Lezionario "I Padri vivi" 41

SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

41 (Venerdì della terza settimana dopo Pentecoste)

       La devozione al Cuore di Gesù risale al Medioevo: i mistici dei secoli XI e XII incoraggiano i fedeli alla meditazione della Passione del Signore, alla venerazione delle ferite di Cristo e del Cuore trafitto dalla lancia del soldato.

       Si sviluppa particolarmente in Francia ed in Germania, specialmente in alcuni monasteri. I missionari gesuiti portano il culto in America: in Brasile, nell’anno 1585, sorge la prima chiesa dedicata al Cuore di Gesù. Il culto al Cuore di Gesù resta comunque una devozione privata.

       San Giovanni Eudes per primo, avendo ricevuto il permesso dal vescovo di Rennes, introduce la festa del Cuore di Gesù in tutte le case della sua Congregazione nell’anno 1670; la festa viene celebrata il 31 agosto. Le altre diocesi di Francia, alcune d’Italia e di Germania seguono l’esempio del vescovo di Rennes.

       Le rivelazioni di santa Maria Margherita Alacoque (+1690) influiscono maggiormente sulla diffusione della festa. Nonostante le numerose richieste indirizzate alla Sede Apostolica, Roma esita a lungo. Dopo la rinnovata richiesta dei vescovi polacchi, Clemente XIII, nel 1765, dà il permesso di celebrare la festa del Cuore di Gesù il venerdì dopo l’ottava del Corpus Christi e così essa entra nel ciclo delle feste cristiane. Pio IX, nel 1856, estende la festa su tutta la Chiesa; Leone XIII, consacra al Cuore di Gesù tutto il genere umano, Pio X, raccomanda di farlo ogni anno. Nel popolo cristiano si è comunemente diffusa la pratica della Comunione nei primi nove venerdì del mese.

       Il Cuore di Gesù, trafitto dalla lancia del soldato, rimane per sempre il simbolo del grande ed inconcepibile amore di Dio verso l’uomo. Dio è amore. Lui ci ha amati per primo ed ha mandato il suo Figlio per salvarci. Non c’è amore più grande che dare la propria vita per qualcuno - disse il Signore - ed ha messo in pratica infatti queste parole. Dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa. Dal costato trafitto di Cristo scorre sangue ed acqua, simbolo dei due Sacramenti: Battesimo ed Eucaristia.

       La chiave di lettura di tutta la storia della salvezza e della redenzione compiuta da Cristo è l’amore. Rendendo oggi il culto al Cuore di Gesù, ci rendiamo più che mai conto che «l’amore non è amato». Perciò dobbiamo desiderare che i nostri cuori siano infiammati dal fuoco dell’amore di Dio, e vedendo quanti rimangono indifferenti alla chiamata del Signore, dobbiamo riparare alla loro mancanza di amore.

       Vieni in nostro aiuto, Signore,

       perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità,

       che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

       Missale Romanum, Domenica V di Quaresima Ccllecta


1. Rifocillarsi alla Fonte della vita

       Dateci ascolto, fratelli carissimi, come se doveste sentire qualcosa di necessario e rifocillate, senza stancarvene, la vostra sete alle acque di quella divina fonte, di cui vogliamo parlare; bevete; è la Fonte viva che c’invita; è la Fonte della vita che ci dice: Se uno ha sete, venga da me, e beva (
Jn 7,37). Rendetevi conto di ciò che bevete. Sentite Geremia che fa dire alla Fonte: Hanno abbandonato me, Fonte di acqua viva, dice il Signore (Jr 2,13). Il Signore nostro Gesù Cristo in persona è, dunque, la Fonte della vita e ci invita, perché lo beviamo. Lo beve, chi lo ama; lo beve, chi si sazia della parola di Dio, chi ama molto, molto desidera; beve, chi arde d’amore per la sapienza. Corriamo a bere noi, dunque, pagani, ciò che hanno lasciato gli Ebrei. Per noi anche è stato scritto: «Apriamo le mandibole del nostro uomo interiore per mangiar con appetito e, per non esser visti, mangiamo svelti e in luogo nascosto». Per mangiare il pane, per bere alla fonte, che è lo stesso Signore Gesù Cristo, il quale ci dà a mangiare se stesso pane vivo, che dà la vita al mondo (Jn 6,33) e si fa fonte con le parole: Se uno ha sete, venga da me e beva (Jn 7,37). E di questa fonte anche il profeta dice: Presso di te è la fonte della vita (Ps 35,10).

