Lezionario "I Padri vivi" 150

I DOMENICA DI QUARESIMA

150 Letture:
    
Dt 26,4-10
     Rm 10,8-13
     Lc 4,1-13

1. «Ecco il tempo favorevole, ecco il giorno della salvezza»

       Giusto a proposito è risuonata alle nostre orecchie la lezione tratta dall’insegnamento dell’Apostolo: "Ecco il tempo favorevole, ecco il giorno della salvezza" (2Co 6,2). C’è, infatti, un tempo più favorevole di questo, giorni più adatti alla salvezza dei presenti, in cui è dichiarata guerra ai vizi e si accresce il progresso di tutte le virtù ? In ogni tempo, in verità, o anima cristiana, tu dovresti vigilare contro il nemico della tua salvezza, affinché il tentatore non trovi breccia alcuna aperta alle sue astuzie; ma in questo momento, ti sono necessarie ulteriori precauzioni ed una prudenza più attenta, allorché il tuo avversario, sempre lo stesso, raddoppia i suoi attacchi, per effetto di una gelosia più aggressiva: ora, difatti, gli è tolto quel potere che gli assicurava una dominazione secolare sul mondo intero, gli sono tolte le innumerevoli armi delle sue catture (Mt 12,29 Mc 3,27). Folle di ogni nazione e di ogni lingua rinunciano al più crudele dei pirati; e non vi è più una sola razza umana che non si ribelli alle sue leggi tiranniche, poiché su tutta la faccia della terra milioni di uomini si preparano alla loro rigenerazione in Cristo, si avvicina l’evento della nuova creazione (Ga 6,15), e lo spirito di malizia (Ep 6,12) è espulso da coloro che ne erano posseduti...

       "Se sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pane" (Mt 4,3). L’Onnipotente poteva certo farlo, ed era semplice per ogni creatura, qualunque fosse la sua specie, passare, al comando del suo Creatore, alla specie che gli fosse stata ordinata di assumere; è così infatti che, quando lo volle, egli cambiò l’acqua in vino durante il banchetto di nozze (Jn 2,1-10). Ma era più conveniente all’economia divina della nostra salvezza che il Salvatore vincesse la furberia del più orgoglioso dei nemici non con la potenza della sua divinità, bensì con il ministero della sua umiltà. Alla fine, messo in fuga il diavolo e smascherato il tentatore in tutti i suoi artifici, gli angeli si avvicinarono al Signore e lo servivano: colui che era vero uomo e vero Dio tenne così la sua umanità fuori della minaccia di questioni capziose e manifestò la sua divinità davanti agli omaggi dei suoi santi (Mt 4,11)...

       Alla scuola del nostro Redentore, o carissimi, apprendiamo dunque "che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola cbe esce dalla bocca di Dio" (Lc 4,4), e che al popolo di Dio conviene, qualunque sia il livello di astinenza in cui è posto, auspicare di nutrirsi più della parola di Dio che di cibo materiale. Abbracciamo dunque questo digiuno solenne con una devozione premurosa e una fede vigile, e celebriamolo non con una dieta sterile, quale la dettano spesso e la debolezza del corpo e la malattia dell’avarizia, bensì con una larga generosità; così saremo tra quelli di cui la stessa Verità ebbe a dire: "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati" (Mt 5,6). Facciano le opere di pietà le nostre delizie, riempiamoci di quei cibi che nutrono per l’eternità. Poniamo la nostra gioia nel sollievo dei poveri che sazieranno le nostre elargizioni; rallegriamoci di rivestire coloro di cui copriremo la nudità dei vestiti necessari; facciamo sentire la nostra bontà ai degenti nelle loro malattie, agli infermi nella loro debolezza, agli esuli nelle loro prove, agli orfani nel loro abbandono, alle vedove desolate nella loro tristezza (1Tm 5,5); non v’è alcuno insomma, che aiutandolo, non si sdebiti di una certa parte della beneficenza.

       Nessuna rendita è trascurabile quando il cuore è grande e la misura della nostra misericordia non dipende dai limiti della nostra fortuna. L’opulenza della buona volontà non manca mai di merito, anche se si hanno poche risorse. Le elemosine dei ricchi sono più importanti, e minime quelle dei meno agiati, ma il frutto delle loro opere non differisce se le anima un medesimo amore.

