Lezionario "I Padri vivi" 112

VII DOMENICA

112 Letture:
    
Is 43,18-19 Is 43,21-22 Is 43,24-25
     2Co 1,18-22
     Mc 2,1-12

1. La guarigione del paralitico e la salvezza dell’anima

       "E vennero conducendo a lui un paralitico che era portato da quattro persone" (Mc 2,3).

       La guarigione di questo paralitico raffigura la salvezza dell’anima, la quale, sospirando verso Cristo dopo la lunga inerzia dell’ozio carnale, ha dapprima bisogno dell’aiuto di tutti per essere sollevata e portata a Cristo, cioè dell’aiuto dei buoni medici che le ispirino la speranza nella guarigione e intercedano per lei. A buon diritto viene riferito che il paralitico era condotto da quattro persone; sia perché sono i quattro libri del Santo Vangelo che convalidano la parola e l’autorità di chi diffonde il Vangelo, sia perché sono quattro le virtù che infondono sicurezza allo spirito e lo portano alla salvezza. Di tali virtù si parla quando si loda l’eterna sapienza: "Temperanza e prudenza ella insegna, e giustizia e fortezza, delle quali niente c’è li più necessario per gli uomini nella vita" (Sg 8,7). Alcuni, penetrando il senso di questi nomi, chiamano tali virtù prudenza, fortezza, temperanza e giustizia.

       "E non riuscendo a portarlo davanti a lui per la folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli stava" (Mc 2,4).

       Desiderano presentare a Cristo il paralitico, ma ne sono impediti dalla folla che li preme da ogni parte. Accade ugualmente sovente all’anima, dopo l’inerzia del torpore carnale, che volgendosi a Dio e desiderando essere rinnovata dalla medicina della grazia celeste, sia ritardata dagli ostacoli delle antiche abitudini. Spesso, quando l’anima è immersa nella dolcezza della preghiera interiore e intrattiene quasi un soave colloquio con il Signore, sopraggiunge la folla dei pensieri terreni e impedisce che lo sguardo dello spirito veda Cristo. Che cosa dobbiamo fare in tali frangenti? Non dobbiamo certamente restar fuori e in basso dove tumultuano le folle; dobbiamo salire sul tetto della casa nella quale Cristo insegna, cioè dobbiamo tentare di raggiungere le altezze della Sacra Scrittura e meditare, di giorno e di notte, con il salmista, la legge del Signore. «Come» infatti «potrà un giovane serbare puro il proprio cammino? Nel custodire - dice il salmista - le tue parole» (Ps 118,9).

       "E praticata un’apertura, calarono giù il lettuccio sul quale giaceva il paralitico" (Mc 2,4).

       Scoperchiato il tetto, l’infermo è calato dinanzi a Gesù: infatti, svelati i misteri delle Scritture, si giunge alla conoscenza di Cristo, cioè si discende alla sua umiltà con la pietà della fede. Secondo il racconto di un altro evangelista, non è senza un motivo che la casa di Gesù appaia coperta da tegole, in quanto, se c’è chi squarcia il velo della lettera che pure può apparire d’insignificante valore, vi troverà la potenza divina della grazia spirituale. Togliete le tegole alla casa di Gesù, significa scoprire nell’umiltà della lettera il significato spirituale dei misteri celesti. Infine, il fatto che l’infermo sia calato giù insieme con il lettuccio, significa che dobbiamo conoscere Cristo mentre siamo ancora in questa nostra carne.

       Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 2, 3-5


2. La remissione dei peccati

       "Giunse nella sua città e gli presentarono un paralitico disteso su di un letto. E vedendo", dice, "Gesù la loro fede, disse al paralitico: Abbi fiducia, figlio! Ti sono rimessi i tuoi peccati (Mt 9,1-2). Ode il perdono, e tace il paralitico, senza nulla rispondere in ringraziamento perché aspirava più alla guarigione del corpo che dell’anima e si lamentava talmente delle sofferenze temporali del corpo snervato da non deplorare le pene eterne dell’anima ancor più infiacchita, giudicando per sé più gradita la vita presente della futura. Giustamente Cristo guarda alla fede di quelli che lo presentano, senza far caso alla stoltezza dell’infermo in maniera che, per suffragio della fede di altri, del paralitico fosse curata l’anima prima del corpo.