       Vedete da dove viene questa fonte. Viene dallo stesso luogo da dove viene il pane; perché la stessa persona è Pane e Fonte il Figlio unico, il Signor nostro Cristo Dio, del quale dobbiamo aver sempre fame; anche se lo mangiamo col nostro amore, anche se lo divoriamo col nostro desiderio, cerchiamolo ancora come affamati. E beviamolo sempre come una sorgente, con la sovrabbondanza del nostro amore; beviamolo sempre con pienezza di desiderio e godiamoci la soavità della sua dolcezza. È dolce e soave il Signore: anche se lo mangiamo e beviamo, cerchiamolo con fame e sete, perché il nostro cibo e la nostra bevanda non può mai essere totalmente mangiato o bevuto. Lui, anche se è mangiato, non è mai consumato, anche se è bevuto, non viene mai esaurito, perché il nostro Pane è eterno, la nostra Fonte è perenne, la nostra Fonte è dolce, perché il profeta dice: Voi che avete sete, andate alla Fonte (Is 55,2): egli è la Fonte di chi ha sete, non di chi è sazio; e perciò chiama a sé gli assetati; coloro che non si saziano mai di bere, coloro che quanto più berranno, tanto più avranno sete. Giustamente, fratelli, la Fonte della Sapienza, il Verbo di Dio (Si 1,5) dev’essere desiderato, cercato, amato, perché sono in esso tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) ai quali egli invita, perché vi attingano, tutti coloro che hanno sete. Se hai sete, bevi alla Fonte della vita; se hai fame, mangia il Pane della vita. Beati quelli che hanno fame di questo Pane e hanno sete di questa Fonte; quanto più mangeranno e berranno, tanto più vorranno bere e mangiare. È dolce davvero ciò che si mangia e beve sempre, e se ne ha sempre fame e sete, lo si gusta e lo si vuole sempre. Perciò il re profeta dice: Gustate e vedete quanto è dolce, quanto è soave il Signore (Ps 33,9). Perciò, fratelli, diamo ascolto a questa chiamata; è la Vita, che ci chiama alla Fonte della vita, ed egli è la Fonte, non solo dell’acqua viva, ma è anche Fonte di vita eterna, Fonte di luce, e Fonte d’ogni lume; di là vengono tutte queste cose: la sapienza, la vita, la luce eterna. L’autore della vita è Fonte di vita, creatore della luce, Fonte di lume. Perciò, trascurando tutte queste cose terrene, portiamoci al di sopra dei cieli, perché, come pesci ragionevoli e sapientissimi, cerchiamo la Sorgente della luce, Sorgente di vita, Sorgente d’acqua viva, perché possiamo bere l’acqua viva, che zampilla in vita eterna (Jn 4,14).

       Oh, se ti degnassi, Signore, Dio di misericordia, di mettermi vicino a quella Sorgente, perché anch’io, con tutti i tuoi assetati, possa bervi l’acqua viva della Fonte viva! Son certo che, tutto preso dalla dolcezza di quell’acqua, vi starei sempre attaccato e direi: Quanto è dolce la Sorgente dell’acqua viva, non vien mai meno e zampilla in vita eterna! O Signore, sei tu stesso questa Sorgente, sempre desiderata, sempre bevuta e mai esaurita. Dacci sempre, Signore Gesù Cristo, che anche in noi scaturisca una sorgente d’acqua viva, che zampilli nella vita eterna. Chiedo tanto, chi non lo comprende? Ma tu, Re di gloria, sei avvezzo ai grandi doni e alle grandi promesse: non c’è niente più grande di te, e tu ci hai donato te stesso, hai dato te stesso per noi. Perciò noi ti chiediamo di darci te stesso: tu sei il nostro tutto: vita, luce, salvezza, cibo, bevanda, il nostro Dio. Ispira i nostri cuori, Signore Gesù, con l’aura del tuo Spirito e trafiggi i nostri cuori col tuo amore, perché possiamo dire con verità: Dimmi dov’è il mio diletto (Ct 1,6), perché l’amore m’ha ferito. Beata l’anima ferita dall’amorel Quella, sì, cerca la Sorgente, quella, sì, beve, e ha sempre sete, si ciba e ha sempre fame; ama e cerca sempre, sta bene quand’è ferita. E si degni il nostro pio medico, il Signore Gesù Cristo trafiggere i nostri cuori con tale ferita; lui che con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.

       Colombano il Giovane, Instructio 13


2. Le piaghe del Salvatore, luogo della nostra pace

       E veramente, dove puoi trovare una pace sicura e solida se non nelle piaghe del Salvatore? Tanto più sicuro mi sento là dentro, quanto più forte è lui per salvarmi. Freme il mondo, urge il corpo, insidia il diavolo; sto saldo, son fondato sopra una pietra ben solida. Ho peccato tanto; la mia coscienza n’è turbata, ma non disperata, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore. Infatti lui è stato piagato per le nostre ferite (Is 53,5). Che cosa può essere così mortale, che non possa essere disciolto con la morte di Cristo? Se, dunque, ti ricorderai di una così potente ed efficace medicina, non ci sarà alcuna gravità di malattia che possa spaventarti.

