Lezionario "I Padri vivi" 21

II Domenica di Quaresima

21 Letture:
    
Gn 12,1-4a 2Tm 1,8-10 Mt 17,1-9

1. Lezione della Trasfigurazione per la Chiesa e i cristiani

       La lettura del Vangelo, carissimi, che attraverso le orecchie del corpo ha colpito l’udito interiore della nostra anima, ci invita all’intelligenza di un grande mistero: noi arriveremo a intenderla più facilmente, con l’ispirazione della grazia di Dio, se riportiamo la nostra attenzione alle circostanze che sono state narrate un po’ prima. Quando infatti il Salvatore del genere umano, Gesù Cristo, poneva le fondamenta di questa fede che richiama alla vita (Rm 1,17) tanto gli empi quanto morti, quando ammaestrava i suoi discepoli sia con gli ammonimenti della dottrina sia con i miracoli delle opere, era appunto perché si credesse che lo stesso Cristo è contemporaneamente l’unigenito Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Poiché l’uno senza l’altro non poteva servire alla salvezza, ed era eguale il pericolo di credere il Signore Gesù Cristo o Dio solamente senza l’uomo, o uomo solamente senza Dio: bisogna, infatti, confessare parallelamente l’uno e l’altro, che la vera divinità è nell’uomo come la vera natura umana è in Dio. Volendo dunque confermare la conoscenza così salutare di questa fede, [il Signore] aveva chiesto ai suoi discepoli cosa, in mezzo a opinioni diverse di altri, essi stessi credessero a suo riguardo, o cosa pensassero: fu allora che l’apostolo Pietro, per effetto di una rivelazione del Padre che è nei cieli, oltrepassando le apparenze corporali e trascendendo l’aspetto umano, vide con gli occhi dell’anima il Figlio del Dio vivo e confessò la gloria della divinità, perch‚ non guardò alla sola sostanza della carne e del sangue. E fu così gradito [a Dio] per la sublimità di questa fede, che ricevette la gioia della beatitudine e fu dotato della santa fermezza propria di una pietra inamovibile - pietra sulla quale sarebbe stata fondata la Chiesa per prevalere sulle porte dell’inferno e sulle leggi della morte -, di modo che nient’altro venisse sancito in cielo per sciogliere o legare chicchessia, se non ciò che la decisione di Pietro avesse stabilito.

       Ma questa intelligenza così sublime, oggetto di lode, carissimi, doveva essere istruita dal mistero della natura inferiore di Cristo, per timore che la fede dell’apostolo, elevata fino alla gloria di confessare la divinità, giudicasse sconveniente e indegna del Dio impassibile la nostra debolezza da lui assunta, e credesse la natura umana già glorificata in lui al punto di non poter essere né intaccata dal supplizio né distrutta dalla morte. E siccome il Signore diceva che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, degli scribi e dei principi dei sacerdoti, essere messo a morte e risuscitare il terzo giorno (Mt 16,21 Mt 20,17-19), fu per tal motivo che san Pietro, illuminato da una luce superiore e tutto infiammato dell’ardentissima confessione da lui fatta del Figlio di Dio, respinse con un disgusto spontaneo e, pensava lui, religioso la prospettiva degli insulti ignominiosi (Lc 18,32) e di una morte disonorante e crudele; Gesù lo riprese allora con un dolce rimprovero e gli ispirò il desiderio di condividere la sua passione. L’esortazione successiva del Salvatore suggerì infatti e insegnò che quelli che volevano seguirlo dovevano rinnegare sé stessi e ritenere una cosa da nulla la perdita dei beni temporali in confronto alla speranza di quelli eterni; infine che avrebbe salvato la propria anima chi non avrebbe temuto di perderla per Cristo (Mt 16,25).

       Ma bisognava che gli apostoli concepissero veramente nel loro cuore questa forte e felice fermezza, e non tremassero davanti alla durezza della croce che dovevano prendere; bisognava che non arrossissero del supplizio di Cristo, e che non ritenessero vergognosa per lui quella pazienza con la quale egli doveva subire i rigori della passione senza perdere la gloria del dominio. "Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello" (Mt 17,1), e avendoli presi in disparte, salì con essi su un alto monte, e manifestò loro il fulgore della sua gloria: poiché, pur avendo essi compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza di quel corpo che nascondeva la divinità. Ecco perché aveva promesso in termini appropriati e precisi che alcuni dei discepoli presenti non avrebbero gustato la morte prima di vedere il Figlio dell’uomo venire nel suo regno (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che conveniva specialmente alla natura umana che egli aveva assunto, e che volle rendere visibile a questi tre uomini. Perché quanto alla visione ineffabile e inaccessibile della stessa divinità, visione riservata ai cuori puri nella vita eterna (Mt 5,8), degli esseri ancora rivestiti di carne mortale non potevano in alcun modo né contemplarla né vederla.

