Lezionario "I Padri vivi" 163

IV DOMENICA DI PASQUA

163 Letture:
    
Ac 13,14 Ac 13,43-52
     Ap 7,9 Ap 7,14-17
     Jn 10,27-30

1. La vita eterna

       I Giudei attribuivano una grande importanza a quanto avevano domandato a Cristo. Se infatti egli avesse detto: Io sono Cristo, dato che essi ritenevano che Cristo fosse soltanto figlio di David, lo avrebbero accusato di volersi arrogare il potere regale. Ma più importante è quanto egli rispose loro: a quelli che volevano far passare come delitto il dichiararsi figlio di David, egli dichiarò di essere Figlio di Dio. In qual modo? Ascoltate: "Rispose loro Gesù: «Già ve l’ho detto e non credete; le opere che io faccio in nome del Padre mio, rendono testimonianza in mio favore. Ma voi non credete perché non siete delle mie pecore»" (Jn 10,25-26).

       Già avete appreso chi siano le pecore: siate nel numero delle sue pecore! Le pecore sono tali in quanto credono, in quanto seguono il loro pastore, non disprezzano colui che le redime, entrano per la porta, ne escono e trovano i pascoli: e sono pecore perché godono della vita eterna. E perché allora disse a costoro: «Non siete delle mie pecore»? Perché egli li vedeva predestinati alla morte eterna, e non riacquistati alla vita eterna col prezzo del suo sangue.

       "Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna" (Jn 10,27-28).

       Ecco quali sono i pascoli. Se ben ricordate, egli aveva detto prima: «Ed entrerà e uscirà e troverà i pascoli». Siamo entrati credendo, usciamo morendo. Ma nello stesso modo in cui siamo entrati per la porta della fede, da fedeli anche usciamo dal corpo: usciamo per la stessa porta per poter trovare i pascoli. Questi eccellenti pascoli sono la vita eterna: qui l’erba non si inaridisce, sempre verdeggia, sempre è piena di vigore. Si dice di una certa erba che è sempre viva: essa si trova solo in quei pascoli. «La vita eterna - dice - do loro», cioè alle mie pecore. Voi cercate motivi per accusarmi, perché non pensate che alla vita presente.

       "E non periranno in eterno" (Jn 10,27-28); sottintende: voi invece andrete nella morte eterna, perché non siete mie pecore. "Nessuno le rapirà di mano a me ()". Raddoppiate ora la vostra attenzione: "Il Padre mio che me le ha date, è più potente di tutti" (Jn 10,29).

       Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Essi non possono perdere che quelli che sono predestinati alla rovina. Ma quelle pecore di cui l’Apostolo dice: "Il Signore conosce i suoi" (2Tm 2,19), e ancora: "Quelli che ha conosciuti nella sua prescienza, quelli ha predestinati, e coloro che ha predestinati, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" (Rm 8,29-30), queste pecore, dicevo, non potranno né essere rapite dal lupo, né asportate dal ladro, né uccise dal brigante. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro delle sue pecore. È questo il senso delle parole: «Nessuno le rapisce di mano a me».

       Agostino, Comment. in Ioan., 48, 4-6


2. Cristo vuole riportarci all’unità

       Così lo stesso "Figlio di Dio, Verbo di Dio" e nello stesso tempo "Mediatore di Dio e degli uomini" come "Figlio dell’uomo uguale al Padre" (1Tm 2,5) per l’unità della divinità e nostro simile per l’umanità che assunse, pregando il Padre per noi con la sua umanità, senza tacere tuttavia di essere con il Padre una sola cosa nella divinità, tra le altre cose dice: "Non soltanto per questi prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola, affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché anche loro siano una cosa sola in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, io l’ho data a loro affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola" (Jn 17,20-22).

