Lezionario "I Padri vivi" 208

DOMENICA DI PASSIONE O DELLE PALME


Nella domenica di Passione o delle Palme comincia la Settimana, che l’Occidente chiamava Santa e l’Oriente Grande. Gli inizi della processione con le palme bisogna cercarli a Gerusalemme. La domenica pomeriggio, i fedeli si radunavano sul Monte degli Ulivi dove cantavano inni, antifone e si leggeva la Sacra Scrittura. Dopo la lettura del Vangelo sull’ingresso di Cristo a Gerusalemme, la processione si metteva in cammino per raggiungere la città. I bambini, anche i più piccoli tenevano nelle mani i ramoscelli d’olivo o di palma. In Occidente, la processione con le palme venne prima accolta in Spagna e in Gallia (VII-VIII sec.) e in seguito a Roma (la più antica descrizione è del X secolo). Nel Medioevo, si cercava di riprodurre nella liturgia le circostanze dell’ingresso di Gesù. Nella processione, si portava un simbolo di Cristo: il libro del Vangelo oppure il crocifisso (Italia), il Santissimo Sacramento (Inghilterra), la figura di Gesù su un asinello (Baviera, Austria, Cracovia). Durante la Messa, secondo una vecchia usanza romana, si leggeva il racconto della passione di Cristo secondo san Matteo. Nel Medioevo, venne accolto comunemente il costume di interrompere la lettura dopo la parola «spirò» e di rimanere per un po’ di tempo nel silenzio.

       Cristo si dirige verso Gerusalemme perché giunse «la Sua ora». E passato il tempo della predicazione e arriva il tempo del sacrificio. Cristo umiliò se stesso assumendo una condizione di servo, adesso viene il tempo dell’umiliazione fino alla morte e alla morte di croce.

       Gesù salirà sull’altare della croce pieno di fiducia nel Padre e di amore per gli uomini. Si dirige verso Gerusalemme circondato dalla folla acclamante: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. La folla sta vicino a Gesù nel momento del suo visibile trionfo, ma lo abbandonerà quando verrà «la Sua ora». I pensieri di Dio e i modi di agire di Dio superano l’intelligenza umana.

       La Chiesa celebra nella liturgia il ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. I fedeli con le palme nelle mani partecipano alla solenne processione, ascoltano il racconto della Passione del Signore e poi prendono parte all’Eucaristia. Confessano così che sono pronti di partecipare a tutti i misteri di Cristo. Desiderano entrare insieme con Cristo a Gerusalemme, partecipare a tutto ciò che qui avverrà, non fermandosi nemmeno di fronte alla Croce. La processione odierna è anche un’immagine della vita cristiana: con fede e fiducia seguiamo il nostro Redentore diretto verso la Gerusalemme terrestre con la speranza di arrivare alla Gerusalemme celeste dove Gesù è già arrivato.    

       O Dio, al quale amore ed affetto

       son dovuti per giustizia,

       moltiplica in noi i doni della tua

       ineffabile grazia, concedi a noi che per la morte

       del Figlio tuo hai fatto sperare in quel che crediamo,

       che per lui risorto perveniamo allo scopo

       cui tendiamo.

       Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 330



GIOVEDÌ SANTO

26 La funzione sacra di questo giorno la ritroviamo nella Chiesa di Gerusalemme alla fine del IV secolo: dopo l’abituale Messa serale, i fedeli si radunavano sul Monte degli Olivi pregando nei luoghi dove stava e fu catturato Gesù. A Roma, nel VI secolo, il Giovedì Santo si celebravano tre Messe: la prima, riuniva i penitenti che ottenevano la riconciliazione; durante la seconda, si benedicevano gli oli; la terza veniva celebrata come ricordo della Cena del Signore. Ben presto, però, queste tre Messe si riuniscono in una solenne celebrazione eucaristica con la partecipazione del clero e dei fedeli attorno al vescovo. Questa pratica, con la diffusione della liturgia romana, viene accolta in tutta la Chiesa d’Occidente. Attualmente, nelle chiese vescovili viene celebrata al mattino la Messa del Crisma, nelle altre chiese soltanto la Messa della Cena del Signore.

       La Messa del Crisma - benedizione degli oli - aveva luogo il Giovedì Santo visto che il Battesimo veniva celebrato nella Vigilia di Pasqua. È difficile stabilire quando definitivamente venne accettato il presente rito della benedizione. In conformità alla vecchia usanza romana, la benedizione viene eseguita dal vescovo attorniato dal suo clero. In questa Messa, si manifesta il mistero del Sacerdozio di Cristo al quale partecipano tutti i sacerdoti rappresentanti le diverse comunità.

       La Messa della Cena del Signore è collegata con il rito della lavanda dei piedi. Questa funzione, conosciuta e praticata nei conventi, venne inserita nella liturgia: a Roma, è praticata fin dal XII secolo, e nel Medioevo viene accolta comunemente. Viene accompagnata dal canto «Dov’è carità e amore».

       Il Venerdì Santo la Chiesa non celebra l’Eucaristia e perciò bisognava conservare il Santissimo Sacramento dalla Messa di Giovedì. L’Eucaristia, come si faceva sin dai primi tempi, veniva collocata nella sacrestia. Nel XII secolo, sotto l’influenza del crescente culto del Santissimo Sacramento, si cominciò a collocare l’Eucaristia nella chiesa, sull’altare oppure in luogo specialmente preparato. La traslazione avveniva in solenne processione e la cappella della custodia veniva addobbata con fiori e luci. La riposizione del Santissimo Sacramento doveva simboleggiare la permanenza di Cristo nella tomba e per questo i fedeli cominciarono a chiamare il luogo della custodia «Sepolcro del Signore», benché la Chiesa fosse contraria all’addobbo somigliante a quello della tomba.

       La spogliazione degli altari ha un’antica origine. All’inizio, era probabilmente un atto comune che poi ha assunto il significato simbolico. L’altare è il simbolo di Cristo e il rimuovere delle tovaglie fa ricordare lo spogliamento di Gesù dalle sue vesti.

       «Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te, Padre Santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine; e mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo, offerto in sacrificio per voi". Allo stesso modo, prese il calice del vino e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: "Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me"».

       Niente renderà meglio il mistero del giorno di oggi, la natura della Messa serale che raduna attorno all’altare tutta la comunità se non quelle parole della Preghiera eucaristica IV. Cristo dà se stesso per la salvezza del mondo, ma prima affida alla Chiesa il Sacrificio vivo e santo, il segno dell’eterna Alleanza con gli uomini. Fedele alle parole del Signore: «Fate questo in memoria di me», la Chiesa incessantemente celebra l’Eucaristia ed invoca: «Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione». Questo Sacrificio della nostra riconciliazione con Dio porta continuamente pace e salvezza al mondo intero.

       La Chiesa, radunata attorno alla mensa eucaristica, oggi più che mai, sperimenta la presenza del Signore. Rimarrà accanto a lui nella preghiera notturna per non sentire come una volta i discepoli nel Giardino degli Olivi: «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?».

