Lezionario "I Padri vivi" 28

SABATO SANTO

28 Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza l’Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione.

       Il corpo del Figlio di Dio riposa nel sepolcro. All’entrata del sepolcro fu posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n’è andato il nostro Pastore, la fonte dell’acqua viva; perciò, la Chiesa piange su di lui come si piange l’unico figlio l’Innocente, il Signore è stato ucciso. Il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (
Mt 12,40); «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Jn 2,9).

       Nella Liturgia delle ore, nella sua quotidiana preghiera, la Chiesa professa la fede nella Risurrezione di Gesù, nella vittoria di Gesù sulla morte. Il Signore riposa in pace, ma nella speranza che il suo corpo non subirà la corruzione della morte; si apriranno le porte eterne ed entrerà il Re della Gloria; il Signore sconfiggerà le forze infernali e le porte della morte; il Padre salverà la sua anima dal potere delle tenebre.

       Fra poco il Signore acclamerà: «Ero morto, adesso vivo in eterno - mie sono le chiavi della morte e dell’abisso». Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera attende la Risurrezione del Signore. La preghiera della Chiesa può essere riassunta nel canto, che inizia la odierna liturgia delle ore: «Venite, adoriamo il Signore, il crocifisso e sepolto per noi».

       Fratelli carissimi, supplichiamo umilmente
       Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo
       unico creatore dell’universo,
       in questa grande mattina del grande sabato,
       ossia della deposizione del Corpo del Signore,
       affinché colui che trasse Adamo misericordiosamente
       dalle profondità degli inferi,
       per la sola misericordia del Figlio suo
       tragga noi che con forza gridiamo
       dalla feccia presente alla quale aderiamo.

       Gridiamo infatti e preghiamo
       perché il pozzo dell’inferno non apra su di noi la sua bocca
       e liberati dal fango del peccato,
       non ricadiamo in esso.

       Missale Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1961, n. 219


1. Morte e risurrezione

       Benedetto sei, Signore, insegnami i tuoi decreti!

       Sei stato deposto in una tomba, o Cristo che sei la Vita,
       e le milizie degli angeli, stupefatte,
       danno gloria alla tua condiscendenza.

       O Vita, come muori? come abiti una tomba?

       Ma tu distruggi il regno della morte
       ma tu fai risorgere i morti dall’Ade!

       Ti esaltiamo, o Gesù, Re,
       adoriamo il tuo sepolcro e i tuoi patimenti,
       per i quali ci hai salvati dalla corruzione.

       Tu che hai stabilito le misure della terra,
       o Gesù, Re dell’universo, oggi tu abiti in una piccola tomba,
       per far risorgere i morti dai loro sepolcri.

       O Gesù Cristo mio, Re dell’universo,
       che sei venuto a cercare tra gli abitanti dell’Ade?

       Forse sei venuto a liberare la razza dei mortali?

       Il Signore di tutte le cose, lo vediamo, è morto,
       è stato deposto in un sepolcro nuovo,
       lui che svuota le tombe dei morti.

       O Cristo, o Vita, sei stato deposto in una tomba
       e con la tua morte hai distrutto la Morte
       e fatto zampillare sul mondo la vita.

       Sei stato messo in mezzo ai malfattori come un malfattore,
       o Cristo, che ci giustifichi tutti
       dalla malizia dell’antico insidiatore.

       Il Bellissimo di bellezza più di tutti i mortali
       appare come un morto senza figura,
       lui che fa bella la natura dell’universo.

       Come reggerà l’Ade alla tua presenza?
       non sarà spezzato, ottenebrato, accecato
       dallo splendido fulgore della tua luce?

       Gesù, luce mia, dolce e salvifica,
       come ti nascondi in una tomba oscura?

       Oh, tolleranza ineffabile, infinita!

       Anche la natura spirituale,
       le moltitudini degli angeli incorporei,
       sono senza parola, o Cristo,
       di fronte al mistero della tua sepoltura
       inesprimibile, ineffabile!

       O straordinario prodigio! O accadimento nuovo!

       Colui che mi elargisce il respiro
       è trasportato senza respiro
       dalle mani di Giuseppe,
       che gli rende le ultime cure.

       Tramonti in una tomba, o Cristo
       senza separarti dal seno del Padre.

       Ecco il mistero strano e meraviglioso!

       Vero Re del cielo e della terra
       ti riconosce tutto il creato, o Gesù,
       per quanto rinchiuso in una tomba piccolissima.

       Quando tu fosti deposto nella tomba, o Cristo Creatore,
       le fondamenta dell’Ade vacillarono
       e i sepolcri dei morti si aprirono.

       Colui che tiene la terra nella sua mano,
       ora, morto, è trattenuto col corpo sotto terra,
       ma libera i morti dalla presa dell’Ade...

       Non piangere per me, o Madre,
       vedendo nella tomba il Figlio
       che senza seme hai concepito nel tuo seno.

       Risorgerò, infatti, e sarò glorificato
       e innalzerò nella gloria incessantemente
       coloro che ti esaltano con fede e con amore,
       perché io sono Dio!

       Alla tua nascita straordinaria, ho sfuggito le doglie
       e sono stata sovrannaturalmente beata,
       o Figlio che non hai principio;
       ma ora, vedendoti morto, Dio mio, senza respiro,
       sono orribilmente dilaniata dalla spada del dolore;
       risorgi, dunque, perché io possa essere detta beata.

       La terra mi nasconde perché lo voglio,
       ma tremano i custodi dell’Ade
       vedendomi rivestito di una tunica insanguinata,
       o Madre, dal sangue della vendetta;
       perché io, Dio, ho abbattuto i nemici sulla croce;
       e risorgerò di nuovo e ti darò gloria!

       Esulti il creato, si allietino tutti gli abitanti della terra!

       L’Ade, il nemico, è stato spogliato.

       Vengano avanti le donne con gli aromi,
       io libero Adamo ed Eva e tutta la loro schiatta
       e al terzo giorno risorgerò!...

       Oggi una tomba racchiude Colui che nella sua mano stringe il creato,
       una pietra copre Colui che copre i cieli con la sua potenza.

       Dorme la Vita e l’Ade trema e Adamo è sciolto dalle sue catene.

       Gloria alla tua Economia!

       Per essa, dopo aver compiuto tutto
       tu ci hai donato il sabato eterno,
       la tua resurrezione santissima dai morti!

       Quale spettacolo si contempla, quale riposo quello di oggi!

       Dopo aver compiuto l’Economia della passione,
       il Re dei secoli celebra il sabato in una tomba,
       e ci offre un sabato nuovo. A lui gridiamo:

       Risorgi, o Dio, e giudica la terra
       perché tu regni nei secoli,
       tu che possiedi infinita la grande misericordia!

       Venite, vediamo la Vita nostra giacente in una tomba,
       per vivificare i morti che sono nelle tombe.

       Venite oggi a contemplare il rampollo di Giuda che dorme:
       a lui con il profeta gridiamo: Giaci e dormi come un leone;
       chi ti risveglierà, o Re? Risorgi per tuo potere,
       tu che volontariamente hai dato te stesso per noi.

       Signore, gloria a te!

       Giuseppe chiese il corpo di Gesù
       e lo depose nel suo sepolcro nuovo.

       Infatti doveva uscire fuori dalla tomba come da un talamo.

       Gloria a te, che hai spezzato la potenza della morte,
       gloria a te, che hai aperto agli uomini le porte del paradiso!

       Il grande Mosè prefigurava misticamente il giorno di oggi,
       dicendo: E Dio benedisse il settimo giorno.

       È questo infatti il sabato benedetto, è questo il giorno del riposo,
       nel quale il Figlio Unigenito di Dio si è riposato da tutte le sue opere,
       celebrando il sabato nella sua carne per l’Economia della morte,
       e, ritornato di nuovo quello che era per la resurrezione,
       ci ha donato la vita eterna;
       perché è il solo Buono e Amico degli uomini!

       Più che benedetta tu sei, Madre di Dio Vergine,
       perché l’Ade è stato fatto prigioniero
       da Colui che si è incarnato da te,
       Adamo è stato richiamato alla vita,
       la maledizione è stata uccisa,
       Eva liberata, la morte messa a morte
       e noi siamo stati vivificati.

       Perciò inneggiando gridiamo:

       Benedetto il Cristo, il Dio nostro,
       che così si è compiaciuto;
       gloria a te!

       Liturgia orientale della Settimana Santa


2. La morte di Cristo

       E non è senza scopo che un altro evangelista abbia scritto che il sepolcro era nuovo (Jn 19,41), un altro che era il sepolcro di Giuseppe (Mt 27,60). Di conseguenza, Cristo non aveva un sepolcro di sua proprietà. Effettivamente, il sepolcro viene allestito per quanti stanno sotto la legge della morte (Rm 7,6); ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Del resto l’Ecclesiaste dice di colui che medita sul bene (Si 14,22): Egli non ha sepoltura (Qo 6,3). Perciò, se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica, e perciò Egli non viene seppellito insieme con altri, ma è rinchiuso, solo, in un sepolcro; infatti l’incarnazione del Signore ebbe tutte le proprietà simili a quelle degli uomini, però la somiglianza va insieme con la differenza della natura: è nato da una Vergine con la somiglianza della generazione, e con la dissomiglianza della concezione. Curava gli ammalati, ma intanto imperava (Lc 5,24). Giovanni battezzava con l’acqua, Egli con lo Spirito (Lc 3,16). Perciò anche la morte di Cristo è comune a quella degli altri secondo la natura corporea, ma unica secondo la potenza.