       Non disse: «Che io e loro siamo una cosa sola», sebbene come capo della Chiesa ed essendo "la Chiesa" il "suo corpo" (Ep 5,23 Col 1,18) potesse dire: «Che io e loro siamo, non una cosa sola, ma uno solo», perché il "capo e il corpo è un solo Cristo" (1Tm 2,5 1Co 8,6 1Co 12,20). Ma manifestando la sua divina consustanzialità con il Padre (riferendosi a questo, in un altro passo dice: " il Padre siamo una sola cosa" ([Jn 10,30]), consustanzialità di un genere proprio a lui, cioè uguaglianza consustanziale nella medesima natura, vuole che i suoi siano "una sola cosa", ma in lui. Infatti in se stessi ne sarebbero incapaci, disuniti l’uno dall’altro dalle opposte volontà, dalle passioni, dall’immondezze dei peccati. Per questo sono purificati dal Mediatore per "essere una sola cosa" in lui, non solo nell’unità della natura, nella quale da uomini mortali "diventano uguali agli angeli" (Lc 20,36 , Mt 22,30 Mc 12,25), ma anche per l’identità di una volontà che cospira in pieno accordo alla medesima beatitudine, fusa in qualche modo in un solo spirito dal fuoco della carità. È questo il senso dell’espressione: "Che essi siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa"; come il Padre e il Figlio sono "una sola cosa" non solo per l’uguaglianza della sostanza, ma anche per la volontà, così questi che hanno il Figlio come Mediatore tra sé e Dio, siano una cosa sola non soltanto perché sono della stessa natura ma anche per la comunanza di uno stesso amore.

       Agostino, De Trinitate, 4, 8, 12 s.


3. Gli insegnamenti teorici

       Mosè insegna che all’inizio, "Dio fece il cielo e la terra" (Gn 1,1); egli disse queste parole perché conoscessimo la verità sulla Creazione e sul suo autore. E tutte le altre parole del Racconto della Creazione che sono state trascritte, sono state dette non perché le mettessimo in pratica, quanto piuttosto perché le contemplassimo. L’intera Sacra Scrittura corrobora questo insegnamento.

       Lo stesso Salvatore, quantomeno, nei Vangeli ora prescrive obblighi da tradurre in pratica, ora fa sapere ciò che occorre conoscere e contemplare. Quando dice, infatti: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre" (Mt 11,29), o ancora: "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ogni giorno" (Lc 9,23 Mt 16,24), egli lo dice perché noi lo si metta in pratica, esattamente come nel caso di: "Siate misericordiosi e troverete misericordia" (Mt 5,7), come pure gli altri avvertimenti del genere.

       Al contrario, le parole: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Jn 14,10), oppure: "Il Padre e io siamo una sola cosa" (Jn 10,30), od anche: "Chi vede me, vede il Padre" (Jn 14,9), e del pari le altre rivelazioni inerenti la natura di Dio che si trovano nei due Testamenti, sono state dette e trascritte perché noi le contempliamo ed abbiamo di esse una conoscenza autentica e devota.

       Didimo di Alessandria, In Zachariam, 3, 13-15


4. Preghiera per la comunità cristiana

       Dio della pace, che di due ci fa uno (Ep 2,14) e ci fonde l’uno con l’altro, che colloca i re sui troni e solleva i poveri dalla terra e innalza gli abietti dal nulla (Ps 112,7); che scelse David e lo prese dalle greggi di pecore (Ps 77,70), sebbene fosse l’ultimo dei figli di Jesse (1S 17,14); il quale riempie di forza la parola di quelli che annunziano il Vangelo (Ps 67,12), egli regga la nostra destra, la guidi secondo la sua volontà e la coroni di gloria (Ps 72,24), pascendo i pastori e guidando le guide; perché noi possiamo pascolare con sapienza il suo gregge... Dia lui virtù e fortezza al suo popolo (Ps 67,36) e si formi un gregge splendido e immacolato (Ep 5,27) degno dell’ovile del cielo, nella casa della gioia (Ps 86,7), nello splendore dei santi (Ps 109,3); perché tutti, gregge e pastori, possiamo cantare gloria (Ps 28,9), in Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia ogni gloria nei secoli dei secoli. Amen.