       Sbagliò allora colui che disse: Il mio peccato è troppo grande, perché possa sperare perdono (Gn 4,13). Disse così perché non apparteneva alle membra di Cristo, non faceva conto sul merito di Cristo al punto da ritenere suo ciò che è di Cristo. Io invece, fiduciosamente, ciò che mi manca lo vado a prendere dalle viscere del Signore, che son piene di misericordia, e non vi mancan dei fori, perché ne venga fuori. Traforarono le sue mani e i suoi piedi, trapassarono il suo fianco con la lancia e attraverso queste fessure posso succhiare miele dalla pietra e olio dal più duro dei sassi, cioè, posso gustare e vedere quant’è soave il Signore. Nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi, infatti, conosceva l’indole di Dio, o chi gli ha mai suggerito qualche cosa? (Jr 29,11). I chiodi mi son diventati chiavi per scoprire la volontà di Dio. Perché non dovrei guardare attraverso quei fori? I chiodi, le piaghe protestano che veramente, in Cristo, Dio si rappacifica col mondo. La spada gli trapassò l’anima e raggiunse il suo cuore (Ps 104,18) certo non perché non imparasse a compatire le mie debolezze. Si vede il mistero del cuore, attraverso i fori del corpo, si scopre quel gran mistero di pietà, si scoprono le viscere della misericordia del nostro Dio con la quale dalla sua altezza è venuto verso di noi (1Tm 3,16). Perché non dovrebbero vedersi le viscere attraverso le ferite? In che cosa, infatti, si sarebbe visto più chiaramente, se non nelle tue ferite, che tu, Signore, sei soave e mite e pieno di misericordia (Ps 85,5)? Nessuno ha maggiore affetto di chi dà la vita per dei rei e dei condannati.

       Tutto il mio merito è la misericordia del Signore. Non sono affatto privo di meriti, finché lui non è privo di misericordia. Che se la misericordia del Signore è tanta, anche i miei meriti son tanti. E che farò se m’accorgerò d’esser reo di molti delitti? Appunto, quanto più furon numerosi i delitti, tanto più abbondò la grazia (Rm 5,20). E se le misericordie di Dio vanno da una eternità all’altra, anch’io canterò in eterno le misericordie del Signore (Ps 102,17 Ps 88,1).

       Bernardo di Chiarav., In Cant. Cant., 61, 3-5


3. La carità

       Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità (Col 3,14) di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L’altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: «La carità copre la moltitudine dei peccati» (1P 4,8 Jc 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima.

       Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c’è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei più, che saranno visti nel novero del regno di Cristo. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (Is 26,20 Ez 37,12). Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità. È scritto: «Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui peccati sono stati coperti; beato l’uomo del quale il Signore non considererà il peccato, né l’inganno è sulla sua bocca» (Ps 32,1-2 Rm 4,7-8). Questa beatitudine è per quelli scelti da Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

       Clemente Romano, Ad Corinth., 49 s.


4. Invocazione a Dio buono

       T’invoco, Dio mio, misericordia mia (Ps 58,18), che mi hai creato e non hai dimenticato chi ti ha dimenticato. T’invoco nella mia anima, che prepari a riceverti col desiderio che le hai ispirato. Non trascurare ora la mia invocazione. Tu mi hai prevenuto (Ps 58,11) prima che t’invocassi, insistendo con appelli crescenti e multiformi affinché ti ascoltassi da lontano e mi volgessi indietro chiamando te che mi richiamavi. Tu, Signore, cancellasti tutte le mie azioni cattive e colpevoli per non dover punire l’opera delle mie mani (Ps 17,21), con cui ti ho fuggito; prevenisti tutti i miei meriti buoni per retribuire l’opera delle tue mani, con cui mi hai foggiato (Ps 118,73). Tu esistevi prima che io esistessi, mentre io non esistevo così da offrirmi il dono dell’esistenza. Eccomi invece esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere. Tu non avevi bisogno di me, né io sono un bene che ti possa giovare, Signore mio e Dio mio (Jn 20,28). Il mio servizio non ti risparmia fatiche nell’azione, la privazione del mio ossequio non menoma la tua potenza, il mio culto per te non equivale alla coltura per la terra, così che saresti incolto senza il mio culto. Io ti devo servizio e culto per avere da te la felicità, poiché da te dipende la mia felicità.

       La tua creatura ebbe l’esistenza dalla pienezza della tua bontà.

       Agostino, Confess., 13, 1


5. Conformarci al valore di colui di cui siamo consanguinei

       Bisogna uniformare la volontà con colui col quale si ha in comune il sangue. Non si può essere un po’ discordi, un po’ concordi; un giorno amarsi e un giorno farsi guerra; essere figli e meritarsi rimproveri; esser membra, ma morte, per le quali non fa più senso essere nato e cresciuto come un tralcio, se poi non sei rimasto attaccato alla vite. Il tralcio staccato finisce, a ogni modo, per essere gettato al fuoco.

