Lezionario "I Padri vivi" 159

DOMENICA DI PASQUA C

159 Letture:
    
Ac 10,34a Ac 10,37-43
     1Co 5,6-8
     Jn 20,1-9

1. La Passione e la Risurrezione di Cristo sono per noi sacramento di vita nuova

       1) La Passione e la Risurrezione del Signore ci mostrano due vite: una che noi sopportiamo, l’altra che desideriamo. Potente è infatti chi per darci quella, si è degnato di sopportare questa. E questo ci dice in verità quanto egli ci ama, ed ha voluto avere in comune con noi i nostri mali. Noi siamo nati, ed anch’egli è nato: perché siamo destinati alla morte, egli è morto. In questa nostra vita due cose conoscevamo: l’inizio e la fine, il nascere e il morire: nascendo per avviarci alle tribolazioni, morendo per emigrare verso cose incerte: sol questo abbonda nella nostra contrada. La nostra regione è la terra; la regione degli angeli è il cielo. Venne dunque nostro Signore a questa regione da un’altra regione: venne alla regione di morte dalla regione della vita: alla regione del dolore, dalla regione della beatitudine. Venne portandoci i suoi beni, e sostenne pazientemente i nostri mali. Portava i suoi beni di nascosto, sopportava i nostri mali apertamente; appariva l’uomo, si nascondeva Dio; appariva la debolezza, si nascondeva la maestà; appariva la carne, si nascondeva il Verbo. Soffriva la carne: e dove era il Verbo quando la carne soffriva? Il Verbo non taceva, perché ci insegnava la pazienza. Ecco Cristo Signore è risorto il terzo giorno: dov’è il dileggio dei Giudei? Dov’è il dileggio dei convenuti e degli insipienti principi dei Giudei, di quelli che uccisero il Medico? Ricordate, o carissimi, le cose che avete udito, allorché si leggeva la Passione: "Se è figlio di Dio, discenda dalla croce e gli crederemo; se è figlio di Dio lo salvi lui" (Mt 27,40 Mt 27,42-43). Egli ascoltava queste cose, e taceva; pregava per coloro che dicevano tali cose, e non manifestava se stesso. In altro Vangelo sta scritto persino che esclamò per essi e disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Colà egli vedeva coloro che sarebbero stati suoi in futuro, vedeva coloro che avrebbero creduto in lui di continuo, ad essi voleva perdonare. Il nostro Capo pendeva dalla croce, ma conosceva le sue membra sulla terra.

       2) Quando verrà letto il libro degli "Atti degli Apostoli", lì già avete sentito come coloro che si trovarono presenti rimasero ammirati che gli apostoli e quelli che stavano con loro parlassero le lingue di tutte le genti, senza che le avessero apprese, sotto l’ispirazione e per l’insegnamento dello Spirito Santo che avevano ricevuto, e come ad essi stupefatti del miracolo abbia parlato l’apostolo Pietro, ed abbia esposto ad essi che per ignoranza fecero questo male, cioè l’aver ucciso il Signore; ma Dio compì il suo disegno, affinché per tutto il mondo fosse versato il sangue innocente, e fossero cancellati i peccati di tutti i credenti: è morto infatti colui nel quale non poteva essere trovato peccato. La cauzione dei nostri peccati veniva custodita, il diavolo tratteneva presso di sé la sentenza contro di noi; possedeva coloro che aveva ingannato, aveva potere su coloro che aveva vinto. Tutti eravamo debitori, dal momento che tutti nasciamo con un debito ereditario: è stato effuso sangue senza peccato, ed è stata cancellata la cauzione del peccato. Coloro dunque che avevano creduto alle parole di Pietro, secondo gli "Atti degli Apostoli", dissero rattristati: "Che dobbiamo fare, fratelli? Ditecelo" (Ac 2,37). Disperavano infatti che un così grande delitto potesse essere perdonato. E fu risposto loro: "Pentitevi, e ognuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo, e saranno rimessi i vostri peccati" (Ac 2,38). Quali peccati? Tutti. Come, tutti? Il che è cosa tanto più grande, poiché avete ucciso Cristo. Cosa potevate compiere in effetti di più scellerato che l’uccidere il vostro Creatore per voi creato? C’è qualcosa di più grave che possa fare un malato dell’uccidere il proprio medico? E tuttavia - vien detto loro -, anche questo è perdonato: tutto è perdonato. Vi siete abbandonati alla ferocia, avete effuso il sangue innocente: credete, e bevete ciò che avete effuso.

