Lezionario "I Padri vivi" 60

XX Domenica

60 Letture:
    
Is 56,1 Is 56,6-7
     Rm 11,13-15 Rm 11,29-32
     Mt 15,21-28

1. Perseverare nella preghiera come la Cananea

       Nella lettura del santo Vangelo che è stata appena letta, fratelli carissimi, abbiamo ascoltato la grande fede, pazienza, costanza e umiltà di una donna. La devozione del suo cuore è tanto più degna di ammirazione in quanto, pagana qual era in effetti, era stata completamente separata dalla dottrina contenuta nelle parole divine, e tuttavia non era priva di quelle virtù che tali parole predicano. La sua fede infatti, era davvero perfetta... Possiede la virtù della pazienza in non scarsa misura, lei che, pur non rispondendo il Signore alla sua prima richiesta, non cessa affatto dal pregarlo, ma con più insistenza continua a implorare l’aiuto della sua pietà...

       "Donna, grande è la tua fede, ti sia fatto come desideri" (Mt 15,28). Sì, aveva davvero una grande fede, lei che, pur non conoscendo gli antichi miracoli, precetti o promesse dei profeti, né quelli recenti dello stesso Signore, al di là del fatto che tante volte viene da lui trattata con indifferenza, persevera nelle preghiere; e non cessa di sollecitare con suppliche colui che, propagandosi la fama, aveva saputo essere un così grande Salvatore. Ed è per questo che la sua richiesta ottiene grande effetto, dal momento che, alle parole del Signore "ti sia fatto come desideri", da allora sua figlia è risanata... Se qualcuno di noi ha la coscienza macchiata dall’avarizia, dall’impeto [ delle passioni ], dalla vanagloria, dallo sdegno, dall’ira o dall’invidia, e da tutti gli altri vizi, è come avesse una figlia maltrattata dal demonio, per la cui guarigione può ricorrere supplice al Signore... Sottomesso con la dovuta umiltà, nessuno si giudichi degno della comunanza con le pecore d’Israele, cioè con le anime monde, ma piuttosto che deve subire un confronto, e si ritenga indegno dei doni celesti. E tuttavia, non cessi, per la disperazione, di adoperarsi con preghiera insistente, ma con animo certo confidi nella bontà del sommo donatore: poiché colui che di un ladro poté fare un testimone, di un persecutore un apostolo, di un pubblicano un evangelista, di pietre figli di Abramo, proprio lui può trasformare anche un essere vergognoso come un cane in una pecora del gregge d’Israele.

       Beda il Venerabile, Hom. 1, 19


2. La preghiera è efficace se è frutto di conversione

       Non restiamo, dunque, ad aspettare oziosamente l’aiuto degli altri. È certo che le preghiere dei santi hanno molta efficacia, ma solo quando noi mutiamo condotta e diventiamo migliori. Mosè, che pure salvò il fratello e seicentomila uomini dalla collera divina, non riuscì a salvare sua sorella, sebbene il peccato di lei fosse minore di quello degli altri: ella, infatti, aveva mormorato contro Mosè, mentre il reato degli altri era l’empietà contro Dio stesso. Ma lascio a voi di riflettere su questa questione e cercherò invece di spiegare e risolvere un’altra più difficile. Perché, infatti trattenerci a parlare della sorella, quando Mosè stesso, il condottiero del popolo eletto, non poté ottenere quanto desiderava? Infatti, dopo aver sofferto infinite pene e fatiche ed aver guidato per quarant’anni il popolo ebreo, non gli fu concesso di entrare nella terra tante volte promessa. Quale ne fu la causa? Questa grazia non sarebbe stata utile, anzi avrebbe recato molto danno e avrebbe potuto causate la rovina e la caduta di molti fra i Giudei. Essi, infatti, dopo esser partiti dal paese d’Egitto, avevano abbandonato Dio e seguivano Mosè riferendo a lui ogni cosa; se poi egli li avesse condotti nella terra promessa, chissà a quale empietà si sarebbero di nuovo abbandonati. Per questo, il sepolcro di Mosè rimase sempre nascosto e ignorato (Dt 34,6). Quanto a Samuele, pur avendo egli spesso salvato gli Israeliti, non poté salvare Saul dalla collera di Dio (1S 16,1). Geremia, dal canto suo, non poté liberare i Giudei, ma salvò come profeta molti altri. Daniele poté salvare dalla morte i sapienti di Babilonia, ma non poté liberare il suo popolo dalla schiavitù (Da 2). Noi vediamo, del resto, nei Vangeli verificarsi per uno stesso uomo queste due situazioni: chi ha potuto riscattarsi una volta non può più farlo in un’altra circostanza. Colui che doveva diecimila talenti, supplicando ottenne che il suo debito gli fosse rimesso, ma non poté più ottenere la stessa cosa subito dopo. E al contrario, quegli che dapprima si era perduto, più tardi si salvò. Chi è costui? Si tratta di quel figliol prodigo il quale, dopo aver dissipato le sostanze del padre, ritornò da lui e ottenne il perdono (Lc 15,30). Insomma, se noi siamo pigri e negligenti, neppure gli altri ci potranno soccorrere: ma se vegliamo su noi stessi, da noi medesimi ci soccorreremo e lo faremo molto meglio di quanto potrebbero farlo gli altri. Dio preferisce accordare la sua grazia direttamente a noi, piuttosto che ad altri per noi, perché lo zelo che poniamo nel cercare di allontanare la sua collera ci spinge ad agire con fiducia e a diventare migliori di quel che siamo. Per questo il Signore fu misericordioso con la cananea e così egli salvò la Maddalena e il ladrone, senza che alcun mediatore fosse intervenuto a favore.