       "Guardando, dice, alla loro fede" (Mt 9,2). Vedete in questo caso, fratelli, che Dio non cerca le disposizioni degli stolti, non aspetta la fede degli insipienti, non indaga i desideri scriteriati di un ammalato, ma asseconda la fede di altri pur di concedere, di non rifiutare, per sola grazia, tutto ciò che spetta alla divina volontà. E in realtà, fratelli, quando mai il medico s’informa o tien conto delle preferenze dei pazienti, visto che sempre un malato desidera e chiede quel che nuoce? È per questo che somministra ed impone [loro], anche se non vogliono, ora il ferro, ora il fuoco, ora amare pozioni così che comprendano i sani la cura che avrebbero potuto sperimentare da malati. E se l’uomo non bada alle ingiurie, non fa caso alle maledizioni pur di tirare da parte sua vita e salute a quanti sian colpiti da malattie, quanto più Cristo, medico di divina bontà, restituisce alla salute gli infermi, i sofferenti del delirio dei peccati e dei delitti, anche se son contrari e recalcitrano?

       Magari volessimo, fratelli, magari volessimo tutti renderci ben conto della paralisi del nostro spirito! Vedremmo l’anima nostra, spogliata delle virtù, distesa sul giaciglio dei vizi; ci apparirebbe chiaro che Cristo, mentre guarda ogni giorno ai nostri nocivi desideri, ci attira e ci sollecita, anche se riluttanti, a salutari rimedi.

       "Figlio", dice, "ti sono rimessi i tuoi peccati (Mt 9,2)." Dicendo questo, voleva esser riconosciuto Dio, quale ancora non appariva agli occhi umani a causa della [sua] umanità. Per le facoltà ed i miracoli, infatti, era paragonato ai profeti, i quali, da parte loro, per mezzo di lui avevano compiuto prodigi; il rimettere i peccati, invece, dato che non spetta all’uomo e costituisce segno distintivo della divinità, ai cuori degli uomini lo dimostrava Dio.

       Lo prova il livore dei farisei; infatti quando ebbe detto: "Ti sono rimessi i tuoi peccati, risposero i farisei: "Costui bestemmia: chi infatti può rimettere i peccati, se non Dio solo?" (Mt 9,3).

       Fariseo, che sapendo ignori, confessando neghi, quando testimoni smentisci: se è Dio che rimette i peccati, perché Cristo non è Dio per te, lui che, è dimostrato, ha tolto i peccati di tutto il mondo per opera della sua sola misericordia?

       "Ecco", dice, "l’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo" (Jn 1,29). Perché poi tu possa ricevere maggiori prove della sua divinità, ascolta come ha penetrato l’intimo del tuo cuore, guarda come ha attraversato le tenebre dei tuoi pensieri, comprendi come ha messo a nudo i taciti disegni del tuo animo.

       "Ed avendo visto", dice, "Gesù i loro pensieri, disse loro: Che cosa pensate di male nei vostri cuori? Cos’è più facile dire: ti sono rimessi i tuoi peccati, oppure dire: Alzati e cammina? E perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati, disse al paralitico: Alzati, prendi il tuo letto e vattene a casa tua. E quello si alzò e se ne andò a casa sua" (Mt 9,4-7)

       Scrutatore delle anime, ha prevenuto i maligni disegni delle menti ed ha dimostrato con la testimonianza delle opere la potenza della sua divinità, assestando le membra di un corpo deforme, tendendo i nervi, congiungendo le ossa, sistemando gli organi, confermando gli arti e destando alla corsa i passi, ormai sepolti in un cadavere vivente.

       "Prendi il tuo letto" (Mt 9,6), cioè porta quello che portava [te], scambia il carico, in maniera che quella che è la prova dell’infermità sia testimonianza di guarigione, il letto del tuo dolore sia segno della mia cura, la gravità del peso attesti la grandezza della forza riacquistata.

       Pietro Crisologo, Sermo, 50, 3-6

3. Il Logos, nostro Pedagogo e nostro Medico

       Il Logos, nostro Pedagogo, cura quindi con i suoi consigli le passioni innaturali della nostra anima. In senso proprio si chiama medicina la cura delle malattie del corpo; è un’arte insegnata dalla sapienza umana (1Co 2,13). Ma il Logos del Padre è il solo Medico delle infermità morali dell’uomo; egli è il guaritore e il «mago» sacro che libera l’anima malata. "Salva il tuo servo / Tu sei mio Dio", è scritto, "perché a te si affida; pietà di me, Signore / poiché verso di te grido tutto il giorno" (Ps 85,2-3).

       La medicina, secondo Democrito, cura le malattie del corpo, ma è la sapienza che sbarazza l’anima dalle sue passioni. Il nostro Pedagogo, Sapienza e Logos del Padre, per mezzo del quale è stato creato l’uomo, si prende cura della sua creatura tutta intera: ne cura ad un tempo corpo e anima, lui, il Medico dell’umanità, capace di guarire tutto.