       Perciò colui che ha stabilito di vivere secondo Cristo, bisogna che si conformi al cuore e alla volontà di Cristo e ne dipenda, è di là che deriviamo la nostra vita. Ma certamente non sono legati a Cristo coloro che non vogliono ciò che Cristo vuole, o vogliono ciò che Cristo non vuole; bisogna perciò che, per quanto ci è possibile, ci si accomodi, ci si eserciti e ci si formi secondo la volontà di Cristo, si desideri ciò che lui desidera e si goda delle sue stesse cose. Infatti non possono nascere da uno stesso cuore desideri contrastanti. Un malvagio non può cavar dal suo cuore altro che male e il buono non ne cava altro che bene. E come i primi fedeli in Palestina avevano, per l’unione delle loro volontà, un cuor solo e un’anima sola (Ac 4,32), così, se uno non è unito con Cristo in modo da formare una sola mente con lui, ma cammina anzi per una via diversa dai suoi precetti, egli non dirige più il suo cuore nella stessa direzione di Cristo ed è chiaro che è legato a un altro cuore, non a quello di Cristo. David, infatti, fu trovato secondo il suo cuore, perché poté dire di sé: Non ho dimenticato la tua legge (Ps 98,16). Son privi di vita, dunque, coloro che non aderiscono a quel cuore, e non aderiscono a quel cuore, coloro che nutrono desideri diversi da quelli che animano quel cuore.

       Nicola Cabasilas, De vita in Christo, 6


6. Un soldato gli aprì il costato con la lancia

       Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all’altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprì il costato con la lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua (Jn 19,32-34). L’evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpì, ferì il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprì, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati quell’acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell’arca (Gn 6,16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare ai diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell’uomo che dormiva (Gn 2,22), e fu chiamata vita e madre dei viventi (Gn 3,20). Indubbiamente era l’annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l’acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c’è di più puro di questo sangue? Che cosa c’è di più salutare di questa ferita?

       Agostino, In Io. Evang., 120, 2


7. La grazia viene di là donde è venuta la colpa

       Al tempo della Passione del Signore, all’approssimarsi del grande sabato, poiché nostro Signore Gesù Cristo o i ladroni erano ancora in vita, alcuni vennero inviati per percuoterli. Al loro arrivo, trovarono che nostro Signore Gesù Cristo era morto. Allora, uno dei soldati gli trafisse il costato con la sua lancia, e dal suo fianco uscì acqua e sangue (Jn 19,31-34). Perché l’acqua? Perché il sangue? L’acqua per purificare, il sangue per riscattare. Perché dal fianco? Perché la grazia viene di là donde è venuta la colpa. La colpa è venuta dalla donna, la grazia da nostro Signore Gesù Cristo (Jn 1,17).

       Ambrogio, De sacramentis, V, 1, 4


8. «O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!»

       Ormai, te solo amo, te solo seguo, te solo cerco, te solo sono pronto a servire, perché solo la tua dominazione è giusta; e io desidero pormi sotto la tua giurisdizione. Ordina, te ne prego, comanda ciò che vuoi; però risana ed apri le mie orecchie, perché io ascolti le tue parole; risana ed apri i miei occhi, perché io scorga i tuoi cenni. Allontana da me l’insipienza, perché io ti riconosca. Dimmi dove dirigere i miei sforzi, perché ti possa vedere, e spero di poter eseguire tutti i tuoi ordini. Accogli, te ne prego, il tuo fuggitivo, o Signore, Padre clementissimo. Bastino le pene subite dalla servitù impostami dai nemici che tu tieni sotto i tuoi piedi; bastino le menzogne che hanno fatto di me il loro giocattolo. Accogli in me il tuo schiavo che fugge lungi da essi; me, lo straniero, essi hanno bene accolto quando fuggivo lontano da te! Sento che devo ritornare a te. Mi si apra la tua porta, alla quale busso! Insegnami come arrivare fino a te. Io non ho altro al di fuori della mia buona volontà; non so nulla al di fuori del disprezzo che merita tutto ciò che è mutevole e caduco, e la necessaria ricerca dell’immutabile e dell’eterno. Questo io faccio, o Padre, perché è la sola cosa che conosco; ma ignoro come si arrivi fino a te. Ispirami, guidami, provvedi alle necessità del mio viaggio. Se è attraverso la fede che ti trovano coloro che si rifugiano presso di te, dammi la fede; se è attraverso la fortezza, dammi la fortezza; se è attraverso la scienza, dammi la scienza. Accresci in me la fede, accresci la speranza, accresci la carità. O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!

       È verso di te che voglio camminare; a te chiedo ancora quei mezzi che mi permettono di pervenirvi. Se tu ci abbandoni, è la morte! Ma tu non ci abbandoni perché sei il Sommo Bene che nessuno ha mai rettamente cercato senza trovarlo. Ognuno infatti lo ha rettamente cercato, se tu rettamente gli hai concesso di cercare. Insegnami dunque, o Padre, a cercarti; liberami dall’errore; a me che ti cerco, null’altro si presenti al di fuori di te. Se nient’altro desidero che te, possa io trovarti, te ne prego, o Padre. Ma se un qualche appetito superfluo permane in me, tu stesso purificami e rendimi capace di vederti.