       Il Signore svela dunque la sua gloria in presenza di testimoni scelti e illumina di tale splendore questa forma corporale che lui ha comune con tutti, che il suo volto diviene simile al fulgore del sole, e le sue vesti sono paragonabili al candore delle nevi (Mt 17,2). Certamente questa trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di eliminare dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata la sublimità della dignità nascosta. Ma con eguale previdenza egli dava un fondamento alla speranza della santa Chiesa, di modo che tutto il corpo di Cristo venisse a conoscenza di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e le membra dessero a sé stesse la promessa di partecipare all’onore che era rifulso nel capo. A questo proposito il Signore stesso, parlando della maestà della sua venuta, aveva detto: "Allora i giusti risplenderanno come sole nel regno del Padre loro" (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa, in questi termini: "Ritengo infatti che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4).

       Leone Magno, Sermo 51, 1-3


2. La rivelazione del Tabor

       Oggi sul monte Tabor Cristo ha ridato alle sue sembianze umane la beltà celeste. Perciò è cosa buona e giusta che io dica: "Quanto è terribile questo luogo! È davvero la casa di Dio, è la porta dei cieli" (Gn 28,17).... Oggi, infatti, il Signore è veramente apparso sul monte. Oggi, la natura umana, già creata a somiglianza di Dio, ma oscurata dalle deformi figure degli idoli, è stata trasfigurata nell’antica bellezza fatta a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26). Oggi, sul monte, la natura, fuorviata dall’idolatria, è stata trasformata, rimanendo tuttavia la stessa, e ha cominciato a risplendere nel fulgore della divinità. Oggi, sul monte colui che un tempo fu vestito di squallidi e tristi abiti di pelli, di cui parla il libro della Gn (Gn 3,21), ha indossato la veste divina avvolgendosi di luce come di un manto (Ps 103,2). Oggi, sul monte Tabor, in modo del tutto misterioso, si è visto come sarà la vita futura nel regno del gaudio. Oggi, in modo mirabile si sono adunati sul monte, attorno a Dio, gli antichi precursori della Vecchia e della Nuova Alleanza, recando un mistero pieno di straordinari prodigi. Oggi, sul monte Tabor, si delinea il legno della Croce che con la morte dà la vita: come Cristo fu crocifisso tra due uomini sul monte Calvario, così è apparso pieno di maestà tra Mosè ed Elia.

       E la festa odierna ci mostra ancora l’altro Sinai, monte quanto più prezioso del Sinai, grazie ai prodigi e agli eventi che vi si svolsero: lì l’apparizione della Divinità oltrepassa le visioni che per quanto divine erano ancora espresse in immagini ed oscure. E così, come sul Sinai le immagini furono abbozzate mostrando il futuro, così sul Tabor splende ormai la verità. Lì regna l’oscurità, qui il sole; lì le tenebre, qui una nube luminosa. Da una parte il Decalogo, dall’altra il Verbo, eterno su ogni altra parola... La montagna del Sinai non aprì a Mosè la Terra Promessa, ma il Tabor l’ha condotto nella terra che costituisce la Promessa.

       Anastasio Sinaita, Hom. de Transfigurat.

3. La Trasfigurazione (Mt 17,1-8)

Tu che hai manifestato la tua Divinità
Ai discepoli tuoi sulla montagna,
E del Padre hai mostrato l’ineffabil gloria
Sfolgorante ai loro occhi,

Purifica così il mio oscuro spirito
E i sensi miei sì tenebrosi,
Perché chiaramente al luogo della Parusia
Saziarmi lo possa di tua divina Gloria!

       Nerses Snorhali, Jesus, 492-493


III Domenica di Quaresima

22 Letture:
    
Ex 17,3-7
     Rm 5,1-2 Rm 5,5-8
     Jn 4,5-42

2. La stanchezza di Gesù

       "Gesù pertanto, stanco del viaggio, se ne stava così sedendo presso il pozzo. Era circa l’ora sesta" (Jn 4,6). Cominciano i misteri. Non è certo senza un motivo che Gesù era stanco, non senza un motivo appare affaticata la forza di Dio. Cristo, che ridà forza a è prostrato dalla fatica, Cristo la cui presenza ci fortifica, e la cui assenza ci debilita, non a caso appare qui stanco. Comunque, Gesù è stanco, stanco del viaggio, e si siede presso il pozzo; si siede, stanco, all’ora sesta. Tutti questi elementi insinuano qualcosa, ci vogliono indicare qualcosa; ci fanno attenti, ci invitano a bussare. Ci apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato di esortarci dicendo: "Bussate, e vi sarà aperto" (Mt 7,7).