       Gregorio Nazianzeno, Sermo 2, 117


5. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre

       Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: "Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde" (Mt 12,30). Colui che spezza la concordia, la pace di Cristo, è contro Cristo; e colui che raccoglie fuori della Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo.

       Il Signore dice: "Io e il Padre siamo uno" (Jn 10,30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: "E i tre sono uno" (1Jn 5,7). Ebbene, può forse esserci qualcuno che creda si possa dividere l’unità nella Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà?

       Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza.

       Cipriano, De Unitate Ecclesiae, 6


6. Inno a Cristo Signore

Freno di puledri indomati,
ala di uccelli smarriti,
timone sicuro delle navi,

Pastore di agnelli regali,
raduna i tuoi figli pieni di semplicità,
per lodare santamente,
per cantare sinceramente con labbra immacolate
al Capo dei pargoli, a Cristo.

Re dei santi e Verbo del Padre
nel più alto dei cieli
che ogni cosa domini,
governatore della Sapienza,
sostegno nelle fatiche,
ripieno di gioia eterna,
Gesù, Salvatore del genere umano,
Pastore e aratore, timone e freno,
ala celeste della santa schiera.

Pescatore degli uomini mortali
da salvare dal mare di ogni malvagità,
Tu i santi pesci dall’onda nemica
con la dolcezza della vita attiri;
sii guida delle pecore assennate,
Pastore santo, sii il Capo,
o Re di fanciulli innocenti!

Le orme di Cristo sono via al cielo.

Parola eterna, età senza fine,
eterna luce, fonte di pietà.

Tu sei l’autore della virtù nella vita
che si conviene a quei che a Dio inneggiano.

Gesù Cristo, latte celeste
che dal dolce seno della Sposa,
dai doni della tua Sapienza scaturisce;
noi, tuoi figli, con labbra fresche
beviamo al seno della tua Parola
dissetati dalla rugiada dello Spirito.

In semplicità, nel cantico di lode
e con sincero inno, a Cristo Re
rendiamo il tributo santo per la scienza della vita.

Cantiamo insieme, con santa modestia,
cantiamo al Figlio onnipotente!

Noi, nati con Cristo, siamo il coro della pace.

Umile popolo di Dio, insieme,
tutti cantiamo lode al Dio della pace.

       Clemente di Alessandria, Hymn. ad Christ., passim




V DOMENICA DI PASQUA

164 Letture:
    
Ac 14,20-26
     Ap 21,1-5a
     Jn 13,31-33 Jn 13,34-35


1. Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo

       Cristo ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: "Chi è colei che si alza splendente di candore?" (Ct 8,5 , secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata: da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli altri (1Co 12,25-26). Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le delizie (Ps 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,28). Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte che l’Apostolo dice: "Perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore è forte come la morte" (Ct 8,6).

       È grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo amore che vince il mondo?

       Ma non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato, in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di amare "il prossimo tuo come te stesso" (Mt 12,37-40).

       A "questi due comandamenti" - disse il Signore, come narra Matteo - "si riduce tutta la legge e i profeti (Mt 22,40)". Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e non certo la malattia che si sforza di scacciare?

       Amiamoci dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci dice: «Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Jn 13,34). Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto augusto capo.

