Lezionario "I Padri vivi" 13

Domenica dopo Natale: Santa Famiglia


Letture:
     Si 3,3-7 Si 3,14-17 Col 3,12-21 Mt 2,13-15 Mt 2,19-23

1. Erode e i Magi

       Dopo aver adorato il Signore e soddisfatto la loro devozione, i Magi, secondo l’avviso ricevuto in sogno, tornano indietro per una strada diversa da quella presa all’andata Infatti, poiché ormai credevano nel Cristo, era necessario che non camminassero più per le vie della loro vecchia vita, ma che, entrati in una strada nuova, si astenessero dagli errori che avevano lasciato. E inoltre, perché‚ fossero rese vane le insidie di Erode che, con finzione, preparava un empio stratagemma contro il Bambino Gesù. Così, essendo andato a monte il piano in cui sperava, la collera del re s’infiamma vieppiù di furore. E ricordandosi del tempo che avevano indicato i Magi, egli sfoga la sua rabbia e la sua crudeltà su tutti i bambini di Betlemme e, in un massacro generale, fa trucidare tutti i neonati della città, facendoli così passare alla gloria eterna; e pensa che, dal momento che nessun pargolo è scampato alla morte in quel luogo, anche Cristo è stato ucciso. Ma egli, che riservava per un altro tempo l’effusione del suo sangue per la redenzione del mondo, aveva raggiunto l’Egitto, trasportatovi dalle cure dei genitori; ritornava così nell’antica culla del popolo ebreo, e vi esercitava il comando del verace Giuseppe usando di un potere e di una lungimiranza maggiori, poiché egli veniva a liberare i cuori degli Egiziani da quella fame più terribile di ogni carestia, di cui soffrivano per assenza di verità, lui che veniva dal cielo come pane di vita (Jn 6,51) e cibo dell’anima. E in tal modo quel paese non sarebbe stato estraneo alla preparazione del mistero dell’unica vittima, in cui, con l’immolazione dell’agnello, erano stati prefigurati per la prima volta il segno salutare della croce e la Pasqua del Signore.

       Leone Magno, Sermo 33, 4


2. L’insegnamento della fuga in Egitto

       Noi dobbiamo aspettarci sin dai primi giorni della nostra vita tentazioni e pericoli. Considerate, infatti, che subito, sin dalla culla, è accaduto ciò a Gesù. Era appena nato, che già il furore del tiranno si scatenò contro di lui e lo costrinse a trasferirsi per cercare scampo in un luogo d’esilio, e sua madre, così pura e innocente, fu costretta con lui a fuggire in un paese di stranieri. Questo comportamento di Dio vi mostra che, quando avete l’onore di essere impegnati in qualche ministero o servizio spirituale e vi vedete circondati da infiniti pericoli e costretti a sopportare crudeli sventure, non dovete turbarvi, né dovete dire a voi stessi: Per quale ragione sono così maltrattato, io che mi aspettavo una corona, elogi, la gloria, brillanti ricompense, avendo compiuto la volontà di Dio? Questo esempio vi spinga, dunque, a sopportare fermamente le disgrazie e vi faccia conoscere che, di solito, è questa la sorte degli uomini spirituali: avere, cioè, come inseparabili compagne, le prove e le tribolazioni. Osservate appunto quanto capitò non soltanto alla madre di Gesù, ma anche ai Magi. Costoro si ritirano segretamente come dei fuggiaschi, e la Vergine, che non era solita uscire dalla sua casa, è costretta a fare un cammino quanto mai lungo e faticoso, a causa di quella straordinaria e sorprendente nascita spirituale.

       Ammirate ancora il meraviglioso avvenimento! La Palestina perseguita Gesù Cristo e l’Egitto lo accoglie e lo salva dai suoi persecutori. Questo mostra all’evidenza che Dio non ha soltanto tracciato i tipi e le figure dell’avvenire nei figli del patriarca, ma anche in Gesù stesso...

       L’angelo, dunque, apparve non a Maria, ma a Giuseppe e gli disse: «Levati, prendi il bambino e sua madre». Non disse più, come aveva detto prima, «prendi la tua sposa», ma «prendi sua madre», perché ormai, dopo la nascita, Giuseppe non nutriva più alcun dubbio, e credeva fermamente alla verità del mistero. L’angelo gli parla, dunque, con maggiore libertà, senza chiamare Gesù «suo figlio» e Maria «sua sposa», ma dicendo: «Prendi il bambino e sua madre, e fuggì in Egitto». E gli spiega anche la ragione della fuga, aggiungendo: "Perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo" (Mt 2,13).