       È per te, che Gesù si è stancato nel viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza, e lo vediamo debole; forte e debole: forte, perché «in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e era Dio il Verbo. Era questi in principio presso Dio». Vuoi vedere quanto è forte il Figlio di Dio? "Le cose tutte furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto" (Jn 1,3); e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui, che ha fatto tutte le cose senza fatica? Vuoi ora vederlo debole? "Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi" (Jn 1,14).

       La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha rigenerato. La forza di Cristo fece che ciò che prima non era fosse; la debolezza di Cristo fece che ciò che era non perisse. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza ci ha cercati.

       È dunque con la sua debolezza che egli nutre i deboli...

       Poiché dunque si è degnato di venire a noi apparendo in forma di servo per la carne assunta, questa stessa carne assunta è il suo viaggio. Perciò «stanco del viaggio», che altro vuol dire se non affaticato nella carne?

       Gesù è debole nella carne, ma non volerlo essere tu nella debolezza di lui tu devi essere forte, perché il debole di Dio è più forte di tutta la potenza umana (1Co 1,25).

       Agostino, In Ioan. 15, 6-7

1. La Samaritana

       Nostro Signore venne alla fontana come un cacciatore, chiese l’acqua per poterne dare; chiese da bere come uno che ha sete, per avere l’occasione di estinguere la sete. Fece una domanda alla Samaritana per poterle insegnare e, a sua volta, essa gli pose una domanda. Benché ricco, Nostro Signore non ebbe vergogna di mendicare come un indigente, per insegnare all’indigente a chiedere. E dominando il pudore, non temeva di parlare ad una donna sola, per insegnarmi che colui che si tiene nella verità non può essere turbato. "Essi si meravigliarono che si intrattenesse con una donna e le parlasse" (Jn 4,27). Egli aveva allontanato i discepoli (Jn 4,8), perché non gli scacciassero la preda; egli gettò un’esca alla colomba, sperando così di prendere tutto uno stormo. Aprì la conversazione con una domanda, con lo scopo di provocare confessioni sincere: "Dammi dell’acqua, perché io beva" (Jn 4,7). Chiese dell’acqua, poi promise l’acqua della vita; chiese, poi smise di chiedere, al pari della donna che abbandonò la sua brocca. I pretesti erano finiti, perché la verità che essi dovevano preparare, era ora presente.

       "Dammi dell’acqua, perché io beva. Essa gli disse: Ma tu sei Giudeo. Egli le disse: Se tu sapessi" (Jn 4,7 Jn 9-10); con queste parole, egli le dimostrò che essa non sapeva e che la sua ignoranza spiegava il suo errore; la istruì sulla verità; voleva rimuovere a poco a poco il velo che era sul suo cuore. Se le avesse rivelato fin dall’inizio: Io sono il Cristo, essa avrebbe avuto orrore di lui e non si sarebbe messa alla sua scuola: "Se tu sapessi chi è colui che ti ha detto: Dammi dell’acqua perché io beva, tu gli avresti chiesto... La donna gli disse: Tu non hai un secchio per attingere e il pozzo è profondo. Egli le rispose" (Jn 4,10-11 Jn 4,13): Le mie acque discendono dal cielo. Questa dottrina viene dall’alto e la mia bevanda è celeste; coloro che ne bevono non hanno più sete, poiché non vi è che un battesimo per i credenti: "Chiunque beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete. Essa gli disse: Dammi di quest’acqua perché io non abbia più sete e non debba venir più qui ad attingerne" (Jn 4,14-15).

