B. Paolo VI Omelie 9115

9 novembre 1975: CELEBRAZIONE DEL GIUBILEO DELLA DIOCESI DI ROMA

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Venerati Fratelli e diletti Figli!

Oggi è festa grande per la Chiesa di Roma!

Noi celebriamo infatti la festa della Dedicazione di questa venerata Basilica del Santissimo Salvatore, dove è pure tributato un culto particolare a San Giovanni Battista, Precursore di Cristo, e a San Giovanni Evangelista; e l'edificio prende il nome dalla famiglia romana dei Laterani, la cui dimora, diventata la casa di Fausta imperatrice, moglie di Costantino, fu destinata come sede del primo Vescovo di Roma ufficialmente riconosciuto, Silvestro. Questa dunque è festa che ci riunisce nella Cattedrale di Roma, nella duplice intenzione liturgica di onorare la prima Chiesa, come sacro edificio, e come comunità locale cattolica dell'Urbe, primo tempio materiale e primo tempio spirituale della presenza di Cristo nella nostra Città. È per noi dolcissimo dovere salutare tutti e singoli i componenti di questa Comunità, di cui la Provvidenza ha voluto che noi, umilissimi ministri della Chiesa di Dio, fossimo chiamati ad essere il Vescovo, il Pastore, il Pontefice. Salutiamo quindi i presenti, quasi passandoli in rassegna per attribuire a ciascuno l'ufficio ch'egli pure è chiamato ad esercitare in questa meravigliosa e misteriosa società, che si chiama la Chiesa, la Chiesa di Dio, la nostra Chiesa di Roma. Salute a Te, venerato Cardinale Ugo Poletti, nostro Vicario per la cura pastorale, ch'è primaria nel nostro cuore e nel nostro dovere, in favore di tutto il Popolo Romano.

Salute a voi Vescovi Ausiliari, salute a voi Vescovi Delegati, salute a voi, Membri del Capitolo della Basilica. E poi: e in modo speciale, a voi, Parroci di Roma cristiana e moderna. A voi, Religiosi e Religiose, le cui Case sono giardino del Regno di Cristo. E di gran cuore a voi tutti, Fedeli, cittadini dell'Urbe storica e spirituale, che ne costituite il corpo etnico e mistico e adombrate ancora, nella memoria più che nella realtà giuridica, la figura del S.P.Q.R. E lasciate ch'io chiami a questa rassegna quanti hanno un volto specifico nella compagine cittadina:

- i Magistrati della Città, ai quali si rivolge il nostro rispettoso saluto, e il voto per la provvida validità della loro pubblica funzione;

- i Professionisti d'ogni funzione, arte o mestiere;

- i Lavoratori degli uffici, dei servizi, dei cantieri, dei campi. Con preferenza poi che nessuno vorrà contestare: le Donne, dalla cui sensibilità e generosità tanto attendiamo nella ricerca di un modo di essere e di operare di questa nostra società, che sia più consono alle esigenze nobili e profonde del cuore umano;

- i Fanciulli, nostra letizia, nostra cura e nostra speranza;

- i Poveri, i Sofferenti, i Derelitti, qui ai primi posti del nostro pastorale interesse;

- i Pellegrini e i Forestieri, ai quali nella topografia spirituale di Roma, patria universale, non mancherà mai un posto di fraterna accoglienza; e rievocheremo la memoria dei nostri Defunti, già protagonisti della nostra storia, che non sono per noi larve vuote d'esistenza, fantastiche e paurose, ma anime viventi nel mistero della Comunione dei Santi, in attesa della risurrezione della carne e dell'universale instaurazione in Cristo del Regno di Dio.