       "In questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35). È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi, la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali; essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Co 13,1-3). Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

       Agostino, Comment. in Ioann., 65, 1-3


2. Fate in modo di non arrivare a Dio soli

       Se credete d’aver fatto del progresso, tirate qualche altro con voi, cercate d’aver dei compagni nella via di Dio. Se uno di voi, fratelli, va al foro o alle terme e incontra uno che sta senza far niente, lo invita a fargli compagnia. E, allora, se andate verso Dio, fate in modo di non andarvi soli. Perciò fu scritto: "Chi ha sentito l’invito, dica a sua volta: Vieni!" (Ap 22,17), in modo che colui che ha sentito nel cuore il richiamo dell’amore divino, faccia sentire anche al suo prossimo la voce dell’invito. E può ben darsi ch’egli non abbia del pane da dare in elemosina, ma, se ha la lingua, ciò che può dare è molto di più. Val certo di più, infatti, ristorare con la parola un’anima immortale, che saziare con pane terreno una carne mortale. Fratelli, non negate al vostro prossimo l’elemosina della parola.

       Gregorio Magno, Hom., 6, 6


3. La carità

       Se anche tu desideri questa fede per prima otterrai la conoscenza del Padre. Dio, infatti, ha amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua immagine (Gn 1,26-27), per loro mandò suo Figlio unigenito (cf. 1Jn 4,9), loro annunziò il regno nel cielo (Mt 25,34) e lo darà a quelli che l’hanno amato (Jc 2,5). Conosciutolo hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non amerai colui che tanto ti ha amato? Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui (l’uomo). Non si è felici nell’opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio sono cose lontane dalla sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo (Ga 6,2) e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio.

       Ep. ad Diognetum, 10


4. Solitudine o Vita attiva?

       Secondo la vostra capacità aiutatemi e date una mano a un oppresso, e che è per opposte vie attratto dall’istinto e dallo spirito. Quello suggerisce fuga, monti, solitudine, quiete del corpo e dell’anima, raccoglimento interiore e controllo dei sensi, in modo che, libero da ogni macchia, possa avere familiarità con Dio, brilli dello splendore dello Spirito, senza alcuna mescolanza di terreno turbamento, che impedisca la luce divina tanto che possiamo raggiungere la stessa fonte della luce e rimosso ogni specchio dalla verità, mettiamo fine a ogni nostro desiderio. Questo invece mi spinge a uscire, a provvedere alla pubblica utilità, a giovare a me stesso giovando agli altri, a far palese lo splendore di Dio e a portare a Dio un popolo eletto, una gente santa, un regale sacerdozio (1P 2,9)... e mi dice che uno non deve guardare solo al suo vantaggio, ma deve tener conto anche degli altri. Cristo, infatti, sebbene potesse rimanere nell’onore della sua divinità, non solo si svuotò fino a prendere la forma di un servo (Ph 2,7), ma senza badare alla sua umiliazione affrontò il supplizio della croce, per distruggere il peccato con le sue pene e debellare la morte con la sua morte (He 12,2). Le prime voci sono suggestioni dell’istinto personale, le seconde son segnalazioni dello Spirito.

       Gregorio Nazianzeno, Sermo ad Patrem, 12, 4




VI DOMENICA DI PASQUA

165 Letture:
    
Ac 15,1-2 Ac 15,22-29
     Ap 21,10-14 Ap 21,22-23
     Jn 14,23-29


1. La presenza dello Spirito

       Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: "Dio è amore" (1Jn 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola" (Jn 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice anche: "Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo" (1Jn 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

       "E il Padre mio amerà lui, e verremo e metteremo casa presso di lui" (Jn 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: "Verremo e metteremo casa presso di lui". In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste, quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: "Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti" (Jn 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci son le opere, non c’è amore.

       "E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato" (Jn 14,24). Sapete, fratelli che chi parla è il Verbo del Padre, e perciò le parole che dice il Figlio, in realtà, son del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre. "Ho detto queste cose, mentre ero presso di voi"; come non starebbe presso di loro colui che, prima di salire al cielo, promette: "Sarò con voi fino alla fine del mondo" (Mt 28,20)? Il Verbo incarnato rimane e se ne va; se ne va col corpo, rimane con la divinità. Dice che sarebbe rimasto, perché sarebbe stato sempre presente col suo invisibile potere, ma se ne sarebbe andato con la sua visibilità corporale.