       Il Salvatore dice a colui che giaceva sul letto: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e vattene a casa tua" ( parr.); e immediatamente l’uomo svigorito ritrova le sue forze. E dice del pari al morto: "Lazzaro, vieni fuori" (Jn 11,43); e il morto uscì dalla sua tomba, tal quale a prima che morisse, esercitandosi così alla risurrezione.

       Certamente, egli guarisce egualmente l’anima in sé, con i suoi insegnamenti e con le sue grazie; agendo con i consigli, forse occorre del tempo; attraverso le grazie, invece, egli è ricco abbastanza per dire a noi poveri peccatori: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Lc 5,20 Lc 5,23).

       Clemente di Alessandria, Paedagogus, I, II, 6, 1-4


4. La fede ci rende mediatori

       È tale, perciò, il potere che ha la fede, da rendere salvo non solo colui che crede, ma da salvare altresì altri in grazia della fede dei credenti. Il paralitico di Cafarnao non era in verità un credente; però coloro che lo trasportavano, e che poi lo calarono giù dal tetto, avevano la fede: infatti, insieme con il corpo era malata anche l’anima dell’infermo. E perché tu non reputi che io lo accusi senza fondamento, di lui lo stesso Vangelo ha detto: "Vedendo Gesù", non già la sua fede, bensì la loro fede, disse al paralitico: "Alzati". Quelli che lo avevano portato, credevano; ma a colui che era paralitico, sopraggiunse la guarigione.

       Cirillo di Gerusalemme, Catech. 5, 8


5. Gesù usa misericordia a chi ha fede

       Se, di fatto, al paralitico che mancava di fede (Mt 9,2), ma a causa delle fiduciosa speranza dimostrata dai suoi portantini che lo hanno calato dinanzi a Te, nella tua compassione, Tu hai usato misericordia, quanto di più la tua onnipotente parola sarà capace di purificare il mio corpo pieno di infermità, io che verso di Te grido nei sospiri!...

       Tu sei capace, o Misericordioso, di operare anche qui meraviglie con la tua potenza che è per sempre, dicendo: Sii risollevato dalla rovina della tua anima (Mc 5,34), oppure: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mt 9,2), o ancora: Va’ in pace, sei purificato dai tuoi peccati (Lc 7,50).

       Gregorio di Narek, Liber orat., 35, 1; 73, 2

VIII DOMENICA

113 Letture:
    
Os 2,14b Os 2,15b Os 2,19-20
     2Co 3,1-6
     Mc 2,18-22

1. Il vecchio e il nuovo

       "Portò loro" - infatti - "un paragone: «Nessuno strappa una pezza da un vestito nuovo per metterla sopra un vestito vecchio»" (Lc 5,36).

       Egli ha detto che i figli dello sposo, cioè i figli del Verbo, i quali per mezzo del lavacro di rigenerazione sono ammessi ai diritti della generazione divina, non potranno digiunare, finché lo sposo sarà con essi. Non l’ha detto certo per condannare quel digiuno che indebolisce le voglie della carne e reprime la sensualità del corpo: il digiuno, anzi, ci viene raccomandato da Dio; e come avrebbe potuto proibire ai discepoli di digiunare, se egli stesso digiunò, e se disse che i peggiori spiriti maligni sono soliti cedere soltanto al digiuno e alla preghiera? (Lc 4,2 Mt 17,21). Dunque, in questa circostanza egli chiama il digiuno un vecchio abito, un abito che l’Apostolo stimò giusto si dovesse togliere, quando disse: "Spogliatevi del vecchio uomo con tutte le sue azioni", allo scopo di rivestire l’abito che rinnova nella santificazione del battesimo (Col 3,9-10).

       I precetti che seguono concordano con lo stesso insegnamento: non mischiare le azioni dell’uomo vecchio con quelle del nuovo, poiché il primo uomo, che è carnale, non compie che le opere della carne, mentre l’altro, l’uomo interiore, che rinasce, non deve mai presentare una commistione di azioni vecchie e di nuove, ma, in quanto reca i colori di Cristo deve applicare la sua anima a imitare colui per mezzo del quale egli ha avuto, con il battesimo, una nuova nascita. Lungi quindi da noi queste sgualcite vesti dell’anima, che tanto dispiacciono allo sposo; a lui non è gradito chi non porta la veste nuziale (Mt 22,12). Che cosa può piacere allo sposo, se non la pace dell’anima, la purezza del cuore, la carità dello spirito?

       Lo sposo buono è il Signore Gesù. Egli ha inaugurato, con una nuova nascita, una nuova vita, che sposata a lui viene liberata dalle corruzioni della carne. Questa non cerca dei figli mortali -non si diletta nei dolori di Eva (Gn 3,16) -, non cerca un marito soggetto al peccato, né l’eredità di un padre condannato. Essa ha scoperto le piaghe di questa carne che un tempo desiderava, ha visto che non ha vera bellezza ciò che è sfigurato dal vizio.

