B. Paolo VI Omelie 31070

Domenica, 3 ottobre 1970: PROCLAMAZIONE DI SANTA CATERINA DA SIENA DOTTORE DELLA CHIESA

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La spirituale esultanza che ha invaso l’animo Nostro nel proclamare Dottore della Chiesa la umile e sapiente vergine domenicana, Caterina da Siena, trova il riferimento più alto e, diremmo, la sua giustificazione nella gioia purissima esperimentata dal Signore Gesù, quando, come narra l’evangelista S. Luca, «trasalì di gioia nello Spirito Santo» e disse: «Io ti glorifico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti, e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché tale è stato il tuo beneplacito» (
Lc 10,21 cfr. Matth. Mt 11,25-26).

In verità, nel ringraziare il Padre per aver svelato i segreti della sua divina sapienza agli umili, Gesù non aveva presenti al suo spirito soltanto i Dodici, che egli aveva eletti tra il popolo incolto, e che avrebbe un giorno inviato, quali suoi apostoli, ad istruire tutte le genti e ad insegnare ad esse quanto aveva loro comandato (Cfr. Mt 28,19-20), ma altresì quanti avrebbero creduto in Lui, fra i quali innumerevoli sarebbero stati i meno dotati agli occhi del mondo.

E questo si compiaceva di osservare l’Apostolo delle genti, scrivendo alla comunità della greca Corinto, città pullulante di gente infatuata di umana sapienza. «Considerate tra voi, o fratelli, quelli che (Dio) ha chiamato: non molti i sapienti secondo l’estimazione terrena; non molti i potenti; non molti i nobili. Ciò invece che è stolto per il mondo, Iddio scelse per confondere i sapienti; e ciò che è debole Iddio scelse per confondere quello che è forte; scelse ciò che per il mondo non ha pregio e valore, ciò che non esiste, per ridurre al nulla ciò che esiste, affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio» (1Co 1,26-29).

Tale scelta preferenziale di Dio per quanto è irrilevante o, magari, spregevole agli occhi del mondo era già stata annunciata dal Maestro, quando - in netta antitesi alle valutazioni terrene – aveva chiamato beati e candidati al suo Regno i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace (Cfr. Mt 5,3-10).

Non è certo Nostra intenzione indugiare nel porre in rilievo come nella vita e nell’attività esterna di Caterina le Beatitudini evangeliche abbiano avuto un modello di superlativa verità e bellezza. Tutti voi, del resto, ricordate quanto ella sia stata libera nello spirito da ogni terrena cupidigia; quanto abbia amato la verginità consacrata al celeste sposo, Cristo Gesù; quanto sia stata affamata di giustizia e colma di viscere di misericordia nel cercare di riportare la pace in seno alle famiglie ed alle città, dilaniate da rivalità e da odi atroci; quanto si sia prodigata per riconciliare la repubblica di Firenze con il Sommo Pontefice Gregorio XI, fino ad esporre alla vendetta dei ribelli la propria vita. Né ci fermeremo ad ammirare le eccezionali grazie mistiche, di cui volle dotarla il Signore, tra le quali il mistico sposalizio e le sacre stigmate. Crediamo altresì non rispondente alla presente circostanza il rievocare la storia dei magnanimi sforzi, compiuti dalla Santa per indurre il Papa a ritornare alla sua legittima sede, Roma. Il successo che ella finalmente ottenne, fu veramente il capolavoro della sua operosità, che rimarrà nei secoli la sua gloria più grande e costituirà un titolo tutto speciale all’eterna riconoscenza per lei da parte della Chiesa.

Crediamo, invece, opportuno in questo momento porre, sia pur brevemente, in luce il secondo dei titoli, che giustificano, in conformità al giudizio della Chiesa, il conferimento del Dottorato alla figlia dell’illustre Città di Siena: e cioè la peculiare eccellenza della dottrina.

Quanto al primo titolo infatti, quello della santità, il suo riconoscimento solenne fu espresso, ed in ampia misura e con stile inconfondibile di umanista, dal Pontefice Pio II, suo concittadino, nella Bolla di Canonizzazione Misericordias Domini, di cui egli stesso fu l’autore (Cfr. M.-H. LAUKENT, OP., Proc. Castel. , pp. 521-530. Trad. ital. di I. Taurisano, OP., S. Caterina da Siena, Roma 1948, pp. 665-673). La speciale cerimonia liturgica ebbe luogo nella Basilica di S. Pietro, il 29 giugno 1461.