       "Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto"(Jn 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, in latino significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Questo Spirito, che è una sola sostanza col Padre e con il Figlio, intercede per i peccatori, ed è lui stesso che intercede perché coloro che lui stesso ha riempito di sé, li muove a chiedere perdono. Perciò Paolo dice: "Lo stesso Spirito supplica per noi con gemiti indescrivibili" (Rm 8,26). Ma chi prega è inferiore a colui che è pregato; e come può lo Spirito pregare, se non è inferiore? Ma lo Spirito prega, perché spinge a pregare coloro che ha ripieni. Il medesimo Spirito è chiamato consolatore, perché mentre dispone i peccatori alla speranza del perdono, ne solleva l’animo dalla tristezza. Di questo Spirito poi giustamente si dice: "V’insegnerà ogni cosa", perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto. Non attribuite al maestro ciò che comprendete, perché se non sta dentro colui che insegna la lingua del maestro si agita a vuoto. Ecco voi sentite ugualmente la voce di uno che parla, ma non percepite tutti ugualmente il senso di ciò che è detto. Se dunque la parola è sempre la stessa, perché nei vostri cuori ve n’è una diversa intelligenza? Certo perché c’è un maestro interiore il quale istruisce alcuni in modo speciale. E di questa istruzione lo Spirito dice attraverso Giovanni: "Egli v’insegnerà tutto" (1Jn 2,27). La parola, quindi, non istruisce, se non interviene lo Spirito. Ma perché diciamo queste cose a proposito dell’istruzione data dagli uomini, quando lo stesso Creatore non istruisce gli uomini, se non attraverso lo Spirito? Certo, Caino, prima di uccidere il fratello, sentì la voce di Dio (Gn 4,7). Ma perché, a motivo delle sue colpe, sentì la voce, ma non ebbe l’unzione dello Spirito, udì la Parola di Dio, ma non la osservò. Bisogna ancora domandarsi perché del medesimo Spirito si dice: "Vi suggerirà tutto", se il suggerire è cosa di un inferiore? Ma poiché per suggerire a volte intendiamo somministrare, l’azione del suggerire è attribuita allo Spirito, non in quanto venga dal basso, ma perché viene dal buio. "Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace". Qui lascio li do. La lascio a quelli che seguono, la do a quelli che arrivano.

       Gregorio Magno, Hom., 30, 1


2. Il dono della pace

       "La pace" - prosegue il Signore - "io vi lascio, io vi do la mia pace" (Jn 14,27).