       Per ciò che attiene la salute di questo corpo mortale, dato che ignoro quale utile trarne per me e per quelli che amo, te ne affido la cura, Padre ottimo e sapientissimo; ti chiederò per lui ciò che a tempo debito vorrai suggerirmi. Voglio solo invocare la tua sovrana clemenza, perché tu mi orienti interamente a te, e che nulla renda vano il mio sforzo verso di te; comanda che, anche con questo corpo da guidare e portare, io pratichi la purezza, il coraggio, la giustizia, la prudenza; che ami e percepisca pienamente la tua sapienza; che mi renda degno della tua dimora, e possa essere di fatto abitatore del tuo beatissimo regno. Amen, amen.

       Agostino, Soliloquia, I, 1, 5 s.




NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

209 (24 giugno)

       Il posto che occupa Giovanni Battista nella storia della salvezza spiega l’antica origine del suo culto in tutta la Chiesa. Sia l’Oriente che l’Occidente, già nel IV secolo conoscono la festa in onore del Precursore di Cristo, e numerose basiliche e templi sono dedicati al suo nome. L’Oriente celebra la commemorazione di Giovanni Battista il 7 gennaio, collegandola con l’Epifania del Signore, che nella liturgia orientale corrisponde al Battesimo di Gesù nel Giordano. L’Occidente, già nei tempi di sant’Agostino, sceglie la data del 24 giugno facendo riferimento al giorno della nascita di Cristo: la nascita di Giovanni ebbe luogo sei mesi prima di quella di Cristo. Il culto di Giovanni Battista si diffonde moltissimo nel V secolo; la festa è preceduta dalla veglia notturna; il giorno stesso della festa, poi come nel Natale, sono celebrate tre Messe. La festa diviene molto popolare, e il popolo ha legato con essa diversi costumi risalenti al paganesimo. In Oriente, sono comparse altre due feste in onore di san Giovanni: la memoria dell’Incarceramento e la memoria della Decollazione. Quest’ultima, attraverso la liturgia gallica entra, nel VI secolo nel calendario romano ed è celebrata il 29 agosto. È il giorno della dedicazione della chiesa di San Giovanni Battista a Sebaste di Samaria, dove i discepoli avrebbero seppellito il corpo del loro Maestro.

       «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni» (
Jn 1,6). Fu santificato già nel seno della madre, poiché doveva svolgere una grande missione nella storia della salvezza. Giovanni prepara il popolo alla venuta dell’atteso Messia, battezza Gesù e lo indica come Agnello che toglie i peccati del mondo. Cristo dirà di lui che tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni Battista.

       Grande per la sua missione, rimane pieno d’umiltà. Dice: «Viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali» (Lc 3,16); «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Jn 3,30).

       Jn nacque prima di Cristo, per primo cominciò ad insegnare al popolo, precederà anche Cristo nel sacrificio della vita. La Chiesa celebra il giorno della «nascita al cielo» dei suoi santi: per Giovanni fa una eccezione. La sua nascita preannuncia e prepara la nascita di Gesù.

       Celebrando la nascita di Giovanni, la Chiesa porge l’orecchio alla voce di Giovanni, che chiama alla conversione e chiede la sua intercessione: affinché la Chiesa sappia sempre riconoscere colui che Giovanni preannunciava; affinché i credenti camminino lungo la via indicata da Giovanni, l’unica via che porta a Colui che il Santo additava.

       Dio onnipotente ed eterno,

       concedi ai nostri cuori quella rettitudine

       nel seguire le tue vie

       che insegnò la «voce che grida» del beato

       Jn Battista.

       Sacramentarium Veronense, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1978, n. 237


1. Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita

       Non temere, Zaccaria, perché è stata esaudita la tua preghiera, e tua moglie Elisabetta darà alla luce un figlio, al quale porrai nome Giovanni. Tu ne avrai gioia, e molti si rallegreranno per la sua nascita (Lc 1,13s).

       I benefici di Dio sono sempre copiosi e traboccanti, non si riducono ad un numero ristretto, ma crescono in un ricco cumulo di doni, come avviene qui: c’è anzitutto l’esaudimento della preghiera, poi il parto di una moglie sterile, indi l’esultanza di molte persone, e l’eccellenza della virtù. C’è anche la promessa di un profeta dell’Altissimo (cf. - Lc 1,76), e, per togliere ogni dubbio, si indica il nome di colui che nascerà. In mezzo a benefici così grandi, che si effondono dal cielo oltre ogni desiderio, non a torto il mutismo del padre fu un castigo della sua incredulità, come spiegheremo oltre. Ma quando nascono i santi, tutti ne godono; un santo, infatti, non è soltanto un onore per i genitori, ma è salvezza per molti. Così, in questo passo, ci si esorta a godere per la natività dei santi.

