a Noi di vederlo, di ascoltarlo; e di averlo ancora con noi, San Leonardo Murialdo: vicino. Così sia.






B. Paolo VI Omelie 29370