Oggi, dicevamo, è grande festa per la Chiesa di Roma. Facciamo attenzione, dicevamo parimente, al duplice significato di questa parola «Chiesa». Chiesa significa, innanzi tutto, in questa circostanza, l'edificio sacro, davanti al quale noi ci troviamo. Questo edificio è insignito del titolo di Basilica, cioè di edificio regale, Titolo attribuito fin dai primi tempi del cristianesimo, alla casa destinata al culto sacro per la comunità gerarchicamente costituita. È da notare questa essenziale funzione dell'edificio religioso nel cristianesimo, quella cioè di accogliere nel suo interno il popolo orante, a differenza degli edifici sacri pagani, nei quali solo coloro ch'erano destinati a funzioni sacerdotali potevano entrare, mentre la folla rimaneva fuori, donde la qualifica di «profana», cioè di gente che non era ammessa ad entrare nel tempio, e sostava, mentre si svolgeva il rito sacro, davanti al tempio stesso, al «fanum», che era piuttosto che un'aula per il Popolo, un'edicola dedicata alla divinità (donde il celebre verso oraziano: odi profanum vulgus, et arceo). I primi luoghi di culto per i cristiani, che non trovavano più un posto adeguato ed accogliente nelle sinagoghe ebraiche, com'è noto, furono le case private, dove, nella sala da pranzo, il triclinium, si radunavano i fedeli. La casa privata fu la prima domus ecclesiae, la casa dell'assemblea cristiana, cioè della «chiesa»; e prese in molti casi il nome classico di basilica, nome che fu poi riservato ai luoghi più insigni di riunione e di culto del popolo cristiano (Cfr. DACL 2, 1, pp. 525 SS.; pp. 551 ss.), ovvero a luoghi resi sacri e solenni per le tombe più venerate di martiri celebri.

A noi preme ora notare come l'edificio sacro prese comunemente la qualifica di «chiesa», cioè di comunità cristiana che in quell'edificio aveva il suo luogo di riunione e di culto. L'onore perciò tributato all'edificio, e fu onore particolare fin dai primi anni della vita pubblica riconosciuta alla religione cristiana (Cfr. M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, IV, p. 376), si riverberò sulla comunità che lo aveva costruito; e l'uno e l'altra furono chiamati, e ancor oggi lo sono: chiesa; chiesa l'edificio, chiesa la comunità; l'uno per l'altra, restando a questa seconda, la comunità, la pienezza di significato e di finalità. Onoriamo dunque nella Basilica del Santissimo Salvatore, detta comunemente di San Giovanni in Laterano, commemorando la sua originaria destinazione, cioè la sua «dedicazione», al culto cattolico e alla dimora primaria del Vescovo di Roma, il Papa, successore dell'Apostolo Pietro, e perciò Pastore della Chiesa universale; onoriamo, Fratelli e Figli carissimi, questa santa Chiesa Romana: santa per la sua origine apostolica e per la sua vocazione missionaria e santificatrice; santa per la testimonianza di eroismo e di fede, che essa nutrì e propose al mondo ad esempio ed a conforto; santa per la sua ferma e perenne adesione al Vangelo e alla missione di Cristo nella storia e nella vita di questa Sede Apostolica, che è in Roma, e di quante Chiese, sorelle e figlie, le furono unite nella fede e nella carità; santa per la sua destinazione escatologica, di guida dei suoi figli cattolici e degli uomini tutti, che ne accoglie la parola di verità e di amore, verso i destini ultimi dell'umanità sulla terra; e santa perché vuol essere prima, anche celebrando questo Giubileo, a riconoscere il proprio dovere di penitenza e il proprio bisogno di umile riconciliazione con Dio e con gli uomini.

Vorremmo, o fedeli tutti di questa patria comune, ch'è per noi la nostra Diocesi, la nostra comunità ecclesiale e locale, che si accendesse nei nostri animi e fiammeggiasse di novella luce e di più vivo calore, l'amore alla nostra Chiesa Romana. Vorremmo che, celebrando noi questa solennità liturgica e giubilare, davanti a questa Cattedrale, omnium Ecclesiarum mater et caput, si accrescesse il nostro amore a Roma, nostra madre e maestra nella fede, nostra vivente e sofferta espressione ecclesiale. Dobbiamo attribuire ad un favore della divina Bontà se a noi tutti è concesso di dimorare in questa Urbe fatidica, e di appartenere a questa benedetta sede della santa Romana Chiesa. Possiamo fare nostro ciò che il nostro Predecessore Sisto V fece scrivere sul vicino altare della «Acheropita» non est in toto sanctior orbe locus, non v'è in tutto il mondo un luogo più santo, per sperimentare nei nostri animi quel senso religioso di gravità, di serietà, di responsabilità, ch'è proprio della cittadinanza spirituale romana, e che deve purificare ed assorbire ogni altro eventuale sentimento d'orgoglio, o d'interesse, o d'ironia, facile a vegetare in un'atmosfera come questa. Procuriamo tutti di comprendere i doveri caratteristici dello spirito romano cristianamente inteso: la dignità della vita, l'esemplarità del costume, la nobiltà dei cuori. Siamo cattolici romani! quale studio e quale gusto per l'unità dei pensieri, per la concordia degli animi, per la disciplina degli atti; Roma è scuola e palestra di armonia e di affezione ecclesiale!