       C’eran dunque di quelli che, in preda a disperazione, dissero: "Diteci, fratelli, cosa dobbiamo fare?" E si sentirono rispondere che i credenti in colui che avevano ucciso possono ricevere il perdono di tanto delitto. Erano là presenti, egli li vedeva: vide dinanzi alla sua croce quegli stessi che aveva previsto prima della costituzione del mondo. E per loro disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Quelli uccidevano il Medico: il Medico faceva con il proprio sangue un medicamento per gli uccisori. Grande misericordia e gloria: cosa mai non sarà loro rimesso, se viene rimesso ad essi persino il fatto di avere ucciso Cristo?

       Perciò, carissimi, nessuno deve dubitare che nel lavacro della rigenerazione vengono perdonati proprio tutti i peccati, per minimi o massimi che siano: questo ne è infatti grande esempio e documento. Nessun peccato è più grave dell’uccidere Cristo: quando persino questo viene perdonato, cosa resta di non perdonato nel credente battezzato?

       3) Ma consideriamo, carissimi, la Risurrezione di Cristo: infatti, come la sua Passione ha significato la nostra vita vecchia, così la sua Risurrezione è sacramento di vita nuova. Perciò l’Apostolo dice: "Siamo stati sepolti con lui per il Battesimo nella morte, e come Cristo è risuscitato dai morti, così anche noi camminiamo in novità di vita" (Rm 6,4).

       Hai creduto, sei stato battezzato: la vecchia vita è morta, uccisa nella croce, sepolta nel Battesimo. È stata sepolta la vecchia nella quale hai vissuto: risorga la nuova. Vivi bene: vivi, sì, che tu viva, affinché quando sarai morto, tu non muoia.

       Considerate, carissimi, quel che disse il Signore nel Vangelo all’uomo che aveva curato: "Ecco, sei stato risanato; non peccare più, perché non ti accada di peggio" (Jn 5,14). Noi eravamo prigionieri di tale sentenza, ridotti in grande angustia: eppure la sua misericordia non venne mai meno. Assegnò una preghiera ai battezzati, dal momento che quaggiù non si vive esenti da peccato, affinché quotidianamente potessimo dire: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12). Son debiti: quella generale cauzione, ed anche noi che non cessiamo di diventare debitori. Diciamo donde a noi quotidianamente si perdonano; ma non per questo dobbiamo riposare pressoché sicuri in turpitudini, in scelleratezze e in crimini. I peccati non debbono essere nostri amici: li abbiamo rigettati, li abbiamo in odio: non torniamo a mo’ di cani al nostro vomito. E se ci sorprendono, sorprendano i non volenti, non gli amatori o i vogliosi ad ogni costo: chi infatti ha voluto coltivare amicizia con i peccati, diverrà nemico di colui che, senza peccato alcuno, venne a cancellare i peccati.

       Fratelli miei, considerate quel che dico: chi ama la malattia è nemico del medico. Se stai male nel corpo, e viene da te il medico in veste professionale, dimmi cosa, venendo da te, egli vuole: cosa mai, se non risanarti? Se dunque egli deve essere tuo amico, è necessario che si dimostri nemico della febbre: infatti, se amasse la tua febbre, non amerebbe te. Odia quindi la tua febbre; contro di lei entrò nella tua casa, contro di lei salì in camera tua, contro di lei si accostò al tuo letto, contro di lei tastò il tuo polso, contro di lei ti prescrisse una ricetta, contro di lei compose ed applicò un medicamento: tutto contro di lei, tutto per te. Se dunque egli è tutto contro la febbre, tutto per te, tu, amando la febbre, sei il solo ad essere contro te stesso.

       Mi risponderai, lo so, mi risponderai dicendo: Chi è che vuol bene alla febbre? Lo so anch’io, il malato non ama la febbre, però ama ciò che la febbre pretende. Cos’è che disse il medico, allorché venne da te armato della sua arte contro la febbre? Ti disse, se non sbaglio: Non bere bevande fredde. Non bere bevande fredde, ti sei sentito dire dal medico, nemico della tua febbre. Ma, appena il medico è uscito, la febbre ha detto: Bevi qualcosa di freddo. Quando la febbre ti disse questo, dovevi dire: Questa sete è la febbre. Un tacito discorso ti parla, fa inghiottire la sete, il bere dà ristoro: ricorda ciò che il medico disse, non bere. Però, mentre il medico è assente è presente la febbre! Cosa aveva detto il medico? Vuoi averla vinta su di lei? Non cederle. Se ti allei con il medico, sarete in due contro la febbre; se consenti alla febbre, il medico è vinto, ma il peggio è per il malato, non per il medico. Ma, ci mancherebbe altro che il Medico, Cristo, sia vinto in "coloro che egli ha prescelti e predestinati:" perché "quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati" (Rm 8,29 Rm 8,30). Si pieghino i vizi, si reprimano le libidini, il diavolo e i suoi angeli si contorcano nel livore. "Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31).