       "Egli le disse: Va’ a chiamare tuo marito" (Jn 4,16). Come un profeta, egli le apre una porta per rivelarle cose nascoste. Ma essa gli rispose: "Io non ho marito" (Jn 4,17), per provare se egli conosceva le cose nascoste. Egli le dimostrò allora due cose; ciò che essa era e ciò che essa non era, ciò che era di nome, ma non era in verità: "Tu ne hai avuti cinque, e quello attuale non è tuo marito. Essa gli disse: Mio Signore, vedo che sei un profeta" (Jn 4,18-19). Qui, egli la portò ad un gradino superiore: "I nostri padri hanno adorato su questo monte. Egli le rispose: Non sarà più così, né su questo monte, né a Gerusalemme; ma i veri adoratori adoreranno in spirito e verità" (Jn 4,20-21 Jn 23). La esercitava perciò nella perfezione, e la istruì nella vocazione dei gentili. E per manifestare che non era una terra sterile, essa testimoniò, tramite il covone che gli offrì, che il suo seme aveva fruttificato al centuplo: "Ecco, quando verrà il Messia, ci annunzierà ogni cosa. Egli le rispose: Sono io che ti parlo" (Jn 4,25-26). Ma se tu sei re, perché mi chiedi dell ‘acqua ? È progressivamente che si rivelò a lei, prima come Giudeo, poi come profeta, quindi come il Cristo. La condusse di gradino in gradino fino al livello più alto. Essa vide in lui dapprima qualcuno che aveva sete, poi un Giudeo, quindi un profeta, e infine Dio. Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il Giudeo in avversione, interrogò il saggio, fu corretta dal profeta e adorò il Cristo.

       Efrem, Diatessaron, 12, 16-18

3. È salutare leggere le sacre Scritture

       Dice l’Apostolo: "Molte volte e in molti modi anticamente Dio parlò ai nostri padri per mezzo dei profeti; ma in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (He 1,1s). Per mezzo dello Spirito Santo, dunque, hanno parlato la Legge, i profeti, gli evangelisti, gli apostoli, i pastori e i maestri. Perciò ogni Scrittura è ispirata da Dio ed è anche certamente utile (2Tm 3,16). E bello dunque e salutare indagare le divine Scritture. "Come un albero piantato lungo corsi d’acqua", così anche l’anima, irrigata dalla Scrittura divina, cresce "e porta frutto alla sua stagione" (Ps 1,3), cioè la fede retta, ed è sempre adorna di foglie verdeggianti, cioè le opere gradite a Dio. Dalle Scritture sante infatti veniamo condotti alle azioni virtuose e alla contemplazione pura. Troviamo in esse lo stimolo ad ogni virtù e la dissuasione da ogni vizio. Se dunque impareremo con amore, impareremo molto: infatti, con la diligenza, la fatica e la grazia di Dio che dà tutto, tutto si ottiene, poiché "chi chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto" (Lc 11,10).

       Battiamo dunque a questo magnifico giardino delle Scritture, olezzante, soave, fiorente, che rallegra le nostre orecchie con il canto molteplice di uccelli spirituali, pieni di Dio, che tocca il nostro cuore, consolandolo se è triste, calmandolo se è irritato, riempiendolo di eterna letizia; che innalza il nostro pensiero sul dorso dorato, rutilante, nella divina colomba (Ps 67,14), che con le sue ali raggianti ci porti al Figlio unigenito ed erede del padrone della vigna spirituale e per mezzo di lui al "Padre dei lumi" (Jc 1,17). Ma non battiamo fiaccamente bensì con ardore e costanza; e non stanchiamoci di battere. In questo modo ci sarà aperto. Se leggiamo una volta e due volte e non comprendiamo quello che leggiamo, non scoraggiamoci, ma persistiamo, riflettiamo, interroghiamo. È detto infatti: "Interroga tuo padre e te lo annuncerà, i tuoi vecchi e te lo diranno" (Dt 32,7). La scienza non è di tutti (1Co 8,7). Attingiamo alla sorgente di questo giardino le acque perenni e purissime che zampillano nella vita eterna (Jn 4,14). Ne godremo e ce ne delizieremo senza saziarcene: possiede una grazia inesauribile.

       Giovanni Damasceno, Expos. fidei orthod. 4, 17


4. La Samaritana, immagine della Chiesa

       Cosa insegna dunque la Bibbia? Cristo, essa ci dice, dal quale sgorga una sorgente di vita per gli uomini, affaticato dal viaggio, stava seduto (Jn 4,5-6) presso una fonte di Samaria, ed era l’ora del caldo: era infatti circa l’ora sesta, dice la Scrittura, nel mezzo del giorno, quando il Messia venne ad illuminare coloro che erano nella notte. La sorgente raggiunse la sorgente per lavare, non per bere; la fontana d’immortalità è là accanto al ruscello della miserabile, come spogliata; egli è stanco di camminare, lui che, senza fatica, ha percorso il mare a piedi, lui che accorda gioia e redenzione.