E comprendere dobbiamo come questo spirito, questo stile romano in chiave evangelica, ci abilita anche ad una superiore coscienza civica, leale in ogni rapporto della convivenza sociale, e sempre cordialmente vigile ai nostri doveri, e specialmente ai bisogni dei nostri concittadini, e tuttora ispirata ad evocare dalla storia e dalla cultura dell'Urbe ciò che di genuino, di perenne può a noi sovvenire con moderna e salutare espressione: perché dovremmo attingere da altre infide sorgenti l'acqua sempre limpida e fresca, che ancora ci elargiscono le fontane del romano e cristiano umanesimo? Abbiamo accennato ai bisogni che ci circondano; ripetiamo l'esortazione davanti a questa Basilica, che per essere consacrata al nostro divino Salvatore, è domicilio della sua carità, e dev'essere per noi nella stessa maestà della sua mole e della sua arte sempre incombente pressione di umile, indefessa, amorosa premura per i fratelli derelitti, sofferenti, o piangenti. Riprenda vigore da questa celebrazione della Chiesa Romana la pietà, lo zelo, la coerenza, l'abnegazione, che il nostro Cardinal Vicario non cessa di predicarvi, con pastorale saggezza e sollecitudine: sia col mettervi giustamente in guardia - come ha fatto di recente - contro formule inammissibili per le membra vive della comunità ecclesiale, come con l'esortarvi a rinnovata effusione di fraterna ed amorosa azione a vantaggio di tutti. Deo adiuvante, in omaggio all'Anno Santo che sta per concludersi, in questo sforzo di migliore assistenza alla gioventù, ai poveri, ai bisognosi, noi saremo con lui; e voi Parroci, sappiate che noi saremo con voi; e ripeteremo ai fedeli tutti: il vostro Vescovo e vostro Papa sarà con voi! Come ora lo è con la sua pastorale e Apostolica Benedizione.




16 novembre 1975: SOLENNE RITO DI BEATIFICAZIONE DI GIUSEPPE MOSCATI

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Venerati Fratelli, figli e figlie, e pellegrini tutti carissimi!

Gioia grande oggi per la Chiesa, che pellegrina e militante nel mondo, è pur «Madre dei Santi, immagine della Città superna»! Gioia grande per l'Italia! che ancora una volta trova la sua corona, il suo conforto, il suo stimolo nella glorificazione d'uno dei suoi Figli, quasi a noi contemporaneo, e che ad onorarne la memoria in questa solenne cerimonia di beatificazione ammira oggi presente il Signor Presidente della Repubblica Giovanni Leone, al quale subito si rivolge la nostra grata compiacenza per tanto nobile testimonianza di fede e di venerazione per così degno concittadino e collega nel campo degli studi accademici; vada fin d'ora al Signor Presidente il nostro più devoto augurio per la sua esimia ed illustre Persona e per la sua alta civile missione! E grande gioia oggi anche per Napoli, di cui salutiamo in modo particolare i pellegrini, venuti col Cardinale Arcivescovo, e che esulta per l'elevazione agli altari del «suo» medico! E gioia grande per noi, a cui il Signore concede, nelle inesprimibili consolazioni spirituali di questo Anno Santo, di aggiungere alla schiera degli eroici campioni della virtù cristiana la figura nobile, semplice, radiosa del Professor Giuseppe Moscati! Chi è colui, che viene proposto oggi all'imitazione e alla venerazione di tutti? È un Laico, che ha fatto della sua vita una missione percorsa con autenticità evangelica, spendendo stupendamente i talenti ricevuti da Dio (Cfr.
Mt 25,14-30 Lc 19,11-27).

È un Medico, che ha fatto della professione una palestra di apostolato, una missione di carità, uno strumento di elevazione di sé, e di conquista degli altri a Cristo salvatore! È un Professore d'Università, che ha lasciato tra i suoi alunni una scia di profonda ammirazione non solo per l'altissima dottrina, ma anche e specialmente per l'esempio di dirittura morale, di limpidezza interiore, di dedizione assoluta data dalla Cattedra! È uno Scienziato d'alta scuola, noto per i suoi contributi scientifici di livello internazionale, per le pubblicazioni e i viaggi, per le diagnosi illuminate e sicure, per gli interventi arditi e precorritori! La sua esistenza è tutta qui: essa è trascorsa facendo del bene, a imitazione del Medico divino delle anime (Cfr. Ac 10,38); il suo itinerario è stato percorso sacrificando tutto agli altri - se stesso, gli affetti familiari, il proprio tempo, il proprio denaro - nel solo desiderio di compiere il proprio dovere e di rispondere fedelissimamente alla propria vocazione; la sua vita è stata lineare e sublime, quotidiana e straordinaria, ordinata e pur protesa in un ritmo febbrile di attività, che iniziava ogni giorno in Dio, con le ascensioni eucaristiche della Comunione mattutina per poi riversarsi come una sorgente colma e inesauribile nella carità per i fratelli.