Che diremo dunque dell’eminenza della dottrina cateriniana? Noi certamente non troveremo negli scritti della Santa, cioè nelle sue Lettere, conservate in numero assai cospicuo, nel Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina e nelle «orationes», il vigore apologetico e gli ardimenti teologici che distinguono le opere dei grandi luminari della Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente; né possiamo pretendere dalla non colta vergine di Fontebranda le alte speculazioni, proprie della teologia sistematica, che hanno reso immortali i Dottori del medioevo scolastico. E se è vero che nei suoi scritti si riflette, e in misura sorprendente, la teologia dell’Angelico Dottore, essa vi compare però spoglia di ogni rivestimento scientifico. Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico.

Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che S. Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane, e di cui volle che fosse ben disciplinato l’uso, ammonendo che tali doni non sono tanto a vantaggio di coloro che ne sono dotati, quanto piuttosto dell’intero Corpo della Chiesa: come infatti in esso - spiega l’Apostolo - «unico e medesimo (è) lo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole» (1Co 12,11) così su tutte le membra del mistico organismo di Cristo deve ridondare il beneficio dei tesori spirituali che il suo Spirito elargisce (Cfr. 1Co 11,5 Rm 12,8 1Tm 6,2 Tt 2,15).

«Dottrina eius (scilicet Catharinae) non acquisita fuit; prius magistra visa est quam discipula» (Proc. Castel., 1. c.): così dichiarò lo stesso Pio II nella Bolla di Canonizzazione. Ed invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami all’imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore ardente dall’Amore Infinito, ch’è lo Spirito Santo.

Ma quali sono le linee caratteristiche, i temi dominanti del suo magistero ascetico e mistico? A Noi sembra che, ad imitazione del «glorioso Paolo» (Dialogo, c. XI, a cura di G. Cavallini, 1968, p. 27), di cui riflette talvolta anche lo stile gagliardo ed impetuoso, Caterina sia la mistica del Verbo Incarnato, e soprattutto di Cristo Crocifisso; essa fu l’esaltatrice della virtù redentivi del Sangue adorabile del Figliuolo di Dio, effuso sul legno della Croce con larghezza di amore per la salvezza di tutte le umane generazioni (Cfr. Dialogo, c. CXXVII, ed. cit., p. 325). Questo Sangue del Salvatore, la Santa lo vede fluire continuamente nel Sacrificio della Messa e nei Sacramenti, grazie al ministero dei sacri ministri, a purificazione ed abbellimento dell’intero Corpo mistico di Cristo. Caterina perciò potremmo dirla la mistica del Corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa.

D’altra parte la Chiesa è per lei autentica madre, a cui è doveroso sottomettersi, prestare riverenza ed assistenza: «Ché - Ella osa dire - la Chiesa non è altro che esso Cristo» (Lettera 171, a cura di P. Misciatelli, III, 89).

Quale non fu perciò l’ossequio e l’amore appassionato che la Santa nutrì per il Romano Pontefice! Noi oggi personalmente, minimo servo dei servi di Dio, dobbiamo a Caterina immensa riconoscenza, non certo per l’onore che possa ridondare sulla nostra umile persona, ma per la mistica apologia ch’ella fa dell’ufficio apostolico del successore di Pietro. Chi non ricorda? Ella contempla in lui «il dolce Cristo in terra» (Lettera 196, ed. cit., III, 211), a cui si deve filiale affetto ed obbedienza, perché : «Chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa del frutto del Sangue del Figliuolo di Dio» (Lettera 207, ed. cit., III, 270). E quasi anticipando, non solo la dottrina, ma il linguaggio stesso del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, LG 23), la Santa scrive al Papa Urbano VI: «Padre santissimo . . cognoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa di conservare questo popolo (di Firenze) alla obbedienza e reverenza della Santità Vostra, perocché qui è il capo e il principio della nostra fede» (Lettera 170, ed. cit., III, 75).