       Accedendo tutti alla mistica mensa,

       riceviamo con anima pura il pane,

       per non essere separati dal Signore,

       e perché vedendo come egli lava i piedi dei discepoli

       facciamo quanto abbiamo visto, sottomessi gli uni agli altri,

       asciugandoci i piedi a vicenda.

       Cristo infatti così ordinò ai suoi discepoli,

       anche se non fu ascoltato da Giuda,

       servitore iniquo.

       Liturgia Bizantina, EE, n. 3117


1. L’agnello figura e l’Agnello vero

       I discepoli si trovarono tra l’agnello e l’agnello. Mangiarono l’agnello pasquale e l’agnello vero.

- Responsorio:

       Gloria a te, o re Messia, che salvasti la santa Chiesa col tuo sangue.

       Gli apostoli si trovarono tra la figura e la verità. Videro la figura portata via e la verità ch’era arrivata.

       Beati loro ch’ebbero la fine della figura e l’inizio della verità.

       Mangiò il Signore la Pasqua coi suoi discepoli; col pane che spezzò abolì gli azzimi.

       Il suo pane che vivifica tutto, vivificò i popoli; prende il posto degli azzimi, che non davano la vita.

       La Chiesa ci ha dato un pane vivo al posto degli azzimi, che aveva dato l’Egitto.

       Maria ci ha dato il pane della vita al posto del pane di stanchezza, che ci aveva dato Eva.

       Abele fu agnello e offrì l’agnello. Chi ha mai visto un agnello che offre un agnello?

       L’Agnello di Dio mangiò l’agnello. Chi ha mai visto un agnello che mangia un agnello?

       L’agnello della verità mangiò l’agnello della Pasqua. La figura fu mangiata dalla verità.

       Tutte le figure stavano nel Santo dei Santi in attesa di colui che le avvera tutte.

       Le figure videro l’agnello della verità, aprirono le porte del tempio e gli andarono incontro.

       Tutte le figure s’inserirono e rimasero in lui, e tutti e dappertutto parlarono di lui.

       Poiché in lui si sono avverate le figure e i misteri; vi ha posto sopra il suo sigillo lui, che compie tutto.

       Quando il lupo s’allontanò dal gregge dei dodici e uscì dal cenacolo, si alzò l’agnello della verità e divise il suo corpo tra il gregge, che aveva mangiato l’agnello pasquale. Ivi fu sigillata la figura tramandata attraverso le generazioni dall’Egitto al cenacolo.

       Efrem, Hymn., 6 e 14


2. La gioia di Gesù nel servire

       Nostro Signore guidò i Dodici e li condusse a casa per lavar loro i piedi (cf.
Jn 13,5ss; Jn 14ss). Assegnò loro i posti come erede, poi si levò per servir loro da amico. Versò la benefica acqua e portò il catino, prese il panno e se lo cinse ai fianchi.

       ...Io vidi come pieno di gioia lavò quelli e con volto sereno li serviva. Afferrò i loro piedi, senza che si scottassero e vi versò acqua senza che andassero in fiamme. Li pulì dalle tracce della fatica e della stanchezza e li rafforzò a camminare sulla strada. A tutti andò egli davanti così amabilmente, alla stessa maniera senza fare distinzione. Così andò anche da Giuda e ne prese i piedi. Allora la terra si lamentò senza bocca; le pietre nei muri elevarono la loro voce allorquando videro come il fuoco lo risparmiava. Chinai il capo a terra e le mie orecchie udirono voci di pianto che annunciarono ciò. E così anche questo discorso costernato fu emesso dalla bocca dei loro agnelli:

«Su che cosa dobbiamo meravigliarci e verso chi guardare? Poiché verso i due lati si leva il nostro stupore. Dobbiamo osservare colui che siede qui, col cuore pieno di morte e di inganno senza lasciarsi impressionare oppure l’altro che pieno di misericordia lava i piedi al suo assassino?». Formidabile stupore provocò quando la mano di Nostro Signore toccò il suo assassino. Egli non scoprì la malvagità di costui, anzi coprì il suo delitto e lo trattò proprio come gli altri.

       Allora andò verso Simone; ma il cuore di costui si inquietò, egli si alzò davanti a lui e l’implorò: «Gli angeli in cielo coprono i loro piedi per timore, desiderano bruciarsi (Is 6,2), e tu? o mio Signore, sei venuto per prendere i piedi di Simone con la tua mano e servirmi! Tutto questo, la tua umiltà e il tuo amore, hai tu verso di noi già da lungo tempo dimostrato, tramite ciò ci hai tu già onorato; così non metterci adesso di nuovo in imbarazzo! I Serafini non osano toccare l’orlo [del tuo vestito], e guarda, tu lavi i piedi di un uomo miserabile! Tu, o Signore, vuoi lavare i miei piedi! Chi potrebbe udire ciò senza divenire sgomento? Tu, o Signore, vuoi lavare i miei piedi! Come potrebbe sopportare ciò la terra? La notizia di questa tua azione farebbe stupire l’intera creazione; questa notizia, che una tal cosa succede sulla terra, turberebbe le schiere degli spiriti celesti. Fermati o Signore, affinché ciò mi resti risparmiato; per questo ti imploro, poiché io sono un uomo peccatore! Secondo il tuo comando ho camminato sul mare, e secondo il tuo ordine ho camminato sulle onde (Mt 14,29). E questa prima cosa non è già abbastanza per me, ma un’altra cosa ancor più grande vuoi tu ingiungermi! O Signore, ciò non può accadere, perché già la semplice notizia di ciò scuote la creazione! O Signore, ciò non può accadere, giacché questo peso sarebbe più pesante di quanto può essere pesato!».

       «Se ciò non può accadere, allora tu non avrai alcuna parte con me al trono. Se ciò non può accadere, allora restituiscimi le chiavi che ti ho affidato. Se ciò non può accadere, allora anche la tua signoria sarà tolta da te (Mt 16,19). Se ciò, come tu dici, non può accadere, allora non potrai neppure provare nessuna partecipazione al mio corpo». Allora Simone cominciò ad implorare e a dire al Benigno: «O Signore, non lavarmi solamente i piedi, ma anche le mani e il capo!». «Simone, Simone, esiste soltanto un bagno per l’intero corpo nell’acqua santa!». Terminò l’operazione della lavanda e ordinò loro per amore: «Guardate, miei discepoli, come io vi ho servito e quale opera vi ho prescritto! Guardate, io vi ho lavato e pulito; allora affrettatevi felici in chiesa, varcate le sue porte quali eredi! Camminate senza paura sopra i demoni e senza spaventarvi sulla testa del serpente! Andate senza timore del vostro cammino e annunciate la mia parola nelle città! Seminate il Vangelo nei Paesi e innestate l’amore nei cuori degli uomini! Annunciate il mio Vangelo davanti ai re e testimoniate la mia fede davanti ai giudici! Vedete, io che sono il vostro Dio, mi sono abbassato e vi ho servito affinché io vi preparassi una perfetta Pasqua e si rallegrasse la faccia di tutto il mondo».