       E chi è mai questo Giuseppe, nel cui sepolcro Egli viene deposto? Senz’alcun dubbio è un giusto. È bello perciò che Cristo sia affidato al sepolcro di un giusto, e là il Figlio dell’uomo abbia dove posare il capo (Lc 9,58) e trovi riposo nel domicilio della giustizia...

       Non tutti riescono a seppellire il Cristo. Del resto le donne, sebbene pietose, stanno lontano, e appunto perché sono pietose osservano con ogni cura il posto per poter recare gli unguenti e cospargere il corpo (Lc 23,55 Mt 27,55). Ma poiché sono piene d’ansia, si allontanano per ultime dal sepolcro e ritornano per prime al sepolcro (Lc 23,55). Sebbene manchi la fermezza, non manca la premura.

       Ambrogio, Exp. Ev. Luc., 10, 140 s., 144


3. Meraviglie della morte del Signore

       È più sorprendente la misericordia di Dio verso di noi, per il fatto che Cristo è morto, non per dei giusti né per dei santi, ma per degli iniqui ed empi; e non potendo, per la sua natura divina, subir la morte, nascendo da noi, prese quell’umanità che offrì per noi. Per bocca del profeta Osea una volta minacciò la nostra morte con la potenza della sua morte dicendo: Sarò la tua morte, o morte sarò il tuo morso, o inferno (Os 13,14). Morendo, infatti, subì le leggi dell’inferno, ma risorgendo le spezzò, e così infranse la perennità della morte, facendola, da eterna, temporale. Come, infatti, tutti muoiono in Adamo, così tutti risorgono in Cristo (1Co 15,22).

       Si faccia perciò quanto dice l’apostolo Paolo, o dilettissimi: Coloro che vivono, non vivano più per sé, ma per colui che per tutti è morto e risorto (2Co 5,15); e poiché le cose vecchie son passate ed ora è tutto nuovo, nessuno rimanga nella vetustà della vita.

       Leone Magno, Sermo 59, 8


4. Corri, Maria: Va’ a dire: «Lo Sposo si è svegliato!»

       Che la lingua pubblichi ormai queste cose, o donna, e le spieghi ai figli del Regno che attendono che io, il Vivente mi risvegli. Corri, o Maria, a radunare in fretta i miei discepoli. Io ho in te una tromba dalla voce possente: suona un canto di pace alle orecchie timorose dei miei amici nascosti; quasi da sonno tutti risvegliali, perché vengano al mio incontro e che accendano le torce. Va’ a dire: «Lo sposo si è svegliato, uscendo dalla tomba, senza nulla lasciare dentro la tomba. Scacciate da voi, o apostoli, la mortale tristezza, poiché si è svegliato colui che offre agli uomini decaduti la risurrezione».

       Romano il Melode, Carmen XL, De resurrect., 12




VIGILIA DI PASQUA


Secondo la più antica tradizione, la solennità della Risurrezione del Signore viene preceduta dalla vigilia, madre di tutte le veglie vigiliari cristiane. In questa santa notte, i catecumeni ricevevano il Battesimo, i fedeli invece stavano in preghiera e ascoltavano la parola di Dio. La santa Messa, celebrata nelle prime ore mattutine, concludeva la veglia. Col tempo, il Battesimo degli adulti diventa sempre più raro e perciò la veglia notturna viene abbreviata. La liturgia della Notte Santa si cominciò a celebrare nelle ore serali del sabato (secolo VI), poi, sullo schema degli altri giorni di digiuno, alle ore 3 del pomeriggio (secolo IX), e definitivamente nelle ore mattutine (a partire dal XIII secolo), il che venne accolto come regola nel messale di san Pio V (1570). La riforma liturgica di Pio XII ripristina alla Vigilia pasquale il suo posto proprio e attualmente nel calendario liturgico leggiamo: «L’intera celebrazione della Veglia pasquale si svolge di notte: essa quindi deve o cominciare dopo l’inizio della notte, o terminare prima dell’alba della domenica».

       La liturgia della luce dà inizio alla veglia. All’entrata della chiesa, ha luogo la benedizione del fuoco (rito d’origine gallica) e l’accensione del cero pasquale (una volta si accendeva solennemente la luce all’inizio di ogni veglia notturna), che diventa il simbolo del Cristo risorto. Prosegue la processione di entrata con il cero con triplice sosta e il canto: «La luce di Cristo». Dal cero pasquale, i fedeli accendono le loro candele e alla fine tutta la chiesa viene progressivamente illuminata. Il cero pasquale acceso, portato in testa alla processione, ricorda la colonna di fuoco per mezzo della quale Dio mostrava la via agli Ebrei che lasciavano la casa di schiavitù. Ricorda le parole di Cristo: «Io sono la luce del mondo. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Risuona il gioioso canto del preconio pasquale, mentre i fedeli stanno in piedi con le candele accese. Questo antico canto della Chiesa, che risale fino alla prima metà del IV secolo (la sua forma attuale è del VII secolo), esprime la gioia solenne dei redenti e richiama ad essa il coro degli angeli. Abbraccia con lo sguardo tutta l’opera della redenzione iniziando dalla liberazione dei figli d’Israele dall’Egitto fino alla Risurrezione di Cristo. L’ammirazione per quanto Dio ha operato per la salvezza dell’uomo concede alla Chiesa di pronunziare sul peccato di Adamo: «o felice colpa!». Invece, questa santa notte - notte dell’esodo dalla schiavitù e notte di risurrezione - è veramente una notte beata.

       La liturgia della parola introduce i fedeli in una più profonda comprensione del mistero di questa notte santa. Le letture richiamano alla memoria i grandi momenti della storia della salvezza: la creazione del mondo e dell’uomo, il sacrificio di Abramo, il passaggio attraverso il Mar Rosso. Ricordano l’insegnamento dei profeti sull’Alleanza e preannunziano la universalità della salvezza. Ieri, tutto era un segno e un preannunzio, oggi, questa notte diventa la realtà. Durante il «Gloria a Dio nell’alto dei cieli» suonano le campane e dopo la lettura dalla Lettera ai Rm - in Cristo abbiamo ricevuto la nuova vita attraverso il Battesimo -, risuona il gioioso «Alleluia». Cristo è risorto, ecco la lieta notizia portata dalle donne.

       La liturgia battesimale si riallaccia al Battesimo che una volta veniva amministrato in questa notte. Oggi, la Chiesa effettua la solenne benedizione dell’acqua battesimale e i fedeli, ricordando il loro Battesimo, rinnovano le promesse battesimali pronunciate allora. L’aspersione dei convenuti coll’acqua appena benedetta ricorda anche il Battesimo ricevuto.

       La liturgia eucaristica è il punto culmine della Vigilia. Non soltanto ricordiamo gli eventi passati, l’adempimento di tutto in Cristo, ma celebrando l’Eucaristia rendiamo presente la Morte e la Risurrezione del Signore. Cristo venne offerto come nostra Pasqua e oggi, attraverso i segni sacramentali, partecipiamo al suo sacrificio pasquale. Accostandoci alla mensa del Signore, riceviamo il Corpo di Cristo, il Corpo del Signore glorificato. Nel sacramento del Battesimo siamo morti e risorti insieme con lui, nella Comunione col Pane celeste partecipiamo alla gloria di Gesù e alla Sua vittoria sulla morte.

       O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta,

       volgi lo sguardo alla tua Chiesa, ammirabile sacramento

       di salvezza,

       e compi l’opera predisposta nella tua misericordia:

       tutto il mondo veda e riconosca che ciò

       che è distrutto si ricostruisce,

       ciò che è invecchiato si rinnova

       e tutto ritorna alla sua integrità,

       per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose,

       e vive e regna nei secoli dei secoli.

       Missale Romanum, Vigilia Pascalis. Oratio post septimam lectionem


1. La santa notte della Risurrezione

       Si comprende, senza dubbio, che questa notte è in funzione del giorno seguente, che chiamiamo «del Signore». E, in ogni modo, dovette risorgere la notte, poiché con la sua risurrezione rischiarò le nostre tenebre; né, in effetti, tanto tempo prima gli si cantò invano: Tu illuminerai la mia lampada, Signore: o Dio mio, rischiarerai le mie tenebre.

       Perciò, la nostra devozione raccomanda un così grande mistero: affinché, come con la sua risurrezione la nostra fede, rinsaldata è già vigilante, così anche la nostra veglia, anche questa notte illuminata risplenda; affinché con la Chiesa diffusa in tutto il mondo possiamo pensare che non veniamo trovati nella notte.

       Con tanti e così grandi popoli, che dovunque questa così celebre solennità radunò nel nome di Cristo, il sole, scomparve, il giorno non si allontanò, mentre subentrò col fulgido cielo la splendente terra.

       Tuttavia, se qualcuno voglia ricercare le cause di questa così grande veglia, può trovarle con facilità e rispondere con fedeltà.

       Colui, certo, che ci donò la gloria del suo nome, illuminò questa notte, e a lui diciamo: «Tu rischiarerai le mie tenebre», concede la luce ai nostri occhi: affinché come guardiamo questo splendore di luci con occhi raggianti, così vediamo con la mente illuminata la causa di una notte così splendente.