       Ora, proprio mentre il Misericordioso stava vicino al pozzo, come ho detto, ecco che una Samaritana prese la sua brocca sulle spalle e venne, uscendo da Sichar, sua città (Jn 4,7). E chi non dirà felice la partenza e il ritorno di quella donna? Ella uscì nel sudiciume, e ritornò immagine della Chiesa, senza macchia. Uscì e attinse la vita come una spugna; uscì portando la brocca, rientrò portando Dio. E chi non dirà beata quella donna? O meglio, chi non venererà colei che è venuta dalle nazioni? Infatti, ella è immagine, e riceve gioia e redenzione.

       Romano il Melode, Hymn. 19, 4-5


5. La Samaritana (Jn 4,1-42)

Sorgente della vita, Tu hai chiesto l’acqua
Alla Samaritana nella (tua) sete;
E Tu hai promesso l’Acqua viva,
in cambio dell’effimera.

A me pure accorda, Sorgente della Vita,
La santa Bevanda spirituale,
Colui che sgorga dal seno come un fiume:
Lo Spirito da cui zampilla la grazia in abbondanza.

       Nerses Snorhali, Jesus, 442-443


IV Domenica di Quaresima

23 Letture:
    
1S 16,1-13 (1b.4a.6-7.10-13)
     Ep 5,8-14
     Jn 9,1-41

1. Il cieco nato

       E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima che Abramo fosse, io ero" (Jn 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: "E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno" (Jn 9,2-4), fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge la notte" (Jn 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. "Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango" (Jn 9,6), e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, "la tenebra, era estesa su tutto" ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn 1,2-3). Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò" il primo "Adamo con la terra" (Gn 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.

       Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: "I Giudei cercano i miracoli" (1Co 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn 9,7 Jn 11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. "Unse i suoi occhi con il fango" (Jn 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.

       Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.

       In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. "Va’, lavati il viso" (Jn 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.

       La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: "Perché coloro che vedono diventino ciechi" (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (Jn 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?" (Jn 5,5 Jn 12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?

       Efrem, Diatessaron, 16, 28-32


2. Sermone per la terza domenica di Quaresima

       Rendete grazie, fratelli, alla misericordia di Dio che vi ha conservati in buona salute fino alla metà di questa Quaresima. Possono tuttavia lodare Dio per tale dono, con più dolcezza e devozione, coloro che si sono applicati a vivere come è stato detto all’inizio della Quaresima, cioè coloro che si son presi l’impegno di digiunare ogni giorno in vista della remissione dei loro peccati, di elargire elemosine, di portarsi in chiesa con sollecitudine e di pregare nelle lacrime e i sospiri.

       Quanto a coloro che hanno trascurato queste cose, cioè quelli che non hanno digiunato ogni giorno, che non hanno elargito elemosine o non hanno pregato con ardore e devozione, non v’e ragione per essi di rallegrarsi, hanno piuttosto, sventurati, di che affliggersi. Non si affliggano tuttavia al punto di disperare, poiché colui che ha potuto dare la vista al cieco nato (Jn 9,1-38), può anche rendere zelanti e ardenti nel suo servizio coloro che attualmente sono tiepidi e negligenti, se vogliono convertirsi a Dio con tutto il cuore. Che tutti quelli che si trovano in questo stato, cioè quelli che vivono nell’impurità, quelli che covano odio contro qualcuno nel loro cuore, che si appropriano ingiustamente del bene altrui o trattengono il proprio in maniera abusiva, riconoscano dunque la loro cecità, e ricorrano al medico onde recuperare la vista.

       Possiate voi, allorché cadete nel peccato, cercare il rimedio spirituale negli stessi modi con cui cercate quello carnale quando il vostro corpo è malato. Chi c’è in questo momento, in mezzo a tutta questa folla, che se dovesse non dico essere ucciso, ma solamente perdere gli occhi, non darebbe tutto ciò che possiede per potervi sfuggire? Ma se temete a questo modo la morte della carne, perché non dovreste temere quella dell’anima, soprattutto perché, mentre la morte della carne, cioè il dolore, è di un istante, la morte dell’anima, cioè il pianto e il castigo, non avrà mai fine? E se tenete tanto agli occhi del corpo che perderete ben presto con la morte, perché non amare gli occhi spirituali con i quali potrete vedere senza fine il vostro Dio e Signore?