       Leone Magno, Sermo 27 [40], 2-4


2. Le tentazioni nel deserto

       "Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2 Mt 4,1). Conviene ricordare come avvenne che il primo Adamo fu cacciato dal paradiso nel deserto, affinché tu rifletta in qual modo il secondo Adamo dal deserto sia tornato al paradiso.

       Osservate come la condanna sia stata revocata, e i benefici di Dio reintegrati nei loro disegni. Adamo fu plasmato con la terra vergine, Cristo è nato da una vergine; quegli fu fatto ad immagine di Dio, questi è la stessa immagine di Dio; quello fu posto al di sopra di tutti gli animali sprovvisti di ragione, questo è al di sopra di tutti i viventi; per mezzo di una donna venne la perdizione, per mezzo di una vergine viene la sapienza la morte per mezzo di un albero, la vita per la croce.

       L’uno, spoglio delle cose spirituali, si coprì con le foglie di un albero; l’altro, spoglio delle cose del mondo, non ebbe bisogno del rivestimento corporale. Nel deserto Adamo, nel deserto Cristo; questi infatti sapeva dove poter trovare l’uomo condannato per ricondurlo al paradiso, dopo averne cancellato la colpa. Ma, poiché l’uomo non poteva tornare al paradiso coperto delle spoglie di questo mondo, - e non può essere cittadino del cielo se non chi si è spogliato di ogni colpa, - abbandonò il vecchio uomo, e si rivestì del nuovo, di modo che si avesse più un mutamento di persona che di sentenza, poiché non si possono abrogare i decreti divini.

       Colui che nel paradiso, senza guida, smarrì la via assegnatagli, come avrebbe potuto, senza guida, riprendere nel deserto la via smarrita, lì dove le tentazioni sono moltissime, difficile lo sforzo verso la virtù, facile la caduta nell’errore? La virtù è un po’ come le piante dei boschi: quando sono ancora basse salgono da terra verso il cielo; quando la loro età cresce nel tenero fogliame, esposte come sono al pericolo di denti crudeli, possono essere facilmente tagliate e inaridite. Ma quando l’albero si sia stabilito su profonde radici, e si erga con l’altezza dei rami, invano sarebbe attaccato dai morsi delle fiere, dalle braccia dei contadini e dal soffio delle procelle.

       Quale guida dunque egli avrebbe potuto seguire contro tanti adescamenti di questo mondo, contro tanti inganni del diavolo, sapendo che noi dobbiamo lottare prima di tutto «contro la carne e il sangue», poi contro le "potenze, contro i principi del mondo delle tenebre, e contro gli spiriti del male che circolano nell’aria" (Ep 6,11-12)?

       Avrebbe potuto seguire un angelo? Ma l’angelo stesso è caduto; le legioni degli angeli a malapena sono state utili a qualcuno (Mt 26,53 2Re Mt 6,17-18). Sarebbe potuto essere inviato un serafino? Ma un serafino discese sulla terra in mezzo a un popolo che aveva le labbra immonde (Is 6,6-7), e riuscì soltanto a purificare le labbra di un profeta con un carbone ardente. Si dovette cercare un’altra guida, che tutti quanti noi potessimo seguire.

       E chi poteva essere una guida così grande che potesse aiutare tutti, se non colui che è al di sopra di tutti? Chi avrebbe potuto mettersi al di sopra del mondo, se non chi è più grande del mondo? Chi poteva essere una guida così sicura, che potesse condurre nella stessa direzione l’uomo e la donna, il giudeo e il greco, il barbaro e lo scita, il servo e l’uomo libero, se non il solo che è tutto in tutti, cioè il Cristo?...

       Noi dunque non temiamo le tentazioni, ma piuttosto vantiamocene e diciamo: "È nella debolezza che siamo potenti" (2Co 12,10), è allora infatti che viene intrecciata per noi la corona della giustizia (2Tm 4,8). Ma questa corona di cui si parla è quella adatta a Paolo, mentre noi, dato che vi sono diverse corone, dobbiamo sperare di riceverne una qualsiasi. In questo mondo corona è l’alloro, e corona è lo scudo. Ma ecco, a te viene offerta una corona di delizie, perché "una corona di delizie ti farà ombra" (Pr 8,6); e altrove: "Ti circonderà con lo scudo della sua benevolenza" (Ps 5,13 Ps 90,5); infine, il Signore "ha coronato di gloria e onore colui che amava" (Ps 8,6). Dunque, colui che vuol darci la corona permette anche le prove: se sarai tentato, sappi che egli ti sta preparando la corona. Togli i combattimenti dei martiri, hai tolto le corone; togli i loro tormenti, hai tolto i loro trionfi.