       4) Comincia dunque ad agire spiritualmente, vivendo bene ciò che Cristo mostra con la Risurrezione del suo corpo. Invero, non vogliate sperare in altro modo quella medesima cosa, ovvero, la medesima proprietà, la medesima verità, la identica incorruttibilità della carne: è il salario della fede, e il salario vien dato solo alla fine della giornata. Per ora, fatichiamo nella vigna, e aspettiamo la fine della giornata: chi ci ha condotti qui per lavorare, non ci ha infatti abbandonati, perché venissimo meno. Nutre l’operaio che lavora, colui che gli prepara il salario a fine giornata: di modo che il Signore nutre in questo mondo noi lavoratori, non solo con il cibo del ventre, ma anche con quello dello spirito. Se non nutrisse, io non parlerei; perché nutre con la parola, questo facciamo, noi che la predichiamo non ai vostri stomaci bensì alle vostre menti. Assetati ricevete banchettando lodate: perché mai reclamate, se alle vostre menti non perviene alcun alimento? Ma noi cosa siamo? Ministri suoi, suoi servi: infatti non la nostra, ma quella della sua dispensa proferiamo ed eroghiamo a voi. Di questo anche noi viviamo, perché siamo conservi. E cosa vi somministriamo: il pane di lui o uno stesso pane? Chiunque abbia portato un uomo come operaio nella sua vigna, può dare a questi il pane, non se stesso. Cristo invece dà se stesso ai propri operai: se medesimo conserva nel pane, se medesimo serba per mercede. E non diciamo: Se lo mangiamo in tal modo, alla fine cosa avremo? Noi mangiamo, ma egli non finisce: ristora gli affamati, ma egli non viene meno. Nutre così i lavoratori, per i quali conserva integra la mercede. Cosa infatti potremmo ricevere di meglio che lui stesso? Se avesse avuto qualcosa di meglio di se stesso, ce lo avrebbe dato: però niente è meglio di Dio, e Cristo è Dio. Ascolta: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; egli era in principio presso Dio" (Jn 1,1 Jn 2).

       Chi può capire questo? Chi può coglierlo? Chi può intuirlo? Chi può contemplarlo? Chi può pensarlo in modo degno? Nessuno. "Il Verbo si è fatto carne, e ha posto la sua dimora in mezzo a noi" (Jn 1,14). A questo egli ti chiama, affinché tu lavori come operaio. "Il Verbo si è fatto carne". Egli ti chiama: il Verbo sarà la tua lode, il Signore sarà la tua mercede.

       Agostino, Sermo Guelferb. 9




II DOMENICA DI PASQUA

161 Letture:
    
Ac 5,12-16
     Ap 1,9-11a Ap 1,12-13 Ap 1,17-19
     Jn 20,19-31

1. «Pace a voi»

       "E quando fu sera in quel giorno che era il primo della settimana, essendo per paura dei Giudei chiuse le porte del luogo dove stavano i discepoli riuniti, venne Gesù, e stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». E detto questo, mostrò loro le mani e il costato" (Jn 20,18-20). I chiodi avevano trafitto le sue mani, e la lancia aveva aperto il suo costato; ed erano conservati i segni delle ferite per guarire dalla piaga del dubbio i cuori degli increduli. E le porte chiuse non avevano potuto opporsi al suo corpo, dove abitava la divinità. Colui, la cui nascita aveva lasciato inviolata la verginità della madre, poté entrare in quel luogo, senza che le porte venissero aperte.