       Giuseppe, ascoltando queste parole, non rimase negativamente impressionato. Non disse all’angelo che quella fuga gli sembrava enigmatica, dato che poco tempo prima lo stesso angelo gli aveva detto che il bambino avrebbe dovuto salvare il suo popolo, mentre ora sembrava non essere neppure capace di salvare se stesso. Quella fuga, quel viaggio e quella lunga emigrazione non erano forse in contraddizione con la promessa che l’angelo medesimo gli aveva fatto? Ma Giuseppe non disse niente di tutto questo, perch‚ era un uomo di fede. Non si dimostrò neppure curioso di conoscere il tempo del ritorno, poiché l’angelo non gliel’aveva affatto precisato, avendogli detto genericamente: «Resta colà, fino a che io non te lo dica». Al contrario, Giuseppe dimostra vivo zelo: ascolta, obbedisce (Mt 2,14) e sopporta con gioia tutte le prove.

       Dio, nella sua bontà, mescola, in queste circostanze, la gioia e il dolore. Così egli è solito agire con tutti i santi. Non li lascia sempre nel pericolo o sempre nella sicurezza, ma ordina la vita degli uomini giusti a mo’ di una trama, in cui si intrecciano gioie e dolori. E proprio così si comportava con Giuseppe. Vi prego di osservare e di riflettere. Giuseppe si accorge che Maria è incinta e subito è colto da turbamento e da una grande angoscia, sospettando che la Vergine abbia commesso adulterio: ma l’angelo interviene immediatamente, sciogliendo ogni sospetto e liberandolo da ogni timore. Poi il bambino nasce e Giuseppe ne è estremamente felice: ma alla sua gioia fa seguito subito un nuovo dolore, perch‚ sente che tutta la città turbata e il re, in preda a un vivo furore, ricercano con ogni mezzo il bambino. Questa pena è temperata dalla gioia ch’egli prova alla vista della stella e dell’adorazione dei Magi: ma, ancora una volta, la gioia si muta in ansia e paura, quando l’angelo gli dice che «Erode sta cercando il bambino per ucciderlo» e gli ingiunge di fuggire e di emigrare.

       Sta di fatto che Gesù doveva allora comportarsi in modo del tutto umano. Il tempo di compiere miracoli non era ancora venuto. Se avesse così presto cominciato a far prodigi, nessuno avrebbe creduto che era un uomo. Per questo motivo, egli non viene al mondo d’improvviso: come un uomo è dapprima concepito, poi resta nove mesi nel seno di Maria, nasce, si nutre con il latte materno, vive per molto tempo una vita ritirata, aspettando di divenire uomo adulto con il passar degli anni, in modo che questo suo comportamento convinca tutti a credere alla verità della sua incarnazione...

       Dunque l’angelo ordina loro, al ritorno dall’Egitto, di andare a stabilirsi nel loro paese. Anche questo accade con un preciso disegno, cioè "affinché si adempisse" - dice il Vangelo - "ciò che era stato detto dai profeti: Egli sarà chiamato Nazareno" (Mt 2,23)

       Del resto, proprio perché lo predissero i profeti, gli apostoli spesso chiamarono Cristo «Nazareno» (Is 11,1).

       Questo fatto, allora, rendeva oscura e non facilmente comprensibile la profezia relativa a Betlemme? Niente affatto. Ché, proprio questo doveva, al contrario, stimolare la loro curiosità e spingerli a indagare su quanto era stato detto di lui nelle profezie. Come si sa, fu il nome di Nazaret che spinse Natanaele a informarsi su Gesù Cristo, da cui si recò dopo aver detto: "E può venire qualcosa di buono da Nazaret?" (Jn 1,46). Nazaret era, infatti, un villaggio di nessun conto, come del resto pochissima importanza aveva tutta la regione della Galilea. Per ciò i farisei dissero a Nicodemo: Ricerca bene e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea (Jn 7,52). Tuttavia, Cristo non si vergognò di prender nome da questa patria, per mostrarci che non aveva affatto bisogno di ciò che gli uomini ritengono importante. Egli scelse i suoi apostoli proprio in Galilea, paese disprezzato dai Giudei, per togliere ogni scusa ai pigri e far loro vedere che non occorre niente di tutto quanto è esteriore, se essi si applicano con zelo alla virtù. Sempre per questo motivo il Figlio di Dio non volle affatto una casa sua: "Il Figliolo dell’uomo non ha dove posare il capo", egli dice (Lc 9,58). Per questa ragione fugge quando Erode vuole ucciderlo; appena nato viene deposto in una mangiatoia e rimane in una stalla; si sceglie anche una madre povera: ed ha fatto tutto ciò per abituarci a non arrossire di queste cose, per insegnarci, insomma, fin dal suo ingresso in questo mondo, a calpestare sotto i piedi il lusso e l’orgoglio del mondo e a non ricercare altro che la virtù...