       Ma anche i genitori sono esortati a ringraziare Dio non meno per la nascita, che per il merito dei loro figlioli, certo, non è piccolo dono quello che Dio fa donando i figli, i quali propagheranno la famiglia, e subentreranno nella successione. Leggi nella Scrittura che Giacobbe gode di aver generato dodici figli (Gn 49,1-28); ad Abramo viene donato un figlio (Gn 21,2), e Zaccaria resta esaudito. La fecondità dei genitori è un dono di Dio. Perciò ringrazino i padri, per aver generato; i figli, per essere stati generati; le madri, per l’onore che ricevono dai frutti del loro matrimonio: i figli, infatti, sono la retribuzione dei loro sacrifici. Fiorisca a nuova primavera la terra, perché è coltivata, il mondo, che così viene conosciuto, la Chiesa, che vede crescere di numero il popolo fedele. E non senza ragione, subito all’inizio della Genesi, il matrimonio è portato a consumazione per comando di Dio (cf. Gn 2,22ss), ciò non ha altro scopo che di annientare l’eresia. Dio, infatti, ha approvato il matrimonio per unire i coniugi, e l’ha premiato con tanta larghezza, che coloro ai quali la sterilità aveva negato i figli, la bontà divina glieli ha concessi.

       E sarà grande davanti al Signore (Lc 1,15). Qui si parla non di statura fisica, ma spirituale. Davanti al Signore c’è una statura dell’anima, una statura della virtù...

       Giovanni, quindi, sarà grande non per il vigore fisico, ma per la grandezza spirituale (Lc 7,28). Del resto, egli non estese i confini di qualche impero, né cercò i trionfi nella gloria di imprese guerresche, bensì, ciò che vale di più, predicando nel deserto calpestò con grande vigore spirituale le comodità umane e la sensualità del corpo (Lc 3,1-18). Egli perciò è piccolo secondo il mondo, ma è grande nello spirito. E come un grande, senza lasciarsi sedurre dalle lusinghe di questa vita, non mutò la fermezza del suo proposito per il desiderio di vivere (Mc 6,17-29).

       E sarà ricolmo di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Lc 1,15).

       Indubbiamente la promessa dell’angelo è stata veritiera su questo punto, poiché san Giovanni, prima di nascere, mostrò di aver ricevuto la grazia dello Spirito quando ancora era racchiuso nell’utero della madre...

       E sarà ricolmo di Spirito Santo; infatti non manca nulla a chi è assistito dallo Spirito della grazia, e chi riceve l’effusione dello Spirito Santo possiede la pienezza di grandi virtù.

       Dice infine: Ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio (Lc 1,16). Non è necessario che io dimostri che san Giovanni ricondusse i cuori di molti. Concordano con questa testimonianza le profezie e il Vangelo - egli infatti è la voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri! (Mt 3,3 Is 40,3) - mentre il suo battesimo, frequentato da moltitudini (Mc 1,5), prova che i progressi fatti dal popolo convertito non furono esigui, perché, credendo a Giovanni, essi credevano a Cristo. Infatti, il banditore di Cristo non predicava se stesso, ma il Cristo.

       Per questa ragione egli andrà innanzi al Signore con lo spirito e la virtù di Elia (Lc 1,17). Giustamente queste due parole sono accostate, poiché lo spirito non è mai disgiunto dalla virtù, né la virtù dallo spirito. Ma forse si dice con lo spirito e la virtù di Elia, perché il santo Elia ebbe una grande virtù e grazia; la virtù di convertire gli animi dall’incredulità alla fede, la virtù di una vita mortificata e paziente, e lo spirito della profezia (cf. 1R 17,3-6). Elia visse nel deserto, Giovanni nel deserto, colui era nutrito dai corvi, questi dai pruni, e, calpestando ogni attrattiva del piacere, scelse per sé la mortificazione e disprezzò l’agiatezza (Mt 3,4). Quegli non cercò i favori del re Acab (cf. 1R 21,17-22), questi disprezzò quelli di Erode (Mc 6,18); quegli divise in due il Giordano, questi lo trasformò in un lavacro apportatore di salvezza; questi si intrattiene col Signore qui in terra (Mt 17,3), quegli appare col Signore nella gloria (Mt 17,10), questi è precursore della prima venuta del Signore, quegli della seconda.

       Ambrogio, Exp. Ev. Luc., 1, 28-36


2. Giovanni Battista, amico dello Sposo

       Molto vicino alla fonte, si ergeva quel nobile cedro - voglio dire Giovanni, cugino e amico dello Sposo (Jn 3,29), precursore, battezzatore e martire del Signore. Così, abbondantemente irrorato, divenne sì grande da non potersene trovare di tanto alti tra i nati di donna (Mt 11,11). Egli era estremamente vicino al Salvatore; infatti, non solo i legami del sangue l’univano a lui e quelli dell’amicizia ne facevano il suo intimo, ma, di più, gli si avvicinava quant’altri mai tra i mortali a causa del suo annuncio glorioso, per la novità della nascita, della sua santità quasi originale, della predicazione tanto simile, del suo potere di battezzare, e infine, della sua coraggiosa passione. Da ultimo, anche se tutto il resto mancasse e se tutti gli oracoli profetici lo passassero sotto silenzio, la sola «grazia» del suo nome che l’angelo aveva indicato prima del suo concepimento (Lc 2,21), sarebbe largamente sufficiente a testimoniare la grazia singolare che Dio li avrebbe comunicato.