       Che meraviglia, dunque, che i Cristiani veglino oggi nell’anniversario della festa?

       Ora, infatti, vegliamo grandemente, e nessun’altra solennità può essere ritenuta tale: mentre con questo desiderio cerchiamo e diciamo:

       In che ora vegliamo? vegliamo per tanti giorni; come se le altre veglie non siano da ritenersi tali in confronto di questa.

       Ed anche l’Apostolo raccomandò alla Chiesa la costanza sia dei digiuni che delle veglie, quando ricordando se stesso diceva: «Più frequentemente nei digiuni e nelle veglie»; ma è così grande la veglia di questa notte, che sorpassa, da sola anche il nome comune delle altre, come il proprio.

       Pertanto, prima parliamo brevemente della veglia in genere, in seguito di quella particolare odierna (la pasquale), che il Signore ci ha donato.

       In quella vita, di cui ci adoperiamo per raggiungere il riposo, che la verità ci promette dopo la morte di questo corpo e anche dopo la fine di questo mondo nella risurrezione, mai (vivremo) per addormentarci, come mai, certamente, per morire.

       Che cos’è, infatti, il sonno se non una morte di ogni giorno che né toglie completamente, né più a lungo trattiene l’uomo?

       E che cos’è la morte se non un sonno continuo e profondissimo, dal quale Dio scuoterà l’uomo?

       Dove dunque non arriva la morte, né il sonno, sua immagine, interviene. (Non esiste), infine, nessun sonno se non quello dei mortali.

       Questo riposo non è degli angeli: essi vivono sempre, e non ricevono mai la salvezza dal sonno.

       Come la stessa vita, così colà la veglia sarà senza fine; né altra cosa lì significa vivere, se non vegliare: né altra cosa (vuol dire) vegliare se non vivere.

       Ma noi, finché siamo in questo corpo, che è soggetto alla corruzione ed aggrava l’anima, poiché non viviamo se non recuperiamo le forze, dormendo, con la somiglianza della morte noi interrompiamo la vita, affinché possiamo vivere almeno brevi periodi di tempo.

       E per questo chiunque veglia assiduamente in maniera sobria ed innocente medita senza alcun dubbio la vita degli angeli - quanto la debolezza di questo corpo sia di peso sulla terra, sono repressi i desideri del cielo - esercitando con una piuttosto lunga veglia contro (tale) peso apportatore di morte, gli si prepari il premio nella vita eterna.

       Né è d’accordo sempre con se stesso, chi desidera vivere per sempre, e non preferisce vegliare più per forza; vuole che la morte non esista del tutto, e non vuole diminuire la sua immagine.

       Questa è la causa, questa è la ragione, perché nelle veglie il cristianesimo debba esercitare più frequentemente lo spirito.

       Ora, fratelli, ponete mente ad altre poche cose, mentre commemoriamo la particolare veglia di questa notte.

       È stato, infatti, detto perché dobbiamo sottrarre più spesso ed aggiungere le veglie: ma ora dobbiamo dire, perché con tanta solennità vegliamo soprattutto nella notte odierna.

       Che Cristo Signore il terzo giorno è risorto dai morti, nessun cristiano dubita.

       D’altra parte che in questa notte ciò sia avvenuto, lo attesta il santo Vangelo.

       Non vi è dubbio nel misurare tutto il giorno dalla precedente notte: non seguendo l’ordine dei giorni che sono commemorati nella Gn quantunque anche lì le tenebre si siano dileguate; poiché le tenebre ricoprivano l’abisso, quando Dio disse: Sia creata la luce, e la luce fu creata (Gn 1,3) - ma poiché quelle tenebre non erano ancora notte, il giorno non era ancora passato.

       Dio separò, invero, la luce e le tenebre (Gn 1,3): e prima chiamò luce, il giorno, quindi, le tenebre, notte, e dalla prima luce fino al seguente mattino fu chiamato il primo giorno.

       È chiaro che quei giorni hanno inizio dalla luce, e trascorsa la notte fino al mattino i singoli giorni compiuti.

       Ma dopo che fu creato l’uomo dalla luce di giustizia cadde nelle tenebre del peccato, dalle quali la grazia del Cristo lo liberò, avvenne che ora contiamo il giorno dalle notti; poiché ci sforziamo di venire dalla luce alle tenebre, ma dalle tenebre alla luce e riponiamo la nostra fiducia nel Signore che ci aiuta.

       Anche l’Apostolo così dice:

       La notte è passata, ma il giorno si avvicina; mandiamo via, perciò, le opere delle tenebre e rivestiamoci delle armi della luce (Rm 13,12).

       Il giorno, dunque, della passione del Signore, nel quale fu crocifisso, veniva dietro già alla vera notte passata; e pertanto è chiuso e terminato fino alla parasceve che i Giudei chiamano anche semplicemente cena, dall’inizio di quella notte che cominciava con l’osservanza del sabato.

       Quindi, il giorno del sabato, iniziando dalla sua notte, termina la sera della notte seguente, la quale appartiene all’inizio del giorno del Signore: il Signore, perciò, lo consacrò con la gloria della sua risurrezione.

       Celebriamo ora questa memoria della solennità di quella notte fino all’inizio del giorno che appartiene al Signore.

       Trascorriamo quella notte vegliando, (poiché) in essa è risorto il Signore, ed unì nella sua carne quella vita, di cui poco fa parlavamo, dove non esiste né morte né sonno; e che egli suscitò dai morti in modo tale che non morrà più e la morte non avrà più dominio sopra di lui.

       Infatti, poiché venendo presso il suo sepolcro, non trovarono il corpo, ricercato di buon mattino da quelli che lo amavano fu risposto loro dagli angeli che era già risorto, è chiaro che risorse quella notte la cui estensione fu quell’alba.

       Quindi, vegliando inneggiamo un po’ più a lungo a colui che risorge, affinché vivendo regniamo con lui senza fine.

       Ma se per caso, proprio in queste ore, in cui stiamo vegliando, il suo corpo era ancora nel sepolcro, e non ancora era risorto, non siamo incongruenti vegliando in tal modo: poiché egli dormiva affinché noi vegliassimo, ed egli è morto affinché noi vivessimo.

       Termina il secondo trattato sulla Notte Santa.

       Agostino, Sermo Guelferb. 5


2. Antica istruzione battesimale

       Appena entrati (nel battistero - n.d.e.), avete deposto la tunica, immagine del vecchio uomo con le sue azioni di cui vi siete spogliati. Siete così rimasti nudi, imitando anche in ciò Cristo nudo sulla croce, il quale con la sua nudità spogliò i principati e le potestà, trionfando su di loro pubblicamente dall’alto della croce. Poiché nelle vostre membra si celavano le potenze nemiche, non vi è lecito più portare la vecchia tunica: non parlo certo della tunica sensibile, ma dell’uomo vecchio, corrotto nelle sue brame perverse. Non se ne rivesta mai più l’anima che se ne è una volta spogliata, ma dica, come la sposa del Cristo nel Cantico dei Cantici: Mi sono tolta la tunica, come me la rimetterò? (Ct 5,3) O fatto mirabile! Siete rimasti nudi davanti allo sguardo di tutti e non ve ne siete vergognati. Veramente avete offerto l’immagine di Adamo, primo uomo plasmato, che era nudo nel paradiso e non se ne vergognava.

       Poi, così spogliati, siete stati unti, con l’olio esorcizzato, dalla sommità dei capelli fino ai piedi, divenendo in tal modo compartecipi di Gesù Cristo, ulivo coltivato. Tagliati infatti dall’oleastro, siete stati innestati nell’ulivo e partecipate così della pinguedine dell’ulivo vero. L’olio esorcizzato, dunque, era un simbolo di questa vostra partecipazione alla pinguedine del Cristo, che allontana ogni impronta del potere nemico. Come infatti il soffio dei santi e l’invocazione del nome di Dio, quale fiamma violenta, brucia i demoni e li mette in fuga; così questo olio esorcizzato assume tanta potenza, per l’invocazione e la preghiera a Dio che non solo brucia le tracce dei peccati, ma fuga anche ogni potere invisibile del maligno.

       In seguito siete stati condotti alla sacra piscina del divino battesimo, come Cristo lo fu dalla croce al sepolcro situato lì vicino. E ciascuno di voi è stato interrogato se credeva nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Voi avete proclamato la vostra professione di salvezza e per tre volte siete stati immersi nell’acqua, da cui per tre volte siete emersi: un simbolo questo della sepoltura di Cristo, durata tre giorni. Come infatti il nostro Salvatore passò nel ventre della terra tre giorni e tre notti, così voi con la vostra prima emersione avete imitato il primo giorno passato da Cristo sotterra e con l’immersione ne avete imitata la notte. Come di notte non si vede nulla e il giorno invece si passa nella luce, così immergendovi nulla avete visto, quasi fosse notte, ed emergendo poi vi siete trovati come di giorno. Con ciò siete morti e siete nati, e quell’acqua di salvezza è diventata per voi tomba e madre. Veramente si adatta a voi ciò che Salomone pronunciò in altra circostanza. Egli disse infatti: Vi è il tempo di partorire e il tempo di morire (Qo 3,2); per voi, al contrario, vi è il tempo di morire e il tempo di nascere: un tempo solo ha operato l’uno e l’altro, la vostra nascita è stata contemporanea alla vostra morte.