Ecco dunque: abbiamo un Uomo dei nostri tempi - alcuni ancora lo ricordano -; un Uomo relativamente giovane: morì infatti nel 1927 a 47 anni, nel pieno della sua maturità professionale e scientifica, umana e cristiana; il «cittadino» di una grande città - dalla natia Benevento era giunto presto a Napoli, ove visse fino alla morte - amato da tutti ma specialmente dai suoi poveri, ch'egli visitava nei tuguri miserabili portando luce, speranza, conforto, aiuto concreto. Un Uomo così giunge oggi alla Beatificazione; giunge cioè al solenne riconoscimento da parte della Chiesa di virtù eroicamente praticate, che, in vittorioso contrasto con la natura umana ferita dal peccato, con l'ambiente talora ostile, con difficoltà quotidiane, sono divenute come una seconda natura.

I. Ed ecco allora il primo pensiero di questa cerimonia lietissima: la figura del Professor Moscati conferma che la vocazione alla santità è per tutti, anzi è possibile a tutti. È un invito che parte da1 cuore di Dio Padre, il quale ci santifica e ci divinizza per la grazia meritataci da Cristo, sostenuta dal dono del suo Spirito, alimentata dai sacramenti, trasmessa dalla Chiesa. Immersi in questa corrente divina, tutti, senza eccezione, sono chiamati alla perfezione, a farsi santi. «Questa è la volontà di Dio, che vi santifichiate» scrive S. Paolo (1Th 4,3). E Dio tutti chiama a questi vertici, in cui semplicemente e sublimemente si definisce l'identità dei cristiani, dei membri del Popolo di Dio: «Siate santi perché Io sono santo» (Lv 11,44s.); «Siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).

E la Chiesa non si è stancata di ripetere questo invito nel corso dei secoli, e ancora l'ha ribadito fermamente a noi, uomini del XX secolo: «È chiaro - ha detto infatti il Concilio Vaticano II - . . . che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità : da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di Lui e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, si consacrino con tutta l'anima alla gloria di Dio e al servizio del prossimo» (Lumen Gentium, LG 40). È questo un punto fermo, che certamente sarà da ricordare, a conclusione dell'Anno Santo - ch'è stato ed è tutto un solenne invito alla santità e alla riconciliazione con Dio e con i fratelli - e a coronamento dei numerosi riti di glorificazione dei vari Beati e Santi, i cui esempi ci hanno allietati, confusi, spronati, entusiasmati, nel conoscerli, nell'esaltarli, nel venerarli. La vita cristiana deve e può essere vissuta in santità!

II. Come abbiamo detto, il nuovo Beato è stato un Medico, un Docente universitario, uno Scienziato. Questa qualificazione di Giuseppe Moscati ci presenta un aspetto particolare, da lui vissuto e realizzato nella difficile temperie culturale del suo tempo, e che anche per noi uomini delle generazioni successive conserva il suo valore apologetico : e cioè l'armonia fra scienza e fede. Sappiamo bene che fra i due termini vi fu opposizione irriducibile, nel sec. XIX e al principio del nostro, proprio l'epoca di Giuseppe Moscati, anche se, come lui, vi furono in quel periodo figure di scienziati credenti di altissimo livello (Cfr. A. EYMIEU, Science et religion, in D.A.F.C., IV, 1250-1252). L'equilibrio tra scienza e fede fu per Moscati una conquista, certo, nell'ambiente in cui specialmente uno studente di medicina doveva allora modellare la propria preparazione; ma fu anche e soprattutto una certezza, posseduta intimamente, che guidava le sue ricerche e illuminava le sue cure. Se si è perfino potuto vedere nelle eccezionali doti della sua arte medica e chirurgica una qualche scintilla di illuminazione soprannaturale, carismatica, ciò è stato certamente dovuto alla sintesi luminosa che egli aveva compiuta tra le acquisizioni della dottrina umana e le «imperscrutabili ricchezze» (Cfr. Ep 3,8) della fede e della grazia divina.