       Non restiamo, dunque, ad aspettare oziosamente l’aiuto degli altri. È certo che le preghiere dei santi hanno molta efficacia, ma solo quando noi mutiamo condotta e diventiamo migliori...

       Insomma, se noi siamo pigri e negligenti, neppure gli altri ci potranno soccorrere: ma se vegliamo su noi stessi, da noi medesimi ci soccorreremo e lo faremo molto meglio di quanto potrebbero farlo gli altri. Dio preferisce accordare la sua grazia direttamente a noi, piuttosto che ad altri per noi, perché lo zelo che poniamo nel cercare di allontanare la sua collera ci spinge ad agire con fiducia e a diventare migliori di quel che siamo. Per questo il Signore fu misericordioso con la cananea e così egli salvò la Maddalena e il ladrone, senza che alcun mediatore fosse intervenuto a favore.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 8, 2 s.; 9, 2; 5, 1


3. La fuga in Egitto (Mt 2,13-18)

Tu che per paura dell’assassino dei bambini,
Di Erode che ha massacrato i piccoli,
Sei partito per il paese d’Egitto,
Seguendo l’oracolo del Profeta,
Contro notturno terror ti piaccia (premunirmi)
Del Tiranno sanguinario,
E fortificarmi con la tua Destra
Contro i suoi colpi sferrati nel segreto.

Tu che umile hai vissuto sulla terra,
Mentre infinitamente trascendi gli esseri celesti,
Innalzami dalla terra verso il cielo,
Io che son caduto nell’abisso del peccato.

       Nerses Snorhali, Jesus, 337-339




II domenica dopo Natale

17
Letture:
    
Si 24,1-4 Si 24,12-16 Ep 1,3-6 Ep 1,15-18 Jn 1,1-18

1. La conoscenza di Dio

       «Ma, dice, se ignori la sua essenza (di Dio), ignori lui». Tu però controbatti: «Se dici di conoscere l’essenza, non conosci lui». Infatti, chi, morso da un cane rabbioso, vede il cane nel bicchiere, non vede meglio di quelli che sono sani; ma proprio per questo è degno di compassione, in quanto crede di vedere ciò che non vede. Non ammirarlo dunque per ciò che promette, ma stimalo degno di pietà per la sua follia. Pertanto, abbi certo che la frase: «Se ignori l’essenza di Dio, veneri ciò che ignori», è di gente che vuol scherzare. Io invece so che esiste: quale ne sia poi l’essenza, la ritengo cosa al di sopra dell’intelligenza. Come mi salvo dunque? Attraverso la fede? La fede basta a farci sapere che Dio c’è, non a dirci cosa egli sia; e che egli ricompensa quanti lo cercano. La conoscenza dell’essenza (di Dio) consiste dunque nella considerazione che non possiamo comprenderlo. Veneriamo ciò di cui sappiamo non quale sia l’essenza, ma che questa essenza esiste.

       Basilio di Cesarea, Epist. 234, 2


2. Cristo potenza e sapienza di Dio

       Il Verbo di Dio, dunque, Dio, Figlio di Dio che "era all’inizio presso Dio e per mezzo di cui tutto è stato fatto e senza di ui nulla è stato fatto" (Jn 1,2-3), si è fatto uomo, per liberare l’uomo dalla morte eterna; e si abbassò ad accettare la nostra umiltà, senza diminuire la sua maestà, in modo che restando quello che era e assumendo quello che non era, unì in sé una vera natura di servo alla natura sua, nella quale è identico a Dio Padre. Le unì con un legame tanto stretto, che la gloria non consumò la natura inferiore né l’assunzione diminuì la natura superiore. Restando integra ogni proprietà di ambedue le nature e convenendo in un’unica persona, dalla maestà viene assunta l’umiltà, dalla forza l’infermità, dall’eternità la mortalità; e per cancellare il debito della nostra condizione, la natura passibile si è unita alla natura inviolabile: il Dio vero e l’uomo vero sono presenti nell’unico Signore; così, come richiedeva la nostra redenzione, l’unico e identico mediatore tra Dio e l’uomo poté morire per l’uno e risorgere per l’altro. A buon merito dunque il parto salutare non recò corruzione all’integrità verginale: preservò il pudore e propagò la verità. Una tale nascita si convenne a Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio: per essa, fu simile a noi nell’umanità e tanto superiore a noi nella divinità. Se infatti non fosse stato vero Dio, non avrebbe portato a noi rimedio; se non fosse stato uomo vero, non ci avrebbe dato l’esempio. Per questo gli angeli, esultando, alla nascita del Signore cantano: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli" mentre si annuncia "sulla terra pace agli uomini di buona volontà" (Lc 2,14). Vedono infatti che con le genti di tutto il mondo vien costruita la celeste Gerusalemme; e di questa ineffabile opera della divina bontà, quanto deve rallegrarsi l’umiltà degli uomini, dato che tanto gode la sublimità degli angeli?