       O fatto nuovo e inopinabile! Veramente noi non siamo morti, né siamo stati veramente sepolti, né veramente risorti dopo essere stati crocifissi. Abbiamo imitato questi fatti solo simbolicamente; la salvezza invece è una realtà! Cristo fu realmente crocifisso, fu realmente sepolto e realmente risorse. E tutto ciò a noi ha elargito per sua grazia affinché, partecipando simbolicamente ai suoi dolori, ottenessimo effettivamente la salvezza. O bontà traboccante! Cristo accolse i chiodi nelle sue mani e nei suoi piedi incontaminati, e ne soffrì; a me invece, senza sofferenza e travaglio, è donata la salvezza per la partecipazione simbolica ai suoi dolori.

       Nessuno creda che il battesimo sia una semplice remissione dei peccati e neppure una semplice grazia di adozione, come il battesimo di Giovanni che operava solo la remissione delle colpe. Se lo esaminiamo attentamente, come purifica dai peccati e comunica i doni dello Spirito Santo, così è anche una rappresentazione partecipativa ai dolori del Cristo. Per questo Paolo ha esclamato or ora (nella lettura che precedeva la catechesi): Non sapete forse che noi tutti battezzati in Cristo Gesù, siamo stati immersi nella sua morte? Col battesimo siamo stati con lui sepolti nella morte (Rm 6,3s). Diceva ciò per quelli che erano convinti che il battesimo rimettesse certi peccati e conferisse l’adozione, ma non fosse una partecipazione, in simbolo, alle sofferenze reali del Cristo.

       Proprio per farci imparare che quanto il Cristo sostenne per noi e per la nostra salvezza lo soffrì in realtà e non solo apparentemente, e che noi siamo partecipi delle sue sofferenze, Paolo con tutta chiarezza esclamava: Se infatti siamo stati innestati su di lui per somiglianza di morte, lo saremo anche per somiglianza di risurrezione (Rm 6,5). Ed è bella la parola «innestati», poiché proprio qui infatti (ossia sul Golgota), è stata piantata la vite vera e noi, per la partecipazione al battesimo (immersione) nella morte siamo stati in lui innestati. E osserva con molta attenzione le parole dell’Apostolo! Egli non ha detto: «Se infatti siamo stati innestati per la morte», ma «per somiglianza di morte». Per Cristo la morte fu una realtà: effettivamente la sua anima si separò dal corpo e il suo sepolcro fu reale: il suo sacro corpo fu accolto nella sindone monda e subì tutto effettivamente. Per noi invece si è trattato di un simbolo della morte e delle sofferenze; della salvezza, però, non un simbolo, ma la realtà.

       Su di ciò, siete stati istruiti sufficientemente; conservatelo nella memoria, ve ne prego, affinché anch’io, per quanto indegno possa dire di voi: Vi amo, perché vi ricordate sempre di me e custodite le tradizioni che vi ho tramandato (1Co 11,2). Dio, che vi ha reso vivi dai morti, può concedervi, nella sua potenza, di camminare in una vita nuova (Rm 6,4); a lui gloria e potenza, ora e nei secoli. Amen.

       Cirillo di Gerusalemme, Catech., 20, 2-8


3. Le prefigurazioni del Battesimo

       Che vi sia stata nel Mar Rosso una figura del Battesimo, lo dice l’Apostolo nei termini seguenti: I nostri padri sono stati tutti battezzati nella nube e nel mare (1Co 10,2). E aggiunge: Tutto questo fu fatto ad essi in figura (1Co 10,11). Per essi in figura, ma per noi in verità. Allora Mosè teneva il suo bastone, il popolo ebreo era colpito da ogni parte: da un lato premeva l’Egiziano con il suo esercito, dall’altro gli Ebrei erano fermati dal mare. Non potevano né passare il mare, né tornare indietro per attaccare il nemico. Si misero a mormorare (cf. Ex 14,9-11).

       Guardati bene dal lasciarti sedurre dal fatto che vennero esauditi. Benché il Signore li abbia esauditi, essi non sono per questo meno esenti da colpa, dal momento che hanno mormorato. Quando sei nell’angoscia, devi credere che ne uscirai, non con il mormorare; domandando, pregando, non facendo intendere lamenti.

       Mosè portava il suo bastone, conduceva il popolo ebreo, la notte in una colonna di luce, il giorno in una colonna di nubi (cf. Ex 13,21). La luce, altro non è che la verità, poiché questa diffonde una luce visibile e chiara. La colonna di luce, cos’altro è se non Cristo Signore che ha scacciato le tenebre dell’incredulità e ha diffuso nel cuore degli uomini la luce della verità e della grazia? Invece la colonna di nubi è lo Spirito Santo. Il popolo era in mare e la colonna di luce lo precedeva, poi seguiva la colonna di nubi come ombra dello Spirito Santo. Vedi come ci viene mostrato nello Spirito Santo e nell’acqua il tipo del Battesimo.

       Anche nel diluvio vi fu già una figura del Battesimo (1P 3,21), quando i misteri dei Giudei non esistevano certamente. Se dunque è venuto in precedenza il rito del Battesimo, vedi bene che i misteri dei cristiani sono più antichi di quelli dei Giudei...

       Cos’altro è il diluvio se non il mezzo per preservare il giusto al fine di propagare la giustizia e di far morire il peccato? E per questo che il Signore, vedendo moltiplicarsi le malefatte degli uomini preservò solo il giusto con la sua discendenza, mentre ordinò all’acqua di superare persino la cima delle montagne. Così il diluvio fece perire tutta la corruzione della carne, mentre poté sussistere unicamente la razza e il modello del giusto (Gn 7,17-23). Non è questo diluvio segno del Battesimo nel quale sono cancellati tutti i peccati, mentre risuscitano, unici, lo spirito e la grazia del giusto?

       Vi sono molte specie di battesimi, ma non vi è che un solo Battesimo, scrive l’Apostolo (Ep 4,5). Perché? Vi sono i battesimi dei pagani, ma non sono propriamente dei battesimi. Sono abluzioni, non possono essere dei battesimi. La carne è lavata, la colpa non è cancellata. Al contrario, quell’abluzione fa contrarre una colpa. Vi erano i battesimi dei Giudei, alcuni superflui, altri in figura, e la figura ci è essa stessa utile, perché è messaggera di verità.

       Ambrogio, De sacramentis, I, 6, 20-23; II, 1, 1-2


4. Cosa simboleggia la passione del Signore

       Questo nostro tempo di miseria e di lacrime vien simboleggiato dai quaranta giorni prima della Pasqua; il tempo che seguirà, di letizia, di pace, di felicità, di vita eterna, di regno senza fine, che ancora non è, è simboleggiato invece da questi cinquanta giorni in cui noi eleviamo lodi a Dio.

       Ci vengono cioè presentati due tempi: uno prima della risurrezione del Signore, l’altro dopo la risurrezione del Signore; uno è il tempo in cui siamo, l’altro è il tempo in cui speriamo di essere un giorno. Il presente tempo di pianto, simboleggiato dai giorni di quaresima, lo simboleggiamo e in esso siamo, ma il tempo di gioia, di pace e di regno, simboleggiato da questi giorni di Pentecoste, lo esprimiamo con l’alleluia, ma non possediamo ancora le lodi. Ma ora sospiriamo l’alleluia. Che significa l’alleluia? «Lodate Dio». Ma non possediamo ancora le lodi, si ripetono nella Chiesa le lodi di Dio dopo la risurrezione, perché la nostra lode sarà eterna dopo la nostra risurrezione.

       Agostino, Sermo 254, 4-5




DOMENICA DI PASQUA


La Domenica della Risurrezione, inizialmente, non aveva una sua liturgia poiché la Vigilia pasquale si prolungava fino alle ore mattutine. Quando le celebrazioni vigiliari furono trasferite al sabato mattina, la Messa della Domenica divenne nelle coscienze dei fedeli la Messa principale della festa.

       La gioia e la commozione rispecchiano in tutti i testi liturgici di oggi. In bocca al Cristo risorto, la Chiesa mette le parole del Salmo: «Io sono risorto, o Padre. Io sono di nuovo con Te poni su di me la tua mano; stupenda per me la tua saggezza» (Ps 138). È un canto di gioia per la vittoria sulla morte, il canto di esultanza per il ritorno al Padre, l’inno di glorificazione del Padre per la sua fedeltà, l’ammirazione per le sue vie inconcepibili. Cristo è risorto, non subisce più la morte, è il Signore dei vivi e dei morti. «La morte è stata ingoiata dalla vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Co 15,55). Ecco il canto di gioia cantato da tutti coloro che appartengono a Cristo. Cristo è risorto e la sua vittoria è la nostra vittoria.

       Al mattino della domenica si affrettano al sepolcro le donne con gli unguenti. Vedono l’angelo e odono le parole: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il Crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti!» (Mt 28,5).

       Il Signore è risorto dai morti: questo messaggio del mattino di Pasqua risuona nella Chiesa e attraverso la Chiesa risuona nel mondo da venti secoli. Lo sostiene l’autorità di Pietro stesso: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio» (Ac 10,4). Nel gioioso giorno di Pasqua, nel giorno «che ha fatto il Signore», bisogna di nuovo rendersi conto che il Signore è veramente risorto, rafforzare la nostra fede nella fede della Chiesa e se nel cuore dell’uomo nasce il dubbio, bisogna richiamarsi all’autorità di Pietro nella Chiesa. Insieme a tutti coloro che portano nel mondo il nome di discepoli di Cristo, bisogna oggi rendere grazie al Padre, che attraverso il suo Unico Figlio ha vinto la nostra morte e ci ha aperto l’accesso alla vita eterna.