       Questo è ciò che leggiamo nel Profeta: «Aggiungo pace a pace»; egli andandosene ci lascia la pace, e la pace ci darà tornando alla fine dei secoli. La pace ci lascia in questo mondo, e la pace sua ci darà nel futuro regno. Ci lascia la pace, affinché noi, che restiamo qui, possiamo vincere i nostri nemici; e la pace ci darà laddove potremo vivere senza temere gli assalti dei nemici. Ci lascia qui la pace, affinché ci amiamo a vicenda; ci darà la sua pace lassù, dove non ci sarà alcun motivo di lite fra noi. Ci lascia la pace, affinché non giudichiamo a vicenda le nostre anime, finché siamo in questo mondo; e la sua pace ci darà quando egli scoprirà i più segreti pensieri di ciascuno, e ciascuno riceverà allora da Dio le lodi che gli spetteranno (1Co 4,5). Ebbene, è in lui e da lui che viene questa pace, sia quella che ci lascia per andare al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà dal Padre. Ma cos’è che ci ha lasciato andandosene da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso è infatti la nostra pace, egli che di due popoli ne fece uno solo (Ep 2,14). Egli è per noi la pace, sia quando crediamo che egli è, sia quando lo vedremo qual è (cf. 1Jn 3,2). Se infatti egli non abbandona noi che peregriniamo in questo mondo lontani da lui, che siamo prigionieri di questo corpo corruttibile che appesantisce l’anima (Sg 9,15), e che camminiamo verso di lui per mezzo della fede e non perché di lui abbiamo la chiara visione (2Co 5,6-7), quanto maggiormente ci ricolmerà di sé, quando alfine perverremo a vederlo quale è? Ma perché, quando dice: «Vi lascio la pace», non dice: «la mia pace», mentre aggiunge «mia» quando dice: «vi do la mia pace»? Forse che il possessivo «mia» si deve intendere sottinteso, in modo che esso, che il Signore dice una volta sola, si possa riferire a tutte e due le volte che egli pronunzia la parola «pace»? Oppure in questo dettaglio è nascosto qualche significato misterioso, che si deve cercare, in modo che, bussando, ci venga aperto? Forse ha voluto che per sua pace, si intendesse solo quella che egli ha in sé? Quanto alla pace che egli ci ha lasciata in questo mondo, essa è più nostra che sua. Egli, in se stesso, non ha alcun motivo di contesa, poiché assolutamente non ha in sé alcun peccato, mentre noi avremo una tale pace solo ora, finché diremo: "Rimetti a noi i nostri debiti" (Mt 6,12). Noi abbiamo quindi una certa pace, quando, nel nostro intimo, troviamo gioia nell’obbedire alla legge di Dio: ma questa pace non è piena, in quanto ci rendiamo conto che nelle nostre membra c’è un’altra legge, che è opposta alla legge della nostra anima (Rm 7,22-23). E questa pace regna tra noi e in noi, quando crediamo all’amore reciproco e di questo amore ci amiamo l’un l’altro; ma questa pace non è piena, perché non possiamo vedere l’uno nell’intimo dei pensieri dell’altro, e perché ci formiamo un’opinione buona o cattiva di ciò che non è realmente in noi. Orbene, questa pace, sebbene ci sia stata lasciata dal Signore, è veramente la nostra: se non fosse per lui, non avremmo neppure questa pace, ma non è quella che egli ha. Se però tale la conserveremo sino alla fine, quale l’abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, e in cui non avremo, tra noi e in noi, alcun motivo di contesa, e niente ci sarà nascosto all’uno e all’altro di quanto sta ora celato nei nostri cuori.

       Agostino, Comment. in Ioan., 77, 3 s.


3. La pace è la tranquillità dell’ordine

       Perciò, la pace del corpo è l’armonico concatenamento delle sue parti; la pace dell’anima irrazionale è la quiete ben regolata dei suoi appetiti; la pace dell’anima razionale è l’accordo ben ordinato di pensiero e azione; la pace dell’anima e del corpo è la vita e la sanità ben ordinate dell’essere animato; la pace dell’uomo mortale con Dio è l’obbedienza ben ordinata nella fede sotto la legge eterna; la pace degli uomini è la loro ordinata concordia; la pace della casa è la concordia unanime dei suoi abitanti nel comandamento e nell’obbedienza; la pace della città è la concordia ben ordinata dei cittadini nella legge e nell’obbedienza; la pace della città celeste è la comunità perfettamente ordinata e perfettamente armonica nel godimento di Dio e nella mutua gioia in Dio; la pace di tutte le cose è la tranquillità dell’ordine. L’ordine è la disposizione di esseri eguali e ineguali, che stabilisce a ciascuno il posto che gli conviene.