       Che c’è, dunque, fra te e un tale sposo, o donna? Guardalo con attenzione e su tutto il suo corpo troverai delle piaghe. Osserva invece l’altro sposo, che è circonfuso della luce, la cui bellezza non può perire. Porta questo sposo nella tua anima, adoralo nel tuo tempio, portalo nel tuo corpo, come sta scritto: "Portate il Signore nel vostro corpo" (1Co 6,20). Entra nel suo nuovo talamo, contempla la sua eccezionale bellezza, rivestiti di lui, guardalo mentre sta alla destra del Padre, e gioisci di avere un simile sposo. Egli ti coprirà di benedizioni, affinché non ti ferisca la piaga del peccato.

       Conserviamo dunque l’abito di cui il Signore ci ha rivestito al nostro uscire dal sacro fonte. Questo abito si strapperà presto se le nostre azioni non saranno confacenti ad esso: sarà presto corroso dalla tigna della carne (Mt 6,19-20) e si macchierà con gli errori del vecchio uomo. Ci è dunque proibito di mischiare e di unire il nuovo con il vecchio: e l’Apostolo (Col 3,9-10 2Co 5,3) ci vieta anche di mettere il vecchio abito sul nuovo, e ci invita a svestire il vecchio e indossare il nuovo, affinché non si resti nudi dopo che ci siamo spogliati. Ci spogliamo per vestire un abito migliore: siamo invece denudati, quando l’abito ci è strappato da qualche inganno, senza che noi lo abbandoniamo di nostra volontà.

       "E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi" (Lc 5,37). La fragilità della nostra natura è messa allo scoperto, quando i nostri corpi sono paragonati alle spoglie degli animali morti. A Dio piaccia che noi si possa adempiere la funzione dei buoni otri, per conservare il mistero che abbiamo ricevuto. L’arte di evitare che il vino inacidisca, consiste nell’affidare il vino nuovo agli otri nuovi. E noi dobbiamo tenere questi otri sempre pieni: se sono vuoti, la tigna e la scabbia li consumano presto, mentre la grazia li conserva se sono pieni.

       Ambrogio, Exp. in Luc., 5, 22-26


2. Il vero digiuno

       Mentre digiunavo e stavo seduto su di un monte a ringraziare il Signore per tutto ciò che ha fatto per me, vedo il pastore che mi si siede accanto e dice: «Perché mai di buon’ora sei venuto qui?». «Perché ho "stazione", signore «. «Che significa stazione?». «Digiuno signore». «Cosa è questo digiuno?». «Come si suole, così io digiuno». «Non sapete, dice, digiunare per amore di Dio, né è digiuno questo inutile che fate a lui». «Perché, signore, dici questo?». «Ti dico che non è digiuno questo che vi sembra di fare. Ti insegnerò quale è il digiuno completo e accetto al Signore». «Sì, signore, mi farai contento e conoscerò il digiuno accetto a Dio». «Ascoltami. Dio non vuole questo digiuno vano; così digiunando per amore di Dio nulla operi per la giustizia. Digiuna, invece, per amore di Dio così. Non far nulla di male nella tua vita, ma servi il Signore con cuore puro; osserva i suoi comandamenti, camminando nei suoi precetti, e non entri nel tuo cuore alcun desiderio malvagio e credi in Dio. Se ciò farai e Lo temerai, astenendoti da ogni opera malvagia, vivrai in Dio. Se adempi queste cose farai un grande digiuno accetto al Signore».