Per raggiungere questo supremo, pacificante traguardo, il Professor Moscati non scese a compromessi, non temette irrisioni: «Ama la verità - scriveva per sé il 17 ottobre 1922, tra le poche righe che di lui ci sono rimaste di questo genere -; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio» (Positio super virtutibus, Romae 1972; Cfr. D. MONDRONE , La Civiltà Cattolica, 1975, IV, p. 263, Quad. 3009). Il problema si pone ancora oggi, talora in modo acuto e drammatico; lo sanno bene gli illustri clinici e studiosi che son venuti oggi alla glorificazione del loro collega, e che salutiamo con rispetto profondo. Ma è anche vero che oggi l'opposizione si fa più cauta, per la crisi filosofica della scienza e per l'avvertenza che i due ordini di conoscenza sono distinti e non opposti. Anzi si delinea una concezione dei due ordini della conoscenza - scienza e fede - che non solo li distingue, ma li rende complementari e convergenti nella ricerca trascendente della verità (Cfr. J. M. MALDAMÉ, La science en question, in Revue Tomiste [Toulouse], 73 an., t. 75, 3, 1975, pp. 449-465). Questa complementarietà e questa convergenza sono documentate specialmente dall'esperienza vissuta: di scienziati credenti e di credenti scienziati; allora e oggi.

Ed essi ci dimostrano, come ha fatto il nostro Beato, che la scienza non esclude la fede, anzi ha bisogno del suo complemento. Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, proprio dieci anni fa, «la ricerca metodica in ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene come condotto dalla mano di Dio» (Gaudium et Spes, GS 36).11 Così, davvero, è stato il Professor Moscati: «condotto dalla mano di Dio» nell'esercizio di un'attività divorante, che lo ha trovato attento collaboratore e docile adoratore di Dio per la salute fisica dei corpi martoriati come per la salvezza spirituale delle anime ferite. Possa egli comunicare le stesse sue certezze a tante anime nobili e rette, che pur temono di perder qualcosa della loro autonomia nel riconoscere quanto è di Dio!

III. Questo connubio vissuto tra scienza e fede ci fa intravedere infine qualcosa di quella che fu la «religione» di Giuseppe Moscati, quella per cui lo proponiamo all'imitazione e alla emulazione dei nostri contemporanei. Essa fu semplice, sicura, pensata e studiata, professata con devozione lineare, ma sapiente, con una anima di fanciullo nascosta nella complessità del suo spirito grande e coltivato. Ma questa religione fu soprattutto viva, perché professata nell'esercizio della carità! La fama del Professor Moscati brilla per questa fioritura instancabile, nascosta, eroica, di carità, che lo ha fatto spendere tutto per gli altri, nel beneficare i poveri, nel curare i corpi, nell'elevare le anime, senza chiedere mai nulla per sé, fino all'ultimo respiro, tanto che la morte lo colse durante le visite dei prediletti malati.

Si sono raccolti innumerevoli episodi di questa carità sovrumana, fatta di piccole cose, in una continua e lieta donazione, tanto che a Napoli hanno cominciato a chiamarlo il «medico santo» già fin dalla sua morte. Sono i Fioretti di un Beato del nostro secolo! Come grandeggia, in questa luce, la professione della medicina in Giuseppe Moscati! e come dobbiamo augurarci che tale professione, umana e provvida quant'altre mai, sia sempre animata e idealizzata dalla carità! Per comunicare calore, bontà, speranza nelle corsie degli ospedali, negli studi austeri dei medici, nelle aule sacre della scienza! Per difenderci dall'egoismo, dal freddo, dall'aridità che minaccia la società, spesso più preoccupata di diritti che di doveri. E così ogni altra professione onesta e civile deve ancor oggi essere animata dalla carità! La mite figura del Beato ce lo ripete col suo esempio suadente ed efficace: «Pietas ad omnia utilis est: la pietà è utile a tutto» (1Tm 4,8).