       Insieme con Cristo siamo risorti ad una nuova vita. Ci ricorda san Paolo: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Cristo è risorto e insieme con lui anche noi siamo risorti alla nuova vita. Il gioioso giorno della Risurrezione ricorda ai discepoli di Cristo, che portano in sé la vita del Signore risorto e che non appartengono più solo a questo mondo. Il cristiano rimane sulla terra, ma già cammina nella gloria della risurrezione. Cristo è risorto ed ha trasformato tutto.

       Cantando il gioioso «Alleluia», l’uomo può non desiderare la trasformazione interiore e il miglioramento? Cristo fu sacrificato come nostra Pasqua. Bisogna perciò buttar via «il lievito vecchio, lievito di malizia e di perversità» e cominciare a vivere in «sincerità e verità» (1Co 5,8).

       Le pie donne corsero dietro a te con unguenti,

       e pur cercandoti come un mortale tra le lacrime,

       ti adorarono gioiose come Dio vivente,

       ed annunziarono ai discepoli l’arcano mistero della Pasqua.

      

       Celebriamo dunque la mortificazione della morte,

       la distruzione dell’inferno,

       e le primizie dell’altra vita senza fine;

       e danzanti cantiamone l’Autore:

       il solo benedetto e gloriosissimo

       Dio dei nostri padri.

       Liturgia Bizantina, EE, n. 3139m




TEMPO DI PASQUA


Come risulta dalle testimonianze antiche, già nella prima metà del II secolo le feste pasquali erano celebrate per cinquanta giorni. Questi cinquanta giorni, nella Chiesa, corrispondevano ad un periodo identico degli Ebrei.

       Le domeniche del periodo di Pasqua sono ritenute domeniche pasquali e non, come era una volta, domeniche dopo Pasqua: così viene sottolineata l’unità di questo periodo. I giorni feriali sono stati arricchiti con testi liturgici propri.

       Merita particolare attenzione l’ottava della solennità della Risurrezione del Signore. La sua esistenza è confermata da testimonianze dell’inizio del IV secolo, ma certamente esisteva già dapprima. Era la settimana in cui la Chiesa dedicava una particolare attenzione a quelli che avevano ricevuto il Battesimo la notte di Pasqua. Veniva chiamata «la settimana dei bianchi» perché i neobattezzati portavano per tutto questo periodo le vesti bianche, che deponevano la prima domenica dopo la Risurrezione. Essi partecipavano quotidianamente all’Eucaristia, venivano introdotti più profondamente nei misteri ai quali erano stati ammessi. La tradizione ci ha trasmesso le catechesi loro indirizzate. Nel VII secolo è sorto il costume di celebrare il primo anniversario del Battesimo, costume in auge fino a quando veniva amministrato il Battesimo la notte di Pasqua.

       Quaranta giorni dopo la Risurrezione, viene celebrata ta festa dell’Ascensione del Signore: Cristo sale al cielo e promette di mandare lo Spirito Consolatore. I giorni dopo l’Ascensione, fino al sabato prima della Pentecoste, predispongono alla venuta dello Spirito Consolatore. Si chiede in preghiera il dono dello Spirito Santo; la novena allo Spirito Santo, conforme alla pietà popolare, si rispecchia nella liturgia.

       Nei cinquanta giorni dopo la domenica della Risurrezione, fino alla domenica della Pentecoste, la Chiesa vive nella gioia, come se fosse un giorno solo, «una grande domenica». Principalmente, è il tempo di entrare più profondamente nel mistero della Risurrezione del Signore. Cristo è stato offerto come nostra Pasqua, quale vero Agnello di Dio che ha tolto i peccati del mondo. Offrendosi per noi, egli diventò l’unico Sacerdote della Nuova Alleanza, altare e nello stesso tempo Offerta. Risorgendo dai morti, diventa il Signore di tutto, siede alla destra del Padre, ma non cessa di intercedere per noi.

       Quale il senso della Risurrezione di Cristo rispetto al mondo e all’uomo? Cristo ha vinto la morte ed ha aperto le porte della vita eterna, ha ripristinato per noi la perduta figliolanza divina, ha concluso con gli uomini la Nuova Alleanza. Noi non soltanto crediamo in questa realtà, ma vi siamo stati introdotti attraverso il sacramento del Battesimo, siamo stati inseriti nella morte e Risurrezione del Signore, siamo nati di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo.

       Vivere il periodo pasquale significa rendersi conto della nuova realtà, abbandonare il peccato, far morire dentro di sé l’uomo vecchio, crescere nella nuova vita, cercare ciò che è di lassù. Esprimere nella vita la sostanza delle feste pasquali vuol dire morire al peccato e risorgere a vita nuova, vivere secondo gli impegni derivanti dal Battesimo. Partecipando invece in questi giorni di Pasqua all’Eucaristia annunziamo in modo particolare la morte di Gesù e la sua Risurrezione, rendiamo presente il suo mistero pasquale. Per vivere tutto ciò ed esprimerlo nella vita, abbiamo bisogno della forza dal cielo. Il Signore andando via disse che avrebbe inviato lo Spirito, che ci avrebbe insegnato tutto, Spirito di Verità e di Forza. Ecco perché in questi giorni pasquali la Chiesa chiede il dono dello Spirito Santo.

       Colui che ha creduto nella Risurrezione del Signore e vive la sua unione con lui, partecipa agli altri la sua fede, porta ai fratelli la lieta novella della salvezza, diventa un testimone. La comunità che rende testimonianza del Signore risorto dai morti è proprio la Chiesa e perciò nel tempo pasquale si vive particolarmente la realtà della Chiesa, di questa Chiesa che per sua natura è missionaria.

       Leggiamo in questi giorni gli Atti degli Apostoli (liturgia della Messa) e l’Apocalisse (liturgia delle ore): la Chiesa ritorna alle sue origini, si osserva nella luce degli inizi e nello stesso tempo prende coscienza di quello che avverrà e dove si dirige. Viviamo tra gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse, annunziamo al mondo la morte e la Risurrezione del Signore particolarmente in questi giorni.

       Dio di eterna misericordia,

       che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo,

       accresci in noi la grazia che ci hai dato,

       perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza

       del Battesimo che ci ha purificati,

       dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti.

       Missale Romanum, domenica II di Pasqua, Collecta


1. La conversione come frutto della Quaresima

       Per ogni uomo, in effetti, passare attraverso una conversione qualunque ne sia la natura, da uno stato ad un altro, significa la fine di qualcosa: non essere più quel che si era; nonché l’inizio di un’altra: essere ciò che non si era.

       È importante però sapere a chi si muore e per chi si vive poiché vi è una morte che fa vivere e una vita che fa morire. Ora, è solo in questo mondo effimero che si ricerca e l’una e l’altra, di modo che è dalla qualità delle nostre azioni che dipenderà la differenza nelle retribuzioni eterne. Moriamo quindi al diavolo e viviamo per Dio; moriamo all’iniquità per risuscitare alla giustizia; scompaia l’antico stato e si levi il nuovo, e visto che, secondo la parola della Verità, nessuno può servire due padroni (Mt 6,24), prendiamo come padrone non colui che scuote coloro che stanno in piedi per portarli alla rovina, bensì colui che rialza i caduti per condurli alla gloria.

       Il primo uomo, venuto dalla terra, è terrestre - dice l’Apostolo -; il secondo uomo viene invece dal cielo. Quale è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste (1Co 15,47-49). Dobbiamo rallegrarci enormemente di tale cambiamento che ci fa passare dall’oscurità terrestre alla dignità celeste per effetto della ineffabile misericordia di Colui che, per elevarci fino a lui, è disceso fino a noi; infatti non ha preso soltanto la sostanza, ma anche la condizione della natura peccaminosa, e ha consentito che la sua impassibile divinità subisse tutto ciò che, nella sua estrema miseria, sperimenta l’umana mortalità. È per effetto di tale bontà che, temendo che una prolungata tristezza costituisse una tortura per le anime turbate dei discepoli, egli abbreviò meravigliosamente e rese più rapido il lasso predetto dei tre giorni, aggiungendo al secondo giorno intero l’ultima parte del primo e l’inizio del terzo, di modo che cadde qualcosa della durata, senza che il numero dei giorni fosse diminuito. La Risurrezione del Salvatore non ha quindi trattenuto a lungo la sua anima negli inferi, né il suo corpo nella tomba; la vita tornò così presto nella sua carne incorrotta che sembrò più essersi addormentato che non aver cessato di vivere. La divinità, in effetti, che non si era ritirata dalle due componenti dell’uomo assunto, riunisce con la sua potenza ciò che la sua potenza aveva separato.