       Lavorate dunque, figli carissimi nel Signore, lavorate finché dura il giorno, poiché "sopraggiunge la notte nella quale nessuno può più lavorare" (Jn 9,4). Il giorno, è la vita presente; la notte, è la morte e il tempo dopo la morte. Se non vi è possibilità di lavorare dopo questa vita, come lo afferma la Verità, perché ciascuno non lavora finché ne ha il tempo, cioè finché vive in questo secolo? Temete, fratelli, questa notte della quale il Salvatore dice: "Sopraggiunge la notte nella quale nessuno può più lavorare". Coloro che compiono il male non temono questa notte, e per questo motivo, all’uscita da questa vita, essi trovano la notte, cioè la morte eterna. Lavorate finché vivete, ma in questi giorni soprattutto, privandovi di piatti delicati, e astenendovi dai vizi in ogni tempo. Infatti coloro che si privano del cibo e non si astengono dal male sono simili al diavolo che non mangia e tuttavia non si allontana dal male. Sappiate infine che voi dovete far passare in cielo, dandolo ai poveri, quello di cui vi private con il digiuno.

       Mettete in pratica, fratelli, gli avvertimenti di questo sermone odierno, perché non cada su di voi la maledizione dei Giudei. «Essi dissero», in effetti, al cieco: "Sii tu discepolo li quell’uomo" (Jn 9,28). Che significa essere discepoli di Cristo se non essere discepoli della pietà, della verità e dell’umiltà? È per attirare su di lui la divina maledizione che gli dissero questo, ma grande è al contrario la sua benedizione: che egli vi conceda di riceverla, lui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

       Anonimo IX sec., Hom. 9, 1-5

3. Preghiera

       O Gesù, redentore del genere umano, restauratore eterno della luce: concedi a noi tuoi servi che, come siamo stati lavati dal peccato originale per l’immersione del Battesimo - e in ciò consiste il significato di quella piscina che restituì la vista agli occhi dei ciechi -, così pure siamo da te purificati dalle nostre colpe mediante il secondo battesimo delle lacrime; e possiamo meritare di essere divulgatori delle tue lodi, come quel cieco divenne nunzio della grazia.

       E come quello fu riempito di fede per confessare te vero Dio, così noi pure possiamo essere corroborati dalla testimonianza delle buone opere. Possa tu subito venire incontro pietoso, per la tua smisurata pietà, a noi che t’invochiamo, affinché, per questo sacrificio che ti offriamo, se vivi otteniamo la medicina che salva, se defunti meritiamo di conseguire l’eterno gaudio senza fine. Amen.

       Sacramentario Mozarabico, 392 Post Nomina


V Domenica di Quaresima

24 Letture:
    
Ez 37,12-14
     Rm 8,8-11
     Jn 11,1-45

1. La risurrezione di Lazzaro

       Il Signore e Salvatore nostro Cristo Gesù ha certo manifestato la potenza della sua divinità con numerosi segni e con miracoli di ogni specie, ma particolarmente alla morte di Lazzaro, come avete appena udito, carissimi, nella presente lettura, mostrando di essere colui del quale era stato scritto: "Il Signore della potenza è con noi, nostra rocca è il Dio di Giacobbe" (Ps 45,8). Questi miracoli, il Signore e Salvatore nostro li ha operati sotto due aspetti: materiale e spirituale, cioè producendo un effetto visibile e un altro invisibile, manifestando per mezzo dell’effetto visibile la sua invisibile potenza. Prima, con un’opera visibile, rese al cieco nato la vista della luce (Jn 9,1-38) per illuminare con la luce della sua conoscenza, per mezzo della sua invisibile potenza, la cecità dei Giudei. Nella presente lettura, egli rese la vita a Lazzaro che era morto (Jn 11,1-44), al fine di risuscitare dalla morte del peccato alla vita i cuori increduli dei Giudei. Di fatto molti Giudei credettero a Cristo Signore a causa di Lazzaro: riconobbero nella sua risurrezione una manifestazione della potenza del Figlio di Dio, poiché comandare alla morte in forza della propria potenza non rientra fra le capacità della condizione umana, ma è proprio della natura divina. Leggiamo invero che anche gli apostoli hanno risuscitato dei morti, ma essi hanno implorato il Signore perché li risuscitasse (Ac 9,40 Ac 20,9-12); essi li hanno sì risuscitati, non però con le loro forze, o per virtù propria, ma dopo aver invocato il nome di Cristo che comanda alla morte e alla vita: il Figlio di Dio invece ha risuscitato Lazzaro per virtù propria. Infatti appena il Signore disse: "Lazzaro, vieni fuori" (Jn 11,43), quegli uscì subito dal sepolcro: ;la morte non poteva trattenere colui che veniva chiamato dalla Vita. Il fetore della tomba era ancora nelle narici dei presenti allorché Lazzaro era già in piedi e vivo. La morte non attese di sentirsi ripetere il comando dalla voce del Salvatore, perché essa non era in grado di resistere alla potenza della Vita; e pertanto a una sola parola del Signore la morte fece uscire dal sepolcro il corpo di Lazzaro e la sua anima dagli inferi, così tutto Lazzaro uscì vivo dal sepolcro, dove non era completo ma solo col suo corpo. Ci si risveglia più lentamente dal sonno che non Lazzaro dalla morte. Il fetore del cadavere era ancora nelle narici dei Giudei che già Lazzaro stava in piedi e vivo. Ma consideriamo ora l’inizio della stessa lettura.