Ai Cardinali, poi, a molti Vescovi e sacerdoti, essa rivolge pressanti esortazioni, né risparmia forti rimproveri, sempre però in tutta umiltà e rispetto per la loro dignità di ministri del Sangue di Cristo. Né Caterina poteva dimenticare di essere figlia di un Ordine religioso, e tra i più gloriosi ed attivi nella Chiesa. Essa, quindi, nutre stima singolare per quelle che chiama le «sante religioni», che considera quasi vincolo di unione tra il Corpo mistico, costituito dai rappresentanti di Cristo (secondo una qualificazione sua propria), ed il corpo universale della religione cristiana, cioè i semplici fedeli. Esige dai religiosi fedeltà alla loro eccelsa vocazione, attraverso l’esercizio generoso delle virtù e l’osservanza delle rispettive regole. Non ultimi, nella sua materna sollecitudine, sono i laici, a cui indirizza vivaci e numerose lettere, volendoli pronti nella pratica delle virtù cristiane e dei doveri del proprio stato, animati da ardente carità per Iddio e per il prossimo, poiché anch’essi sono membra vive del Corpo mistico; ora, dice la Santa, «ella (cioè la Chiesa) è fondata in amore, ed è esso amore» (Lettera 103, a cura di G. Gigli).

Come poi non ricordare l’opera intensa, svolta dalla Santa per la riforma della Chiesa? È principalmente ai sacri Pastori che essa rivolge le sue esortazioni, disgustata di santo sdegno per l’ignavia di non pochi di loro, fremente per il loro silenzio, mentre il gregge loro affidato andava disperso ed in rovina. «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue, scrive ad un alto prelato. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il Sangue di Cristo» (Lettera 16 al card. di Ostia, a cura di L. Ferretti, I, 85).

E che cosa intendeva essa per rinnovamento e riforma della Chiesa? Non certamente il sovvertimento delle sue strutture essenziali, la ribellione ai Pastori, la via libera ai carismi personali, le arbitrarie innovazioni nel culto e nella disciplina, come alcuni vorrebbero ai nostri giorni. Al contrario, essa afferma ripetutamente che sarà resa la bellezza alla Sposa di Cristo e si dovrà fare la riforma «non con guerra, ma con pace e quiete, con umili e continue orazioni, sudori e lagrime dei servi di Dio» (Cfr. Dialogo, cc. XV, LXXXVI, ed. cit. , pp. PP 44,197). Si tratta, quindi, per la Santa di una riforma anzitutto interiore, e poi esterna, ma sempre nella comunione e nell’obbedienza filiale verso i legittimi rappresentanti di Cristo.

Fu anche politica la nostra devotissima Vergine? Sì, indubbiamente, ed in forma eccezionale, ma in un senso tutto spirituale della parola. Ella, infatti, respinse sdegnosamente l’accusa di politicante, che le muovevano alcuni dei suoi concittadini, scrivendo ad uno di loro: «. . . E i miei cittadini credono che per me o per la compagnia ch’io ho meco, si facciano trattati: elli dicono la verità; ma non la cognoscono, e profetano; perocché altro non voglio fare né voglio faccia chi è con me, se non che si tratti di sconfiggere il dimonio e toglierli la signoria che egli ha presa dello uomo per lo peccato mortale, e trargli l’odio del cuore, e pacificarlo con Cristo Crocifisso e col prossimo suo» (Lettera 122, ed. cit., II, 253).

La lezione pertanto di questa donna politica «sui generis» conserva tuttora il suo significato e valore, benché oggi sia più sentito il bisogno di far la debita distinzione tra le cose di Cesare e quelle di Dio, tra Chiesa e Stato. Il magistero politico della Santa trova la più genuina e perfetta espressione in questa sua lapidaria sentenza: «Niuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia» (Dialogo, c. CXIX, ed. cit., p. 291).