       Cirillona, Inno sulla lavanda dei piedi


3. Il dono dell’adozione

       E compiuto il tragitto, vennero nella regione di Gennesaret. Ora, avendolo gli abitanti di quel luogo riconosciuto, mandarono in tutti quei dintorni, e condussero a lui tutti gli ammalati, pregandolo di poter toccare anche soltanto il lembo del suo mantello, e quanti lo toccarono, furono risanati (Mt 14,34-36). La gente non gli si accosta più come prima, obbligandolo ad andare nelle proprie case a imporre le mani sugli infermi e a comandare alle malattie di ritirarsi. Ora invece chiedono e si guadagnano la guarigione in un modo più elevato e più sapiente e con una fede più grande. Senza dubbio l’emorroissa aveva insegnato a tutti il modo in cui comportarsi. L’evangelista, inoltre, per far capire che molto tempo addietro il Maestro era stato da quelle parti, dice: «Avendolo gli abitanti di quel luogo riconosciuto, mandarono in tutti quei dintorni, e condussero a lui tutti gli ammalati». Il tempo non solo non ha distrutto la loro fede, ma al contrario l’ha mantenuta vigorosa e l’ha accresciuta.

       Tocchiamo, dunque, anche noi il lembo del suo mantello; anzi, se vogliamo, noi possiamo avere Cristo tutto intero. Il suo corpo infatti è ora davanti a noi. Non il mantello semplicemente, ma il suo stesso corpo: e non solo per toccarlo, ma per mangiarlo, ed esserne saziati. Accostiamoci quindi con fede, portando ognuno la propria infermità. Se coloro che toccarono il lembo del suo mantello si attirarono tanta virtù risanatrice, ancor più possono attendersi coloro che ricevono Gesù Cristo tutto intero. Tuttavia, accostarsi con fede a Cristo non significa semplicemente prendere ciò che viene offerto, ma toccarlo con cuore puro e con disposizioni piene di fervore, sapendo che ci avviciniamo a Cristo in persona. Che importa se tu non senti la sua voce? Tu lo contempli sull’altare; o meglio tu senti anche la sua voce, dato che egli ti parla per mezzo degli evangelisti.

       Credete con viva fede che anche ora c’è la stessa cena alla quale Gesù prese parte con gli apostoli. Non c’è infatti nessuna differenza tra l’ultima cena e la cena dell’altare. Neppure si può dire che questa sia celebrata da un uomo, mentre quella da Cristo, perché Gesù stesso compie questa come quella. Orbene, quando tu vedi il sacerdote presentarti questo sacro cibo, non pensare che è il sacerdote a dartelo, ma sappi che è la mano di Cristo tesa verso di te. Come nel battesimo non è il sacerdote che ti battezza, ma è Dio che sostiene il tuo capo con la sua invisibile potenza, e neppure un angelo, né un arcangelo né chiunque altro osa avvicinarsi e toccarti, così avviene anche ora. Quando Dio ci genera nel battesimo facendoci suoi figli, questo dono è esclusivamente suo. Non vedi che nel mondo coloro che adottano dei figli non affidano questo incarico ai loro servi, ma si presentano di persona al tribunale? Nello stesso modo anche Dio non ha affidato agli angeli il suo dono, ma egli stesso si presenta di persona e comanda: Non chiamate Padre vostro alcuno sulla terra (Mt 23,9). Non parla così perché tu debba mancare di rispetto a coloro che ti hanno messo al mondo, ma per insegnarti a preferire a tutti colui che ti ha creato e ti ha iscritto, con l’adozione, tra i suoi figli. Ed ora, Cristo che ti ha fatto il dono più grande offrendo e consegnando se stesso alla morte, assai minor difficoltà avrà a darti il suo corpo. Comprendiamo bene tutti noi, sacerdoti e fedeli, quale dono il Signore si è degnato di darci e a quale onore ci ha elevati. Riconosciamolo e tremiamo. Cristo ci ha dato di saziarci con la sua carne, ci ha offerto se stesso immolato. Quale scusa avremo ancora se, così alimentati, continuiamo a peccare, se, cibati dell’Agnello, viviamo come lupi; se, nutriti di tale cibo, non cessiamo di essere avidi come i leoni? Questo sacramento esige non solo che siamo sempre esenti da ogni violenza e rapina, ma puri anche della più piccola inimicizia. Questo sacramento infatti è un sacramento di pace, e non permette di avere attaccamento alle ricchezze. Gesù per noi non ha risparmiato se stesso: quale giustificazione potremo dunque invocare se, per conservare i nostri beni, trascuriamo la nostra anima per la quale Cristo non ha risparmiato la sua vita? Dio aveva istituito per gli Ebrei alcune feste annuali a ricordo dei suoi benefici; ma per te, ora, il ricordo esiste ogni giorno per mezzo di questi sacri misteri. Non vergognarti dunque della croce. Queste sono le nostre realtà sacre, questi sono i nostri misteri; con questo dono ci adorniamo, di esso ci fregiamo e ci gloriamo. Quand’io dicessi che Dio ha disteso il cielo, ha dispiegato la terra e i mari, ha inviato profeti e angeli, non direi niente di paragonabile a questo sacramento. La somma di tutti i beni sta nel fatto che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio per salvare dei servi che gli erano ostili.

       Che nessun Giuda, nessun Simon Mago si accosti dunque a questa tavola: l’uno e l’altro infatti sono periti per il loro amore al denaro. Fuggiamo questo abisso di male e non pensiamo che basti ad assicurare la nostra salvezza, dopo aver con le nostre rapine spogliato le vedove e gli orfani, presentare all’altare un calice d’oro, ornato di pietre preziose. Se vuoi onorare questo sacrificio, presenta la tua anima, per la quale esso è stato offerto. Fa’ che la tua anima sia tutta d’oro, perché, se essa rimane peggiore del piombo o di un coccio, che guadagno ti procura il calice d’oro che tu doni alla chiesa? Non preoccuparti quindi di offrire soltanto vasi d’oro, ma bada che essi siano frutto di oneste fatiche. Doni ben più preziosi dell’oro sono quelli che non provengono dall’avarizia. La chiesa non è un’oreficeria, né una zecca, ma un’assemblea di angeli. Abbiamo perciò bisogno di anime; Dio infatti ammette anche questi vasi sacri, ma solo per le anime. Non era d’argento quella tavola e neppure d’oro era il calice con cui Cristo diede ai discepoli il suo sangue, ma tutto quello era prezioso e degno del più profondo rispetto, perché era ricolmo di Spirito Santo.

       Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia ignudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta, non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità. Colui che ha detto questo è il mio corpo (Mt 26,26), confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha detto anche: «Mi avete visto soffrire la fame e non mi avete dato da mangiare» e quanto non avete fatto a uno dei più piccoli tra questi, neppure a me l’avete fatto (Mt 25,42-45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso così grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato. Il culto più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che egli stesso vuole, non quello che pensiamo noi. Anche Pietro credeva di onorare Gesù, impedendogli che gli lavasse i piedi (Jn 13,8), ma ciò non era onore, bensì il contrario. Così anche voi onoratelo nella maniera che egli stesso ha comandato, impiegando cioè le vostre ricchezze a favore dei poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro.