Fratelli e Figli nostri! Il Concilio Vaticano II ha parlato della figura e del ruolo dei laici nella Chiesa, come di coloro che nel secolo «sono da Dio chiamati a contribuire quasi dall'interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esempio del proprio ufficio, . . . e a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (Lumen Gentium, LG 31). La figura del Professor Moscati, con la straordinaria autorità che gli viene dalla sua statura morale, dal suo esempio vissuto, e dalla glorificazione della Chiesa, ricorda oggi che questo è vero, che questo è possibile, che questo è necessario. Ne ha bisogno la Chiesa e il mondo! È la consegna che viene specialmente al laicato dal rito odierno, dall'Anno Santo! Ecco il perché della nostra grande gioia: ch'essa rimanga viva in noi, faccia seguire opere fruttuose, e possa zampillare fino alla vita eterna, nell'incontro a faccia a faccia con Dio, nella luce dei Santi.

Nous saluons dans le bienheureux Giuseppe Moscati le modèle de tous les professeurs chargés de la formation scientifique de la jeunesse. Que les lieux consacrés à la recherche soient aussi des écoles d'une vie supérieure, d'élévation spirituelle dans lesquelles se trouve, à l'exemple de celui que nous célébrons, l'union du savoir rigoureux, du sens moral le plus délicat, de cet amour de Dieu, enfin, qui s'épanouit dans l'amour du prochain.

The Church renders homage to the role played by a great Catholic doctor, and extols his contribution made in the name of Christian charity. In honouring the dedication of Giuseppe Moscati, the Church also shows the relevance of his apostolate for al1 self-sacrificing men and women in the medica1 field. May his example bring joy and courage to many for years to come.

La figura del Venerable Giuseppe Moscati aparece en toda su grandeza cuando la consideramos en su relación para con los pobres. Fueron multitud los enfermos necesitados que acudían a él y a los que dedicaba con preferencia su competencia profesional y su caridad. En aquellos enfermos pobres el doctor Moscati veía siempre a Cristo y por El les servía con dedicación ejemplar. Por ello esta figura de médico cristiano resulta para nuestro tiempo tan atractiva e iluminante.

Unser neuer seliger war ein Mann des Gebetes. Er betete immer (Cfr. Lc 18,1). Giuseppe Moscati hatte aber auch eine glühende Andacht zur heiligen Eucharistie. Sie war die Sonne seines Lebens. Aus dieser Gnadenquelle schöpfte er die Kraft für seine heroische Liebe zu Gott und seinen selbstlosen Dienst an den Mitmenschen.




8 dicembre 1975: DECIMO ANNIVERSARIO DELLA CHIUSURA DEL CONCILIO VATICANO II

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Solennità dell'Immacolata


Venerabili Fratelli, e Figli carissimi!

E voi tutti, invitati speciali a questa piissima cerimonia, Maestri, Studiosi e Studenti dei Pontifici Atenei Romani, voi Alunni dei nostri Seminari, voi Membri dei Collegi Ecclesiastici e Religiosi dell'Urbe, o aggregati agli Istituti secolari, e voi, dilette Figlie in Cristo, Religiose, Novizie, Probande ed Alunne delle Case femminili di formazione di Roma, e poi voi pure fedeli nostri Romani, e voi Pellegrini dell'Anno Santo e Visitatori di questa sacra Città, ed infine voi (tutti noi vogliamo concentrare sul multiplo valore del rito che stiamo compiendo), voi, diciamo, già membri e protagonisti del Concilio Vaticano Ecumenico secondo, qua convocati per commemorare con noi il decennio, che oggi è maturato, di quelle grandi assise ecclesiastiche, tutti ascoltateci! e lasciate che noi invitiamo i vostri animi ad un istante di contemplazione, spirituale e quasi visiva, come se l'apparizione di Colei, della quale oggi celebriamo la singolarissima festa, si presentasse nello sfondo di questa Basilica, come aleggiante nello splendore unico, suo proprio (anche se riflesso dalla fonte divina della luce); e noi la vedessimo con gli occhi profetici dell'evangelista dell'Apocalisse: Ecco! «Apparve nel cielo un grande portento: una donna - vestita di sole -, con la luna sotto i piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle» (
Ap 12,1 cfr. Cant. Ct 6,4 ss. ).

Che è? chi è? Noi restiamo esterrefatti ed assorbiti dalla visione biblica; e noi perdiamo nel nostro folgorato stupore il senso della realtà; non rinunciamo a tradurre nel significato a noi accessibile il valore di quella immagine misteriosa; e senza, per ora, andare oltre nello svolgimento della scena apocalittica ci soddisfa di sapere la sovrapposizione del duplice nome, che a quella celeste figura i maestri della sacra scrittura attribuiscono, quasi esclamando, in risposta alla nostra ansiosa curiosità: È Maria, è Maria, quella Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e la corona misteriosa di stelle intorno al suo capo! È la Chiesa, è la Chiesa! ci avvertono gli studiosi, ricercatori dei segreti del linguaggio figurativo e simbolico del mondo apocalittico. Sarà. A noi piace onorare Maria e la Chiesa, Madre di Cristo secondo la carne, la prima; Madre del Corpo mistico di lui, e lei stessa sostanza di quel mistico Corpo, la seconda.