       "I discepoli furono pieni di gioia, vedendo il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: «Pace a voi»" (Jn 20,20-21). La ripetizione ha valore di conferma; cioè egli dà ciò che era stato promesso per bocca del Profeta, pace aggiunta a pace (Is 26,3). "Come il Padre ha mandato me" - aggiunge il Signore -"anch’io mando voi" (Jn 20,21). Sapevamo già che il Figlio è uguale al Padre; ora ascoltiamo le parole del Mediatore. Egli mostra, in effetti, di essere il Mediatore, in quanto dice: Egli ha mandato me e io mando voi. "Ciò detto, alitò sopra di essi, e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo»" (Jn 20,22). Soffiando su di essi, mostrò che lo Spirito non era soltanto del Padre, ma era anche suo. "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,23). La carità della Chiesa che per mezzo dello Spirito Santo scende nei nostri cuori, rimette i peccati di coloro che partecipano di essa; ritiene invece i peccati di quanti non sono parte di essa. È per questo che parlò del potere di rimettere o di ritenere i peccati, dopo aver annunziato: «Ricevete lo Spirito Santo».

       "Ma Tommaso, uno dei dodici, che era chiamato Didimo, non era con essi, quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore». Ma egli rispose loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel luogo dei chiodi, e la mia mano nel suo costato, non credo «. E otto giorni dopo, i suoi discepoli stavano di nuovo in casa, e Tommaso era con essi. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi». E poi disse a Tommaso. «Appressa qui il tuo dito, e guarda le mie mani, e appressa la tua mano e mettila nel mio costato, e non voler essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose e disse: «Signore mio e Dio mio!»" (Jn 20,24-28).

       Vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino allora aveva dubitato. "E Gesù gli disse: «Hai creduto perché mi hai veduto»" (Jn 20,29). Non disse: Mi hai toccato, ma disse soltanto: «Mi hai veduto», perché la vista in un certo modo comprende tutti gli altri sensi. Anche noi, infatti, siamo soliti nominare la vista per intendere anche gli altri sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che suono armonioso, odora e vedi che odore gradevole, assapora e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo. In ognuna di queste espressioni si dice: «vedi», anche se vedere è proprio degli occhi. È così che il Signore stesso dice a Tommaso: «Appressa qui il tuo dito, e vedi le mie mani». Egli dice in sostanza: Tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi sulla punta delle dita. Sia alla vista che al toccare si riferisce il Signore dicendo: «Hai creduto perché hai veduto».

       Si potrebbe anche dire che il discepolo non lo toccò affatto, sebbene Gesù lo invitasse a farlo. L’evangelista infatti non dice: Tommaso lo toccò. Sia che egli abbia ritenuto sufficiente vedere, sia che abbia anche toccato, è vedendo che credette, e giustamente il Signore esalta come superiore alla sua la fede delle genti che non lo vedranno, con le parole: "Beati coloro che hanno creduto, senza avere veduto ()". In questa espressione usa il tempo passato, in quanto egli considerava, nella predestinazione, già avvenuto ciò che doveva verificarsi nel futuro.

       Agostino, Comment. in Ioan., 121, 4s.


2. Una cosa è il modo e un’altra è il fatto della risurrezione

       Vediamo che cosa ci propone la lettura odierna. Ci suggerisce di cercare una risposta per quelli che si domandano: Come il Signore, che portò nella risurrezione una tale solidità di corpo da essere visto e toccato dai discepoli, poi si sia presentato in mezzo a loro mentre le porte erano sbarrate. Alcuni sono sconvolti da questi particolari al punto da rischiar di perdere la fede, perché oppongono ai miracoli di Dio i pregiudizi dei loro ragionamenti. Essi, infatti, dicono: Se era corpo, se erano carne e ossa, se il corpo era quello stesso che fu appeso in croce, come poté passare per una porta chiusa? Se non era possibile, non è avvenuto. Se era possibile, come era possibile? Ma se tu puoi capire il modo, non c’è più il miracolo, e se non ti sembra un miracolo, sei sul punto di negare del tutto la risurrezione. Guarda fin dall’inizio i miracoli del tuo Signore, e dimmi come sono avvenuti. Non ci fu intervento d’uomo, e la Vergine concepì. Fammi capire, come ha fatto a concepire una vergine senza l’intervento d’un uomo. Dove vien meno la ragione, lì nasce la fede. Hai già un miracolo nella concezione del tuo Signore; senti ora quello del parto. Una vergine concepì e rimase vergine. Anche lì il Signore, prima di risorgere, è nato a porte chiuse. Mi domandi ancora: Se è entrato a porte chiuse, dove se ne va il modo dei corpi? Ed io ti rispondo: Se camminò sopra il mare, dov’è il peso del corpo? Mi dici: Lì il Signore agì da Signore. Ed io: E quando risuscitò, non era più il Signore? E come si spiega che fece camminare sul mare anche Pietro? (Mt 14,25-29). In Cristo agì la divinità, in Pietro la fede. Cristo fece da sé, Pietro aiutato da Cristo. Se cominci a discutere l’essenza dei miracoli con i mezzi umani, ho paura che perdi la fede. Lo sai che niente è impossibile a Dio? Se uno, dunque, ti dirà: Se entrò a porte chiuse, non era corpo; tu digli: Eppure, se fu toccato, era corpo; se mangiò, era corpo; lo fece con un miracolo, non per via di natura. Non è meraviglioso il corpo quotidiano della natura? È tutto un miracolo; ma ciò che accade ogni giorno non sorprende più. Spiegami un po’: Perché l’albero del fico, che è così grande, ha un seme che appena lo si vede e la povera zucca fa un seme così grande? In quel seme così piccolo, poi, se rifletti, ma non lo vedi; c’è la radice e le foglie, e anche il frutto è anticipato nel seme. Delle cose ordinarie nessuno chiede il come, e tu mi chiedi il come dei miracoli. Leggi il Vangelo e accetta i fatti. Dio ha fatto di più e tu non ti meravigli della cosa più grande di tutte: non c’era nulla, e il mondo c’è.