       Crisostomo Giovanni, In Matth 5, 4


3. Pregare confidando nel Signore

       Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .

       Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.

       Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.

       Guardati dal dubbio! È sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.

       Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.

       Erma, Pastor, Precetto IX


4. La preghiera deve essere fatta con tutto il cuore

       Quando dunque, fratelli carissimi, ci mettiamo a pregare, dobbiamo essere vigilanti e completamente intenti alle preghiere con tutto il cuore. Sia lontano da noi ogni pensiero carnale e mondano, affinché appunto l’anima non si concentri che sulla preghiera.

       Ecco perché il vescovo, con un prefazio prima della preghiera (eucaristica), prepara lo spirito dei fedeli dicendo: «In alto i cuori», cui il popolo risponde: «Li abbiamo rivolti al Signore». Si è esortati così a non pensare ad altro che al Signore.

       Si chiuda il cuore all’avversario e lo si apra solo a Dio; non si permetta affatto che il nemico penetri in noi durante il tempo della preghiera. Egli infatti usa strisciare e insinuarsi sottilmente per deviare le nostre preghiere da Dio: cosicché una cosa abbiamo nel cuore e un’altra sulle labbra; mentre si deve pregare il Signore con la sincera applicazione non del suono della voce ma dell’anima e del pensiero. Quale indolenza non è quella per cui ci si fa portar via e si diventa preda di pensieri frivoli e profani, proprio mentre tu preghi il Signore, - come se potessi avere di meglio da pensare rispetto a quello di cui parli con Dio!

       Come pretendi d’essere ascoltato da Dio, quando tu non ascolti neppure te stesso? E come vuoi che il Signore si ricordi di ciò che domandi nella preghiera, se non te ne ricordi tu stesso? Questo significa non guardarsi affatto dal nemico; questo significa, dacché preghi Dio, offendere la sua maestà con la negligenza della tua preghiera questo non è altro che vegliare con gli occhi e dormire col cuore, mentre al contrario il cristiano anche quando con gli occhi dorme dovrebbe vegliare col cuore, così come, nel Cantico dei Cantici, sta scritto di colei che parla quale figura della Chiesa: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2). E perciò l’Apostolo è sollecito e saggio ad avvertirci: "Siate assidui nella preghiera e vegliate" (Col 4,2): ci insegna così e ci mostra che possono ottenere da Dio quel che gli chiedono, solo coloro che Dio vede vigilanti nella preghiera.

       Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 31


5. Certezza di essere esauditi

       Risveglia la tua attenzione, o anima fedele, e ascolta con discernimento quanto egli dice nella promessa, e cioè: «In nome mio», egli non ha detto: «Tutto ciò che chiederete», in qualsiasi modo, ma: "Tutto ciò che chiederete in nome mio, lo farò" (Jn 14,13). E colui che ci ha promesso un così grande dono, come si chiama? Gesù Cristo. Cristo significa re, Gesù significa salvatore. Non è un qualsiasi re che ci salverà, ma il re salvatore: e perciò qualsiasi cosa chiediamo che sia contraria alla nostra salvezza, non la chiediamo nel nome del Salvatore. E tuttavia, egli non cessa di essere il nostro Salvatore, non solo quando esaudisce quanto gli chiediamo, ma anche quando non esaudisce la nostra preghiera. Poiché, non esaudendo ciò che gli viene chiesto a danno della nostra salvezza, mostra appunto di essere il nostro Salvatore. Il medico sa se quanto chiede l’ammalato è a vantaggio o a danno della sua salute, e perciò se non soddisfa la volontà di chi chiede ciò che è dannoso, lo fa per proteggere la sua salute. Quando dunque noi vogliamo che il Signore esaudisca le nostre preghiere, chiediamo a lui non in un qualunque modo, ma nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore. E non chiediamo quanto è nocivo alla nostra salvezza: se esaudisse tale preghiera, non si comporterebbe da Salvatore qual è, poiché egli è questo per i suoi fedeli. Egli, che si degna di essere il Salvatore dei fedeli, è anche il Giudice che condanna gli empi.

       Chi dunque crede in lui, qualunque cosa chieda in suo nome, cioè nel nome che gli riconoscono quanti in lui credono, sarà esaudito, perché egli così facendo agirà da Salvatore. Ma se invece chi crede in lui, per ignoranza chiede qualcosa che è dannoso alla sua salvezza, non chiede nel nome del Salvatore: il Signore non sarebbe suo Salvatore, se gli concedesse ciò che non torna a vantaggio della sua salvezza eterna. È quindi molto meglio in questo caso per il fedele che il Signore non conceda ciò che gli vien chiesto, mostrando così di essere veramente il Salvatore. Ecco perché colui che non soltanto è il Salvatore ma è anche il buon Maestro, per poter esaudire tutto ciò che chiediamo, ci insegna cosa dobbiamo chiedere nella stessa preghiera che ci ha data. Egli ci insegna, cioè, a non chiedere, in nome del Maestro, ciò che è contrario ai principi del suo insegnamento.

       Tuttavia, sebbene noi si chieda nel suo nome, nel nome del Salvatore e secondo il suo insegnamento, talvolta egli non ci esaudisce nel momento in cui gli rivolgiamo la preghiera. È vero però che finisce con l’esaudirci. Noi gli chiediamo, ad esempio, che venga il regno di Dio: egli non ci esaudisce nel momento in cui lo chiediamo, perché non regniamo subito con lui nell’eternità; rimanda la realizzazione di quanto gli chiediamo ma non ce la nega. Non tralasciamo quindi di pregare, comportiamoci come i seminatori: verrà il tempo giusto per il raccolto.

       Agostino, In Ioan. 73, 3-4




XXI Domenica

61 Letture:
    
Is 22,19-23
     Rm 11,33-36
     Mt 16,13-20

1. La fede di Pietro nel Cristo

       "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17)... che inabita le celesti menti e le illumina con la luce di verità. "Ha nascosto", infatti, "queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli" (Mt 11,25), quale è Pietro, non superbo, bensì umile. Perciò Simone viene benedetto, come dire dichiarato obbediente; figlio di Giona, ovvero di Giovanni, che si interpreta grazia di Dio; infatti la virtù dell’obbedienza procede dalla grazia divina.

       Tale beatitudine si sostanzia soprattutto di conoscenza e di amore, come dire di fede e di carità. Delle quali virtù, l’una è prima, l’altra è precipua... Entrambe, il Signore le richiese da Pietro: la fede, quando gli dette le chiavi; la carità, quando gli affidò il gregge (Jn 21). Nella concessione delle chiavi, interrogando sulla fede, chiese: "Ma voi chi dite che io sia? E Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo" (Mt 16,15-16). Nell’affidamento del gregge, esigendo la carità, chiese: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Ed egli rispose: Signore, tu sai che io ti amo" (Jn 21,15)...