       Molte prove si sono susseguite, destinate a fondare l’autorità della fede che doveva essere predicata attraverso il mondo: la pietra rotolata, la tomba vuota, le lenzuola piegate da una parte, gli angeli che narrano l’accaduto, fissano con larghezza la verità della Risurrezione del Signore; nondimeno si manifestò e apparve alle donne e più volte agli apostoli (Ac 1,3 Mt 28,9); e non solo si intratteneva con loro, ma indugiava altresì in mezzo ad essi, mangiava in loro compagnia, e si lasciava esaminare da vicino e toccare curiosamente da coloro che riteneva nel dubbio (Lc 24,39). Entrava, infatti, a porte chiuse dai suoi discepoli (Jn 20,19), dava loro lo Spirito Santo soffiando su di essi; illuminando la loro intelligenza, apriva loro i segreti delle Scritture (Lc 24,27); e ancora, mostrava loro la piaga del suo costato, i fori fatti dai chiodi, e tutti i segni della recente passione (Jn 20,27); tutto ciò per far conoscere che le proprietà della natura divina e quelle della natura umana restavano in lui ben separate, e perché imparassimo che il Verbo non è identico alla carne, bensì confessassimo che il Figlio di Dio è ad un tempo Verbo e carne.

       Paolo, l’Apostolo delle genti, non contraddice questa fede, carissimi, quando dice: Anche se abbiamo conosciuto Cristo nella carne, ora non è più così che lo conosciamo (2Co 5,16). La Risurrezione del Signore, infatti, non ha posto fine alla sua carne, ma l’ha trasformata, e la sua sostanza corporea non è stata distrutta dall’accrescimento della sua potenza. Le proprietà sono cambiate, la natura non è passata. Il corpo che era stato crocifisso è divenuto impassibile; è divenuto immortale; è divenuto incorruttibile, mentre aveva potuto essere ucciso. Così, è con ragione che l’Apostolo dice di ignorare la carne di Cristo nello stato in cui era conosciuta, poiché nulla è rimasto in lei di passibile, e niente di infermo; pur restando la stessa nella sua essenza, essa non è più la stessa nella sua gloria. Ma è poi sorprendente che l’Apostolo si esprima così a proposito del corpo di Cristo dal momento che, parlando dei cristiani che vivono secondo lo spirito, egli dice: Perciò non conosciamo più alcuni secondo la carne (), per il fatto - egli afferma - che è cominciata la nostra risurrezione in Cristo, in quanto in Colui che è morto per tutti la forma stessa di ogni speranza ci ha preceduti? Noi, sotto l’effetto del dubbio, non esitiamo; non titubiamo in un’attesa incerta, ma, essendoci stato elargito l’inizio di ciò che ci era stato promesso, noi scorgiamo già con gli occhi della fede ciò che verrà dopo pieni della gioia che procura l’elevazione della nostra natura, attingiamo già ciò che crediamo.

       Non lasciamoci dunque prendere dallo spettacolo delle cose temporali, e i beni della terra non distolgano la nostra contemplazione da quelli del cielo. Teniamo per sorpassato ciò che già non è più se non un niente e lo spirito, legato a ciò che deve rimanere, fissa il suo desiderio là dove ciò che gli si offre è eterno. Anche se in effetti non siamo salvati che nella speranza (Rm 8,24) ed abbiamo tuttora una carne corruttibile e mortale, non si può dire tuttavia con ragione che non siamo più nella carne se le passioni carnali non dormono in noi; ed è a buon diritto che non portiamo più il nome di ciò di cui non seguiamo più il desiderio. Così, quando l’Apostolo dice: Non curatevi della carne per soddisfarne le voglie (Rm 13,14), noi non intendiamo che egli ci interdica l’uso delle cose che si accordano con la salvezza e di cui necessita la debolezza umana. Ma, come non ci si deve piegare a tutte le voglie né soddisfare tutto ciò che desidera la carne, comprendiamo che egli ci avverte di adottare una certa misura di temperanza: a questo corpo, posto sotto la tutela dell’anima, non accordiamo il superfluo, mentre non gli rifiutiamo il necessario. Perciò lo stesso Apostolo dice altrove: Nessuno ha mai avuto in odio la propria carne; al contrario la si nutre e se ne prende buona cura (Ep 5,29). Occorre, in effetti, nutrirla e prenderne cura, non in vista dei vizi né della lussuria, bensì per il servizio che essa deve fornire: così la nostra natura rinnovata si terrà nell’ordine, le sue parti inferiori non prevarranno disordinatamente e vergognosamente su quelle superiori, né le superiori si lasceranno vincere dalle inferiori, di modo che, avendo i vizi ragione dell’anima, non si abbia a trovare altro che schiavitù là dove dovrebbe regnare l’autorità.

       Riconosca dunque il popolo di Dio che è una nuova creatura (2Co 5,17) in Cristo e sia attento a capire chi lo ha adottato e da chi ha ricevuto l’adozione. Ciò che è stato rinnovato non torni all’antica instabilità e non rinunci al proprio lavoro colui che ha messo mano all’aratro (Lc 9,62); guardi bene invece a ciò che semina, e non rivolga lo sguardo a ciò che ha abbandonato (Ph 3,13). Nessuno ricada nei vizi dai quali si è rialzato, ma, anche se poi per la debolezza della carne cederà ancora alle mollezze della carne, desideri senza posa di essere lavato e risanato. Questa è la via della salvezza, questo il modo di imitare la Risurrezione cominciata in Cristo; e dal momento che non potrà evitare di cadere o di inciampare sul cammino ghiacciato della vita, i passi dei marciatori lascino il terreno smosso per la terra ferma, poiché, come sta scritto: Il Signore guida i passi dell’uomo e si compiace del suo incedere. Quando il giusto non rimane a terra, poiché il Signore lo tiene per mano (Ps 36,23-24).

       Questa meditazione, carissimi, non si addice soltanto alla festa di Pasqua, ma dobbiamo farne tesoro per santificare tutta la nostra vita. Gli esercizi odierni debbono tendere a trasformare in abitudine pratiche la cui breve esperienza ha costituito la gioia di anime fedeli, a conservarne la purezza e a distruggere con una pronta penitenza ogni colpa che potrebbe sorprenderci. La guarigione di antiche malattie è difficile e lunga: si applichi perciò tanto più in fretta il rimedio quanto più recenti risultano le ferite, affinché, alzandoci sempre e totalmente da ogni caduta, meritiamo di pervenire in Cristo Gesù nostro Signore a quella incorruttibile risurrezione della carne chiamata alla glorificazione.

       Leone Magno, Sermo 71 [ 58 ]


2. Non più celebrazioni di simboli pasquali, ma della Pasqua

       Noi siamo ormai usciti dal tempo delle figure simboliche e non agiamo più nel loro senso; ma siamo rivolti verso il Signore, che è spirito e dov’è lo spirito c’è libertà (2Co 3,17), come fa risuonar nelle nostre orecchie la tromba sacerdotale. Infatti noi ora non immoliamo un agnello materiale, ma quello vero, il Signore nostro Gesù Cristo, che fu immolato, che venne condotto, come pecora, al macello; che come un agnello stava muto innanzi al macellaio, e ci purificò col suo sangue prezioso, che parla molto più di quello di Abele.

       Ora poi dopo che il nemico tiranno del mondo è stato battuto non partecipiamo più a una festa temporale, ma eterna e celeste; e questo non lo mostriamo in figure, ma lo facciamo veramente. Allora celebravano la festa mangiando la carne d’un agnello irrazionale e allontanavano lo sterminatore ungendo le porte col suo sangue. Ora invece quando mangiamo il Verbo del Padre e tingiamo le labbra dei nostri cuori col sangue del nuovo Testamento, riconosciamo la grazia del Salvatore che dice: Ecco vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e vipere e su ogni potestà del nemico (Lc 10,19). Non regnerà più la morte, alla morte succede la vita, perché il Signore dice: Io sono la vita (Jn 14,6). Tutto ridonda ora di letizia ed esulta, come sta scritto: Il Signore è stato proclamato re, esulti la terra (Ps 96,1). Regnava la morte, quando sedevamo piangendo sulle rive dei fiumi di Babilonia e ci rattristavamo nell’amarezza della schiavitù. Ora distrutta la morte e il regno del nemico, tutte le cose son ricoperte di gioiosa letizia. Né solo in Giudea è noto il Signore ma la sua fama s’è sparsa per tutta la terra e tutto il mondo è pieno della scienza del Signore. È poi chiaro, miei cari, che noi, che partecipiamo a una tal festa, non dobbiamo indossare vesti sporche, ma dobbiamo indossare vesti purissime in questo giorno di festa del Signore nostro Gesù, per poter veramente celebrare con lui la festa. E così certamente ci vestiamo, quando amiamo la virtù e fuggiamo il vizio, quando osserviamo la castità ed evitiamo la lussuria, quando preferiamo la giustizia all’iniquità, quando contenti del solo necessario rafforziamo il nostro spirito, quando non ci dimentichiamo dei poveri, ma apriamo a tutti le nostre porte; quando cerchiamo di umiliare il nostro spirito e detestiamo la superbia.