Fratelli e Figli tutti ! fermiamo un istante il nostro pensiero, abbagliato e felice, sul primo significato dell'allucinante visione; e diciamo a noi stessi, con l'intenzione celebrativa del mistero dell'Immacolata Concezione: così è Maria! il suo aspetto è celeste e trionfale; ma a ben guardarlo esso è di Donna «umile ed alta più che creatura» (DANTE, Paradiso, 33, 2); anzi così umile che discioglie ogni nostro trepidante riguardo (Cfr. Lc 1,48), e quasi c'invita a ravvisare in lei una dilettissima Sorella, alla quale, nell'atto stesso che noi osiamo rivolgere una confidente parola, altra parola non viene alle nostre labbra, che quella evangelica: o Te, beata! (Lc 1,45 et 48) Sì, beata! E per quanti titoli! Oggi uno fra tutti noi celebriamo, e vorremmo porre al vertice del nostro culto a Maria: la sua immacolata concezione! Cioè il pensiero preferenziale che Dio ha avuto per questa sua creatura; l'intenzione di rivedere in lei l'innocenza primitiva d'un essere ideato «ad immagine e somiglianza» sua propria, di Dio (Gn 1,26-27), non turbato, non contaminato da alcuna macchia, da alcuna imperfezione, come, salvo Cristo e salvo lei, la Madonna, sono tutti i figli di Eva, è tutto il genere umano.

Un'idea, un sogno divino, un capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell'intrinseca e incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea. Tota pulchra es, Maria! Tu sei la bellezza, la vera, la pura, la santa bellezza, o Maria! questa dovrebbe essere l'immagine reale e ideale della Madonna, riflessa, luminosa ed illuminante, nelle nostre singole anime, oggi, o fedeli; come sintesi della nostra ammirazione e della nostra devozione alla Madonna, della quale celebriamo la festa, eminentemente teologica ed eminentemente ecclesiale. Teologica, perché la desumiamo dalla rivelazione e dalla più vigile e amorosa riflessione, con cui la più candida e verginale pietà osò, certamente lei adiuvante, fissare lo sguardo inebriato ed esplorante sul suo volto umile e pudico, il perfetto volto della bellezza santa ed umana.

Ecclesiale, perché da specchio della divina perfezione, speculum iustitiae, ella a noi si offre come specchio della umana perfezione che la Chiesa, venerando la Madonna, contempla in lei, con gioia, come in un'immagine purissima (è il Concilio che parla - Sacrosanctum Concilium, SC 103), ciò che essa la Chiesa tutta, desidera e spera di essere»; una bellezza nuziale questa, che San Paolo, come tutti ricordiamo, stupendamente descrive: «tutta gloriosa, senza macchia, né ruga, o alcunché di simile, ma santa ed immacolata» (Ep 5,27): la santità in fieri della Chiesa ha il suo modello, il suo typus in Maria, come dirà S. Ambrogio (S. AMBROSI In Lucam, II, 7), e S. Agostino commenterà: figuram in se sanctae Ecclesiae demonstravit (S. AUGUSTINI De Symbolo, I: PL 40, 661), Maria ha rappresentato in se stessa la figura della Santa Chiesa. Modello, esemplare, figura ideale della Chiesa; basta così? la verità teologica va oltre, ed entra nei confini di quella causalità subalterna, che nel disegno divino della salvezza associa in forma inscindibile la creatura, Maria, l'Ancella del Fiat, al mistero dell'Incarnazione, e fa di lei, scrive S. Ireneo, «una causa di questa salvezza per sé e per tutto il genere umano» (S. IRENAEI Adv. haereses, III, 22, 4).