Non contenta di avere svolto un intenso e vastissimo magistero di verità e di bontà con la parola e con gli scritti, Caterina volle suggellarlo con l’offerta finale della sua vita, per il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, nell’ancor giovanile età di 33 anni. Dal suo letto di morte, circondata dai fedeli discepoli in una celletta presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva, in Roma, essa rivolse al Signore questa commovente preghiera, vero testamento di fede e di riconoscente, ardentissimo amore: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in (vantaggio di) questo corpo mistico della santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il cuore, dunque, e premilo sopra la faccia di questa sposa» (Lettera 371, ed. L. Ferretti, V, PP 301-302).

Il messaggio perciò di una fede purissima, di un amore ardente, di una dedizione umile e generosa alla Chiesa Cattolica, quale Corpo mistico e Sposa del Redentore divino: questo è il messaggio tipico del nuovo Dottore della Chiesa, Caterina da Siena, a illuminazione ed esempio di quanti si gloriano di appartenerle. Raccogliamolo con animo riconoscente e generoso, perché sia luce della nostra vita terrena e pegno di futura e sicura appartenenza alla Chiesa trionfante del Cielo. Così sia!






Domenica, 25 ottobre l970: CANONIZZAZIONE DI QUARANTA MARTIRI DELL’INGHILTERRA E DEL GALLES

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We extend Our greeting first of all to Our venerable brother Cardinal John Carmel Heenan, Archbishop of Westminster, who is present here today. Together with him We greet Our brother bishops of England and Wales and of all the other countries, those who have come here for this great ceremony. We extend Our greeting also to the English priests, religious, students and faithful. We are filled with joy and happiness to have them near Us today; for us-they represent all English Catholics scattered throughout the world. Thanks to them we are celebrating Christ’s glory made manifest in the holy Martyrs, whom We have just canonized, with such keen and brotherly feelings that We are able to experience in a very special spiritual way the mystery of the oneness and love of .the Church. We offer you our greetings, brothers, sons and daughters; We thank you and We bless you.

While We are particularly pleased to note the presence of the official representative of the Archbishop of Canterbury, the Reverend Doctor Harry Smythe, We also extend Our respectful and affectionate greeting to all the members of the Anglican Church who have likewise come to take part in this ceremony. We indeed feel very close to them. We would like them to read in Our heart the humility, the gratitude and the hope with which We welcome them. We wish also to greet the authorities and those personages who have come here to represent Great Britain, and together with them all the other representatives of other countries and other religions. With all Our heart We welcome them, as we celebrate the freedom and the fortitude of men who had, at the same time, spiritual faith and loyal respect for the sovereignty of civil society.


STORICO EVENTO PER LA CHIESA UNIVERSALE

La solenne canonizzazione dei 40 Martiri dell’Inghilterra e del Galles da Noi or ora compiuta, ci offre la gradita opportunità di parlarvi, seppur brevemente, sul significato della loro esistenza e sulla importanza the la loro vita e la loro morte hanno avuto e continuano ad avere non solo per la Chiesa in Inghilterra e nel Galles, ma anche per la Chiesa Universale, per ciascuno di noi, e per ogni uomo di buona volontà.

Il nostro tempo ha bisogno di Santi, e in special modo dell’esempio di coloro che hanno dato il supremo testimonio del loro amore per Cristo e la sua Chiesa: «nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici» (
Jn 15,13). Queste parole del Divino Maestro, che si riferiscono in prima istanza al sacrificio che Egli stesso compì sulla croce offrendosi per la salvezza di tutta l’umanità, valgono pure per la grande ed eletta schiera dei martiri di tutti i tempi, dalle prime persecuzioni della Chiesa nascente fino a quelle – forse più nascoste ma non meno crudeli - dei nostri giorni. La Chiesa di Cristo è nata dal sacrificio di Cristo sulla Croce ed essa continua a crescere e svilupparsi in virtù dell’amore eroico dei suoi figli più autentici. «Semen est sanguis christianorum» (TERTULL., Apologet., 50; PL l, 534). Come l’effusione del sangue di Cristo, così l’oblazione che i martiri fanno della loro vita diventa in virtù della loro unione col Sacrificio di Cristo una sorgente di vita e di fertilità spirituale per la Chiesa e per il mondo intero. «Perciò - ci ricorda la Costituzione Lumen gentium (Lumen gentium, LG 42) – il martirio, col quale il discepolo è reso simile al Maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e a Lui si conforma nell’effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa dono insigne e suprema prova di carità».