       «Ascolta la similitudine che sto per dirti che concerne il digiuno. Un tale possedeva un podere e molti servi e piantò la vigna in una parte del podere. Doveva partire. Scelto un servo fedele e stimato, lo chiamò e gli disse: "Prendi la vigna che piantai, muniscila di una palizzata e, sino a quando io non torni, altro non fare alla vigna. Osserva questo mio precetto, e per me sarai libero". Il padrone partì per terra straniera. Partito [il padrone], il servo cinse di palizzata la vigna. Finita la palizzata, vide che la vigna era piena di erbe. Tra sé pensò: ho adempiuto l’ordine del padrone. Vangherò poi la vigna che vangata sarà più curata, e, non soffocata dalle erbe, darà più frutto. Zappò la vigna ed estirpò tutte le erbe che erano nella vigna. La vigna divenne bellissima e rigogliosa, senza le erbe che la soffocavano. Dopo un po’ di tempo venne il padrone del campo e del servo ed entrò nella vigna. Vide la vigna ben recinta di steccato, che era pure vangata, e con tutte le erbe estirpate e che le viti erano rigogliose. Si rallegrò dei lavori del servo. Chiamato il figlio che gli era molto caro e suo erede, e gli amici che aveva consiglieri, dice loro ciò che aveva ordinato al servo e ciò che aveva trovato. Essi si congratularono col servo per la testimonianza resagli dal padrone. Dice loro: «A questo servo promisi la libertà, se avesse osservato l’ordine che gli davo. L’osservò e in aggiunta fece un bel lavoro alla vigna che mi piacque molto. Per questo lavoro che ha fatto, voglio crearlo erede insieme a mio figlio. Egli ha pensato una cosa buona, non l’ha scartata, ma l’ha mandata a termine. A questa intenzione il figlio del padrone acconsentì che il servo divenisse con lui erede. Dopo pochi giorni il suo padrone di casa diede un festino e gli mandò molte vivande del banchetto. Il servo prese le vivande che il padrone gli aveva mandato e, tolto il necessario per sé, diede poi il resto a tutti i suoi conservi. I conservi ricevendo le vivande gioirono e incominciarono a pregare per lui perché egli, che li aveva trattati così bene, trovasse grazia ancora più grande presso il padrone. Il padrone seppe tutto questo e molto si rallegrò per la condotta del servo. Il padrone di nuovo chiamò gli amici e il figlio e parlò loro del comportamento che il servo tenne per le vivande ricevute. Essi ancor più approvarono che il servo divenisse erede insieme al figlio».

       Gli dico: «Signore, non comprendo queste similitudini né potrei coglierle se non me le spieghi». «Tutto ti spiegherò chiarendoti quanto ti dirò. Osserva i precetti del Signore e gli sarai gradito e sarai annoverato tra quelli che custodiscono i suoi comandamenti. Se farai qualche cosa di buono oltre il comandamento di Dio, ti procurerai una gloria maggiore e più gloriosa di quello che dovevi essere sarai presso Dio. Se osservando i precetti di Dio aggiungi anche questi servizi gioirai, facendoli secondo il mio volere». Gli dico: «Signore, osserverò ciò che tu vuoi. So che tu sei con me». «Sarò con te, dice, perché hai tanto desiderio di fare il bene, e sarò con tutti quanti hanno lo stesso desiderio. Il digiuno, con i precetti del Signore osservati, è molto bello. Così osserverai, dunque, il digiuno che stai per fare. Prima di tutto guardati da ogni parola cattiva e da ogni desiderio malvagio e purificati il cuore da tutte le cose vane di questo mondo. Se osserverai ciò, sarà questo il digiuno perfetto. Farai poi così. Compiute le cose prescritte, il giorno in cui digiunerai non gusterai nulla, tranne pane e acqua. Dei cibi che avresti mangiato calcola la quantità del denaro di quella giornata che avresti speso, mettila da parte e la darai alla vedova o all’orfano o al bisognoso. In questo modo ti farai umile e, per questa umiltà, chi ha ricevuto riempie la sua anima e pregherà il Signore per te. Se compi il digiuno che ti ho comandato, il tuo sacrificio sarà accetto al Signore, e questo digiuno sarà notato e il servizio che compi è bello e gioioso e ben accolto dal Signore. Questo osserverai tu con i tuoi figli e tutta la tua casa e osservandolo sarai felice. E quelli che udendo i precetti li osservano, saranno beati e riceveranno dal Signore le cose che chiedono».

       Erma, Pastor, Similitudine V, 1-3


3. Carità e prudenza devono temperare tutte le nostre azioni

       Tutto ciò che ha costituito oggetto di un preciso comandamento, comporta per noi la morte, se non adempiuto: le cose invece che sono più consigliate che imposte, giovano se osservate, non attirano un castigo se disattese. È questo il motivo per cui i nostri antenati hanno raccomandato di non votarsi a tutte quelle pratiche, almeno ad alcune, se non con prudenza e discrezione, tenuto conto delle circostanze di tempo, di luogo, del modo e del perché. Infatti, tutto va bene se esse capitano opportunamente; intraprese invece a sproposito, si rivelano nocive quanto fuori posto. Se uno, ad esempio, vede arrivare un fratello, nel quale deve con tutta umanità ripetere Cristo, ricevendolo con la più amabile carità e volesse, per contro, osservare rigidamente il digiuno intrapreso, non si merita il rimprovero di disumanità, più che la lode e il merito per il suo atto religioso?...