       Perciò, carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre, per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, che per la sua grande misericordia con cui ci amò ha avuto pietà di noi ed "essendo noi morti al peccato, ci vivificò in Cristo" (Ep 2,5), affinché fossimo in lui una nuova creatura, una nuova struttura (Ep 2,10). Spogliamoci dunque del vecchio uomo con le sue azioni (Ep 4,22 Col 3,8) e, partecipi della nascita di Cristo, rinunciamo alle opere della carne.

       Riconosci o cristiano la tua dignità e, consorte ormai della divina natura, non tornare alla bassezza della tua vita antecedente, depravata. Ricordati di quale capo e di quale corpo tu sei membro. Rammenta che sei stato strappato dal potere delle tenebre e sei stato trasferito nella luce e nel regno di Dio. Col sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo (1Co 3,16): non cacciare da te con le azioni cattive un ospite tanto degno e non assoggettarti di nuovo alla schiavitù del demonio: il tuo prezzo è il sangue di Cristo. Ti giudicherà nella verità, come ti ha redento per misericordia, egli, che con il Padre e lo Spirito Santo regna nei secoli dei secoli.

       Leone Magno, Sermoni, 21


3. Dio luce della mente

       Dunque, fratelli miei, avere l’anima, e non avere l’intelligenza - cioè non farne uso né vivere secondo essa -significa vivere da bestie. C’è in noi qualcosa di bestiale, in effetti, per il quale viviamo nella carne: ma l’intelletto deve governarlo. L’intelletto, infatti, governa dall’alto i moti dell’anima che si muove secondo la carne e brama effondersi senza freno nei piaceri carnali. A chi dev’essere dato il nome di marito? A colui che governa, o a colui che è governato? Senza alcun dubbio, quando la vita è ben ordinata, l’anima è governata dall’intelletto, che appartiene all’anima stessa. L’intelletto non è infatti qualcosa di diverso dall’anima; esso è qualcosa dell’anima; come l’occhio non è qualcosa di altro dalla carne, ma è qualcosa della carne. Ma pur essendo l’occhio qualcosa della carne, esso solo gioisce della luce; le altre membra del corpo possono esser inondate dalla luce, ma non possono percepirla. Soltanto l’occhio può essere inondato dalla luce e insieme gioirne. Così nella nostra anima c’è qualcosa che è chiamato intelletto. Questa parte dell’anima che è chiamata intelletto e spirito, è illuminata da una luce superiore. Questa luce superiore da cui la mente umana è illuminata, è Dio. Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene al mondo (Jn 1,9).

       Agostino, In Ioan. 15, 19




Domenica dopo l’epifania: Battesimo del Signore

19 Letture:

    
Is 42,1-4 Is 42,6-7 Ac 10,34-38 Mt 3,13-17

1. L’insegnamento del Battesimo di Gesù

       Cristo viene illuminato insieme siamo illuminati; Cristo viene battezzato, insieme discendiamo, per ascendere del pari insieme. Gesù viene battezzato. È forse solo questo che va osservato? Non conviene invece osservare con diligenza anche altre cose?

Naturalmente, chi, e da chi, e quando?
Ovvero, il Puro, da Giovanni e allora, quando dava inizio alla predicazione e ai prodigi?
Cosa apprendere da qui e di cosa essere ammaestrati? In realtà, non si deve sostenere che ciò sia avvenuto anzitutto per la purificazione e la sottomissione dell’anima, né per tener discorsi ad un pubblico di provincia, quanto piuttosto in vista della perfezione dell’età corporea e spirituale.

       Ciò intendo sia detto a coloro, che improvvisamente e a caso accedono al Battesimo, né vengono ad esso preparati, né per costituzione di anima, adusa all’abito della virtù, così agiscono, che la redenzione per essi rimane decisamente intoccata. Benché infatti la grazia apporti proprio questo, che siano cioè rimesse le colpe passate (si tratta infatti di grazia), da qui nasce il maggior timore di tornare a quel medesimo vomito.
Ciò valga anche per coloro che verso i dispensatori del mistero si comportano con più insolenza, se conservano un minimo di dignità.
La terza osservazione riguarda quelli che confidano nell’età giovanile, e reputano qualsiasi tempo adatto per insegnare, o di poter attendere a qualsiasi ufficio sacerdotale. Gesù viene purificato, e tu disprezzi la purificazione? Da Giovanni, e tu insorgi contro il tuo predicatore? Aveva circa trent’anni, e tu che sei vecchio ancor prima che ti spunti la barba insegni, o credi di poter insegnare senza averne l’autorità né dall’età e neppure forse dai costumi? Qui però si tira in ballo Daniele, da una parte e dall’altra, per la faccenda dei giudici nella sua età giovanile, e di tali esempi si riempiono la bocca. Infatti, chiunque agisce male è sempre pronto e preparato alla propria difesa. Ma ciò non si dà come legge della Chiesa, perché accade raramente: così come una rondine non fa primavera, né una linea il geometra, né una sola navigazione il navigatore.