Molto si è detto e si è scritto su quell’essere misterioso che è l’uomo : sulle risorse del suo ingegno, capace di penetrare nei segreti dell’universo e di assoggettare le cose materiali utilizzandole ai suoi scopi; sulla grandezza dello spirito umano che si manifesta nelle ammirevoli opere della scienza e dell’arte; sulla sua nobiltà e la sua debolezza; sui suoi trionfi e le sue miserie. Ma ciò che caratterizza l’uomo, ciò che vi è di più intimo nel suo essere e nella sua personalità, è la capacità di amare, di amare fino in fondo, di donarsi con quell’amore che è più forte della morte e che si prolunga nell’eternità.


IL SACRIFICIO NELL’AMORE PIÙ ALTO

Il martirio dei cristiani è l’espressione ed il segno più sublime di questo amore, non solo perché il martire rimane fedele al suo amore fino all’effusione del proprio sangue, ma anche perché questo sacrificio viene compiuto per l’amore più alto e nobile che possa esistere, ossia per amore di Colui che ci ha creati e redenti, che ci ama come Egli solo sa amare, e attende da noi una risposta di totale e incondizionata donazione, cioè un amore degno del nostro Dio.

Nella sua lunga e gloriosa storia, la Gran Bretagna, isola di santi, ha dato al mondo molti uomini e donne che hanno amato Dio con questo amore schietto e leale: per questo siamo lieti di aver potuto annoverare oggi 40 altri figli di questa nobile terra fra coloro che la Chiesa pubblicamente riconosce come Santi, proponendoli con ciò alla venerazione dei suoi fedeli, e perché questi ritraggano dalle loro esistenze un vivido esempio.

A chi legge commosso ed ammirato gli atti del loro martirio, risulta chiaro, vorremmo dire evidente, che essi sono i degni emuli dei più grandi martiri dei tempi passati, a motivo della grande umiltà, intrepidità, semplicità e serenità, con le quali essi accettarono la loro sentenza e la loro morte, anzi, più ancora con un gaudio spirituale e con una carità ammirevole e radiosa.

È proprio questo atteggiamento profondo e spirituale che accomuna ed unisce questi uomini e donne, i quali d’altronde erano molto diversi fra loro per tutto ciò che può differenziare un gruppo così folto di persone, ossia l’età e il sesso, la cultura e l’educazione, lo stato e condizione sociale di vita, il carattere e il temperamento, le disposizioni naturali e soprannaturali, le esterne circostanze della loro esistenza. Abbiamo infatti fra i 40 Santi Martiri dei sacerdoti secolari e regolari, abbiamo dei religiosi di vari Ordini e di rango diverso, abbiamo dei laici, uomini di nobilissima discendenza come pure di condizione modesta, abbiamo delle donne che erano sposate e madri di famiglia: ciò che li unisce tutti è quell’atteggiamento interiore di fedeltà inconcussa alla chiamata di Dio che chiese a loro, come risposta di amore, il sacrificio della vita stessa.

E la risposta dei martiri fu unanime: «Non posso fare a meno di ripetervi che muoio per Dio e a motivo della mia religione; - così diceva il Santo Philip Evans - e mi ritengo così felice che se mai potessi avere molte altre vite, sarei dispostissimo a sacrificarle tutte per una causa tanto nobile».


LEALTÀ E FEDELTÀ

E, come d’altronde numerosi altri, il Santo Philip Howard conte di Arundel asseriva egli pure: «Mi rincresce di avere soltanto una vita da offrire per questa nobile causa». E la Santa Margaret Clitherow con una commovente semplicità espresse sinteticamente il senso della sua vita e della sua morte: «Muoio per amore del mio Signore Gesù». « Che piccola cosa è questa, se confrontata con la morte ben più crudele che Cristo ha sofferto per me », così esclamava il Santo Alban Roe.