       Forse che la tentazione di Giuseppe non è stata la consacrazione della sua virtù (cf. Gn 39,7ss), l’ingiustizia del carcere la corona della sua castità? In qual modo avrebbe potuto ottenere di essere associato in Egitto alla dignità regale, se non fosse stato venduto come schiavo dai suoi fratelli? (Gn 41,43). Egli stesso dimostrò che tutto questo fu voluto da Dio per mettere alla prova il giusto, dicendo: "in modo da far sì che oggi molta gente si salvasse" (Gn 50,20). Non dobbiamo quindi temere come fossero sciagure le prove del mondo, grazie alle quali si preparano per noi le buone ricompense; piuttosto, tenendo conto della condizione umana, dobbiamo chiedere di subire quelle prove che possiamo sopportare.

       Ambrogio, In Luc., 4, 7-9.41 s.


3. Universalità del corpo di Cristo

       "Esaudisci, Dio, la mia supplica; tendi l’orecchio alla mia preghiera" (Ps 60,2). Chi parla? Sembra un individuo. Ma osserva bene se sia davvero uno. Dice: "Dai confini della terra a te ho gridato, nell’angoscia del mio cuore" (Ps 60,3). Non si tratta dunque di un solo individuo (sebbene in Cristo, di cui siamo le membra, noi tutti abbiamo unità). Una persona singola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra grida soltanto quella eredità della quale fu detto al Figlio stesso: "Chiedi a me, e ti darò le genti in tua eredità, e in tuo possesso i confini della terra" (Ps 2,8). È dunque, questo possesso di Cristo, questa eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, questa unica Chiesa di Cristo, questa unità che noi siamo, che grida dai confini della terra. E che cosa grida? Ciò che ho detto prima: "Esaudisci, Dio, la mia supplica tendi l’orecchio alla mia preghiera. Dai confini della terra a te ho gridato" (Ps 60,2-3). Cioè, questo ho gridato a te, dai confini della terra; ossia, da ogni luogo.

       Ma perché ho gridato questo? "Mentre il mio cuore era nell’angoscia". Mostra di trovarsi in grande gloria tra tutte le genti e in tutto il mondo; eppure è in mezzo a grandi prove. Infatti la nostra vita in questo esilio non può essere senza prove, e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può riconoscersi finché non è tentato; allo stesso modo che nessuno potrà essere incoronato se non dopo la vittoria, vittoria che non ci sarebbe se non ci fossero la lotta contro un nemico e le tentazioni. È pertanto, nell’angoscia quest’uomo che grida dai confini della terra; è nell’angoscia ma non è abbandonato. Poiché il Signore ha voluto darci in antecedenza un’idea della sorte che attende il suo corpo [mistico] che siamo noi, nelle vicende di quel suo corpo col quale egli morì, risorse ed ascese al cielo: in modo che le membra possano avere speranza di giungere là dove il capo le ha precedute. Egli ci ha insegnato a riconoscerci in lui, quando volle essere tentato da satana (Mt 4,1). Leggevamo ora nel Vangelo che il Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto. Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Così, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo. Ti preoccupi perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato. Non c’è, dunque, da stupirsi se, in mezzo alle tentazioni, il salmista grida dai confini della terra. Ma perché non è sconfitto? "Nella pietra mi hai innalzato".

       Agostino, Enarr. in Ps., 60, 2


4. Ogni atto di Gesù è compiuto per impulso dello Spirito

       "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto" (Mt 4,1), ecc. Il mio Signore, Cristo Gesù, compie tutti i suoi atti ricevendo una direttiva, o una missione, o una chiamata, o un’ingiunzione: non fa nulla da se stesso (Jn 8,28). È una missione che lo porta nel mondo; è una direttiva che lo guida nel deserto; è una chiamata che lo ha risuscitato dai morti, giusta la parola: "Alzati, mia gloria, svegliatevi, arpa e cetra" (Ps 107,3). Ma quando si tratta della Passione egli si affretta spontaneamente e volontariamente, secondo il vaticinio del Profeta: "Si è offerto perché lo ha voluto" (Is 53,7), e tuttavia, anche in quel caso, si fece obbediente al Padre fino alla morte (Ph 2,8). Dottore e modello di obbedienza, non ha minimamente voluto agire o soffrire al di fuori di essa, una via che nella verità conduce alla vita (Jn 14,6)