       Agostino, Sermo 247, 2


3. La Messa proclama la Risurrezione di Cristo

       Lo scrittore di questo libro con tanta accuratezza scrisse non semplicemente che Cristo si manifestò ai discepoli, ma precisò, dopo otto giorni e mentre erano tutti raccolti. E che cosa vuole insinuare questo trovarsi di tutti nella stessa casa, se non che Cristo ha voluto manifestarci quale debba essere il tempo delle assemblee che facciamo in suo nome? Si presenta e si ferma un po’ con quelli che si erano radunati per cagion sua, nell’ottavo giorno, cioè nella domenica... È giustissimo, allora, che facciamo le nostre sante adunanze nelle chiese nell’ottavo giorno. E poiché dobbiamo dire qualche cosa di arcano, che supera tutte le menti, chiudiamo le porte; ma viene e appare Cristo a noi tutti, invisibilmente e visibilmente allo stesso tempo; invisibilmente, come Dio, e visibilmente, nel suo corpo. Ci dà la sua carne. Ci accostiamo, per grazia di Dio, per prender parte al mistico sacrificio, prendendo Cristo nelle nostre mani, perché anche noi possiamo credere fermamente ch’egli ha risuscitato il suo tempio. E che la partecipazione al mistico sacrificio sia una professione della Risurrezione di Cristo, è evidente dalle parole che egli stesso pronunziò nella sua celebrazione. Infatti, dopo aver spezzato il pane, lo distribuì dicendo: "Questo è il mio corpo, che sarà dato per voi in remissione dei peccati. Fate questo in mio ricordo" (Lc 22,19 1Co 11,24). La partecipazione, dunque, ai misteri è vera confessione e commemorazione che il Signore è morto ed è risuscitato per causa nostra e per nostro vantaggio, e perciò ci riempie di grazia divina.

       Cirillo di Alessandria, In Ioan. Ev., 12


4. Il Risorto aiuta l’incredulità di Tommaso

       "Metti il tuo dito nel foro dei chiodi" (Jn 20,27), mi hai cercato quando non c’ero, goditi ora la mia presenza. Anche se tacevi io sentivo il tuo desiderio; prima che parlassi, conoscevo il tuo pensiero. Sentii le tue parole e, anche se non mi mostravo, ero vicino alla tua incredulità; senza farmi vedere, davo tempo alla tua incredulità, in attesa del tuo desiderio.

       Basilio di Seleucia, Sermo in Sanct. Pascha, 4




III DOMENICA DI PASQUA

162 Letture:
    
Ac 5,27-32 Ac 5,40
     Ap 5,11-14
     Jn 21,1-19


1. Il mistero della Chiesa adombrato nelle due scene di pesca

       Gesù, mentre nasceva il giorno, stava in piedi sulla riva: la riva significa la fine del mare, e rappresenta perciò la fine dei tempi. E ancora immagine della fine dei tempi è il fatto che Pietro trae la rete a terra, cioè sulla riva. È lo stesso Signore che, in un’altra circostanza, ci chiarisce il significato di queste immagini parlando della rete tratta su dal mare: «Ed essi la tirano sulla riva», dice (Mt 13,38). Che cos’è questa riva? Egli stesso lo spiega poco più avanti: "Sarà così alla fine del mondo" (Mt 13,49).