Come molti loro connazionali che morirono in circostanze analoghe, questi quaranta uomini e donne dell’Inghilterra e del Galles volevano essere e furono fino in fondo leali verso la loro patria che essi amavano con tutto il cuore; essi volevano essere e furono di fatto fedeli sudditi del potere reale che tutti - senza eccezione alcuna - riconobbero, fino alla loro morte, come legittimo in tutto ciò che appartiene all’ordine civile e politico. Ma fu proprio questo il dramma dell’esistenza di questi Martiri, e cioè che la loro onesta e sincera lealtà verso l’autorità civile venne a trovarsi in contrasto con la fedeltà verso Dio e con ciò che, secondo i dettami della loro coscienza illuminata dalla fede cattolica, sapevano coinvolgere le verità rivelate, specialmente sulla S. Eucaristia e sulle inalienabili prerogative del successore di Pietro, che, per volere di Dio, è il Pastore universale della Chiesa di Cristo. Posti dinanzi alla scelta di rimanere saldi nella loro fede e quindi di morire per essa, ovvero di aver salva la vita rinnegando la prima, essi, senza un attimo di esitazione, e con una forza veramente soprannaturale, si schierarono dalla parte di Dio e gioiosamente affrontarono il martirio. Ma talmente grande era il loro spirito, talmente nobili erano i loro sentimenti, talmente cristiana era l’ispirazione della loro esistenza, che molti di essi morirono pregando per la loro patria tanto amata, per il Re o per la Regina, e persino per coloro che erano stati i diretti responsabili della loro cattura, dei loro tormenti, e delle circostanze ignominiose della loro morte atroce.

Le ultime parole e l’ultima preghiera del Santo John Plessington furono appunto queste: «Dio benedica il Re e la sua famiglia e voglia concedere a Sua Maestà un prospero regno in questa vita e una corona di gloria nell’altra. Dio conceda pace ai suoi sudditi consentendo loro di vivere e di morire nella vera fede, nella speranza e nella carità».


«POSSANO TUTTI OTTENERE LA SALVEZZA»

Così il Santo Alban Roe, poco prima dell’impiccagione, pregò: «Perdona, o mio Dio, le mie innumerevoli offese, come io perdono i miei persecutori», e, come lui, il Santo Thomas Garnet che - dopo aver singolarmente nominato e perdonato coloro che lo avevano tradito, arrestato e condannato - supplicò Dio dicendo: «Possano tutti ottenere la salvezza e con me raggiungere il cielo».

Leggendo gli atti del loro martirio e meditando il ricco materiale raccolto con tanta cura sulle circostanze storiche della loro vita e del loro martirio, rimaniamo colpiti soprattutto da ciò che inequivocabilmente e luminosamente rifulge nella loro esistenza; esso, per la sua stessa natura, è tale da trascendere i secoli, e quindi da rimanere sempre pienamente attuale e, specie ai nostri giorni, di importanza capitale. Ci riferiamo al fatto che questi eroici figli e figlie dell’Inghilterra e del Galles presero la loro fede veramente sul serio: ciò significa che essi l’accettarono come l’unica norma della loro vita e di tutta la loro condotta, ritraendone una grande serenità ed una profonda gioia spirituale. Con una freschezza e spontaneità non priva di quel prezioso dono che è l’umore tipicamente proprio della loro gente, con un attaccamento al loro dovere schivo da ogni ostentazione, e con la schiettezza tipica di coloro che vivono con convinzioni profonde e ben radicate, questi Santi Martiri sono un esempio raggiante del cristiano che veramente vive la sua consacrazione battesimale, cresce in quella vita che nel sacramento dell’iniziazione gli è stata data e che quello della confermazione ha rinvigorito, in modo tale che la religione non è per lui un fattore marginale, bensì l’essenza stessa di tutto il suo essere ed agire, facendo sì che la carità divina diviene la forza ispiratrice, fattiva ed operante di una esistenza, tutta protesa verso l’unione di amore con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà, che troverà la sua pienezza nell’eternità.

La Chiesa e il mondo di oggi hanno sommamente bisogno di tali uomini e donne, di ogni condizione me stato di vita, sacerdoti, religiosi e laici, perché solo persone di tale statura e di tale santità saranno capaci di cambiare il nostro mondo tormentato e di ridargli, insieme alla pace, quell’orientamento spirituale e veramente cristiano a cui ogni uomo intimamente anela - anche talvolta senza esserne conscio - e di cui tutti abbiamo tanto bisogno.