       "Fu dunque condotto dallo Spirito nel deserto", o come dice un altro evangelista: "Fu spinto dallo Spirito nel deserto" (Lc 4,1). "Tutti" coloro che sono spinti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio (Rm 8,14). Ma lui, che è Figlio ad un titolo del tutto speciale e con maggiore dignità, è spinto o condotto nel deserto diversamente dagli altri e con più eccellenza: "Uscì dal Giordano" - è detto - "pieno di Spirito Santo" (Lc 4,1s); e, immediatamente, fu spinto da lui nel deserto. A tutti gli altri lo Spirito viene dato solo in una certa misura (Jn 3,34); ed è in questa stessa misura che essi sono spinti in tutte le loro azioni. Ma egli ha ricevuto la pienezza della divinità, che si è compiaciuta di abitare corporalmente in lui (Col 2,8): per cui, egli è spinto più poderosamente e vigorosamente ad eseguire gli ordini del Padre

       Isacco di Stella, Sermo 30, 1-2




II DOMENICA DI QUARESIMA

151 Letture:
    
Gn 15,5-12 Gn 15,17-18
     Ph 3,17-4,1
     Lc 9,28-36

1. Cristo si trasfigura, ma non tutti vedono la Trasfigurazione

       Mi domandi se, quando si trasfigurò innanzi a quelli che aveva condotto sul monte, apparve loro nella sua precedente forma divina, come appariva in forma di servo a quelli che erano a piè del monte...

       Guarda che non fu detto semplicemente "si trasfigurò"; Matteo e Marco aggiungono un particolare significativo, ambedue dicono: "Si trasfigurò innanzi a loro" (Mt 17,2 Mc 9,2). E potresti dire che Gesù si sia trasfigurato innanzi ad alcuni e non innanzi ad altri. Ma se vuoi vedere la Trasfigurazione di Gesù che avvenne innanzi a quelli che salirono con lui sul monte, sappi che nei Vangeli trovi un Gesù conosciuto, si potrebbe dire, secondo la carne, da quelli che non salgono il monte attraverso i suoi miracoli e i suoi sermoni, e un Gesù conosciuto teologicamente, attraverso tutti i Vangeli, e visto, attraverso la loro conoscenza, in forma divina; innanzi a questi Gesù si trasfigura, non innanzi a quelli che sono a piè del monte, in basso. Dopo che il suo volto trasfigurato sarà diventato simile al sole, per rivelarsi ai figli della luce, che si saranno spogliati delle opere delle tenebre e si saranno rivestiti delle armi della luce (Rm 13,12) e non saranno più figli delle tenebre e della notte, ma del giorno (1Th 5,5) e cammineranno nello splendore del giorno (1Th 4,12), allora egli si manifesterà ai loro occhi, non solo come un sole, ma come il sole di giustizia (Rm 13,13).

       Ma non è solo il suo volto che si trasforma innanzi a tali discepoli; i suoi vestiti diventano bianchi come la luce, agli occhi di coloro che egli condusse con sé sul monte. Ma i vestiti di Gesù sono le parole e le lettere dei Vangeli, di cui egli è vestito. Anche le lettere degli apostoli, che espongono le cose che riguardano Gesù, penso che siano quelle vesti di Gesù fatte bianche agli occhi di coloro che salirono con Gesù sul monte... Quando, dunque, incontrerai uno che cerca non solo la teologia di Gesù, ma che studia anche il testo dei Vangeli, puoi dire che per lui i vestiti di Gesù son diventati bianchi come la luce.

       Origene, Comment. in Matth., 12, 37 s.


2. L’insegnamento della Trasfigurazione

       [Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (Mt 16,25).

       Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello (Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla.

       Il Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (Mt 17,2). Senza dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata l’eccellenza della dignità nascosta.

       Con eguale previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando della maestà del suo avvento: "Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: "Stimo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti" (Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4)...

       Animato da questa rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della sofferenza.

       Leone Magno, Sermo 38 [51], 2-3.5


3. Il sole della Trasfigurazione

       "La sua faccia divenne come il sole" (Mt 17,2).