       Giovanni sta battezzando gli altri, Gesù si avvicina; forse, in verità, perché anche quegli, dal quale è battezzato, venga purificato; ma senza dubbio, per seppellire tutto il vecchio Adamo nelle acque: santificando il Giordano davanti a costoro, invero, e per costoro; affinché, come era spirito e carne, cosi iniziasse ad essere per lo Spirito e l’acqua. Il Battista non ammette: Gesù è deciso. Allora: "Io debbo essere battezzato da te" (Mt 3,14), dice la lucerna al Sole, la voce al Verbo, l’amico allo Sposo, "il più grande tra tutti i nati di donna" (Mt 11,11), di ogni creatura al Primogenito, quegli che nel seno materno aveva sussultato, a colui che nel seno era stato adorato, il precursore e il precorritore, a colui che era apparso e che apparirà. "Io debbo essere battezzato da te": aggiungi, e per te. Aveva infatti la certezza che sarebbe stato battezzato con il martirio; ma, come Pietro, solo dopo essersi fatto lavare i piedi. "E tu vieni da me?" (Mt 3,14). Anche questo è profetico. Aveva infatti conosciuto il futuro, e come Pilato lo avrebbe fatto trasportare da Erode, così anch’egli avrebbe seguito per primo Cristo con la vita. Ma cosa dice Gesù? "Lascia fare per ora" (Mt 3,15). Ciò avvenne infatti per deliberato consiglio ed economia [della redenzione]. Sapeva, in effetti, che poco dopo egli stesso avrebbe battezzato il Battista.

       Per contro, anche Gesù ascende dalle acque; eleva in alto con sé il mondo, e quei cieli che Adamo, per sé e per i posteri, aveva chiuso - come avvenne del paradiso con spada di fuoco -, egli decide di penetrare e riaprire, appunto accorrendo presso il suo pari; ed è inviata una voce dal cielo; egli infatti era di là, del che gli si dava testimonianza; e sotto forma di colomba, apparsa in modo corporeo, reca onore anche al corpo, per quanto anche questo è Dio per deificazione. E nello stesso tempo, come molti secoli addietro, la colomba riprese ad annunziare la fine del diluvio. Poiché se stimi la divinità in ragione della mole e del peso, e di conseguenza supponi che lo Spirito sia piccolo, dato che lo si osserva sotto forma di colomba, o uomo meschino e digiuno nelle massime cose, allora per te è disprezzabile anche il regno dei cieli, ed è da ritenere piccolo, visto che è paragonato ad un granello di senapa; e quasi da preferire l’avversario alla maestà di Gesù, dal momento che questi è invero chiamato monte grande, e leviathan, e re di tutti gli abitatori delle acque: quegli invece è chiamato agnello, e perla, e goccia o con nomi consimili.

       Gregorio Nazianzeno, Oratio XXXIX, In Sancta Lumina, 14-16


2. Il Battesimo, grande mistero

       In questo giorno, come abbiamo appena udito mentre veniva letta la divina lettura, il Signore e Salvatore nostro fu battezzato da Giovanni nel Giordano e perciò si tratta di una solennità non da poco, ma anzi grande e assai grande. Quando infatti nostro Signore si è degnato di ricevere il Battesimo, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba e si udi la voce del Padre che diceva: "Questi è il Figliolo mio diletto in cui mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).

       Oh, che grande mistero in questo Battesimo celeste! Il Padre si fa sentire dal cielo, il Figlio appare sulla terra, lo Spirito Santo si manifesta sotto forma di colomba: non si può parlare infatti di vero Battesimo, né di vera remissione dei peccati dove non sia la verità della Trinità, né si può concedere la remissione dei peccati ove non si creda alla Trinità perfetta. L’unico e vero Battesimo è quello della Chiesa, che è dato una sola volta: in esso veniamo immersi un’unica volta e ne usciamo puri e rinnovati; puri perché ci liberiamo dalla sozzura dei peccati, rinnovati perché risorgiamo a nuova vita, dopo aver deposto la decrepitezza del peccato. Questo lavacro del Battesimo rende l’uomo più bianco della neve, non nella pelle del suo corpo, ma nello splendore del suo spirito e nel candore della sua anima. I cieli pertanto si aprirono al Battesimo del Signore, per mostrare che il lavacro della rigenerazione spalanca ai credenti il regno dei cieli, secondo quella sentenza del Signore: "Nessuno, se non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, può entrare nel regno dei cieli" (Jn 3,5). Vi entra dunque chi rinasce e chi non trascura di custodire la grazia del proprio Battesimo; e così, per contro, non Vi entra chi non sia rinato.