       In effetti, la misericordia, la pazienza, la carità o le altre virtù nominate più sopra e nelle quali indubbiamente risiede il bene essenziale, non devono essere osservate in rapporto al digiuno; e questo anzi che va subordinato ad esse. Occorre lavorare per conquistarle come beni in sé, magari servendosi dei digiuni, e non assegnando loro i digiuni come fine. Affliggere la carne ha la sua utilità; l’astinenza è certamente un buon trattamento da riservarle: quale il perché? Per conseguire, con questo metodo, la carità in cui consiste il bene immutabile e perpetuo, senza eccezioni di tempi.

       La medicina, l’oreficeria, le altre arti e professioni del mondo non vengono esercitate, invero, allo scopo di costruire strumenti idonei al loro esercizio; è vero il contrario: sono gli strumenti che vengono predisposti in vista della pratica delle arti e professioni...

       Teniamo quindi ferma questa valutazione del digiuno, per poi disporci ad esso con tutte le potenze dell’anima, sapendo che ci sarà di giovamento se le circostanze di tempo, di qualità e di misura saranno convenienti e senza riporvi il termine della nostra speranza, bensì con l’intento di pervenire, per suo mezzo, alla purezza del cuore e alla carità insegnateci dall’Apostolo.

       Cassiano Giovanni, Collationes, 21, 14, 3; 15, 1; 17, 1


4. Digiuno incompleto

       Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Is esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: "Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore? " (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione.

       Girolamo, Epist., 22, 37


IX DOMENICA

114 Letture:
    
Dt 5,12-15
     2Co 4,6-11
     Mc 2,23-3,6

1. Cristo non si ferma al sabato, mira a tutto l’uomo

       Gesù adduce quest’altra ragione. "Dopo tutto il Figlio dell’uomo è padrone del sabato" (Mt 12,4); e parla di se stesso. Secondo Marco, invece, il Maestro si riferisce a tutti gli uomini in generale e perciò afferma: "Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato" (Mc 2,27). Ma allora - voi mi direte - perché quell’uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato fu punito con la morte? (Nb 15,33). Vi rispondo che a quel tempo Dio usava tanta severità perché se già in principio si fosse tollerato il disprezzo delle leggi, certamente gli uomini le avrebbero osservate molto meno in seguito. L’osservanza del sabato portava del resto molti e grandi vantaggi. Ad esempio insegnava agli ebrei a essere più miti e benevoli verso i loro familiari e compatrioti; faceva loro conoscere la provvidenza di Dio e le sue opere, come appunto testimonia Ezechiele (Ez 20); educava gradualmente gli uomini ad allontanarsi dalla malvagità e li abituava ad applicarsi alle cose dello spirito. Se Dio, dando questa legge agli ebrei, avesse loro detto di dedicarsi a qualche opera buona nel giorno del sabato e di astenersi da ogni opera malvagia, essi non si sarebbero trattenuti dal lavorare in tal giorno. Per questo motivo Dio proibì tutto in egual modo e prescrisse di non compiere assolutamente nulla di sabato. Tuttavia, neppure così essi obbedirono a quella legge. Dio in realtà, promulgando quella legge, voleva far intendere che egli non desiderava altro dagli ebrei che l’astinenza dalle opere malvagie. «Non farete niente» - egli aveva detto - «eccetto quelle cose che farà l’anima» (cf. Ex 12,16). Nel tempio, infatti, tutto si faceva di sabato come negli altri giorni, anzi con maggior fervore e con raddoppiato zelo. In tal modo, anche per mezzo di ombre e di immagini, il Signore rivelava ai suoi ascoltatori la verità. Ma Cristo - mi direte - viene ad abolire tutti questi vantaggi? Dio non voglia che pensiate una tal cosa. Ben lungi dall’abolirla, Gesù ne estende grandemente la portata. È venuto infatti il tempo di insegnare agli uomini tutta la verità, nel modo più sublime ed elevato. Non c’è più alcun bisogno che queste antiche disposizioni leghino le mani all’uomo che, liberato dal male, vola ora verso tutti i beni. Non è più necessario un giorno speciale per apprendere che Dio ha creato tutte le cose, né per divenire più miti e umani, dato che ora tutti sono chiamati a imitare l’amore stesso di Dio per gli uomini. "Siate misericordiosi come il vostro Padre celeste è misericordioso" - dice Gesù (Lc 6,36). Coloro a cui Dio ordina di fare di tutta la vita una festa non devono più solennizzare soltanto un giorno solo della settimana. "Celebriamo dunque la festa" - dice Paolo - "non con lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con gli azzimi di purezza e di verità" (1Co 5,8). Non è più necessario, infatti, che si trattengano presso l’arca e l’altare d’oro, coloro che hanno il Signore di tutto l’universo dimorante con loro e conversano sempre con lui mediante la preghiera, le offerte, la lettura delle Sacre Scritture, le elemosine e la sua stessa presenza nel loro intimo. Che bisogno ha del sabato chi trascorre la sua vita in una continua festa e ha la sua cittadinanza in cielo?