       Anche Israele un tempo faceva con zelo questo rito, come in figura, e partecipava alla festa; ma queste cose erano, allora, come ombra e rappresentazione. Noi però, miei cari, messa da parte l’ombra e finite le figure, non dobbiamo ritenere questa festa come rappresentativa, né avvicinarci all’altare pasquale, come nella Gerusalemme terrestre, a modo della indeterminata vigilia dei Giudei, perché col passar del tempo non sembri che noi operiamo fuori del tempo; ma sull’esempio degli apostoli dobbiamo tralasciare quelle figure e dobbiamo cantare il canto nuovo. Gli stessi apostoli, infatti, sentendo che quella cosa stava per arrivare ed essendosi fatti già soci della verità, accostandosi al Salvatore dissero: Dove vuoi che ti prepariamo la Pasqua? (Lc 22,9). Certamente quella cosa non la si faceva per la Gerusalemme terrena, né c’era la volontà di celebrar la festa solo lì, ma dovunque piacesse a Dio. Egli infatti voleva che ciò fosse fatto in ogni luogo, che in ogni luogo gli fosse offerto l’incenso e il sacrificio. Una volta, sì, come dice la storia, la Pasqua non poteva esser celebrata in nessun luogo fuori di Gerusalemme; ma dopo, passate le cose temporanee, finito il tempo delle figure, poiché la predicazione del Vangelo doveva diffondersi dappertutto, anche questa festa doveva essere preparata dai discepoli dappertutto; perciò chiedono al Salvatore: Dove vuoi che si prepari? E lo stesso Salvatore, passando dalla figura allo spirituale, promise loro che, d’allora in poi, non avrebbero più mangiato la carne dell’agnello, ma di se stesso, dicendo: Prendete, mangiate e bevete; questo è il mio corpo e il mio sangue.

       Atanasio, Epist. Paschalis I, nn. 292-294


3. Il peccato, la morte e la risurrezione

       Celebriamo questa grandissima e gloriosa festa della Risurrezione del Signore, celebriamola con gioia e con pietà; è risorto il Signore e ha risvegliato tutta la terra. Peccò Adamo e morì; non peccò il Cristo e morì. Questo è un fatto nuovo e sorprendente; quello peccò e morì, questo non peccò e morì: che significa questo? Colui che non peccò è morto, ma per liberare dalle catene della morte l’altro ch’era morto, perché aveva peccato. Questo avviene anche nel campo del danaro. Capita spesso che qualcuno, non potendo pagare un debito, sia messo in prigione; allora un altro, che non è debitore, ma ha il danaro per pagare il debito, lo libera. Così avvenne nel caso di Adamo. Adamo era debitore, era tenuto in carcere dal diavolo ma non aveva la moneta da versare. Cristo non era debitore di nulla e non stava in catene ma poteva pagare; venne, diede la sua vita per colui ch’era tenuto in carcere dal diavolo, per liberarlo.

       Vedi gli effetti meravigliosi della risurrezione? Noi eravamo morti per una doppia morte; avevamo bisogno di una doppia risurrezione; Cristo morì per una sola morte e risuscitò da una sola morte. Che cosa vuol dire tutto questo? Adamo morì nel corpo e nell’anima, cioè per il peccato e nella natura. In qualunque giorno mangerete del frutto dell’albero morirete (Gn 2,17). Non morì nello stesso giorno quanto alla natura, morì per il peccato; la morte per il peccato è la morte dell’anima, la morte naturale è quella del corpo. Ma se dico morte dell’anima, non pensare che l’anima muoia; l’anima è immortale. La morte dell’anima è il peccato e la condanna eterna; perciò Cristo dice: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può mandar nella perdizione l’anima e il corpo (Mt 10,28). Abbiamo una duplice morte e abbiamo bisogno di una duplice risurrezione. In Cristo ci fu una sola morte, perché Cristo non peccò; ma anche quella sola morte la subì per noi. Lui non doveva riscattar nessuna morte sua, perché non era reo di nessun peccato; perciò con una sola risurrezione risorse dalla sola sua morte naturale. Ma noi che siam morti con una doppia morte, abbiamo bisogno di una doppia risurrezione; da una di quelle siamo già risorti: intendo da quella del peccato, perché siamo stati seppelliti con lui nel Battesimo e attraverso il Battesimo siamo risorti con lui.

       Questa risurrezione è liberazione dal peccato, l’altra è risurrezione del corpo; abbiamo già quella che è più grande, aspetta ora quella che è più piccola; è cosa molto più grande, infatti, essere liberato dai peccati, che vedere un corpo risorto. Il corpo cadde, perché peccò; e se il peccato è la ragione della caduta, la liberazione dal peccato sarà il principio della risurrezione. Siamo risorti con la risurrezione più grande, liberandoci dalla morte del peccato e gettando via il vecchio vestito; possiamo sperare, quindi, di ottenere la risurrezione minore. Risorgemmo con la risurrezione dal peccato, quando fummo battezzati e questi che ieri sera furon privilegiati col battesimo, questi sono agnelli speciali.

       L’altro ieri, Cristo fu crocifisso, ma la notte scorsa risuscitò; anche questi l’altro ieri erano ancora schiavi del peccato, ma risorsero con Cristo; lui era morto col corpo e risuscitò col corpo questi erano morti per il peccato e, liberati dal peccato, son risorti. La terra in questo tempo di primavera ci produce rose, viole e altri fiori; le acque ci hanno offerto un prato ancora più delizioso della terra. Non ti meravigliare che dei fiori nascono dalle acque; non è che la terra li produca per natura sua, li produce per comando di Dio: al principio delle cose le acque produssero anche gli animali dotati di movimento. Producano le acque anime viventi (Gn 1,20); e l’opera comandata venne fuori, e quella sostanza, che non aveva anima, produsse esseri animati. Così ora producano le acque non rettili viventi, ma doni spirituali. Allora le acque produssero pesci muti, senza intelligenza; ora hanno prodotto pesci intelligenti e spirituali, che sono stati pescati dagli Apostoli. Venite, vi farò pescatori d’uomini (Mt 4,19); questa è la pesca di cui parlavo: nuovo modo di pescare: coloro che pescano tirano fuori dall’acqua, noi gettiamo i peccatori nelle acque del battesimo e così peschiamo...

       Vedi la grandezza del dono? Ma, mio caro uomo, conserva adesso la grandezza di questo dono. Non puoi vivere con indifferenza. Scriviti la legge bene in mente. Questa vita è una lotta; chi combatte sul campo, si guarda bene da tutto ciò che gl’impedisce di vincere.

       Crisostomo Giovanni, De resurrect. D.N. Jesu Christi, 3-5


4. Nicodemo: nascere un’altra volta

       Poiché dunque Nicodemo era ancora trattenuto nell’ignoranza dei Giudei, giustamente è detto che venne di notte a trovare il Signore. E che Nicodemo fosse allora nella notte dell’ignoranza, il testo stesso lo mette in chiaro. Egli dice infatti al Signore: Sappiamo che tu sei venuto come maestro da parte di Dio; poiché nessuno, se Dio non è con lui, può operare quei prodigi che tu fai. Nicodemo considerò come un maestro qualsiasi chi era l’autore della dottrina celeste; ammirava in lui dei segni prodigiosi, mentre da quelli avrebbe dovuto riconoscere la maestà del Signore, poiché solo Dio poteva operare tanti e tanto grandi prodigi. Ma sebbene Nicodemo fosse venuto di notte a trovare il Signore, non se ne andò tuttavia senza la grazia della luce, perché era venuto a trovare Dio che è la vera luce.

       Per spandere dunque nel suo cuore la luce della nuova nascita, il Signore gli disse: È necessario nascere una seconda volta (Jn 3,3). Ma poiché Nicodemo non aveva potuto conoscere ancora pienamente la grazia di una nascita tanto grande, rispose: Come potrà accadere ciò? Può forse un uomo, da vecchio, entrare nel seno di sua madre e così nascere un’altra volta? (Jn 3,4). Allora Gesù gli disse chiaramente: Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è generato da carne è carne e ciò che è generato dallo Spirito è spirito (Jn 3,5-6). Dicendo ciò il Signore mostra chiaramente a Nicodemo che ci sono due nascite: una terrena, l’altra celeste una secondo la carne, l’altra secondo lo Spirito. Ma mostra che la nascita dallo Spirito è ben superiore a quella della carne con queste parole: Ciò che è generato da carne è carne e ciò che è generato dallo Spirito è spirito.

       Carnale è dunque la nascita da un uomo, spirituale la nascita da Dio; l’una viene dall’uomo, l’altra da Dio; l’una fa nascere l’uomo al mondo, l’altra lo genera a Dio. L’una consegna il generato alla terra, l’altra lo destina al cielo. Con l’una si entra in possesso della vita temporanea, con l’altra si possiede la vita eterna. L’una infine rende figli degli uomini, l’altra figli di Dio. Infatti la nascita spirituale si compie in modo del tutto invisibile; come l’altra visibilmente. Chi è battezzato si vede certo venir immerso nel fonte, si vede risalire nell’acqua, ma ciò che si effettua in quel lavacro non si vede: solo l’assemblea dei fedeli comprende spiritualmente che uno scende peccatore nel fonte e ne risale mondo da ogni peccato. Beata dunque e veramente celeste questa nascita che da figli di uomini rende figli di Dio! Nicodemo ne ignorava ancora il mistero e perciò disse al Signore: Può forse un uomo, da vecchio, entrare nel seno di sua madre e così nascere un’altra volta? Nicodemo era ancora carnale e perciò parlava secondo la carne. Ma il Signore, per portare la sua mentalità carnale all’intelligenza spirituale e mostrargli così di quale nascita ognuno deve rinascere, disse: Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli. Infatti questa nascita spirituale trasforma da vecchi in fanciulli. Quanti sono stati rigenerati dal battesimo rinascono nell’innocenza, dopo essersi spogliati del vecchio errore e della malizia del peccato. Ed è il seno spirituale della Chiesa che concepisce e dà alla luce i figli di Dio.