       Poiché nostro Signore era venuto a donare un nuovo Battesimo per la salvezza del genere umano e per la remissione di tutti i peccati, si degnò di ricevere egli stesso per primo il Battesimo, non per deporre i peccati, lui che non aveva commesso peccato, ma per santificare le acque del Battesimo allo scopo di cancellare i peccati di tutti i credenti rinati nel Battesimo. Egli dunque fu battezzato nelle acque, perché noi fossimo lavati di ogni nostro peccato per mezzo del Battesimo...

       Cromazio di Aquileia, Sermo 34, 1-3


3. Il Battesimo (Lc 3,21-23)

Quando Tu avesti trent’anni compiuti,
Come età per la crescita del tuo corpo,
Il santo, nato dalla sterile, ti ha battezzato;
Il Padre e lo Spirito t’han reso testimonianza.
Questo non fu perché avessi bisogno di purificazione,
Tu che ci accordi la parola purificatrice,
Ma per far sì che il peccato di Adamo,
Tu lo lavassi con l’acqua del Giordano.
Lava pure le colpe della mia anima,
Il fango nero dei peccati miei,
Come un giorno nella Fontana sacra,
L’anima che invecchiar feci di nuovo col peccato.

       Nerses Snorhali, Jesus, 340-342


(domenica dopo l’Epifania)

       La liturgia romana commemorava il Battesimo di Cristo nel Giordano l’ottavo giorno dopo l’Epifania del Signore, una festività apparsa in Occidente nel secolo VIII. Questo avvenne sotto l’influenza della liturgia bizantina per la quale, similmente alle altre liturgie orientali, il ricordo del mistero del Battesimo aveva una particolare importanza. La festa a sé stante del Battesimo del Signore fu costituita solamente nell’anno 1955 e veniva celebrata il 13 gennaio. Nel nuovo calendario liturgico, la festa è stata trasferita alla domenica dopo l’Epifania.

       Cristo riceve il Battesimo nelle acque del Giordano dalle mani di Giovanni il Battista. La voce del Padre e la presenza dello Spirito Santo proclamano Gesù Figlio prediletto di Dio e, nello stesso tempo, Servo mandato per annunziare ai poveri la buona novella della salvezza. Lui non alzerà la voce, ma annunzierà a tutti la salvezza, non spezzerà la canna incrinata, ma libererà quelli che rimangono nella schiavitù delle tenebre. Cristo non ha alcun peccato, ma non si separa dall’umanità che vive nel peccato: l’umanità corrotta insieme con lui entra nelle acque del Giordano che preannunziano l’acqua che ci purificherà da ogni sporcizia, ci farà vivere la vita nuova, ci introdurrà nel mistero della morte e della risurrezione del nostro Salvatore.

       Il mistero che oggi viene celebrato dalla Chiesa richiama alla memoria il nostro Battesimo per mezzo del quale siamo stati purificati e siamo spiritualmente rinati, divenendo figli di Dio. In questo giorno di festa, eleviamo suppliche affinché viviamo come figli di Dio, cresciamo nell’amore e ci trasformiamo spiritualmente ad immagine di Cristo.

       Oggi, il nostro Dio ci ha manifestato la sua
       indivisa natura in tre Persone;
       il Padre dà infatti chiara testimonianza al Figlio;
       lo Spirito scende dal cielo in forma di colomba;
       il Figlio chinò il capo immacolato dinanzi al Precursore;
       e battezzato, scioglie il genere umano dalla schiavitù,
       perché amante degli uomini.

       Liturgia Bizantina, EE n. 3038


I Domenica di Quaresima

20 Letture:
    
Gn 2,7-9 Gn 3,1-7 Rm 5,12-19 Mt 4,1-11

1. Le tentazioni del Redentore

       Non era indegno del nostro Redentore il voler essere tentato, lui che ;era venuto per essere ucciso. Era anzi giusto che vincesse le nostre tentazioni con le sue tentazioni, dato che era venuto a vincere la nostra morte con la sua morte. Ma dobbiamo sapere che la tentazione passa per tre stadi: la suggestione, la dilettazione e il consenso. Noi, quando siamo tentati, cadiamo per lo più nella dilettazione o addirittura nel consenso, perché siamo nati da una carne di peccato e portiamo in noi stessi ciò che ci muove tante battaglie. Ma Dio, che s’incarnò nel grembo della Vergine, venne nel mondo senza peccato e non provò in sè alcuna contraddizione. Egli poté dunque essere tentato per suggestione, ma l’anima sua non provò la compiacenza del peccato. Pertanto tutta quella tentazione diabolica fu all’esterno, non all’interno.