       Crisostomo Giovanni, In Matth., 50, 2 s.


4. La funzione mediatrice del sacerdote

       O sacerdote, che compi il tuo ufficio ministeriale sulla terra in modo spirituale, e che le creature spirituali non possono imitare! O sacerdote, come è grande la funzione che tu adempi e che sognano i ministri «di fuoco e di spirito!».

       Chi esprime adeguatamente la grandezza del tuo compito, che è al di sopra degli esseri celesti a causa del titolo del tuo potere? La natura di uno spirito è più sublime e più gloriosa della tua, ma non le è permesso di imitarti raffigurando una immagine dei misteri. Un angelo è grande, e diremmo, più grande di te; ma, quando si paragona il tuo ministero al suo, egli è inferiore a te. Il serafino è santo, il cherubino è bello, l’angelo è veloce; tuttavia non possono muoversi così rapidamente come la parola della tua bocca. Gabriele è glorioso; Michele è grande, e il loro nome lo indica; tuttavia, in ogni momento, essi si inchinano davanti al mistero deposto tra le tue mani.

       Essi ti stimano, quando tu ti avvicini per compiere il tuo ministero, e ti attendono a condizione che tu dia il segnale ai loro canti di santificazione.

       Essi si mettono alla tua destra per esser pronti a cantare le lodi, e quando tu hai compiuto il mistero della tua salvezza, essi acclamano queste lodi. Essi sono sottomessi con amore alla volontà che è nascosta nei tuoi misteri e ti onorano per la funzione, che tu adempi. E se gli esseri spirituali onorano impassibili la tua funzione, chi non ti concederebbe una corona di lode a causa della grandezza della tua funzione?

       Ammiriamo continuamente la superiorità della tua dignità maestosa, che ha sottomesso al suo potere il cielo e la terra.

       I sacerdoti della Chiesa si sono impadroniti del potere in Cielo e sulla terra, e comandano agli esseri celesti e terrestri.

       Essi si pongono come mediatori tra Dio e gli uomini, e con le loro parole scacciano il male tra gli uomini. La chiave delle misericordie divine è stata posta nelle loro mani e distribuiscono la vita agli uomini secondo il loro beneplacito.

       La potenza nascosta li ha fortificati per compiere questo, affinché essi manifestino visibilmente l’amore di Dio nell’opera delle sue mani. Egli ha manifestato il suo amore nel Sacramento che ha trasmesso agli esseri umani, perché in virtù di questo dono, degli uomini abbiano compassione degli altri uomini.

       Egli ha trasmesso il suo dono potente ai sacerdoti affinché essi fortifichino con lui gli uomini deboli, colpevoli di aver peccato. Il sacerdote paga il debito dell’umanità per mezzo del suo ministero, e cancella con l’acqua l’obbligo contratto da essi nel loro genere umano e lo riabilitano.

       Come in una fornace, egli depone i corpi per battezzarli, e come in un fuoco, consuma le spine della mortalità.

       Egli getta nell’acqua il rimedio dello Spirito come in una fornace e purifica l’immagine dell’uomo dalle sue impurità.

       In virtù del calore dello Spirito, egli toglie la ruggine dal corpo e dall’anima, che acquistano invece di un colore argilloso, quello degli esseri celesti...

       Come Mosè, anch’egli si mantiene in riva al mare, ma al posto di un bastone, egli eleva la sua parola sull’acqua muta. Egli percuote le acque con la parola della sua bocca, come il figlio di Amram, ed esse ascoltano la sua voce, meglio della voce del figlio degli Ebrei, esse ascoltarono Mosè, ma anche ascoltandolo, esse non furono santificate. Ma ubbidendo al sacerdote della Chiesa, esse divennero sacre.

       L’israelita, veramente, non divise che il mare e il suo grande miracolo non bastò a purificare l’inquinità del suo popolo.

       Appartiene al sacerdote operare questo grande miracolo, che non ha nulla di simile tra quelli che sono stati operati, per il fatto che egli ha il potere di rimettere il male a cose inanimate [insensibili-spirituali].

       Il sacerdote innalza il suo sguardo verso questo segno che opera la creazione, ed impara da lui come produrre una nuova creazione. Egli imita anche il modo di fare di colui che creò il mondo, e fa intendere la sua voce come colui che la fece ascoltare all’origine sulla terra.

       Come il Creatore, anch’egli comanda, all’acqua ordinaria, e in luogo della luce si manifesta in essa il potere della vita. La voce del Creatore creò dal nulla gli astri, e il sacerdote, partendo da qualche segno, crea un’altra cosa in virtù della potenza del Creatore.

       Non è sua, la creazione che egli opera in mezzo alle acque, ma essa appartiene al segno che produsse la creazione dal nulla.

       Quel comando che Dio espresse, dal quale le creature ragionevoli e sensibili ebbero l’esistenza, egli lo concede di nuovo. Questa è parola che le acque ascoltano dalla bocca del sacerdote, ed esse generano l’uomo. Il frutto che esse portano ora è più grande del primo, così grande è il potere che esercita un uomo ragionevole sopra un essere muto.

       Come un seme, egli getta la sua parola in mezzo alle acque, ed esse concepiscono e generano un frutto, non comune.

       Egli si intrattiene oralmente con le acque mute con parole spirituali, ed esse acquistano il potere di dare la vita alle nature ragionevoli. Le acque silenziose ascoltano quelli che possono parlare, pronunziare delle parole nuove, come quelle che Maria intese dalla bocca di Gabriele.

       Anch’egli fece ascoltare una «buona novella» alle orecchie degli uomini, simile a quella speranza della nascita del Figlio che annunziò l’angelo. Nella sua funzione il sacerdote tiene il posto dell’angelo, un posto migliore del suo, per il fatto che bisogna ottenere la speranza per quelli che sono senza speranza, per mezzo di quello che esprimono le sue parole. Egli adempie l’ufficio di mediatore tra l’essenza divina e gli uomini e conferma con le sue parole l’alleanza delle due parti.

       Egli supplica, gemendo, l’Essere nascosto, che è nascosto ma si manifesta per mezzo del suo amore, e la potenza che procede da lui, discende accanto al sacerdote, compiendo ciò che egli dice.

       Narsaj il Lebbroso, De mysterio eccl., passim


5. La Messa e l’offerta

       L’offerta che vien fatta è la stessa, chiunque sia l’offerente, sia Paolo, sia Pietro; è la stessa, che Cristo diede ai discepoli, e che ora i sacerdoti presentano ai fedeli. Questa, che vien data dai sacerdoti oggi, non è in nessun modo inferiore a quella che fece Cristo allora, perché non sono gli uomini che la consacrano, ma quello stesso Cristo, che consacrò la prima. Come, infatti, le parole, che Dio disse, sono le stesse che dice oggi il sacerdote, così l’offerta è la stessa; come il battesimo nostro di oggi è il medesimo battesimo di Cristo. Cioè, rientra tutto nel campo della fede.