       Agostino, De civit. Dei, 19, 13


4. Lo Spirito Santo, Dono dl Dio alla Chiesa

       È alla Chiesa come tale, in effetti, che è stato dato il "Dono di Dio" (Jn 4,10), così come lo era stato il soffio per l’opera modellata (Gn 2,7), affinché tutte le membra possano avervi parte ed esserne vivificate; è in essa che è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, caparra dell’incorruttibilità (Ep 1,14 2Co 1,22), conferma della nostra fede (Col 2,7) e scala della nostra ascensione a Dio (Gn 28,12): infatti, come è detto, "nella Chiesa Dio ha posto gli uni come apostoli gli altri come profeti, ed altri ancora come dottori" (1Co 1,12) e tutto il resto dell’opera dello Spirito (1Co 12,11). Da questo Spirito sono dunque esclusi quanti, rifiutando di accorrere alla Chiesa, si privano da se stessi della vita con le loro false dottrine e le loro azioni riprovevoli. Infatti, là dove è la Chiesa, lì è del pari lo Spirito di Dio; e là dove è lo Spirito di Dio, lì è anche la Chiesa e tutte le grazie. E lo Spirito è Verità (Jn 5,6).

       Ireneo di Lione, Adv. haer., 3, 24




PENTECOSTE

168 Letture:
    
Ac 2,1
     1Co 12,3-7 1Co 12,12-13
     Jn 20,19-23


1. Gli apostoli vicari di Gesù Cristo


       "Disse loro di nuovo: La pace sia con voi" (Jn 20,19).

       Spesso raccomanda loro la pace, perché la perfezione della fede cristiana consiste nella pace e nell’amore. Perciò lo stesso discepolo dice: "In questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete l’un l’altro. Come il Padre ha mandato me così io mando voi" (Jn 13,35). Vi costituisco miei vicari, vi mando in mia vece, vi affido il mio ufficio; vi mando a insegnare, a predicare, a battezzare, a salvare, a glorificare il mio nome e quello del Padre. Ciò detto soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo, l’aiuto del quale vi renderà capaci di portare questo peso. E forse soffiò proprio perché comprendessimo che lo Spirito Santo procede come dal Padre così anche da lui. Qualcuno forse si domanderà se fu in questa circostanza che diede ai suoi discepoli lo Spirito Santo. Si, ma non in quella pienezza in cui lo avrebbe dato poi. Il discorso aperto con la pace continua: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; se non li rimetterete, non saranno rimessi" (Jn 20,22). I peccati che rimetterete o col Battesimo o con la Confessione, saranno rimessi; ma quelli che non perdonerete sia per motivo di infedeltà, o per mancanza di penitenza, o per mancanza di sottomissione, non saranno perdonati.

       Bruno di Segni, In Ioan., 3, 21


2. Lo Spirito è la luce dei credenti

       Troni e Dominazioni, Principati e Potestà potrebbero condurre vita beata se non vedessero continuamente il volto del Padre che è nei cieli (Mt 18,10)? Ora, tale visione non può aversi senza lo Spirito. Infatti, se di notte tu allontani da te la candela, i tuoi occhi restano ciechi, le potenze inerti, i valori indistinti, e l’oro, al pari del ferro, verrebbe calpestato per ignoranza.

       Analogamente, nell’ordine intellettuale, è impossibile condurre a termine una vita conforme alla legge; così come è impossibile, in verità, serbare la disciplina nell’esercito senza un comandante o tenere gli accordi in un coro senza il maestro...

       Ben ragionando, se ne può concludere che, anche al tempo in cui farà la sua attesa comparsa dall’alto dei cieli il Signore, lo Spirito Santo vi sarà associato, al dire di taluni; sarà là anche lui nel giorno della rivelazione del Signore (Rm 2,5), quando il beato e unico Sovrano (1Tm 6,15) giudicherà la terra con giustizia.

       In effetti, chi potrebbe essere così ignorante circa i beni che Dio prepara per coloro che ne risultano degni, da non vedere nella corona dei giusti la grazia dello Spirito, allora offerta più abbondante e più perfetta, nel momento in cui la gloria spirituale verrà distribuita a ciascuno in rapporto ai suoi atti virtuosi?