       Quale e quanta fosse la fede di Pietro, lo indicò senza dubbio la sua risposta: "Tu sei" - egli disse - "il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Infatti, con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione della fede per avere la salvezza" (Rm 10,10). Egli confessa difatti in Cristo due nature e una persona. La natura umana, quando dice: "Tu sei il Cristo", che significa "unto", secondo l’umanità, come afferma di lui il Profeta: "Il tuo Dio ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali" (Ps 44,8). La natura divina, quando aggiunge: "Figlio del Dio vivo"...

       Quindi non "sei" soltanto Figlio dell’uomo, ma anche "Figlio di Dio": non morto, in ogni caso come gli dèi dei gentili... bensì "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", che vive in sé e vivifica l’universo, "nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo" (Ac 17,28). Una cotal fede il Signore non permise che subisse l’erosione di alcuna tentazione. Per cui, quando disse al beato Pietro, all’approssimarsi della Passione: "Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano", aggiunse subito: "Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). Si può infatti ritenere che talvolta abbia dubitato, ragion per cui il Signore lo rimproverò: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31); tuttavia, poiché convalidò la solidità della sua fede, lo liberò all’istante dal pericolo pelagiano.

       Questa fede vera e santa, non procedette da formulazione umana, ma da rivelazione divina. Motivo per cui Cristo concluse: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli". Su questa fede quasi su pietra, è fondata la Chiesa; ecco perché il Signore aggiunse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,17-18). Questa dignità si esplicita in due modi, in quanto il beatissimo Pietro è nientemeno fondamento e insieme capo della Chiesa. In effetti, va detto che primo ed essenziale fondamento è Cristo, così come afferma l’Apostolo: "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1Co 3,11), esistono tuttavia fondamenta di second’ordine e secondari, ovvero gli apostoli e i profeti e, in merito a ciò, dice l’Apostolo: "Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ep 2,20), dei quali altrove è detto per bocca del Profeta: "Le sue fondamenta sono sui monti santi" (Ps 86,1). Tra questi, il beatissimo Pietro è primo e precipuo.

       Innocenzo III, Sermo 21


2. Pietro non ha abbandonato il timone della Chiesa

       Pur avendo delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del gregge diletto. E dalla sua assistenza, fondamentale ed eterna, deriva anche a noi l’appoggio dell’apostolo Pietro, che certo non vien mai meno alla sua missione.

       La saldezza di questo fondamento su cui è costruita tutta la Chiesa nella sua altezza, non è mai scossa, per quanto grande sia la mole del tempio che la sovrasta. La saldezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua; e come resta per sempre ciò che Pietro credette in Cristo, così resta per sempre ciò che Cristo stabilì in Pietro. Infatti come è stato annunciato nella lettura del Vangelo, avendo il Signore interrogato i discepoli che cosa essi lo ritenessero, tra le disparate opinioni dei molti, rispose il beato Pietro dicendo: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo". Il Signore disse: "Beato sei tu, Simone Bar-Iona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, e a te darò le chiavi del regno dei cieli. E tutto ciò che avrai legato sulla terra, sarà legato anche nei cieli; e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli (Mt 16,16ss).

       Resta per sempre, dunque, questa disposizione della Verità; e Pietro, perseverando nella saldezza di pietra assegnatagli, non ha più abbandonato il timone della Chiesa. Egli infatti fu preposto a tutti gli altri, e così, quando vien detto «pietra», quando vien nominato «fondamento», quando vien costituito «portiere del regno dei cieli», quando vien preposto come «arbitro del legare e dello sciogliere» i cui giudizi rimarranno stabili anche nei cieli, ci è dato conoscere quale sia la sua unione con Cristo attraverso il mistero di questi appellativi. Ed ora compie con maggior pienezza e potenza gli incarichi affidatigli, ed eseguisce in tutti i particolari gli uffici e gli impegni, in colui e con colui dal quale fu glorificato. Se, dunque, da noi si fa qualche azione retta o si prende qualche decisione giusta, se con le suppliche quotidiane otteniamo qualcosa dalla misericordia di Dio, è per la sua opera e per i suoi meriti: nella sua sede vive la sua potestà, vi eccelle la sua autorità.

       Ciò fu ottenuto, dilettissimi, da quella gloriosa affermazione che, ispirata da Dio Padre al suo cuore apostolico, trascese ogni incertezza delle opinioni umane e ricevette la fermezza di pietra che non sarà mai scossa da nessun attacco. In tutta la Chiesa infatti «Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo», dice ogni giorno Pietro, e ogni lingua che loda il Signore viene formata dal magistero di questa voce.