       Dunque, è corpo di Cristo questo che diamo noi, come era corpo di Cristo quello ch’egli stesso diede ai discepoli; e chi pensa che questo, che diamo noi, sia inferiore in qualche modo a quello, che Cristo diede, dimostra di non capire che anche oggi è ancora Cristo che è presente e agisce.

       Crisostomo Giovanni, In Epist. II ad Timoth., 4, 4


6. Il compito del sacerdote

       Se lo stesso Gesù Cristo Signore e Dio nostro è il Sommo Sacerdote di Dio Padre e per primo offrì se stesso in sacrificio e ordinò di fare questo in sua memoria, allora rappresenta veramente Cristo quel sacerdote che imita ciò che Cristo fece, e quindi offre a Dio Padre nella Chiesa un sacrificio vero e pieno, se cerca di offrirlo così come riconosce che Cristo stesso fece.

       Cipriano di Cartagine, Epist., 63, 14




VENERDÌ SANTO

27 Da quando si cominciò a celebrare la Pasqua in giorno di domenica, il Venerdì Santo diventò il giorno della commemorazione della morte del Signore. A Gerusalemme verso la fine del IV secolo, prima del mezzogiorno si esponevano nella chiesa della Santa Croce sul Golgota le reliquie della Croce del Signore, che erano venerate dai fedeli. A mezzogiorno, il popolo si radunava di nuovo davanti alla stessa chiesa: dalle 12 fino alle 15, si leggeva la Sacra Scrittura e si cantavano i salmi. Sia in Oriente che in Occidente, in questo giorno non si celebrava l’Eucaristia. A Roma, si celebrava una funzione sacra la sera: si leggevano due brani dal Vecchio Testamento e la Passione del Signore secondo Giovanni. La liturgia si concludeva con le solenni preghiere di origine antica, per i rispettivi ceti della Chiesa. L’adorazione della Croce, sull’esempio dell’adorazione di Gerusalemme, venne introdotta nel secolo VII. Roma era in possesso nientemeno che delle reliquie della santa Croce. Il papa si recava dal Laterano alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme insieme con alcuni diaconi, che portavano le reliquie. Queste venivano poste sull’altare e in grande semplicità si iniziava l’adorazione. In Spagna e in Gallia si arriva alla drammatizzazione della liturgia: si svelava ed esponeva la Croce, ci si prostrava per tre volte davanti al Legno sacro, si cantavano gli improperi «Popolo mio» e altri inni. Questi elementi saranno introdotti nella liturgia romana nel IX-X secolo. La santa Comunione delle specie consacrate il Giovedì Santo compare a Roma sotto l’influsso della liturgia orientale nel VII-VIII secolo, però nel XIII secolo verrà limitata al solo celebrante.

       Nei paesi nordici, c’è un rito simile alla reposizione del Santissimo Sacramento il Giovedì Santo, che viene chiamato «la deposizione della Croce e dell’Ostia». Ben presto, il rito viene accolto in molte chiese eccetto la romana. Alcuni deponevano nel sepolcro il Santissimo Sacramento (Augsburg), altri invece la Croce (Inghilterra, Francia). I fedeli adoravano l’Ostia e la Croce fino al mattino di Pasqua.

       La Chiesa rimane oggi con il Signore che affronta la Passione per la salvezza del mondo. Sta insieme con Gesù nel Giardino degli Olivi, vive insieme con Lui l’arresto e il giudizio, cammina col Salvatore lungo la Via della Croce, resta con lui sul Calvario e sperimenta il silenzio del sepolcro. La liturgia della parola ci introduce nel mistero della Passione del Signore. Il sofferente Servo di Dio, disprezzato e respinto dagli uomini, viene condotto come agnello al macello. Dio pose su di lui le colpe di noi tutti. Cristo muore nel momento in cui nel tempio vengono sacrificati gli agnelli necessari alla celebrazione della cena pasquale. È Lui il vero Agnello, che toglie i peccati del mondo. Egli viene offerto come nostra Pasqua. Cristo morì per tutti gli uomini e perciò in questo giorno la Chiesa, secondo la sua più antica tradizione, rivolge a Dio una grande preghiera. Prega per tutta la Chiesa nel mondo, chiede l’unificazione di tutti i credenti in Cristo, intercede per il Popolo Eletto. Ricorda tutti i credenti delle altre religioni come anche chi non crede, prega per i governanti e per gli afflitti.

       Come non ringraziare Dio in questo giorno? Lodiamo Gesù e rendiamogli grazie, adorando la Croce su cui si compì la salvezza del mondo. Non solo glorifichiamo il Signore, ma ricevendo la santa Comunione dai doni consacrati ieri ci uniamo a Cristo: ogni volta che mangiamo di questo Pane annunziamo la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta.

       Oggi viene messo in croce colui che mise la terra sopra le acque: con una corona di spine viene cinto il capo del re degli angeli, con falsa porpora viene coperto colui che copre il cielo di nubi; riceve uno schiaffo colui che nel Giordano diede la libertà ad Adamo: lo sposo della Chiesa viene confitto in croce: il figlio della Vergine viene trafitto con una lancia. Adoriamo la tua passione, o Cristo; e tu mostraci anche la tua gloriosa risurrezione.

       Antiphona ad nonam, EE, n. 3123


1. La cena e le tappe della Passione

       Il salvifico mistero della Croce,
       Quella sera hai mostrato e rivelato;

       Nel tuo Corpo, fonte della vita,
       Al pari della Coppa, l’hai distribuito e dato.

       Degnati con la santa Assemblea
       Di render anche me partecipe alla Mensa,
       Del Pane tuo di vita di cui ho fame
       E della tua Bevanda cui assetato anelo.

       Lavanda dei piedi (
Jn 13,1-20)

       Tu hai lavato in una bacinella
       Con le tue mani pure i loro piedi
       Ed hai insegnato loro l’umiltà
       Dianzi in parole, ed in quel punto a fatti.

       Lava del pari il fango delle mie miserie
       Per le suppliche della santa Comitiva
       E indirizza il cammino dei miei passi
       Sulla via dell’umiltà verso il tuo cielo.

       L’agonia (Mt 26,36-46)

       Nelle oscure ore della notte
       Hai mostrato la tua natura umana:
       Nel terrore Tu fosti in agonia,
       Ed hai pregato il Padre che è nei cieli.

       Libera anche me dai segreti strali
       E dal terrore opprimente della notte;
       Le facoltà dell’anima e del corpo
       Siano fisse nel santo tuo timore.

       L’arresto (Mt 26,47-56)

       Sei stato legato per quei che si è legato;
       Tu hai disciolto il nodo del legame;
       Svincolami dai lacci volontari:
       Dai viluppi infernali dei peccati.

       Davanti al Sinedrio (Mt 26,59-68)

       Pel condannato a motivo del peccato,
       Sei comparso, Innocente, in tribunale;
       Quando nella gloria del Padre tornerai,
       Con lui non giudicarmi.

       Sacrileghi sputi T’hanno offeso,
       Per l’onta della prima creatura;
       Dell’Impudente, l’onta cancella dei peccati
       Con la quale ho coperto il mio sembiante.