       Che meraviglia che la sua faccia sia diventata come il sole, se egli è il Sole? Che c’è di strano che la faccia del Sole diventi come il sole? Era il Sole, ma nascosto sotto una nube; rimossa la nube, ecco che splende. Che cosa è questa nube che viene rimossa? Non proprio la carne, ma la debolezza della carne, che viene rimossa per un istante. È la nube della quale il Profeta disse: "Ecco il Signore sale sopra una nube leggera" (Is 19,1). La nube-carne che cela la divinità; leggera, perché non appesantita da colpe. Nube che cela lo splendore divino; leggera, sollevata anch’essa agli eterni splendori. Nube, perché come si legge nel Cantico: "Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo" (Ct 2,2); leggera, perché è la carne dell’Agnello che porta via i peccati del mondo. Portati via questi! il mondo s’innalza fino al cielo. Coperto da questa nube della carne il Sole, non questo sole che sorge per i buoni e per i cattivi, ma il Sole di giustizia, che sorge solo per quelli che temono Dio. Oggi però, sebbene coperta da questa nube di carne la luce che illumina ogni uomo ha manifestato il suo splendore, glorificando anche la sua carne e mostrandola deificata agli apostoli e, attraverso gli apostoli, a tutto il mondo. Della contemplazione di questo Sole anche tu, Città beata, godrai in eterno, quando, discesa dal cielo, sarai ornata come sposa preparata da Dio per il suo sposo. Questo Sole non tramonterà più per te, esso ti stende un eterno mattino sereno. Questo Sole non sarà più coperto di nubi, ma rifulgendo sempre ti ravviva di luce incessante. Questo Sole non ti acceca, ma ti aiuta a vedere, t’invade di divino fulgore. Questo Sole non conosce eclissi, perché il suo fulgore non viene interrotto da nessun tuo dolore; perché "non ci sarà più né morte, né lutto, né dolore, né grida" che possano oscurare lo splendore a te dato da Dio perché, come fu detto a Giovanni: "Queste cose ormai sono passate" (Ap 21,4). Questo è il Sole del quale il Profeta disse: "Non sarà il sole a farti luce di giorno, né la luna t’illuminerà di notte, ma il Signore tuo Dio sarà la tua luce eterna" (Is 60,19). Questa è la tua luce eterna, che viene dalla faccia del Signore. Senti la voce del Signore, senti la fulgente faccia del Signore; nella faccia, per cui uno è riconosciuto, riconoscete la sua illuminazione. Qui lo credi per fede, lì lo vedrai. Qui vien compreso per intelligenza, lì lo vedrai in se stesso.

       Qui vedi attraverso uno specchio e in immagini, li lo vedrai a faccia a faccia (1Co 13,12). Allora davvero, com’egli ti conosce, sarai irraggiato dal suo eterno splendore, ne sarai felicemente illuminato, gloriosamente illustrato. Allora sotto lo splendore del volto di Dio, si avvererà ciò che il Profeta desiderava: "Faccia risplendere il suo volto sopra di noi" (Ps 66,2).

       Pietro il Venerabile, Sermo 1, passim




III DOMENICA DI QUARESIMA

152 Letture:
    
Ex 3,1-8a Ex 3,13-15
     1Co 10,1-6 1Co 10,10-12
     Lc 13,1-9

1. Moderazione nel condannare

       Non è la stessa cosa strappare uno sterpo o un fiore e uccidere un uomo. Sei immagine di Dio e parli a un’immagine di Dio. Tu che giudichi sarai a tua volta giudicato (Mt 7,1); e giudichi il servo di un altro (Rm 14,4), che è governato da un altro. Esamina bene tuo fratello, come se tu dovessi essere misurato con la stessa misura. Attento a non tagliare e gettar via temerariamente un membro, nell’incertezza, perché le membra sane non abbiano ad averne un detrimento. Riprendi, rimprovera, scongiura. Hai la regola della medicina. Sei discepolo di Cristo mite e benigno, che portò le nostre infermità (Is 53,4). Se incontri una prima resistenza, aspetta con pazienza; alla seconda, non perdere la speranza, c’è ancora tempo per una cura; al terzo scontro cerca d’imitare quel benevolo agricoltore e chiedi al Signore che non sradichi il fico infruttuoso (Lc 13,8), che lo curi, che lo concimi, attraverso la confessione. Forse si cambierà e porterà frutto e accoglierà Gesù che torna da Betania.