       Il Signore disse dunque ai suoi discepoli, come avete udito carissimi, nella presente lettura: "Lazzaro, l’amico nostro, dorme ma io vado a risvegliarlo" (Jn 11,11). Il Signore disse bene. "Lazzaro, l’amico nostro, dorme," perché in realtà egli stava per risuscitarlo da morte come da un sonno. Ma i discepoli, ignorando il significato delle parole del Signore, gli dicono: "Signore, se dorme, guarirà" (Jn 11,12). Allora in risposta "disse loro chiaro: Lazzaro è morto, ma sono contento per voi di non essere stato là affinché crediate" (Jn 11,14-15). Se il Signore qui afferma di rallegrarsi per la morte di Lazzaro in vista dei suoi discepoli, come si spiega che in seguito pianse sulla morte di Lazzaro? (Jn 11,35). Occorre, al riguardo, badare al motivo della sua contentezza e delle sue lacrime. Il Signore si rallegrava per i discepoli, piangeva per i Giudei. Si rallegrava per i discepoli, perché con la risurrezione di Lazzaro egli sapeva di confermare la loro fede nel Cristo; ma piangeva per l’incredulità dei Giudei, perché neppure di fronte a Lazzaro risorto avrebbero creduto a Cristo Signore. O forse il Signore pianse per cancellare con le sue lacrime i peccati del mondo. Se le lacrime versate da Pietro poterono lavare i suoi peccati, perché non credere che i peccati del mondo siano stati cancellati dalle lacrime del Signore? In effetti, dopo il pianto del Signore, molti fra il popolo dei Giudei credettero. La tenerezza della bontà del Signore vinse in parte l’incredulità dei Giudei e le lacrime da lui teneramente versate addolcirono i loro cuori ostili. E forse per questo la presente lettura ci riferisce l’uno e l’altro sentimento del Signore, cioè la sua gioia e il suo pianto, perché "chi semina nelle lacrime", com’è scritto, "mieterà nella gioia" (Ps 125,5). Le lacrime del Signore sono dunque la gioia del mondo: infatti per questo egli versò lacrime, perché noi meritassimo la gioia. Ma ritorniamo al tema. Disse dunque ai suoi discepoli: "Lazzaro, l’amico nostro, è morto; ma io sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate". Rileviamo anche qui un mistero: come il Signore può dire di non essere stato là [dove Lazzaro era morto]? Infatti quando dice chiaramente: "Lazzaro è morto" dimostra all’evidenza di essere stato lì presente. Né il Signore avrebbe potuto parlare così, dal momento che nessuno l’aveva informato, se non fosse stato lì presente. Come il Signore poteva non essere presente nel luogo dove Lazzaro era morto, lui che abbraccia con la sua divina maestà ogni regione del mondo? Ma anche qui il Signore e Salvatore nostro manifesta il mistero della sua umanità e della sua divinità. Egli non si trovava lì con la sua umanità, ma era lì con la sua divinità, perché Dio è in ogni luogo.