       Ma se guardiamo l’ordine secondo cui fu tentato, capiremo quanto bene noi siamo stati liberati dalla tentazione. L’antico avversario si rivolse contro il primo Adamo, nostro padre, con tre tentazioni, poiché lo tentò di gola, di vanagloria e di avarizia; ma tentandolo lo vinse, perché lo sottomise a sé mediante il consenso. Lo tentò di gola quando gli mostrò il frutto dell’albero proibito, perché ne mangiasse. Lo tentò poi di vanagloria quando disse: "Sarete simili a Dio" (Gn 3,5). Lo tentò di avarizia quando disse: "Conoscerete il bene e il male". L’avarizia infatti non riguarda soltanto il denaro, ma anche gli onori. Giustamente si dice avarizia il desiderio smodato di stare in alto. Se il carpire onori non appartenesse all’avarizia, Paolo non direbbe, riguardo al Figlio unigenito di Dio: "Non stimò una rapina la sua uguaglianza con Dio" (Ph 2,6). In ciò poi il diavolo attrasse il nostro padre alla superbia, poiché lo spinse a quel tipo di avarizia che è il desiderio di eccellere.

       Ma con quegli stessi mezzi coi quali abbattè il primo Adamo, fu vinto dal secondo Adamo da lui tentato. [Il diavolo] lo tenta infatti nella gola quando dice: "Comanda che queste pietre diventino pane". Lo tenta di vanagloria quando dice: Se tu sei figlio di Dio, gettati di sotto. Lo tenta con l’avarizia degli onori quando mostra tutti i regni del mondo, dicendo: "Tutto io ti darò, se ti prostri e mi adori". Ma è vinto dal secondo Adamo proprio con quei mezzi coi quali si vantava di aver vinto il primo, così da uscire dai nostri cuori, scornato, passando per quella stessa strada per la quale si era introdotto, per dominarci. Ma c’è un’altra cosa, fratelli carissimi, che dobbiamo considerare in questa tentazione del Signore; tentato dal diavolo, il Signore risponde con i precetti della Sacra Scrittura, e colui che, essendo quella Parola, poteva cacciare il tentatore nell’abisso, non mostrò la virtù della sua potenza ma soltanto ripeté i divini comandi della Scrittura, per darci così l’esempio della sua pazienza; di modo che, tutte le volte che soffriamo a causa di uomini malvagi, siamo portati a rispondere con la dottrina piuttosto che con la vendetta. Pensate quanto è grande la pazienza di Dio e quanto è grande la nostra impazienza! Noi, se siamo provocati con qualche ingiuria o con qualche offesa, ci infuriamo e ci vendichiamo quanto possiamo, o minacciamo ciò che non possiamo fare. Invece il Signore sperimentò l’avversità del diavolo e non gli rispose se non con parole di mitezza. Sopportò colui che poteva punire, affinché gli tornasse a maggior gloria il fatto di aver vinto il nemico non annientandolo, ma bensì sopportandolo.

       Bisogna fare attenzione a quello che segue, che cioè gli angeli lo servivano dopo che il diavolo se ne fu andato. Cos’altro si ricava da ciò se non la duplice natura nell’unità della persona? È un uomo, infatti, colui che il diavolo tenta, ma è anche Dio colui che è servito dagli angeli. Riconosciamo dunque in lui la nostra natura, in quanto se il diavolo non l’avesse conosciuto uomo, non l’avrebbe tentato, adoriamo in lui la divinità, in quanto se non fosse Dio che è al di sopra di tutte le cose, gli angeli non lo servirebbero.

       Ma poiché questa lettura si adatta al presente periodo - infatti, noi che iniziamo il tempo quaresimale, abbiamo udito che la penitenza del nostro Redentore è durata quaranta giorni -, dobbiamo cercar di capire perché questa penitenza è osservata per quaranta giorni... Mentre l’anno è composto di trecentosessantacinque giorni, noi facciamo penitenza per trentasei giorni, come se dessimo a Dio la decima sul nostro anno, affinché, dopo aver vissuto per noi stessi il resto dell’anno, ci mortifichiamo nell’astinenza in onore del nostro Creatore per la decima parte dell’anno stesso. Perciò, fratelli carissimi, come nella Legge ci è imposto di offrire le decime di tutte le cose (cf. Lv 27,30s), così dovete cercare di offrire a lui anche la decima dei vostri giorni. Ognuno, secondo quanto gli è possibile, maceri la sua carne e ne affligga le brame, ne uccida le concupiscenze disoneste, affinché, secondo la parola di Paolo, divenga una vittima viva (Rm 12,1). Certo la vittima è immolata ed è viva, quando l’uomo non muore e tuttavia uccide se stesso nei desideri carnali. La nostra carne, soddisfatta, ci portò al peccato; mortificata, ci conduca al perdono. Colui che fu autore della nostra morte trasgredì i precetti della vita mediante il frutto dell’albero proibito. Noi dunque, che ci siamo allontanati dalle gioie del paradiso per colpa del cibo, procuriamo di tornare ad esse grazie all’astinenza.