       Leone Magno, Serm. 3, 1-4


3. Successione apostolica e tradizione della Chiesa

       Così dunque, la tradizione degli apostoli, che è stata manifestata nel mondo intero, può essere colta in tutta la Chiesa da quanti vogliono vedere la verità. E potremmo enumerare i vescovi che furono stabiliti dagli apostoli nelle Chiese, e i loro successori fino a noi. Ora, essi non hanno insegnato né conosciuto niente che somigli alle fantasie deliranti di costoro. Se tuttavia gli apostoli avessero conosciuto dei misteri segreti che avrebbero insegnato ai «perfetti», a parte e all’insaputa degli altri, certamente avrebbero trasmesso questi misteri anzitutto a coloro a cui affidavano le Chiese stesse. Poiché volevano che fossero assolutamente perfetti e in tutto irreprensibili coloro che essi lasciavano come successori e ai quali trasmettevano la loro propria missione di insegnamento: se questi uomini assolvevano correttamente il loro compito, era un grande vantaggio, mentre, se dovevano fallire, sarebbe stata la peggiore disgrazia.

       Ma poiché sarebbe troppo lungo, in un’opera come questa, enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo soltanto una di esse, la Chiesa massima e più antica e conosciuta di tutte, che i due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo fondarono e stabilirono a Roma, mostrando che la tradizione che essa ha degli apostoli e la fede che annuncia agli uomini sono giunte fino a noi per successione episcopale...; con questa Chiesa infatti, a motivo della sua origine più eccellente, deve accordarsi tutta la Chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo - lei in cui sempre è stata conservata, a beneficio di questi che sono dovunque, la tradizione che viene dagli apostoli.

       Pertanto, dopo aver fondato e edificato la Chiesa, i beati apostoli rimisero a Lino la carica dell’episcopato; è questo Lino che Paolo nomina nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, l’episcopato tocca a Clemente. Egli aveva visto gli stessi apostoli e aveva avuto rapporti con loro: la predicazione di quelli risuonava ancora ai suoi orecchi e la loro tradizione era ancora davanti ai suoi occhi. D’altronde, non era il solo, perché in quell’epoca erano ancora vivi molti che erano stati istruiti dagli apostoli. Sotto questo Clemente, dunque, sorse un grave dissenso tra i fratelli di Corinto; la Chiesa di Roma indirizzò allora ai Corinzi una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare loro la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli... A questo Clemente succede Evaristo; a Evaristo, Alessandro, poi, sesto a partire dagli apostoli, è costituito Sisto dopo di lui, Telesforo, che rese gloriosa testimonianza; quindi Igino; quindi Pio; dopo di lui, Aniceto; essendo succeduto Sotero ad Aniceto, ora è Eleuterio che, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, detiene la funzione dell’episcopato. Ecco per quale sequenza e quale successione la tradizione esistente nella Chiesa a partire dagli apostoli e la predicazione della verità sono giunte fino a noi. Ed è questa una prova molto completa che è una e identica a se stessa questa fede vivificante che, dagli apostoli fino ad ora, si è conservata e trasmessa nella verità.

       Ireneo di Lione, Adv. Haer. 3, 2


4. L’unità della Chiesa

       Il Signore dice a Pietro: "Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: "Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice" (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio (Ep 4,4-6).