       Ma in quella circostanza si trattava soltanto di un racconto sotto forma di parabola, non del significato allegorico di un fatto reale. Qui, invece, è con un fatto reale che il Signore ci vuole fare intendere ciò che sarà la Chiesa alla fine del mondo, così come in un’altra pesca ha raffigurato ciò che è la Chiesa, oggi, in questo mondo (Lc 5,1-11). Il primo miracolo ebbe luogo all’inizio della sua predicazione; il secondo, che è questo di cui ora ci occupiamo, si verifica dopo la sua Risurrezione.

       Con la prima pesca egli volle significare i buoni e i cattivi di cui ora la Chiesa è formata; con la seconda indica che la Chiesa, alla fine dei tempi, sarà formata soltanto dei buoni che dopo la risurrezione dei morti, saranno in lei in eterno.

       La prima volta Gesù non stava, come ora, sulla riva, quando ordinò di prendere i pesci; infatti, "montato su una barca che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra, e sedendo nella barca ammaestrava le turbe. Appena finì di parlare, disse a Simone. Prendi il largo e calate le vostre reti per la pesca" (Lc 5,1-4). E il pesce che allora fu catturato restò nella barca, perché i pescatori non trassero a riva la rete come fanno ora.

       Tutte queste circostanze e le altre ancora che si potrebbero trovare, indicano che nella prima pesca è raffigurata la Chiesa in questo mondo, mentre nella seconda pesca essa è raffigurata quale sarà alla fine del mondo. È per questo che il primo miracolo Cristo lo compie prima della Passione, il secondo dopo la Risurrezione: là, Gesù raffigura noi chiamati alla Chiesa, qui raffigura noi risorti alla vita eterna.

       Nella prima pesca la rete non è gettata solo dal lato destro della barca, a significare la raccolta dei soli buoni, e neppure soltanto dal lato sinistro a significare la pesca dei soli malvagi. Gesù non precisa da quale parte si getta la rete: «Calate le vostre reti per la pesca», dice, per intendere che la Chiesa raccoglie, in questo mondo, i buoni e i cattivi. Qui invece precisa: «Gettate la rete dal lato destro della barca», per significare che debbono essere raccolti solo quelli che stanno a destra, cioè i buoni.

       La prima volta la rete si rompe, immagine degli scismi che divideranno la Chiesa: qui invece, nella pace suprema di cui gioiranno i santi, non c’è posto per gli scismi, e perciò l’evangelista afferma: «E benché i pesci fossero tanti» - cioè grandi e molto numerosi - «la rete non si strappò». Egli sembra proprio alludere alla prima pesca, quando la rete si ruppe, per sottolineare con tale paragone la superiorità di questa pesca nella quale solo i buoni vengono raccolti.

       Agostino, Comment. in Ioan., 122, 6 s.


2. La prova dell’amore

       Vi sia un uomo che digiuna, che vive castamente, e che soffre infine il martirio, consumato dalle fiamme, e vi sia un altro che rinvia il martirio per l’edificazione del prossimo e, non solo lo rinvia ma se ne parte da questo mondo senza averlo subito. Quale di questi due uomini otterrà maggior gloria, dopo aver lasciato questa vita? Non c’è bisogno qui di discutere a lungo né di parlare eloquentemente per decidere, dato che il beato Paolo dà il suo giudizio dicendo: "Morire ed essere con Cristo è la cosa migliore, ma rimanere nella carne è più necessario per causa vostra" (Ph 1,23-24). Vedi come l’Apostolo antepone l’edificazione del prossimo al morire per raggiungere Cristo? Non vi è infatti mezzo migliore per essere unito a Cristo che il compiere la sua volontà, e la sua volontà non consiste in nessun’altra cosa come nel bene del prossimo... "Pietro" - dice il Signore -, "mi ami tu? Pasci le mie pecore" (Jn 21,15), e, con la triplice domanda che gli rivolge, Cristo manifesta chiaramente che il pascere le pecore è la prova dell’amore. E questo non è detto solo ai sacerdoti, ma a ognuno di noi, per piccolo che sia il gregge affidatoci. Difatti, anche se è piccolo, non si deve trascurarlo poiché il "Padre mio" - dice il Signore - "si compiace in loro" (Lc 12,32). Ognuno di noi ha una pecora. Badiamo di portarla a pascoli convenienti. L’uomo, appena si leva dal suo letto, non ricerchi altra cosa, sia con le parole sia con le opere, che di render la sua casa e la sua famiglia più pia. La donna, da parte sua, si dimostri buona padrona di casa, ma prima ancora di questo abbia un’altra preoccupazione assai più necessaria, quella cioè che tutta la sua famiglia lavori e compia quelle opere che riguardano il regno dei cieli. Se infatti negli affari terreni, prima ancora degli interessi familiari, ci preoccupiamo di pagare i debiti pubblici perché, trascurando quelli, non ci capiti di essere arrestati, tradotti in tribunale e svergognati obbrobriosamente, a maggior ragione, nelle cose spirituali, facciamo in modo di pagare anzitutto ciò che dobbiamo a Dio, re dell’universo, in modo da non essere gettati là dov’è stridore di denti.