       Quando il Signore giunse da Maria e da Marta, sorelle di Lazzaro, alla vista della folla dei Giudei, chiese: "Dove l’avete messo?" (Jn 11,34). Forse che il Signore poteva ignorare dove era stato posto Lazzaro, lui che, sebbene assente, aveva preannunciato la morte di Lazzaro e che con la maestà del suo essere divino è presente dappertutto? Ma il Signore, così facendo, si attenne a un’antica sua consuetudine. Infatti, allo stesso modo chiese ad Adamo: "Adamo, dove sei?" (Gn 3,9). Egli interrogò Adamo non perché ignorava dove si trovasse, ma perché Adamo confessasse il suo peccato con le proprie labbra e potesse così meritarne il perdono. Interrogò anche Caino: "Dov’è tuo fratello Abele"? ed egli rispose: "Non so" (Gn 4,9). Dio non interrogò Caino quasi che non sapesse dove si trovava Abele, ma per potergli imputare, sulla base della sua risposta negativa il delitto commesso contro il fratello. Di fatto Adamo ebbe il perdono perché confessò il peccato commesso al Signore che lo interrogava; Caino invece fu condannato alla pena eterna, perché negò il suo delitto. Così anche nel nostro caso, quando il Signore chiede: "Dove l’avete messo?" non pone la domanda quasi che ignori dove sia stato sepolto Lazzaro, ma perché la folla dei Giudei lo segua fino al suo sepolcro e, constatando nella risurrezione di Lazzaro la divina potenza di Cristo, essi divengano testimoni contro sé stessi qualora non credano a un miracolo così grande. Infatti il Signore aveva loro detto in precedenza: "Se non credete a me, credete almeno alle mie opere e sappiate che il Padre è in me e io sono in lui" (Jn 10,38). Quando poi giunse presso il sepolcro, disse ai Giudei che stavano intorno: "Levate via la pietra" (Jn 11,39). Che dobbiamo dire? Forse che il Signore non poteva rimuovere la pietra dal sepolcro con un semplice comando, lui che, con la sua potenza, ha rimosso le sbarre degli inferi? Ma il Signore ha ordinato agli uomini di fare ciò che era nelle loro possibilità; ciò che invece appartiene alla virtù divina, lo ha manifestato con la propria potenza. Infatti rimuovere la pietra dal sepolcro è possibile alle forze umane, ma richiamare un’anima dagli inferi è solo in potere di Dio. Ma, se l’avesse voluto, avrebbe potuto rimuovere facilmente la pietra dal sepolcro con una sola parola chi con la sua parola creò il mondo.

       Quand’ebbero dunque rimosso la pietra dal sepolcro, il Signore disse a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori", dimostrando così di essere colui del quale era stato scritto: "La voce del Signore è potente, la voce del Signore è maestosa" (Ps 28,4), e ancora: "Ecco che darà una voce forte alla sua potenza" (Ps 67,34). Questa voce che ha subito richiamato Lazzaro dalla morte alla vita è veramente una voce potente e maestosa, e l’anima fu restituita al corpo di Lazzaro prima che il Signore avesse fatto uscire il suono della sua voce. Sebbene il corpo fosse in un luogo e l’anima in un altro, tuttavia questa voce del Signore restituì subito l’anima al corpo e il corpo obbedì all’anima. La morte infatti fu rimossa alla voce di una così grande potenza. E nulla di strano, certamente, che Lazzaro sia potuto risorgere per una sola parola del Signore, quando ha dichiarato egli stesso nel Vangelo che quanti sono nei sepolcri risorgeranno alla sola e unica parola, dicendo: "Viene l’ora in cui i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e risorgeranno" (Jn 5,25). Senza dubbio, all’udire la parola del Signore, la morte avrebbe potuto allora lasciar liberi tutti i morti, se non avesse capito che era stato chiamato soltanto Lazzaro. Dunque, quando il Signore disse: "Lazzaro, vieni fuori, subito egli uscì legato piedi e mani e la faccia ravvolta in un sudario" (Jn 11,44). Che diremo qui ancora? Forse che il Signore non poteva spezzare le bende nelle quali Lazzaro era stato sepolto, lui che aveva spezzato i legami della morte? Ma qui il Signore e Salvatore nostro manifesta nella risurrezione di Lazzaro la duplice potenza della sua operazione per tentare d’infondere almeno così la fede nei Giudei increduli. Infatti non desta minor meraviglia veder Lazzaro poter camminare a piedi legati che vederlo risuscitare dai morti...

       Cromazio di Aquileia, Sermo 27, 1-4

2. Le lacrime del Signore

       Egli andò per trarre fuori il morto dal sepolcro e interrogò: "Dove lo avete deposto? E comparvero le lacrime sugli occhi di Nostro Signore" (Jn 11,34-35), le sue lacrime furono come la pioggia, e Lazzaro come il grano, e il sepolcro come la terra. Egli gridò con voce di tuono e la morte tremò alla sua voce; Lazzaro si erse come il grano, uscì fuori e adorò il Signore che lo aveva risuscitato.

       Efrem, Diatessaron, 17, 7

3. La risurrezione di Lazzaro (Jn 11,1-45)

Come Lazzaro, (tuo) amico,
Io morto fui messo nella tomba;
Ed è non da quattro giorni ma da lunghi anni
Che l’anima mia morta giace nel mio corpo.

Fa’ risuonare in me la voce tua celeste
E fammi intendere la (tua) Parola;
Scioglimi dai vincoli infernali,
Ritraimi dalla mia casa tenebrosa.

       Nerses Snorhali, Jesus, 666-667



Lezionario "I Padri vivi" 21