       Gregorio Nazianzeno, Sermo 32, 30


2. La pianta, che non rende e non fa rendere, occupa inutilmente il terreno

       Con gran timore si deve ascoltare ciò che vien detto dell’albero che non fa frutto: "Taglialo; perché dovrebbe continuare ad occupare il terreno?" (Lc 13,7).

       Ognuno, a suo modo, se non fa opere buone, dal momento che occupa dello spazio nella vita presente, è un albero che occupa inutilmente il terreno, perché, nel posto ove sta lui, impedisce che ci si metta a lavorare un altro. Ma c’è di peggio, Ed è che i potenti di questo mondo, se non producono nessun bene, non lo fanno fare neanche a coloro che dipendono da loro, perché il loro esempio agisce sui dipendenti come un’ombra stimolatrice di perversità. Al di sopra c’è un albero infruttuoso e sotto la terra rimane sterile. Al di sopra s’infittisce l’ombra dell’albero infruttuoso e i raggi del sole non riescono a raggiungere la terra, perché quando i dipendenti di un padrone perverso vedono i suoi cattivi esempi, anch’essi, rimanendo privi della luce della verità, restano infruttuosi; soffocati dall’ombra non ricevono il calore del sole e restano freddi, senza il calore di Dio. Ma il pensiero di questo qualsivoglia potente non è più oggetto diretto delle cure di Dio. Dopo, infatti, ch’egli ha perduto se stesso, la domanda è soltanto perché debba far pressione anche sugli altri. Perciò il contadino si domanda: «Perché dovrebbe continuare ad occupare il terreno?». Occupa il terreno, chi crea difficoltà alle menti altrui, occupa il terreno, chi non produce buone opere nell’ufficio che tiene.

       Gregorio Magno, Hom., 31, 4


3. La penitenza nel disegno di Dio

       [Dio] richiamò a sé il popolo e lo rinfrancò con i molti favori della sua bontà, pur avendolo riscontrato ingratissimo; e dopo averlo esortato in continuazione alla penitenza, gli inviò gli oracoli di tutti i profeti per predicarla. Appena promessa la grazia che negli ultimi tempi avrebbe illuminato l’universo intero per mezzo del suo Spirito, comandò che la precedesse la promulgazione della penitenza, affinché coloro che per grazia chiamava alla promessa del seme di Abramo, per l’adesione alla penitenza fossero destinati ad essere in anticipo raccolti.

       Jn non tace, dicendo: "Fate penitenza" (Mt 3,2): già infatti si avvicinava la salvezza alle nazioni, ossia il Signore che arrecava la seconda promessa di Dio. A chi destinava la preordinata penitenza, prefissata a purgare gli spiriti perché, qualsiasi antico errore lo inquinasse, qualsivoglia ignoranza del cuore umano lo contaminasse, purificando, sradicando e traendo fuori, preparasse allo Spirito Santo venturo una casa interiore pulita, in cui egli potesse entrare per godervi i beni celesti.

       Unico è il titolo di questi beni, la salvezza dell’uomo, premessa l’abolizione dei crimini antichi; questa la ragione della penitenza, questa l’opera, che assicura la mediazione della divina misericordia, a pro dell’uomo e a servizio di Dio...

       Quindi, per tutti i delitti, commessi nella carne o nello spirito, in azioni o nella volontà, che egli con proprio giudizio ha destinato alla pena, agli stessi, per la penitenza, ha promesso il perdono, dicendo al popolo: Fa’ penitenza e vedrai la mia salvezza (Ez 18,21). E poi: "Come è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio - preferisco la penitenza alla morte" (Ez 33,11). Quindi la penitenza è vita, che si contrappone alla morte. Tu peccatore, mio simile - o anche a me inferiore: io, infatti, riconosco la mia responsabilità nei delitti -, così pervaditi di essa, abbraccia la fede come un naufrago si aggrappa ad un qualsiasi pezzo di tavola. Questa preleverà te, liberato dai frutti dei peccatori e ti trasferirà nel porto della divina clemenza.

       Afferra l’occasione d’impensata felicità, sì che proprio tu, un tempo nient’altro davanti al Signore se non recipiente arido, polvere del suolo e vasetto da nulla, divenga da ora in poi fico rigoglioso, albero che quasi sgorga acque, dalla chioma perenne e che porta frutti a suo tempo, in modo da non conoscere né fuoco né scure.