Noi godremo di avere poi in S. Agostino la conclusione, che al termine della III sezione del Concilio noi abbiamo fatto nostra, riconoscendo esplicitamente a Maria Santissima il titolo incontestabile di «Madre della Chiesa»: se Maria infatti è madre di Cristo secondo la carne, e Cristo è capo della Chiesa, suo mistico Corpo, Maria spiritualmente è Madre di questo Corpo, a cui Ella stessa appartiene, a livello eminente, come figlia e sorella (Cfr. S. AUGUSTINI De Sancta Virginitate, V et VI: PL 40, 399; et cfr. H. DE LUBAC, Méd. sur l'Eglise, c. IX). E sarà con questa particolare menzione al Concilio Ecumenico Vaticano secondo che noi oggi, acclamando Maria Madre della Chiesa e invocando la sua valida e amorosa protezione che noi daremo alla presente sacra celebrazione il significato commemorativo del decimo anniversario della conclusione del Concilio stesso, lieti, lietissimi ed onorati di avere con noi offerenti il santo sacrificio della Messa un autorevole Membro della Presidenza del Concilio, il Cardinale Stefano Wyszynski, venuto a Roma per questa fausta circostanza insieme con una cospicua parte dell'Episcopato polacco; tre Moderatori, gli Eminentissimi Lercaro, Suenens e Döpfner; il Segretario, Em.mo Cardinale Pericle Felici; ed uno dei Membri della Segreteria, oggi nostro Cardinale Segretario di Stato, Cardinale Villot .

Accanto ad essi, quasi ad esprimere simbolicamente, in questo decimo anniversario, una volontà di continuità e di progresso nell'autentica linea conciliare, ci è di grande conforto avere, insieme al Pro-Prefetto della S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e al Segretario della S. Congregazione per l'Educazione Cattolica, rappresentanti delle Università, Atenei e Collegi Romani. A tutti questi venerati Fratelli e cari Figli il nostro ringraziamento per la loro presenza a questa concelebrazione e per l'adesione alla unità stretta e operosa della santa Chiesa di Dio. Ma a voi, Maestri, Studiosi e Studenti dei nostri Atenei Romani. A voi, giovani Seminaristi, a voi Religiosi, a voi Religiose, in modo particolare il grido del nostro cuore, amate, invocate, imitate Maria Immacolata, la Madre di Cristo e la Madre della Chiesa, e sappiate portare a buon frutto per la presente e per le future generazioni il tesoro di sapienza ch'è stato, ed è il Concilio Vaticano Ecumenico secondo.

En apparaissant à Lourdes à l'humble sainte Bernadette, la Vierge confirmait pour ainsi dire la solennelle proclamation de son Immaculée Conception par le magistère de l'Eglise. C'est une invitation pour les chrétiens d'aujourd'hui à ne jamais séparer l'amour de la Vierge de l'amour de l'Eglise; à trouver en Marie l'exemple de la parfaite obéissance, et dans l'Eglise, dans les enseignements que le Concile - dont nous célébrons aujourd'hui le dixième anniversaire de la clôture - a donnés pour notre temps, le vrai chemin pour réaliser la volonté du Seigneur.

In Mary, Immaculate in her Conception, we praise and bless the plan of God, who prepared a worthy dwelling for the coming of his Son, our Lord and Saviour Jesus Christ. And we place great hope in today's celebration of this extraordinary event that, through the power of the Holy Spirit, marked in Mary the happy beginning of a sinless Church. We pray that this Eucharistic assembly will mark with intensity the renewed commitment of your lives. We exhort all of you, dear sons and daughters, to a new holiness of life-a new fervour of love. Let this be your courageous resolution on the tenth anniversary of the Second Vatican Council. Only in this way will you fulfil your vocation. Only in this way will you be, with Mary, true servants of the Lord.

Zwei Ereignisse sind es, die uns heute mit Freude und Dankbarkeit erfüllen: Der zehnte Jahrestag der Beendigung des Zweiten Vatikanischen Konzils und das Fest der Gottesmutter, die das Konzil zur Mutter der Kirche proklamiert hat. In ihre Hände legen wir voll Vertrauen die Geschichte der Kirche; sie flehen wir an, dass durch ihre Fürsprache das vom Konzil begonnene Werk der Erneuerung seinen gottgewollten Abschluss finde.

Esta fiesta de la Inmaculada es un motivo de gozo para todos nosotros, que vemos en la figura excelsa de María Santísima a nuestra Madre. Y es a la vez una invitación apremiante a seguir los pasos de Quien es un modelo para la Iglesia. Un modelo de santidad, reflejo de la gracia de Cristo. Ojalá que cada miembro de la Iglesia recoja, como de las manos de quien es la Madre de la Iglesia, y haga vida propia el rico Y actualísimo mensaje eclesial que el Concilio, hace hoy diez años, nos legó.





B. Paolo VI Omelie 9115