       Viviamo dunque anche noi incessantemente in festa e non commettiamo nessun peccato: questa è vera festa...

       Considerate, vi prego, come egli adduce in modo sempre vario e nuovo a ogni circostanza le sue argomentazioni relative alla violazione del sabato. Nel miracolo del cieco nato non si difende dall’accusa che i suoi avversari gli rivolgono di aver impastato del fango in giorno di sabato. Eppure anche allora essi lo accusavano, ma è anche vero che in quell’occasione il modo in cui aveva operato il miracolo era sufficiente per dimostrare ch’egli era il Signore della legge. Nel caso del paralitico che si carica sulle spalle il letto in giorno di sabato, i giudei accusano Gesù; egli allora si difende in parte come Dio e in parte come uomo. Come uomo, quando dice: «Se dunque l’uomo anche di sabato riceve la circoncisione, affinché non sia violata la legge (e non dice: affinché l’uomo sia beneficato), come vi adirate contro di me, perché di sabato ho risanato tutt’intero un uomo?» (Jn 7,23). Come Dio, quando afferma: "Il Padre mio opera ancora adesso e anch’io opero (Jn 5,17). Accusato invece a motivo dei suoi discepoli, replica: "Non avete voi letto cbe cosa fece David quando egli e i suoi compagni ebbero fame? Come cioè entrò nella casa di Dio e mangiò i pani di presentazione?" (Mt 12,3-4), e ricorda inoltre l’esempio dei sacerdoti. Qui, domanda ai giudei: È lecito in giorno di sabato fare del bene, o fare del male?" (Mc 3,4); infatti «chi è tra voi che avendo una pecora...». Gesù conosce molto bene la loro avarizia e sa che amano le ricchezze più degli uomini. L’altro evangelista narra infatti che, facendo tale domanda, Gesù gira lo sguardo su di loro (Mt 3,5), per vedere di attirarli anche con lo sguardo: ma neppure così essi modificano il loro comportamento. In questo caso il Signore si limita a guarire con la parola; però in molte altre occasioni risana gli infermi imponendo le mani. Niente, tuttavia, calma l’ira dei farisei e mentre il malato è risanato essi, dopo la sua guarigione, diventano ancor peggiori. Cristo da parte sua avrebbe voluto guarire i suoi avversari prima ancora dell’infermo: perciò ha sperimentato mille metodi di cura sia in atti che in parole.

       Vedendo però che il loro male è incurabile, passa al miracolo. Allora disse a quell’uomo: «Stendi la tua mano». "La distese e ridivenne sana come l’altra" (Mt 12,13).

       Che fanno allora i giudei? Escono e si consultano tra loro per ucciderlo; riferisce, infatti, l’evangelista: "I farisei, usciti, tennero consiglio contro di lui, sul modo di toglierlo di mezzo" (Mt 12,14).

       Crisostomo Giovanni, Comment. in Matth., 39, 3; 40, 1


2. Il Padre agisce nel Figlio, e agisce sempre, anche di sabato

       Sono grandi le opere di Dio: tenere insieme il cielo, dar la luce al sole e agli altri astri, dar la forza di crescere ai semi della terra, tenere in piedi l’uomo, perfezionare un’anima; ma c’è dell’altro di gran lunga più grande...

       Queste cose per volontà di Dio Padre stanno nel cielo e sulla terra; e sebbene tutte le cose siano state fatte attraverso il Figlio, tuttavia tutto è stato fatto da Dio. Lui è la sorgente e il principio di tutte le cose, e in lui tutto è stato fondato, sebbene poi in seguito dai tesori nascosti in se stesso, secondo un piano della sua potenza eterna, abbia tirato fuori le singole cose. Però, sebbene Cristo operi in tutte le cose, l’opera rimane tuttavia di colui che opera in Cristo; e perciò: "Il Padre mio agisce ogni giorno e io agisco in lui" (Jn 5,17), perché è opera del Padre tutto quello che fa il Figlio di Dio, mentre il Padre è in lui; ma è anche vero perciò che ogni giorno tutte le cose son fatte dal Figlio, perché il Padre agisce nel Figlio...

       C’è, dunque, un lavoro di Dio nel giorno di sabato? Ma certo; e se così non fosse, il sole cadrebbe, la luce del sole si spegnerebbe, la terra non starebbe compatta, la crescita dei frutti verrebbe meno; la vita dell’uomo finirebbe, se, in omaggio alla legge del sabato, l’esercizio di tutte le potenze naturali si mettesse a riposo. Ma non c’è riposo e il corso è sempre uguale e, come negli altri sei giorni, così anche di sabato tutti gli elementi fanno i compiti loro assegnati. Dunque, in ogni tempo, attraverso le cose create, il Padre agisce; agisce nel Figlio, che vien da lui, e per mezzo di lui, tutte queste cose sono opera del Padre... e attraverso il Figlio, l’opera del Padre viene eseguita anche di sabato; così non c’è riposo in Dio, poiché per Iddio non c’è un giorno senza attività.