       Hai permesso al cattivo servitore,
       D’imprimerti lo schiaffo schernitore;
       Colpisci con fermezza la faccia del Cattivo,
       Come con par durezza ha schiaffeggiato lui.

       Il rinnegamento di Pietro (Mt 26,69-75)

       Non hai lasciato che la Pietra rotolasse
       Fin negli abissi profondi del peccato,
       Ma, per le lacrime amare del suo cuore,
       Hai perdonato chi Ti ha rinnegato.

       Anche me, come lui rialza
       Dalla caduta dove sono incorso,
       Dando ai miei occhi lacrime copiose
       Ed al mio capo acqua come al mare.

       Oltraggi (Mt 27,27-31)

       Ti sei rivestito di porpora,
       La clamide rossa hai posto sulla tua persona;
       Simile ignominia potevano pensarla
       Solo i soldati di Ponzio Pilato.

       Allontana da me il cilicio del peccato
       La rossa porpora dal color del sangue;
       E rivestimi dell’abito gioioso
       Che al primo uomo indosso Tu ponesti.

       Piegando il ginocchio, si fanno burle;
       Giocando, si fanno beffe;
       Le celesti schiere, ciò considerando
       Con timore adorano.

       [Tutto hai subito] per togliere dalla natura di Adamo
       Tu rilevi l’onta dell’amico del peccato,
       Dall’anima mia, dalla mia coscienza,
       Leva via la vergogna, piena di tristezza.

       La tua celeste testa -
       Davanti a cui sta in tremito di spavento il Serafino -,
       Copertala d’un velo, vi si davan pugni,
       E colpi di nodosa canna.

       Per causa della testa [dell’uomo] tratta dalla terra
       Che inchinata s’era ai piedi della donna,
       Perché in modo più sublime del celeste Coro,
       Tu potessi congiungerla al tuo Corpo.

       E la mia [testa] caduta sino al suolo
       E inchinata ai piedi del Maligno,
       Per le opere tutte dell’Iniquo
       Che mi piombarono a terra,

       Non permettere di giocar con essa,
       Come i bambini giocano alla palla,
       Voglia Tu invece liberarla dal Nemico,
       Per unirla di nuovo alla tua Testa.

       La flagellazione (Mt 27,26)

       Per l’intero tuo corpo
       E su tutte le parti di tue membra
       I colpi del terribile flagello
       Ha ricevuto per verdetto iniquo.

       Io che dai piedi al capo
       Soffro di dolori intollerabili,
       Guariscimi di nuovo, una seconda volta,
       Come con grazia di Fontana sacra.

       La corona di spine (Mt 27,29)

       In cambio delle spine della colpa,
       Che ha fatto crescere per noi la maledizione,
       Sul tuo capo è stata posta una corona [di spine]
       Dagli operai della Vigna d’Israele.

       Strappa da le spine della colpa
       Che in me ha piantato il mio Nemico;
       Guarisci la morsura della piaga,
       Sian soppresse le stimmate del male.

       La crocifissione (Mt 27,32-43)

       In cambio del frutto soavissimo
       Dell’amaro [albero], mortifero,
       Hai gustato il fiele mescolato
       All’aceto, durante la tua sete.

       L’amarezza della [bestia] velenosa,
       Inoculata nelle facoltà dell’anima,
       Lungi da me rigettala con essa,
       E l’amor tuo diventi in me soave.

       In cambio dell’albero di morte,
       Cresciuto in mezzo al Paradiso,
       Sulle tue spalle hai portato il legno della Croce,
       L’hai portato al luogo detto Golgota.

       L’anima mia caduta nella colpa
       Carica d’un fardello sì pesante,
       Alleviala in grazia del soave giogo
       E al carico leggero della Croce.

       Il Venerdì, attorno all’ora terza,
       Nel giorno in cui fu sedotto il primo uomo,
       Signor, sei stato affisso al legno
       In una con il ladro malfattore.

       Le mani creatrici della terra,
       Le hai Tu distese sulla Croce,
       In cambio delle mani lor [di Adamo ed Eva] che tese
       S’eran e dall’albero colto avean la morte!

       Per me che, come loro, ho trasgredito
       E forse li ho persino superati,
       Piantando di mia mano il seme di Gomorra,
       E il frutto di Sodoma gustando,

       Non misurar la pena al mal commesso
       Non esiger da me l’intero debito
       Ma elargisci il perdono al mio delitto
       [...].

       Tu sei salito sulla Croce santa,
       La trasgression degli uomini hai scostato;
       E il nemico della nostra specie,
       Su [la Croce] Tu l’hai inchiodato.

       Fortificami nella protezione
       Del santo Segno sempre vincitore,
       E quando in cielo apparirà d’Oriente,
       Ch’io di sua luce venga illuminato.

      

       Il buon ladrone (Lc 23,39-43)

       Al ladrone che stava alla tua destra
       La porta hai aperto del Paradiso d’Eden;
       Anche di me ricordati quando tornerai
       Con la Regalità del Padre tuo.
       Anch’io ascolti ciò che fa esultare,

       La risposta da Te pronunciata:
       «Oggi, sarai tu con me nell’Eden, Nella tua Patria prima!».

      

       La Madre di Gesù (Jn 19,25-27)

       Lamentandosi e percotendo il petto
       La Madre tua, Signor, presso la Croce,
       Quando sentiva che Tu avevi sete,
       Cocenti lacrime di dolor versava.

       Degnati d’accordarmi di versare
       Lacrime abbondanti come il mare,
       Sì da lavar le colpe di mia vita
       E della veste dell’anima il marciume.

      

       Morte di Gesù (Mt 27,45-53)

       Quando con voce forte Tu hai gridato
       Dicendo: «Eli, Eli...»,
       Si scossero i pilastri della terra,
       Gli alti monti tremarono sgomenti.

       Mentre il velo dell’Antica Legge
       Dall’alto in basso si divise in due;
       E le tombe s’aprirono,
       Dei Santi i corpi ritornaron in vita.

       La luce del sole, messo il velo,
       Si oscurò nel pieno del meriggio,
       E sull’esempio suo anche la luna,
       Nel colore si trasformò del sangue,

       Perché videro Te, loro Signore,
       Nudo sulla Croce: non poteron sopportarlo;
       Al posto degli esseri ragionevoli,
       Gli elementi privi di ragione provarono spavento.

       Adesso, con le rocce che si sgretolano,
       Smuovi il mio cuore immoto verso il bene;
       Con i morti che allora si drizzarono,
       L’anima mia rialza, uccisa dal peccato.

       Con la lacerazione del velo
       A causa dei debiti di Adamo,
       Lacera in me l’antica cattiveria,
       Distruggi l’obbligazione delle colpe di mia vita.

       Con l’oscuramento dell’astro luminoso,
       Scaccia da me la coorte dei Tenebrosi;
       Col suo ritorno alla luce nella nona ora,
       Illuminami di bel nuovo.

       Per il tuo denudamento sopra il legno,
       In cambio della nudità del primo uomo,
       Voglia Tu ricoprirmi di tua gloria
       Nel giorno del Giudizio universale.