Salga a Dio la nostra gratitudine per aver voluto, nella sua provvida bontà, suscitare questi Santi Martiri, l’operosità e il sacrificio dei quali hanno contribuito alla conservazione della fede cattolica nell’Inghilterra e nel Galles.

Continui il Signore a suscitare nella Chiesa dei laici, religiosi e sacerdoti che siano degni emuli di questi araldi della fede.

Voglia Dio, nel suo amore, che anche oggi fioriscano e si sviluppino dei centri di studio, di formazione e di preghiera, atti, nelle condizioni di oggi, a preparare dei santi sacerdoti e missionari quali furono, in quei tempi, i Venerabili Collegi di Roma e Valladolid e i gloriosi Seminari di St. Omer e Douai, dalle file dei quali uscirono appunto molti dei Quaranta Martiri, perché come uno di essi, una grande personalità, il Santo Edmondo Campion, diceva: «Questa Chiesa non si indebolirà mai fino a quando vi saranno sacerdoti e pastori ad attendere al loro gregge».

Voglia il Signore concederci la grazia che in questi tempi di indifferentismo religioso e di materialismo teorico e pratico sempre più imperversante, l’esempio e la intercessione dei Santi Quaranta Martiri ci confortino nella fede, rinsaldino il nostro autentico amore per Dio, per la sua Chiesa e per gli uomini tutti.


PER L’UNITA DEI CRISTIANI

May the blood of these Martyrs be able to heal the great wound inflicted upon God’s Church by reason of the separation of the Anglican Church from the Catholic Church. Is it not one-these Martyrs say to us-the Church founded by Christ? Is not this their witness? Their devotion to their nation gives us the assurance that on the day when-God willing-the unity of the faith and of Christian life is restored, no offence will be inflicted on the honour and sovereignty of a great country such as England. There will be no seeking to lessen the legitimate prestige and the worthy patrimony of piety and usage proper to the Anglican Church when the Roman Catholic Church-this humble “Servant of the Servants of God”- is able to embrace her ever beloved Sister in the one authentic communion of the family of Christ: a communion of origin and of faith, a communion of priesthood and of rule, a communion of the Saints in the freedom and love of the Spirit of Jesus.

Perhaps We shall have to go on, waiting and watching in prayer, in order to deserve that blessed day. But already We are strengthened in this hope by the heavenly friendship of the Forty Martyrs of England and Wales who are canonized today. Amen.






PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI IN ASIA ORIENTALE, OCEANIA ED AUSTRALIA:


Venerdì, 27 novembre 1970: SANTA MESSA NELLA CATTEDRALE DI MANILA

27110 Filippine, Manila


Venerati Fratelli nell’episcopato,

Cari Figli e Figlie,

Siamo giunti or ora sul suolo delle Filippine ed abbiamo voluto the la Nostra prima sosta avvenisse in questa Cattedrale per potervi salutare. Mentre vi ringraziamo per la vostra accoglienza tanto affettuosa e cordiale, Noi vi rivolgiamo con profondo sentimento quel saluto che si scambiano i fedeli dell’unico Signore Gesù Cristo. È, infatti, in suo nome che siamo venuti in mezzo a voi; è per glorificarlo e ringraziarlo delle meraviglie compiute in questa regione dell’Asia ed in tanti altri Paesi di questo immenso continente; ed è perché la Chiesa abbia a. continuare, con rinnovato ardore, la sua opera di salvezza che abbiamo voluto partecipare ai lavori della prima Conferenza dei Vescovi di tutta l’Asia. Sia gloria a Dio per mezzo di Gesù Cristo! (Cfr.
Rm 16,25-27)

Permetteteci, cari e venerati Fratelli, di dirvi tutta la stima e il rispetto che Noi abbiamo per le vostre degne persone e per i gravi compiti, che vi sono affidati. Sono enormi le distanze che vi tengono, spesso, separati gli uni dagli altri; e tanto numerose le popolazioni che sollecitano la vostra generosità pastorale. Voglia Dio concedervi che questo incontro fraterno vi sia di mutuo conforto nell’esercizio del dono, che Egli vi ha fatto, di pascere il popolo di Dio nella fortezza e nella carità (Cfr. 2Tm 1,7). E voi, membri del clero diocesano e missionario; voi, religiosi e religiose, anche voi Noi salutiamo con affetto paterno. Anche voi siete nostri fratelli e sorelle per la fede comune; voi siete l’oggetto particolare della benevolenza divina, che vi ha dato la grazia di servire, in maniera speciale, all’opera salvifica della Chiesa.