       Ci son, dunque, le opere di Dio; bisognerebbe cercare quale sia il suo riposo. L’opera di Dio è l’opera di Cristo; il riposo di Dio è Cristo Dio; così che tutte le cose che son di Dio, son vere in Cristo, in modo che il Padre possa trovar riposo in esse.

       Ilario di Poitiers, In Psalm., 94, 48 s.


3. I singoli precetti erano legati al loro tempo

       Nota quali precetti dovessero servire solo al loro tempo e ad esso fossero adattati, e non lasciarti sconcertare se odi detti scritturistici contrari l’uno all’altro. Per esempio un detto suona così: «Voglio i sacrifici», un altro: «Odio i sacrifici». Un detto dice ancora: «Purifica i cibi da ciò che è impuro», un altro: «Mescolali e mangiali». Un altro ancora: «Osserva le feste!» un altro: «Io profano le feste». Un detto suona: «Santifica ii giorno sacro», un altro: «Io abbomino i sabati». Un detto dice: «Circoncidi ogni maschio», e un altro: «Abbomino la circoncisione». Quando odi ciò, renditi conto, ragionando, della diversità, e non lasciarti sconvolgere come molti che il demonio avvolge fra le sue spire!

       Senti dunque: i detti scritturistici sono usciti da una sola bocca, diretti però a generazioni diverse. Un detto si rivolge a una generazione, quella generazione svanisce e il precetto con lei; giunge un’altra generazione, ed ecco un altro detto che gli impone una nuova legge. I detti rivolti a tutte le generazioni si sommano e ammucchiano per l’ultima generazione. Ora si fanno avanti dei pazzi che spiegano la contraddittorietà di questi detti ammettendo diversi dèi, quali loro autori: essi non vedono che le singole generazioni sono diverse l’una dall’altra, e distinte anche nel loro modo di agire. È necessario che a tutte le generazioni vengano date le disposizioni corrispondenti, ed ecco perciò ad ogni generazione detti stimolanti alla pietà, rivolti ai suoi figli. Ma in tal modo questi detti si sono moltiplicati ed ammucchiati; il cumulo di detti sconvolge gli insipienti, tanto che si staccano dall’unico Iddio.

       Molti furono i detti dei profeti, miranti a curare le infermità; tutte le medicine possibili furono usate contro la malattia della caducità. Vi sono precetti che perdono l’efficacia quando i mali precedenti non sono più attuali; e ve ne sono altri, invece, che sussistono, perché anche i mali sussistono. Gli apostoli e i profeti sono medici delle anime: essi prescrivono i mezzi corrispondenti alla miseria dell’umanità; preparano le medicine per le malattie caratteristiche della loro generazione. Le loro medicine servono sia dopo che prima, perché vi sono malattie che sono proprie di qualche generazione e vi sono malattie comuni a tutte le generazioni. E contro le malattie nuove, essi prescrissero medicine nuove; per le malattie sussistenti in tutte le generazioni, essi porsero sempre le stesse medicine. Così fu dato il precetto: «Non rubare!». È una malattia che continua, perciò continua anche il rimedio. Fu dato anche il precetto della circoncisione: quella malattia è svanita, perciò è venuto meno anche il rimedio. Si porse ai circoncisi uno strumento contro malattie che sarebbero sorte; ma tali strumenti, adatti contro malattie precedenti, ora sono diventati inutili, perché queste malattie oggi più non si riscontrano. Non v’è più il danno da esse causato, perciò il rimedio è diventato inutile. Così oggi i precetti del sabato, della circoncisione e della purità levitica sono superflui per noi; agli uomini invece di quei tempi erano senz’altro utili. Ai primi uomini erano inutili, perché essi erano sani per la conoscenza; anche a noi, ultimi uomini, sono inutili, perché siamo sani per la fede. Servirono solo agli uomini del periodo intermedio, perché erano aggravati dal paganesimo.

       Efrem, De fide, 40-42


4. La libertà dal sabato

       Nello stesso giorno, egli vide un uomo che lavorava di sabato e gli disse: «Uomo, se sai ciò che fai, sei beato; ma se non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge! «.

       J. Jeremias, Gli agrapha di Gesù, Brescia 1965, p. 83



Lezionario "I Padri vivi" 112