       Cipriano di Cartagine, De Eccl. unitate, 4-5




XXII Domenica

62 Letture:
    
Jr 20,7-9
     Rm 12,1-2
     Mt 16,21-27

1. Seguire Gesù è opera libera di amore

       Nel Vangelo di Giovanni si legge: "Se il chicco di grano cadendo in terra non muore, resta solo; ma se muore dà grande frutto" (Jn 12,24). Qui, trattando con maggior ricchezza di argomenti questa verità, Gesù aggiunge che non solo lui stesso deve morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a patire e a morire. Vi sono - egli fa capire - talmente tanti vantaggi in queste passeggere sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non voler morire; mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo sacrificio. Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono: per ora Cristo tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette costrizioni nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia che non lo vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice soltanto: "Chi vuol venire dietro a me..." (Mt 16,24), cioè: Io non costringo né obbligo alcuno a seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò dico «chi vuole». Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e alle pene, né al castigo e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di questo bene ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il Signore li attira ancor più fortemente. Chi usa violenza, invece, chi costringe con la forza, finisce spesso con l’allontanare. Al contrario, chi lascia alla volontà dell’ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una cosa, l’attira a sé più sicuramente. Il rispetto e l’ossequio della libertà è più forte della violenza. Ecco perché Gesù dice qui: «Chi vuole». I beni che offro - egli fa intendere - sono così grandi ed eccezionali, che dovreste correre spontaneamente verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell’oro e vi mettesse davanti un tesoro, non userebbe certo violenza nel proporvi di accettarlo. Ebbene, se andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione, tanto più spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la natura di questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire che siete indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non sarete in grado di apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe, ma con indulgenza ci esorta. Siccome Gesù nota che i discepoli sussurrano tra di loro, sono turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi così. Se non siete convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me, ma anche in voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi costringo, ma chiamo soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che «seguirmi» significhi ciò che voi avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. È necessario che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se volete davvero venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio di Dio, non devi certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto questa professione di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti la salvezza, e che tu puoi vivere d’ora in avanti tranquillamente come se già avessi compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di Dio, esimerti dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai esposto, ma non voglio farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa di tuo, contribuendo alla tua salvezza e procurandoti così maggior gloria. Se qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà così, in quanto è suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto più ama un’anima, tanto più vuole che essa contribuisca con le sue forze alla propria gloria e non solo che l’ottenga grazie al suo aiuto.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 55, 1


2. Il ritorno sulla via della giustizia

       Voi sapete, fratelli, che il nostro pellegrinaggio in questa carne, su questo mondo, è breve e dura pochi giorni; la promessa di Cristo, invece, è grande, meravigliosa, come grande e meraviglioso è il riposo nella vita eterna. Che cos’altro dovremo compiere, allora, per conseguire questi beni, se non perseverare a vivere nella santità e nella giustizia, tenendo ben presente che tutti i valori riconosciuti tali da parte di questo mondo sono estranei a noi cristiani? Poiché è quando desideriamo possedere tali beni che disertiamo la via della giustizia.

       Ammonisce, infatti, il Signore: "Nessuno può servire due padroni" (Mt 6,24 Lc 16,13). Se noi, pertanto, avremo la pretesa di servire sia Dio che Mammona, ne riceveremo un grave danno: "Che cosa giova", infatti, "guadagnare tutto il mondo, se, poi, si perde la propria anima?" (Mt 16,26 Mc 8,36 Lc 9,25).

       Pseudo Clemente, Sec. Epist. ad Corinth. 5


3. Libertà dal mondo nella solitudine

       Assomiglio a quelli che, per la poca abitudine a navigare, sul mare si sentono male e son presi dalla nausea: non sopportando la grandezza della nave col suo forte rollio, trasbordano su un canotto o una scialuppa, ma anche ivi soffrono il mal di mare, perché la nausea e la bile viaggia con loro. Tale è dunque la nostra situazione. Portiamo con noi i nostri mali interni e ovunque siamo tribolati allo stesso modo.

       Ecco dunque ciò che si deve fare e come ci è possibile seguire le orme di colui che ci è guida alla salvezza: "Se qualcuno vuol venire dietro a me", dice, "rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).

       Basilio di Cesarea, Epist. 2, 1


4. L’invito di Gesù è per tutti

       Guarda dunque a questa uscita, o discepolo, e che la tua sia come quella, e non tardare a rispondere alla voce vivente di Cristo che ti ha chiamato. Là, egli chiamava solo Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita ad uscire dietro di lui tutti quelli che lo vogliono; ha infatti fatto sentire un appello generale a tutti gli uomini quando ha detto: "Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo.