       Conosciuta la Verità, pentiti degli errori; pentiti di aver amato ciò che Dio non ama. Noi stessi, del resto, non permettiamo ai nostri servi di conoscere quelle cose da cui ci riteniamo offesi: infatti, la ragione dell’ossequio risiede nella somiglianza degli animi.

       Invero, occorre parlare diffusamente e con grande impegno del bene della penitenza, e io ne ho fatto materia del mio discorso: noi in effetti per le nostre angustie una cosa sola inculchiamo, che è cosa buona, anzi ottima, quella che Dio comanda. Reputo infatti cosa audace discutere i divini precetti; e non tanto perché si tratta di un bene, e quindi dobbiamo ascoltarli, quanto piuttosto perché è Dio che dispone: prima viene infatti la maestà della divina potestà nella disposizione all’ossequio; prima si pone l’autorità di chi comanda, e non l’utilità di chi serve.

       È dunque un bene o no fare penitenza? Cosa rispondi? Dio dispone! Peraltro, egli non tanto dispone, quanto piuttosto esorta; invita con il premio, con la salvezza; e lo giura persino, dicendo: "Come è vero che io vivo", e brama che gli si creda.

       Beati noi dei quali Dio giura la causa; miserrimi se non crediamo neppure a Dio che giura!

       Ciò che Dio raccomanda reiteratamente e insistentemente, ciò che anche nel costume umano viene attestato con giuramento, dobbiamo come somma gravità accettare e custodire, affinché nell’adesione alla divina grazia, permaniamo nel suo frutto e possiamo perseverare fino ad averne il premio.

       Tertulliano, De paenitentia, II, 4-7; IV, 1-8


4. Origine e grandezza della pazienza

       Questa virtù, in effetti, l’abbiamo in comune con Dio. Ivi ha origine la pazienza, ivi ha scaturigine la sua dignità e chiarezza. L’origine e la grandezza della pazienza derivano da Dio che ne è l’autore. L’uomo deve amare quel che è caro a Dio: è buono ciò che la divina maestà raccomanda. Se Dio è per noi Signore e Padre, dobbiamo condividere la pazienza del Signore e del Padre: in effetti, si deve essere servi devoti, e non è lecito dimostrarsi figli degeneri.

       Invero, quale e quanta pazienza di Dio, allorché, tollerando con somma pazienza templi profani, terreni simulacri e sacrilegi sacri istituiti dagli uomini in oltraggio alla sua maestà e onore, fa sorgere il giorno sui buoni e sui cattivi e senza distinzione fa splendere la luce del sole, e mentre irriga la terra con le piogge nessuno viene escluso dai suoi benefici, visto che similmente ai giusti e agli ingiusti vengono distribuite imparziali piogge. Vediamo con inseparabile equanimità di pazienza per i malfattori e gli innocenti, per i religiosi e gli empi, per i grati e gli ingrati, ai cenni di Dio servire gli elementi, spirare i venti, fluire le sorgenti, crescere le messi, maturare i frutti delle vigne, lussureggiare i frutteti, metter fronde i boschi, fiorire i prati. E mentre con offese pressoché continue viene esasperato Dio, egli tempera la sua indignazione e attende pazientemente il giorno prefissato della retribuzione. Pur avendo in suo potere la vendetta, preferisce aver pazienza, sopportando anzi con clemenza e procrastinando, affinché, supposto che possa avvenire, un bel giorno molto si muti nella prolungata malizia, e l’uomo, sia pur tardi, si volga a Dio dal contagio degli errori e delle scelleratezze, secondo quanto egli stesso ammonisce, dicendo: "Non voglio la morte di chi muore, quanto piuttosto che si converta e viva" (Ez 33,11). E ancora: "Convertitevi a me, dice il Signore" (Ml 3,7). E infine: "Convertitevi al Signore vostro Dio, poiché egli è buono e misericordioso, paziente e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura e cambia la sentenza già irrogata" (Jl 2,13). Il che propone e dice anche il beato apostolo Paolo ricordando e richiamando il peccatore alla penitenza: "O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere" (Rm 2,4-6). Disse esser giusto il giudizio di Dio, poiché arriva tardi, è procrastinato al massimo, affinché la lunga attesa di Dio si tramuti in vita per l’uomo. All’empio e al peccatore si presenterà la pena solo allorché la penitenza non può più giovare a chi ha peccato.

       Cipriano di Cartagine, De bono patientiae, 3-4





Lezionario "I Padri vivi" 150