La vocazione al sacerdozio o alla pratica dei consigli evangelici è, in realtà, un segno di grande amore da parte di Colui che vi ha scelti in mezzo a tanti fratelli, chiamandovi a condividere, in forma del tutto speciale, la sua amicizia: «Non vi chiamo più servi .- ha detto Nostro Signore - perché il servo non sa quel che fa il padrone; vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho appreso dal Padre mio, ve l’ho fatto conoscere» (Jn 15,15). Oh siano sempre le vostre anime piene di riconoscenza e di gioia per questo dono prezioso della vocazione!

Che spettacolo consolante è per il cuore del Papa il vedere tanta folla adunata in questo focolare di preghiera! Noi vogliamo anzitutto rendere un omaggio commosso alle generazioni di Missionari che hanno edificato, fin dagli inizi, questa meravigliosa cristianità delle Filippine, della quale siete voi, sacerdoti, religiosi e religiose di questo Paese, la gemma più bella. Venuti da diverse contrade e fraternamente uniti nel vincolo di un’unica fede ed al servizio di uno stesso Maestro, voi avete risposto all’amore mediante l’amore. Non si sa sempre riconoscere l’altezza dei vostri sacrifici, la perseveranza talvolta eroica che vi è necessaria per mantenervi, lungo tutta la vita, al servizio degli altri, e tanto spesso dei più poveri. E non si comprende neppure il significato profondo delle vostre esistenze, perché esse non sono guidate dall’interesse umano, ma sono illuminate dalla fede: «Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto quelli ai quali è stato concesso» (Mt 19,11), ci dice ancora il Signore.

Noi diciamo e proclamiamo che il sacerdozio e la vita religiosa sono i segni migliori di vitalità e la ricchezza più splendida di una comunità cristiana: essi sono l’espressione stessa della vita e della santità della Chiesa (Cfr. Lumen gentium, LG 44). Il compito, a voi affidato, è talvolta assai gravoso. Il mondo, per il quale lavorate, anche se manifesta una ricchezza di virtù naturali sorprendente ed un notevole spirito religioso, esige il vostro tempo, la vostra competenza, il vostro cuore senza che possiate avere cura del riposo. «La messe è molta, ma gli operai sono pochi» (Mt 9,37 Lc 10,2). Situazioni nuove, tra le quali segnatamente lo sviluppo delle città, l’incremento in proporzione dei giovani, l’influsso dei mezzi di comunicazione sociale, richiedono da parte vostra l’attenzione per i nuovi gruppi sociali, la ristrutturazione di certi metodi pastorali, l’adattamento del vostro insegnamento. Provvidenzialmente la Chiesa universale beneficia, in questo momento, della ricchezza dottrinale e pastorale, racchiusa nei documenti del Concilio Vaticano II. Noi vi invitiamo con premurosa insistenza ad attingere da essi l’ispirazione per le vostre iniziative, in intima comunione con i vostri Vescovi ed i vostri Superiori.

Abbiate coraggio, carissimi Figli e Figlie! È il Signore che vi ha chiamato e che invia: voi state compiendo la stessa sua opera e potete ripetere con San Paolo: «Noi siamo i collaboratori di Dio» (1Co 3,9). Siate dunque fedelmente uniti alla persona di Gesù Cristo, e sappiate alimentare la vostra personale oblazione alla sorgente inesauribile della Eucaristia. Quanto più fervida sarà la vostra unione con Cristo, tanto più ricca sarà la vita della Chiesa e più fecondo il suo apostolato (Cfr. Perfectae caritatis, PC 1). Coltivate anche una solida devozione verso la Madre di Dio, tanto onorata nel vostro Paese.

In pegno della Nostra paterna benevolenza e del Nostro incoraggiamento, vi impartiamo di gran cuore la Nostra Benedizione Apostolica.






B. Paolo VI Omelie 31070