       Filosseno di Mabbug, Hom. 4, 76


5. Ciò che è veramente essenziale

       Ecco perché tutto è pieno di confusione, di disordine e di turbamento: perché si trascura l’anima, si dimentica ciò che è necessario e fondamentale, per occuparsi con grande sollecitudine di ciò che è secondario e disprezzabile. Non sai che il più grande favore che puoi fare a tuo figlio è di conservarlo immune dall’impurità della fornicazione? Nessuna cosa infatti è così preziosa quanto l’anima. "Che giova all’uomo" - dice Cristo -"guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima?" (Mt 16,26). Ma l’amore delle ricchezze ha pervertito e sovvertito tutto: come un tiranno s’impossessa della cittadella così l’avarizia occupa l’anima degli uomini e vi bandisce il giusto timor di Dio. Ecco perché trascuriamo la nostra salvezza e quella dei nostri figli, avendo come unica preoccupazione quella di arricchire sempre più.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 59, 7


6. La via regale della croce

       1) A molti sembrano assai dure queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù» (Mt 16,24). Ma saranno assai più aspre queste estreme parole: "Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).

       Quelli che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre parole di eterna dannazione.

       Quando il Signore verrà all’ultimo giudizio, "allora comparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo (la croce)" (Mt 24,30).

       Allora tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.

       2) Perché dunque hai tanta paura di accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?

       Nella croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nell’anima la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la perfezione della santità. Non vi è salvezza per l’anima, né speranza di vita eterna se non nella croce.

       Prendi su dunque la tua croce e segui Gesù; e andrai alla vita eterna.

       Ti ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena, lo sarai anche nella gloria.

       3) Tutto dunque si riduce alla croce e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace interna non vi è altra via che quella della santa croce e della quotidiana mortificazione.

       Va’ pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassù una via più alta e quaggiù una via più sicura che la via della croce.

       Disponi pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo parere, ma non potrai che fare questa constatazione: bisogna sempre soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell’anima.

       4) Talvolta ti sentirai oppresso per l’abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel che è più, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.

       E non potrai sollevarti un po’ o liberarti dal male con qualche rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che soffrendo tu diventi più umile.

       Nessuno partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesù, se non colui a cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.

       La croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada, per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e meritare l’immortale corona.

       5) Ma se tu la porti volentieri, la croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata meta, ove, cioè, non c’è più da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiù.

       Se invece tu la porti con ripugnanza, la troverai più pesante e aggraverai di più la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una croce, ne troverai senza dubbio un’altra, e forse più gravosa.

       6) Come puoi tu pensare di poter sfuggire a ciò che nessun uomo ha mai potuto evitare? Chi mai ci fu tra i Santi nel mondo che abbia vissuto senza croce?

       Nemmeno Nostro Signore Gesù Cristo, in tutto il tempo in cui visse sulla terra, fu mai un’ora sola senza croce e dolore. "Era necessario" - dice - "che il Cristo patisse tutto questo e risorgesse dai morti per entrare così nella sua gloria" (Lc 24,26 Lc 24,46).

       E allora come puoi tu pensare di cercare una via diversa da quella che è la via maestra, cioè la via della santa croce?

       7) L’intera vita di Cristo non fu che croce e martirio... e tu cerchi per te ozio e piacere?

       T’inganni, t’inganni, se cerchi qualcos’altro all’infuori del patire dolori: perché l’intera nostra vita mortale è piena di sofferenze e limitata tutt’intorno da una fila di croci. E quanto più in alto uno avrà progredito nella vita dello spirito, tanto più pesanti croci troverà, perché quanto più cresce in lui l’amore verso Dio, tanto più penoso gli riuscirà l’esilio quaggiù.

       8) Costui peraltro, anche se afflitto da tanti lati, non è del tutto privo di sollievo di qualche consolazione: perché, dal sopportare la sua croce, sente che gli viene un accrescimento di merito grandissimo; infatti siccome egli si sottopone alla croce con amore, tutta l’acerbità della pena gli si converte in fiducia di consolazione divina. E quanto più la carne viene straziata dai dolori, tanto più lo spirito si corrobora per l’interna grazia.

       Anzi talvolta si è talmente confortati nello stato di tribolazione e contrarietà causate dal desiderio della conformità con la croce di Cristo, che non si vorrebbe più vivere senza dolori e avversità, perché si è convinti di essere tanto più graditi a Dio quanto più numerose e dolorose pene si saranno tollerate per suo amore. Certamente però una cosa simile non è virtù umana, ma è la grazia di Cristo che tali meraviglie opera nella debole carne, conducendola al punto di farle accettare ed amare col fervore dello spirito, ciò che, naturalmente, sempre aborre e fugge.