       In effetti, per predicare la grazia di Dio, diffusa dalla Piena di grazia, era necessario un uomo pieno di grazia; era anche conveniente che la grazia brillasse in maniera straordinaria in colui che era destinato a segnare il limite tra il tempo della Legge e il tempo della Grazia. Fino a Giovanni, infatti, la Legge e i Profeti hanno profetato (Mt 11,13 Lc 16,16), ed egli fu il primo a rivelare la presenza di Colui del quale la Legge e i Profeti annunciavano la venuta.

       Quindi, è a giusto titolo che la nascita di quel bambino (Lc 1,14), concesso a genitori ormai vecchi e che veniva a predicare al mondo senescente la grazia di una nuova nascita, è a giusto titolo, dicevo, che essa fu allora per molti, come resta del pari oggi, causa di gioia. È parimenti a giusto titolo che la Chiesa solennizza questa nascita, operata in modo mirabile dalla grazia, e di cui la natura non può non meravigliarsi. In quella nascita, infatti, essa si vede accordato in anticipo un pegno sicuro di quell’altra nascita in cui la grazia restaurò la natura. La Chiesa non si dimostra ingrata, né smemorata, essa riconosce fedelmente con quale devozione e quale riconoscenza occorre accogliere il precursore che le ha fatto conoscere il Salvatore in persona.

       Quanto a me, indubbiamente, con la sua nascita, mi apporta una nuova gioia quella lampada fatta per illuminare il mondo (Jn 5,35), poiché è grazie a lei che ho riconosciuto la vera luce che rifulge nelle tenebre, ma che le tenebre non hanno accolto (Jn 1,5). Sì, la nascita di quel bambino mi ha arrecato una gioia ineffabile, poiché essa è per il mondo una sorgente di beni tanto numerosi e grandi: difatti, egli per primo, catechizza la Chiesa, la inizia alla penitenza, la prepara con il battesimo; e così preparata, la rimette a Cristo e la unisce a lui; poi, avendole insegnato a vivere la temperanza, le dona, con l’esempio della sua stessa morte, la forza di andare alla morte con coraggio, e, in tutto questo, prepara al Signore un popolo perfetto (Lc 1,17).

       Guerric d’Igny, Sermo I de Joan., 3 s.


3. Il comportamento di Giovanni

       Quindi, anche Giovanni alle parole di invidia rispose annunziando la vita. Infatti, aggiunge subito: Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete (Jn 1,26). Giovanni non battezza con lo Spirito, ma con l’acqua, poiché, non potendo togliere i peccati, lava con l’acqua i corpi dei battezzati, tuttavia non lava lo spirito col perdono. Perché dunque battezza colui che non rimette i peccati col battesimo, se non perché, fedele alla sua missione di precursore, egli che nascendo aveva prevenuto colui che stava per nascere, prevenga battezzando il Signore che pure si accinge a sua volta a battezzare; e colui che predicando è divenuto precursore di Cristo, battezzando divenga anche suo precursore imitando il sacramento? Egli intanto annunziando il mistero sostiene che il Signore è in mezzo agli uomini e non è conosciuto, poiché il Signore mostrandosi attraverso la carne, è visibile nel corpo ed invisibile nella sua maestà. In merito aggiunge anche: Colui che viene dopo di me fu fatto prima di me (Jn 1,15). Così infatti è detto: fu fatto prima di me, come dire: fu posto prima di me. Dunque viene dopo di me, perché è nato dopo, ma fu fatto prima di me, poiché mi è passato avanti. Ma dicendo queste cose poco più sopra, rivela le cause del fatto che Cristo viene prima, quando aggiunge: perché era prima di me (). Come se dicesse apertamente: anche se è nato dopo [di me] è più grande di me, per il fatto che il tempo della sua nascita non lo limita. Infatti, egli nasce da madre nel tempo, ma è generato dal Padre fuori del tempo.

       Gregorio Magno, Hom., 1, 7, 3


4. Giovanni riconduce al Signore Dio i figli di Israele

       «Sarà ricolmato di Spirito Santo fin dal seno della madre sua». Il popolo dei Giudei non riusciva a vedere affatto il Signore mentre egli compiva «miracoli e prodigi» (Jn 4,48) e curava le loro infermità: Giovanni invece, mentre è ancora nel seno della madre, esulta di gioia e non può trattenersi, al punto che tenta, all’arrivo della madre di Gesù, di uscire dal seno di Elisabetta. Perché ecco - dice Elisabetta - appena è giunto il tuo saluto alle mie orecchie, il fanciullo ha trasalito di gioia nel mio seno (Lc 1,44). Giovanni era ancora nel seno della madre e aveva già ricevuto lo Spirito Santo: lo Spirito Santo infatti non era il principio della sua sostanza e della sua natura.