       Poiché dunque, o candidati al battesimo, figli miei, state per rinascere nell’innocenza per mezzo della grazia di Dio, dopo aver deposto ogni peccaminosa vetustà, dovete conservare intatta e senza macchia la grazia della vostra nascita, per poter essere chiamati ad essere veramente i figli di Dio e per poter essere trovati degni di entrare nel regno dei cieli...

       Questa nascita infatti rende degni del regno celeste, secondo la parola del Signore come avete, o carissimi, appena udito: Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli. E aggiunge: Ciò che è generato da carne è carne, perché è nato dalla carne; ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito [perché Dio è spirito]. E come mai certi eretici hanno osato negare che lo Spirito Santo è Dio, pur vedendo che il Figlio di Dio proclama apertamente che lo Spirito Santo è Dio? La nostra nascita spirituale dunque non ha luogo senza lo Spirito Santo e giustamente perché, come la nostra prima creazione fu opera della Trinità, così la nostra seconda creazione è opera della Trinità. Il Padre infatti non fa niente senza il Figlio e senza lo Spirito Santo, perché l’opera del Padre è anche del Figlio e l’opera del Figlio è anche dello Spirito Santo. Non c’è che una sola e medesima grazia della Trinità. Ora siamo dunque salvati dalla Trinità, perché in origine siamo stati creati solo dalla Trinità. Unica è l’opera della Trinità nella creazione dell’uomo; unica fu già l’offesa alla Trinità quando l’uomo andò in rovina.

       Cromazio di Aquileia, Sermo 18, 1-4


5. La pietra del sepolcro

       La sera, disse, del sabato, all’alba del primo giorno della settimana (Mt 28,1).

       La sera del sabato, questo ignora il giorno del mondo, questo non possiede l’abitudine del mondo. Ha termine la sera, non inizia il giorno, il vespero si oscura, non dà luce, non tende all’aurora, perché ignora il sorgere della luce. [Il vespero] La sera, madre della notte, dà alla luce il giorno; cambia l’ordine, mentre ne conosce l’autore; fa scomparire il mistero sulla novità, aspira a servire il Creatore, non il tempo.

       La sera, disse, del sabato, all’alba del primo giorno della settimana, venne(ro) Maria Maddalena e l’altra Maria a vedere il sepolcro.

       Tardi la donna accorse al sepolcro, lei con fretta incorse nella colpa.

       Di sera cerca il Cristo, colei che si conosceva di essersi perduta nelle ore mattutine di Adamo.

       Venne(ro) Maria e l’altra Maria a vedere il sepolcro. Colei che si era assunta la malizia dal paradiso, si affretta a ricevere la fede dal sepolcro; si sforza di rapire la vita dalla morte, quella che aveva rapito la morte alla vita.

       Venne Maria. Questo nome è della madre del Cristo, venne dunque la madre nel nome, (ma) venne una donna, affinché diventasse madre dei viventi colei che si era fatta madre dei morenti affinché si compisse ciò che fu scritto: Questa è la madre di tutti i viventi (Gn 3). Venne Maria e l’altra Maria.

       Venne essa stessa ma l’altra, l’altra ma essa stessa, affinché la donna si mutasse con la vita, non col nome; con la virtù non col sesso; affinché si facesse annunziatrice della risurrezione, colei che le era stata e della caduta e della rovina.

       Venne Maria a vedere il sepolcro.

       Affinché la vista del sepolcro salvasse colei che il frutto dell’albero aveva rovinato; e la visione della salvezza rapisse colei che l’allettante vista del male aveva abbattuto.

       Ecco, disse, avvenne un grande terremoto, l’angelo del Signore, infatti, discese dal cielo. Tremò la terra, non perché l’angelo del Signore discese dal Cielo, ma perché il Signore ascese dagli inferi. Ed ecco, avvenne un grande terremoto.

       Si agita il caos, si squarciano gli abissi della terra, si scuote la terra, tremano le moli dei monti, si squassano le fondamenta dell’universo, si dilania il tartaro, si spostano gli inferi: la morte, la quale, rivolta verso i colpevoli, incorre nel giudice, dominata dai servi si rivolta contro il Signore, e infierendo contro gli uomini si slancia verso Dio. A buon diritto, quindi, è scomparsa la legge dell’inferno, i diritti di esso sono stati allontanati, tolto è stato il potere della morte, e rivolse i morti contro la pena della temerità con l’ingiuria del conoscitore: finalmente i corpi sono stati restituiti, l’uomo è riabilitato, la vita riparata, ed ogni cosa è composta di perdono, perché la sentenza passò subito sull’autore della vita.

       Ecco un grande terremoto avvenne.

       Ora un grande terremoto: Oh, se allora perfino un debole turbine avesse respinto l’albero, apportatore di morte! Oh, se la caligine della nebbia avesse oscurato l’aspetto di quella donna! Oh, se la tetra nube avesse oscurato la specie del pomo fatale! Oh, se, senza retrocedere, toccando le mani avesse tremato! Oh, se la notte ingiusta avesse oscurato il giorno del peccato, e i pianti del mondo, e l’ampiezza della morte, e avesse allora tolto l’offesa al Creatore!

       Ma le adulazioni sono servite sempre ai vizi, le dolcezze sono favorite dai delitti, ma le cose austere e forti sono amiche delle virtù.

       L’angelo, infatti, del Signore discese dal cielo. Risorto il Cristo, con la disfatta della morte, la divina relazione viene restituita ai mortali; e alla donna, cui era stato letale il consiglio del demonio, divenne vitale il colloquio con l’angelo.

       L’angelo del Signore, infatti, discese dal cielo, e rovesciò la pietra. Non disse rotolò, ma rovesciò la pietra, la quale, rimossa, fu prova della morte, e, rotolata, asserì l’avvenimento della risurrezione.

       Beata pietra che meritò e di velare e di svelare il Cristo; beato colui che non apre meno i cuori del sepolcro; beato colui che presta fede alla risurrezione, ed alla risurrezione della fede che attesta che il divin corpo è risorto.

       In questo avvenimento si cambia l’ordine delle cose: qui il sepolcro divora la morte, non il morto [racchiuso], la dimora della morte diventa la dimora della vita: all’uno ed all’altro un modo nuovo concepisce il morto e genera il vivo.

       Pietro Crisologo, Sermo 74, De Resurrectione Christi


6. Croce e risurrezione son figure della vita cristiana

       Tutto ciò che è avvenuto sulla croce di Cristo, nella sepoltura, nella risurrezione il terzo giorno, nell’ascensione al cielo, nel trono alla destra del Padre, sta a raffigurare la vita cristiana, non solo con le parole ma anche con le azioni. Infatti in riguardo a quella croce è detto: Coloro che son di Gesù Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e concupiscenze (Ga 5,24). Per la sua sepoltura: Siamo stati consepolti con Cristo attraverso il Battesimo per la morte. Per la sua risurrezione: Come Cristo risorse dai morti per la gloria del Padre, anche noi comminiamo in novità di vita. Per l’ascensione al cielo e il trono alla destra del Padre: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose del cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre gustate le cose del cielo non quelle della terra: siete morti, infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.

       Agostino, De spe, fide, caritate, 14, 53


7. «Il Signore è risorto!»

       Il re, Cristo, aveva a guardia un esercito. All’esterno del sepolcro, dei soldati; all’interno, era la battaglia di Cristo contro la Morte, dove l’uno si impadroniva del potere, dove l’altra era decaduta dal proprio; dove l’uno si impadroniva degli schiavi dell’Inferno, dove l’altra urlava ai suoi sottoposti: «Gridiamo: Il Signore è risuscitato!»...

       - Ora, la notte è passata; sì, è realmente passata -, e ciò che tu hai detto poc’anzi è vero, amico mio: il morto di poco fa è ora luminoso. È questi che dall’interno ha rovesciato la pietra, è lui che ci ha spaventati con le sue parole; poiché egli è terrificante. Egli porta la luce, diffonde la luce, è luce. Senza dubbio è un figlio della luce, e della luce è servitore, [come ce lo provano] le parole che ha gridato alle donne: «Il Signore è risorto!».

       Ecco la loro fossa, e la nostra ricompensa; la vergogna degli empi, nostro titolo di gloria; la piaga che è in loro, la vita che è per noi: si è che il Signore è veramente risorto. Le guardie del sepolcro han sì potuto ricevere dei soldi per tacere, le pietre lo grideranno più forte: «Pietra staccata senza ausilio di mani nella montagna, che si leva dalla tomba come un tempo dal seno materno, il Signore è risorto!».

       Tu, Signore, dal seno sei venuto senza il seme, lasciando alla Vergine i segni della verginità, come oggi hai distrutto attraverso la tomba l’impero della tomba. Abbandonato alla tomba il lenzuolo di Giuseppe, hai ripreso alla tomba quello di colui che aveva generato Giuseppe: Adamo è venuto al tuo seguito; Eva ha camminato sui tuoi passi. Di Maria, Eva è la serva; tutta la terra ti adora, cantando l’inno di vittoria: «Il Signore è risorto!»

       Romano il Melode, Carmen 41, 13.18-20





Lezionario "I Padri vivi" 28