       9) Non è certo secondo natura portare la croce, amare la croce, castigare e ridurre in schiavitù il proprio corpo, fuggire gli onori, ricevere contumelie serenamente, disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato, sopportare tranquillamente le cose più avverse e dannose e non desiderare nessuna prosperità in questo mondo.

       Se tu riguardi solo a te stesso, vedi subito che con le sole tue forze, non saresti capace di nessuna di queste cose; ma se confidi in Dio, ti sarà data dal cielo la forza; e il mondo e la carne ti diverranno soggetti. Non solo, ma non temerai nemmeno il demonio, il tuo nemico, se sarai armato di fede e segnato col segno della croce di Cristo.

       10) Mettiti dunque come uno scudiero fedele e coraggioso a portare virilmente la croce del tuo Signore, crocifisso per tuo amore. Sii pronto ad affrontare molte avversità e molte angustie in questa misera vita: perché dappertutto così sarà per te; e così troveresti in realtà, dovunque tu volessi fuggire.

       È necessario che sia così; e non c’è altro rimedio per liberarsi dalla tribolazione, dai mali, dai dolori, che sopportarli. Bevi dunque con amore il calice del Signore se vuoi essere suo amico e se desideri aver parte con lui. Quanto alle consolazioni, affidale a Dio; ne disponga lui come più gli piacerà.

       Tu, dal canto tuo, disponiti a sopportare le sofferenze e figurati che siano grandissime gioie; perché "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura" (Rm 8,18) che dobbiamo meritarci, anche se un solo uomo li dovesse patire tutti!

       11) Quando sarai giunto a questo punto, che cioè il soffrire ti sembrerà dolce e gustoso per amore di Cristo, allora puoi star sicuro che hai raggiunto la perfezione, perché hai già trovato il paradiso in terra.

       Ma finché il patire ti riuscirà odioso e cercherai di fuggirlo, sarai sempre oppresso dal male; e il patimento ti seguirà dovunque tu fugga.

       12) Se al contrario ti decidi a vivere come devi, cioè a patire e a morire, tosto tutto andrà meglio per te e troverai la pace.

       Ricordati che, anche se tu fossi stato rapito fino al terzo cielo come Paolo, non saresti certo per questo assicurato dal patire! Gesù infatti disse a riguardo di lui: "Io gli mostrerò quante pene dovrà soffrire per il mio nome" (Ac 9,16).

       Se dunque vuoi amare Gesù e servirlo in perpetuo sappi che devi soffrire.

       13) Ma del resto, magari tu fossi degno di patire qualche cosa per il nome di Gesù! Quale grande gloria sarebbe per te, quanta letizia per tutti i santi di Dio, e, anche, quale mirabile esempio per il prossimo!

       Infatti tutti ammirano la forza nel sostenere i dolori, anche se poi sono pochi quelli che vogliono farlo. A ragione poi dovresti soffrire qualche piccola cosa per amore di Cristo, dal momento che tanta gente soffre cose più penose per il mondo.

       14) Sii persuaso che tu devi vivere come chi sta per morire; e che quanto più uno muore a se stesso, tanto più comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere le cose di Dio, se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le avversità. Nulla vi è di più gradito a Dio, nulla vi è di più salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.

       E se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser deliziato da tante consolazioni; perché, così, saresti più simile a Cristo e più conforme ai santi; infatti il nostro merito e la perfezione del nostro stato non consiste nell’avere molte soavi consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le avversità.

       15) E, a onor del vero, se per la salvezza dell’umanità ci fosse stato qualche metodo migliore e più utile che il soffrire, certamente Cristo ce lo avrebbe insegnato con la parola e con l’esempio! Ma invece Egli ai discepoli che lo seguivano e a tutti quelli che desiderano seguirlo, non dà altra esortazione, ben chiara, che quella di portare la croce: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23)

       Dopo aver dunque letto attentamente e meditato tutte queste cose, ecco qual è la conclusione: "Si entra nel regno di Dio solo attraverso molte tribolazioni" (Ac 14,21).

       Imitat. Christi, II, 12, 1-15





Lezionario "I Padri vivi" 60