       Invece d’abbandonar gli autori de la crocifissione,
       La casa e la stirpe dei Giudei,
       Pregasti il Padre che sta su nei cieli
       Di perdonar la colpa che commisero.

       A me che credo con tutta la mia anima
       E che Ti adoro, o Figlio unicogenito,
       Perdonami i misfatti che ho commesso;
       Non si faccia memoria delle colpe andate.

       Il colpo di lancia (Jn 19,31-37)

       Dopo aver adempiuto la Scrittura,
       E rimesso al Padre tuo lo spirito
       Quando il soldato ebbe inferto il colpo [di lancia]
       Una sorgente uscì dal sacro tuo Costato:
       Acqua per lavare alla Fontana sacra,

       Sangue da bere nel divin Mistero,
       Per la ferita di colei che uscì dal fianco,
       Per la quale ha peccato il primo uomo.
       Io che sono carne che dal vizio è nata,

       E un sangue plasmato dalla polvere,
       Tu m’hai lavato con la rugiada del [tuo] Fianco,
       Ma io, daccapo, tornato sono al primitivo stato;
       Fa’, te ne prego, ch’io non vi rimanga,
       Ma degnati di lavarmi grazie ad essa;

       Se tali doni non fossero accordati,
       Siano almeno [i miei peccati] di lacrime irrigati.
       Apri la bocca mia, apri al ruscello
       Del Sangue tuo che fiotta dal Costato,
       Come bebè che attratto al seno succhia
       Il latte della madre a lui vitale.

       Sì, che io pure possa ber la gioia
       Ed esultare nel tuo Santo Spirito,
       Diventi sapido il gusto della Coppa,
       L’amor immacolato del Vino senza aggiunte.

       Alla tua morte, o Principe Immortale!
       Con la morte che nel corpo hai ricevuto,
       Nell ‘immortalità m’hai trasportato,
       Gli ultimi nervi della morte hai rotto.

       A me di nuovo ucciso dal peccato
       E che ho perduto il bene tuo immortale,
       Rendimi vivo per il tuo volere,
       Per la giustizia del [tuo] comandamento.

       Tu, dono eterno dell’umanità caduca,
       Tu, che sei reclamato come dono,
       Tu, dator di doni per le creature,
       Mortali ed immortali.

       La sepoltura (Mt 27,57-66)

       Come a Giuseppe d’Arimatea,
       Il discepolo tuo santo e giusto,
       La tua persona accordami come don di grazia,
       Tu che elargisci a tutti noi la vita.

       Sei stato avvolto in un lenzuolo puro,
       Sei stato posto in un sepolcro nuovo,
       Deh, fa’ ch’io non somigli a quei cotali,
       Che nella fossa inferiore son discesi.

       L’anima mia fa’ che sia morta al vizio
       Resa viva da Te per la celeste [fossa],
       Per il mistero della santa mirra,
       E dell’incenso puro dal soave odore.

       Tu che dai Cori angelici,
       Con timore nascosto sei onorato,
       Proprio Tu, sei stato custodito dai soldati,
       O vigile Custode d’Israele.

       Con la tua destra prendimi per mano,
       Affidami pure all’Angelo tuo santo,
       Perché resti sano e salvo nella notte
       Nella lotta invisibile.

       Sei stato sigillato con l’anello
       Della corrotta guardia del Sinedrio;
       Tu, tesoro dell’immortale vita,
       Sei stato ascoso nel grembo della terra.

       Le porte del mio spirito e dei sensi,
       Dove è porto l’ingresso al bene e al male,
       Sigillale col Segno della Croce
       E fissami nel tuo [glorioso] bene.

       Nerses Snorhali, Jesus, nn. 701-764


2. Lodi alla Croce

       O Croce, benedizione del mondo,
       o speranza, o sicura redenzione,
       un tempo passaggio alla geenna,
       ora luminosa porta del cielo.

       In te è offerta l’ostia
       che tutto trasse a sé.
       L’assale il principe del mondo
       ma nulla di suo vi trova.

       L’articolo della tua legge
       annulla l’antica sentenza.
       Perisce l’atavico servaggio,
       vien resa la vera libertà.

       La magnificenza del tuo profumo
       vince tutti gli aromi.
       La dolcezza del tuo nettare
       riempie i recessi del cuore.

       Per la Croce, o Cristo, ti preghiamo
       conduci al premio della vita
       quelli che inchiodato al legno
       redimere ti sei degnato.

       Sia gloria al Padre ingenerato,
       splendore sia all’Unigenito,
       e maestà sia pari
       di entrambi alla gran Fiamma.

       Pier Damiani, In inventione s. Crucis, EE, n. 3295


3. La Croce è una festa spirituale

       Oggi il Signore nostro Gesù Cristo sta in Croce e noi facciamo una festa, perché tu capisca che la Croce è una festa e una celebrazione spirituale. Prima, si, la croce significava disprezzo, ma oggi la croce è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza. È diventata davvero sorgente d’infiniti beni; ci ha liberati dall’errore, ha diradato le nostre tenebre, ci ha riconciliati con Dio, da nemici di Dio ci ha fatti suoi familiari, da stranieri ci ha fatto suoi vicini: questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro. Grazie alla Croce non vaghiamo più nel deserto, perché abbiamo trovato la via giusta; non stiamo più fuori della reggia, perché abbiam trovato la porta; non temiamo più i dardi infuocati del diavolo, perché abbiam visto dov’è la fonte dell’acqua. Grazie alla croce non c’è più vedovanza, abbiamo lo sposo; non temiamo più i lupi, abbiamo il buon pastore. Grazie alla Croce non abbiamo più paura del tiranno, siamo al fianco del re; e perciò facciamo festa celebrando la memoria della croce. Anche Paolo comandò di far festa per mezzo della Croce: Facciamo festa, dice, non secondo la vecchia fermentazione, ma negli azzimi della sincerità e della verità (1Co 5,8). E poi ne aggiunge il motivo: Perché Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato per noi.Vedi come ci comanda di far festa per mezzo della croce? perché sulla croce è stato immolato Cristo. Infatti, dov’è il sacrificio, ivi è anche la distruzione del peccato, ivi la riconciliazione col Signore, ivi la festa e la gioia. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato per noi. Dove, di grazia, è stato immolato? Sopra un alto patibolo. Nuovo l’altare di questo sacrificio, perché il sacrificio stesso è nuovo e stupendo. La stessa persona è vittima e sacerdote; vittima nella carne, sacerdote nello spirito: la stessa persona offriva e veniva offerta nella sua carne. Senti come Paolo spiega le due cose: Ogni pontefice, dice, preso di mezzo agli uomini, viene costituito per gli uomini; perciò è necessario che abbia qualcosa da offrire. Ecco egli offre se stesso (He 5,1 He 8,3). Altrove poi dice: Cristo s’è offerto una sola volta, per lavare i peccati di molti, apparirà ancora a quelli che lo aspettano per dar loro salvezza (He 9,28). Ecco qui è stato offerto, lì invece offrì se stesso. Vedi come s’è fatto vittima e sacerdote e come la croce sia stato l’altare? E perché, mi chiederai, la vittima non è offerta nel tempio, ma fuori città e fuori le mura? Perché si adempisse la profezia Fu annoverato tra i malvagi (Is 53,12). Ma perché sopra un alto patibolo e non sotto un tetto? Perché purificasse l’aria; per questo in alto e non sotto un tetto, ma sotto il cielo.