       La Scrittura aggiunge poi: egli ricondurrà molti figli di Israele al Signore Dio loro. Giovanni ricondurrà «molti»; il Signore non ricondurrà molti, ma tutti: questa è la sua opera, ricondurre tutti a Dio Padre.

       E precederà davanti a Cristo nello spirito e nella potenza di Elia. Non dice: nell’anima di Elia; ma: «nello spirito e nella potenza di Elia». Ci fu in Elia potenza e spirito come in tutti i profeti, e, secondo l’economia dell’incarnazione, potenza e spirito furono nel nostro Signore e Salvatore stesso. A questo proposito si dirà infatti poco dopo a Maria: Lo Spirito Santo verrà in te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra (Lc 1,35). Orbene lo spirito, che era in Elia, venne su Giovanni, e la potenza che aveva abitato in Elia si manifestò anche in lui. Quello fu trasportato in cielo, questi invece è stato il precursore del Signore, ed è morto prima di lui per discendere agli inferi e annunziare il suo avvento.

       Origene, In Luc., 4, 4 s.


5. Perché la Chiesa commemora la nascita del Battista

       Dalla lettura del santo Vangelo abbiamo ascoltato il racconto della prodigiosa nascita del beatissimo Giovanni, araldo e precursore di Cristo. La vostra carità dedichi particolare attenzione all’avvenimento della nascita di un uomo così grande. La Chiesa non celebra il giorno della nascita dei profeti, né dei patriarchi né degli apostoli, celebra solo il Natale di Cristo e di Giovanni. Gli stessi tempi, in cui entrambi nacquero, prefigurano un grande mistero. Giovanni era un grande uomo, ma pur sempre un uomo. Ma era un uomo così grande che solo Dio poteva essere più grande di lui. Colui che viene dopo di me è più grande di me (Mt 3,11). Giovanni disse: È più grande di me. Se è più grande di te, che cosa vuol dire ciò che abbiamo sentito da lui che è più grande di te: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista (Mt 11,11)? Se nessun uomo è più grande di te, chi è colui che è più grande di te? Vuoi saperlo? Ascolta: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Jn 1,1).

       Cristo nasce in questo mondo come uomo, non come Dio. E in che modo Dio Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che è nato fuori del tempo, per mezzo del quale è stato creato il tempo, nasce nel tempo? Come, mi chiedo, il Verbo, per mezzo del quale è stato creato il tempo, nasce nel tempo? Vuoi sapere come? Ascolta il Vangelo: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Jn 1,14). La nascita di Cristo è la nascita della carne, non del Verbo: ma è anche del Verbo, poiché il Verbo si fece carne. Il Verbo è nato ma è nato nella carne, non in sé. In sé, invece, è nato propriamente dal Padre, ma non nel tempo.

       Mirabile è la nascita di Cristo e quella di Giovanni, sebbene vi sia tanta differenza tra loro. Nacque Giovanni e così pure Cristo: un angelo annunziò la nascita di Giovanni, come pure un angelo annunziò quella di Cristo. Si tratta di due grandi prodigi. Il precursore servo sarà generato da una donna sterile sposa di un uomo vecchio, il Signore padrone sarà generato da una vergine senza uomo. Un uomo grande è Giovanni, ma più grande è Cristo in quanto uomo e Dio. Un uomo grande Giovanni che tuttavia doveva umiliarsi per esaltare Dio. E poi ascolta in proposito quello che lui stesso dice: Io non son degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali (Jn 1,27). Se si fosse dichiarato degno, in che modo si sarebbe umiliato? E perciò non si considerò degno. Egli si prostrò totalmente, e si prostrò sotto la roccia. Egli era, infatti, una lucerna (Jn 5,35) e temeva di spegnersi al vento della superbia.

       Differenza di significato tra la nascita e la passione di Cristo e la nascita e la passione di Giovanni. Infine il giorno della nascita e il genere di passione dimostrano che ogni uomo deve essere umiliato per il Cristo e perciò anche Giovanni, e che deve essere esaltato Cristo Dio uomo. Giovanni è nato oggi, quando i giorni cominciano a farsi più corti. Cristo è nato il venticinque di dicembre, quando i giorni cominciano a farsi più lunghi. Giovanni, infatti, muore decapitato, Cristo invece innalzato sulla croce.

       Agostino, Sermo 287, 1-4


6. La verità e l’odio

       La verità ha generato l’odio. Non si è saputo sopportare di buon animo ciò che l’uomo santo di Dio esortava a fare: colui che ad ogni costo voleva la salvezza di quelli che in tal modo esortava. Essi risposero con male parole alle buone parole. Infatti, che cosa egli avrebbe potuto dire se non ciò di cui era pieno? E quelli che cosa avrebbero potuto rispondere se non ciò di cui erano pieni? Egli seminò frumento, ma trovò spine.

       Agostino, Sermo 307, 1





Lezionario "I Padri vivi" 41