       Ricerchiamo, inoltre, quelle virtù che da una parte procurano a noi la salvezza e dall’altra sono utilissime al prossimo. Tali sono l’elemosina, le orazioni; anzi, l’orazione riceve dall’elemosina forza e ali. "Le tue orazioni" - dice la Scrittura - "e le tue elemosine sono servite per essere ricordato al cospetto di Dio" (Ac 10,4). Ma non solo l’orazione, bensì anche il digiuno riceve dall’elemosina efficacia. Se tu digiuni senza fare elemosina, la tua azione non può essere digiuno e diventi peggiore di un ghiottone e di un ubriaco, tanto peggiore quanto la crudeltà è più grave peccato della gola. Ma perché parlo del digiuno? Anche se tu vivi castamente, anche se tu conservi la verginità, ma non l’accompagni con l’elemosina, tu rimani fuori della sala nuziale. Che cosa è paragonabile alla verginità che, per la sua stessa eccellenza, non fu posta per legge neppure nel Nuovo Testamento? Tuttavia, anch’essa viene respinta se non è congiunta all’elemosina. Se, dunque, le vergini sono ricacciate perché non l’hanno praticata con generosità, chi mai potrà ottenere perdono se trascura di far elemosina? Nessuno, di certo. Chi non pratica l’elemosina, perirà dunque sicuramente. Infatti, se nelle cose di questo mondo nessuno vive per se stesso, ma l’artigiano, il soldato, l’agricoltore, il commerciante svolgono attività che contribuiscono al bene pubblico e alla comune utilità, molto di più ciò deve realizzarsi nelle cose spirituali. Vive veramente, soltanto chi vive per gli altri. Chi invece vive solo per sé, disprezza e non si cura degli altri, è un essere inutile, non è un uomo, non appartiene alla razza umana. Tu forse mi dirai a questo punto: Devo allora trascurare i miei affari per occuparmi di quelli altrui? No, non è possibile che colui che si prende cura degli affari del prossimo trascuri i propri. Chi cerca l’interesse del prossimo non danneggia nessuno, ha compassione di tutti e aiuta secondo le proprie possibilità, non commette frodi, né si appropria di quanto appartiene agli altri, non dice falsa testimonianza, si astiene dal vizio, abbraccia la virtù, prega per i suoi nemici, fa del bene a chi gli fa del male, non ingiuria nessuno, non maledice neppur quando in mille modi è maledetto, ma ripete piuttosto le parole dell’Apostolo: "Chi è infermo che anch’io non sia infermo? Chi subisce scandalo che io non ne arda?" (2Co 11,29). Al contrario, se noi ricerchiamo il nostro interesse non seguirà al nostro l’interesse degli altri.

       Convinti, dunque, da quanto è stato detto, che non è possibile salvarci se non ci interessiamo del bene comune, e considerando gli esempi del servo che fu separato e di colui che nascose il talento sotto terra, scegliamo quest’altra via, e conseguiremo anche la vita eterna, che io auguro a tutti noi di ottenere per la grazia e l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore.

       Crisostomo Giovanni, In Matth., 77, 6


3. Mi ami tu?

       Ma, prima, il Signore domanda a Pietro ciò che già sapeva. Domanda, non una sola volta, ma una seconda e una terza se Pietro lo ama, e da Pietro altrettante volte si sente rispondere che lo ama; e altrettante volte niente altro gli affida che il compito di pascere le sue pecore. Alla sua triplice negazione fa riscontro la triplice confessione d’amore, in modo che la sua parola non obbedisca all’amore meno di quanto ha obbedito al timore, e in modo che la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla vita, di quanto lo fu dinanzi alla minaccia di morte. Sia dunque prova del suo amore pascere il gregge del Signore, come rinnegare il pastore costituì la prova del suo timore.

       Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di farne le proprie pecore, si convincano che amano se stessi, non Cristo; si convincano di essere guidati dal desiderio di gloria, di potere, di denaro, e non dalla carità, che vuole soltanto obbedire, soccorrere ed essere gradita a Dio. Contro costoro vigila la parola del Signore così insistentemente ripetuta, gli stessi che strappavano gemiti all’Apostolo perché cercavano la propria gloria, non quella di Gesù Cristo (Ph 2,21).

       Che vogliono dire infatti le parole: «Mi ami? Pasci le mie pecore»? È come se, con esse, il Signore dicesse: Se mi ami, non pensare di pascere le pecore nel tuo interesse; pasci le mie pecore in quanto sono mie, non come se fossero tue; cerca nel pascerle la mia gloria, non la tua; cerca di stabilire il mio regno, non il tuo; cura il mio interesse, non il tuo, se non vuoi essere nel numero di coloro che, in questi tempi perigliosi, amano se stessi, e che perciò cadono in tutti gli altri peccati che da tale amore per sé derivano come dal loro principio. L’Apostolo, dopo aver detto: «Gli uomini invero ameranno se stessi», aggiunge infatti: "Ameranno il denaro, saranno presuntuosi, superbi, bestemmiatori, disobbedienti ai genitori, ingrati, scellerati, empi, disamorati, calunniatori, incontinenti, crudeli, nemici del bene, traditori, protervi, ciechi, amanti più del piacere che di Dio con la sembianza della pietà, ma privi in realtà della sua virtù" (2Tm 3,1-5).

       Tutte queste colpe derivano, come dalla loro sorgente, da quella che per prima l’Apostolo ha citato: «amano se stessi».È dunque con ragione che il Signore chiede a Pietro: «hai dilezione per me?», e giustamente, alla sua risposta: «Sì, ti amo» egli replica: «Pasci i miei agnelli»; e giustamente ripete per tre volte tali parole. Vediamo anche, in questa circostanza, che la dilezione è la stessa cosa che l’amore: la terza e ultima volta, infatti, il Signore non dice: «hai dilezione per me», ma dice: «Mi ami?».

       Non amiamo noi stessi, ma il Signore: e nel pascere le sue pecore, cerchiamo ciò che è suo, non ciò che è nostro. Non so in quale inesplicabile modo accade che, chi ama se stesso e non Dio, non ama nemmeno sé, mentre chi ama Dio e non ama se stesso, in effetti ama anche sé. Colui che non ha la vita da se stesso, muore amando sé: quindi non ama se stesso chi sacrifica la propria vita a questo amore. Colui, invece, che ama il principio della sua vita, tanto più ama se stesso non amando sé, poiché trascura sé per amare colui dal quale deriva la propria vita.

       Non siano dunque tra quelli che «amano se stessi», coloro che pascono le pecore di Cristo, per non pascerle come proprie, ma del Signore...

       Tutte queste colpe e le altre simili, sia che si trovino riunite nello stesso uomo, sia che esercitino separatamente il loro dominio, alcune su certi uomini, alcune su altri, derivano tutte dalla stessa radice, cioè dall’amore «per se medesimi». Questo è il pericolo dal quale, sopra tutto, debbono stare in guardia coloro che pascono le pecore di Cristo, in modo da non ritrovarsi mai a cercare il proprio interesse invece dell’interesse di Cristo, o a tentare di trarre soddisfazione dei propri desideri dalle pecore per la cui salvezza è stato versato il sangue di Cristo. L’amore per Cristo deve tanto crescere in colui che pasce le sue pecore, sino a giungere a quell’ardore spirituale che gli farà vincere anche il naturale timore della morte, in modo che egli saprà morire proprio perché vuole vivere con Cristo. L’apostolo Paolo ci dice infatti di avere un grande desiderio di essere sciolto dai vincoli della carne, per ritrovarsi con Cristo (Ph 1,23). Egli geme per il peso di questo corpo, ma non vuole essere spogliato, ma piuttosto sopravvestito, onde ciò che è mortale in lui sia assorbito dalla vita (2Co 5,4).

       Agostino, Comment. in Ioan., 123, 5





Lezionario "I Padri vivi" 159