       Veniva purificata l’aria, mentre l’Agnello veniva immolato in alto; ma veniva purificata anche la terra, perché il sangue vi scorse sopra dal fianco. Perciò non sotto un tetto, non nel tempio giudaico, perché i Giudei non si appropriassero della vittima e perché tu non pensassi ch’egli fosse morto solo per quella gente. Perciò fuori la porta e le mura della città, perché capissi che il sacrificio è universale, perché l’offerta era fatta per tutta la terra, perché ti rendessi anche conto che l’espiazione era per tutti non riservata ad alcuni, come presso i Giudei.

       Proprio per questo Dio aveva comandato ai Giudei di offrire preghiere e sacrifici in un solo luogo, perché tutta la terra era impura per fumo, tanfo e inquinamento proveniente dai sacrifici dei gentili. Per noi invece, poiché Cristo ha lavato tutto il mondo, qualunque luogo è diventato luogo di preghiera. Perciò Paolo raccomanda che senza timore, in qualunque posto, si facessero preghiere con queste parole: Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo, innalzando mani pure (1Tm 2,8). Vedi com’è stato lavato il mondo? Adesso si può pregare dappertutto, perché tutta la terra è stata fatta santa, e più santa dei luoghi più sacri del tempio. Perché là veniva offerto un agnello irragionevole, qui un Agnello spirituale, e quanto più augusto è il sacrificio, tanto più grande è la santificazione. Ecco perché la Croce ha una celebrazione.

       Crisostomo Giovanni, De cruce et latrone, I, 1, 4


4. Il mistero della croce

       Infatti, poiché è proprio della divinità penetrare in ogni cosa, ed essere prolungata alla natura di quelle cose che esistono per ogni parte (non rimarrà, infatti, alcunché nella loro essenza, se non rimane in ciò che esiste.

       Ma ciò che è propriamente è la divina natura: e noi la crediamo essere, per necessità, in tutte le cose che sussistono, siamo spinti da quelle cose che perdurano), siamo ammaestrati a ciò per mezzo della croce, la quale essendo divisa in quattro parti, a tal punto che dal centro fino a quando si congiungono tra di loro, contiamo quattro prolungamenti: poiché chi fu steso in essa per il tempo della morte accettata, collega a sé tutte le cose, collega e raduna l’accordo e l’armonia.

       Il pensiero passa, infatti, anche attraverso fini trasversali, secondari.

       Se, dunque, tu consideri la struttura delle cose celesti e terrestri, oppure degli estremi dell’universo delle une e delle altre, viene sempre incontro alla tua riflessione la divinità, la quale sola si offre in contemplazione da ogni parte in quelle cose che esistono, e tutte le contiene nella essenza.

       Sia, poi, tale divinità da nominarsi la natura, oppure la ragione, o la virtù, o la potenza, o la sapienza, o qualche altra cosa tra quelle che sono eccelse, e che maggiormente possono mostrare colui che è sommo ed eccellente, dalla voce o dal nome o dalla figura delle parole, non grande è per noi la discussione.

       Poiché, dunque, tutte le creature aspirano al medesimo obiettivo, ed è intorno ad esso e per se stesso che le tiene aderenti e le congiunge, quelle che si trovano nello stato superiore, a quelle che sono nel mezzo, o in uno stato laterale, sarebbero generate vicendevolmente per lui ed anche congiunte; conveniva [allora] che noi fossimo indotti non solo dall’ascolto alla contemplazione della divinità; ma anche che sembrasse che fosse reso il maestro e dottore delle intelligenze superiori.

       Di qui, il grande movimento che Paolo istituì nel mistero: [cioè] che il popolo di Efeso, per la dottrina con la facoltà di concedere la virtù di conoscere quale sia la profondità, la larghezza, l’altezza e la lunghezza [di tale mistero]. Col nome chiama qualsiasi estensione della croce.

       L’altezza, invero, è ciò che sovrasta; la profondità, poi, è ciò che è al di sotto, la lunghezza, senza dubbio, e la larghezza sono quelle che lateralmente si estendono.

       Più chiaramente, spiega poi questo senso altrove, come penso nella Lettera ai Filippesi, quando dice:

       Nel nome di Gesù Cristo, si pieghi ogni ginocchio, in cielo, in terra e negli inferi (Ph 2,10).

       In questo testo con l’unico nome la medesima importanza ed eccellenza abbraccia, affinché colui che intercede tra forze celesti e terrestri, avrà il nome di origine terrena.

       Gregorio di Nissa, Oratio catech., 32, passim


5. Fondazione dell’uso del segno della croce

       Non vergogniamoci della croce del Cristo, ma, anche se un altro lo fa di nascosto, tu segnati in fronte davanti a tutti, di maniera che i demoni, vedendo quel regal simbolo, fuggano via tremando. Fa’ il segno della croce quando mangi e bevi, quando stai seduto o coricato, quando ti alzi, quando parli, quando cammini: in qualsiasi circostanza, insomma. Colui il quale, infatti, è stato quaggiù crocifisso, si trova adesso nell’alto dei cieli. Se, certo, dopo esser stato crocifisso e sepolto, egli fosse rimasto nel sepolcro, allora sì che avremmo ragione di arrossire! Chi è stato crocifisso su questo Golgota, invece, dal Monte degli Ulivi, situato ad oriente (Za 14,4), ascese al cielo (Lc 24,50). Egli, infatti, dopo esser disceso dalla terra negli inferi e, di laggiù, tornato nuovamente presso di noi, risalì ancora una volta dal nostro mondo al cielo, mentre il Padre, acclamandolo, si rivolgeva a lui dicendo: Siedi alla mia destra, finché avrò posto i tuoi nemici a scanno dei tuoi piedi (Ps 109,1).

       Cirillo di Gerusalemme, Catech., 4, 14


6. Inno alla Croce

       O croce grande bontà di Dio, croce gloria del cielo, croce salvezza eterna degli uomini, croce terrore dei malvagi, forza dei giusti, luce dei fedeli.

       O croce che hai fatto sì che Dio nella carne fosse di salvezza alle terre e, nei cieli, che l’uomo regnasse su Dio. Per te splendette la luce della verità, l’empia notte fuggì.

       Tu distruggesti per i pagani convertiti i templi scalzati, tu armoniosa fibbia di pace, che concilii l’uomo col patto di Cristo.

       Tu sei la scala per cui l’uomo può essere portato in cielo. Sii sempre a noi tuoi devoti fedeli colonna ed ancora, perché la nostra casa stia salda e la flotta sicura.

       Sulla croce fissa la tua fede, dalla croce prendi la corona.

       Paolino di Nola, Carmen 19, nn. 718-730





Lezionario "I Padri vivi" 208