       Ma nessuno creda che l’astinenza da sola possa bastargli dal momento che il Signore dice per bocca del Profeta: "Non è forse maggiore di questo il digiuno che bramo?", aggiungendo: "Dividi il pane con l’affamato, e introduci in casa tua i miseri, senza tetto; quando vedrai uno nudo, soccorrilo, e non disprezzare la tua carne" (Is 58,6 Is 58,7). Dio dunque gradisce quel digiuno che una mano piena di elemosine presenta ai suoi occhi, quel digiuno che si congiunge all’amore del prossimo ed è ornato dalla pietà. Ciò che togli a te stesso, dallo a un altro, affinché cio di cui si affligge la tua carne serva di ristoro alla carne del povero. Così infatti dice il Signore per bocca del Profeta: "Quando avete fatto digiuni e lamenti, forse avete digiunato per me? E quando avete mangiato e bevuto, forse non avete mangiato bevuto per voi stessi?" (Za 7,5-6). Infatti mangia e beve per sé chi prende i cibi del corpo, i quali sono donati a tutti dal Creatore, senza parteciparli ai bisognosi. E digiuna per sé chi non distribuisce ai poveri quelle cose di cui si è privato temporaneamente, ma anzi le serba per darle al suo ventre in altra occasione. Perciò è detto per bocca di Gioele: "Santificate il digiuno" (Jl 1,14 Jl 2,15). Santificare il digiuno significa offrire un’astinenza dalle carni degna di Dio, dopo aver aggiunto altri doni. Cessi l’ira, si plachino i litigi. Invano la carne è afflitta, se l’animo non si frena nei suoi malvagi desideri, come dice il Signore per bocca del Profeta: "Ecco, nel giorno del vostro digiuno si trova la vostra volontà. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui, e ricercate tutti i vostri debitori" (Is 58,3). Né commette ingiustizia chi richiede dal suo debitore quanto gli aveva prestato; è bene tuttavia che quando uno si macera nella penitenza, si astenga anche da ciò che gli spetta con giustizia. Così Dio perdona a noi, afflitti e penitenti, ciò che abbiamo fatto di male, se per amor suo rinunciamo anche a ciò che giustamente potremmo esigere.

       Gregorio Magno, Hom. 16, 1-6


2. Non c’indurre in tentazione

       «E non c’indurre in tentazione» Signore. C’insegna forse il Signore a pregare di non essere mai tentati? Perché dice altrove: "L’uomo non tentato non è provato" (Si 34,10 Rm 5,3-4) e di nuovo: "Considerate fratelli suprema gioia quando cadete in diverse tentazioni" (Jc 1,2)? Però entrare in tentazione non è farsi sommergere dalla tentazione. Infatti la tentazione sembra come un torrente di difficile passaggio. Alcuni che nelle tentazioni non si lasciano sommergere l’attraversano. Sono bravi nuotatori che non si fanno trascinare dal torrente; Gli altri che tali non sono, entrati ne vengono sommersi. Così, ad esempio, Giuda entrato nella tentazione dell’avarizia non la superò, ma sommerso materialmente e spiritualmente si impiccò. Pietro entrò nella tentazione di rinnegamento, ma superandola non ne fu sommerso. Attraversò [il torrente] con coraggio e non ne fu trascinato.

       Senti ancora in un altro passo il coro di santi perfetti, che ringrazia di essere scampato alla tentazione. "Tu ci hai provato, o Dio, come l’argento ci passasti al fuoco. Tu ci hai spinto nella rete, tu hai posto sulle nostre spalle le sofferente; tu hai fatto passare gli uomini sulle nostre teste. Abbiamo attraversato il fuoco e l’acqua e ci hai sospinto verso il refrigerio" (Ps 66,10-12). Vedi che parlano della loro traversata senza essere andati a fondo? (Ps 69,15). E tu «ci hai sospinto al refrigerio». Entrare nel refrigerio è essere liberato dalla tentazione.

       Cirillo di Gerusalemme, Catech. V Mistag. 17


3. La tentazione nel deserto (Lc 4,1-13)

In cambio della triplice vittoria
Quando fosti tentato nel deserto,
Fa’ che l’infausto Principe io vinca,
Il Tiranno che rendesi invisibile.

Sulla parola del tuo comandamento
Ch’io cammini sull’aspide e la vipera;
Ch’io schiacci sotto la pianta dei piedi
La testa del Drago attorcigliato.

       Nerses Snorhali, Jesus, 343-344





Lezionario "I Padri vivi" 13