       Basilio di Cesarea, De Spiritu Sancto, 16, 38.40


3. Il potere di perdonare non è personale di Pietro, è della Chiesa

       Il Signore Gesù, come sapete, prima della Passione, scelse dei discepoli, che chiamò apostoli. Tra questi solo Pietro meritò di agire a nome di tutta la Chiesa. Per questa rappresentanza di tutta la Chiesa gli fu detto: "Ti darò le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16,19). Queste chiavi non furono date a un uomo solo, ma all’unità della Chiesa. Questo mette in evidenza la prerogativa di Pietro, il quale espresse l’universalità e l’unità della Chiesa, quando gli fu detto do a te, ciò che è dato a tutti. Infatti, perché sappiate che tutta la Chiesa ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli, sentite che cosa il Signore dice a tutti gli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete a qualcuno i suoi peccati, gli saranno rimessi, ma se li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,22). Questo appartiene alle chiavi di cui fu detto: "Ciò che avrete sciolto in terra, sarà sciolto anche in cielo ciò che avrete legato in terra, rimarrà legato anche in cielo". Ma queste parole furon dette a Pietro. Perché ti renda conto che Pietro rappresentava tutta la Chiesa, senti che cosa sia detto a lui e che cosa a tutti i fedeli: Se un tuo fratello avrà peccato contro di te, rimproveralo da solo a solo. Se non ti darà ascolto, prendi uno o due testimoni; sta scritto, infatti: "Ogni questione la si risolva con la testimonianza di due o tre persone. Se non darà ascolto neanche a questi, deferiscilo alla Chiesa; se non darà ascolto neanche a questa, consideralo come un pagano o un estraneo. Ve lo dico io che quanto avrete legato in terra, sarà legato anche in cielo, e quanto avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,15ss). La colomba lega e la colomba scioglie; l’edificio che sta sopra la pietra lega e scioglie.

       Stiano accorti quelli che sono legati; stiano accorti quelli che sono sciolti. Quelli che sono stati sciolti, badino a non farsi legare; quelli che sono legati, preghino per essere sciolti. "Ognuno è stretto dai vincoli dei suoi peccati" (Pr 5,22); e al di fuori di questa Chiesa non si scioglie niente. A un morto di quattro giorni vien detto: "Lazzaro, vieni fuori"! E quello esce dalla tomba, legato mani e piedi. Il Signore lo sveglia, perché il morto esca dalla tomba; tocca il cuore, perché la confessione del peccato venga fuori. Ma è ancora un po’ legato. Il Signore, dunque, dopo che Lazzaro era uscito dalla tomba, ai suoi discepoli, ai quali aveva detto: "Ciò che avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo", dice: "Scioglietelo e lasciatelo andare" (Jn 11,43). Da sé solo lo risuscitò, ma lo sciolse per mezzo dei discepoli.

       La fortezza della Chiesa è poi significata in Pietro. Seguì il Signore che andava alla sua Passione, e venne fuori la sua debolezza, poiché interrogato da una donnetta, disse che non conosceva il Signore. Eccoti quel grande amante diventato in un istante un rinnegatore. Ritrovò se stesso, colui che aveva così orgogliosamente pensato di se stesso. Aveva detto, come sapete: "Signore, starò con te fino alla morte: e se dovrò morire, morrò per te". E il Signore disse al presuntuoso: "Tu rischierai la tua vita per me? "Sentimi bene: Prima che canti il gallo, mi rinnegherai tre volte" (Mt 26,33 Jn 13,37). Le cose andarono come aveva detto il Medico; non avrebbe potuto mai avverarsi ciò che il malato aveva preteso. Ma poi? Il Signore lo guardò. È scritto così, così dice il Vangelo: "Il Signore lo guardò, e uscì fuori e pianse amaramente" (Lc 22,61). Uscì fuori, cioè confessò il suo peccato. Pianse amaramente, colui che sapeva amare. All’amarezza del dolore, tenne dietro la dolcezza dell’amore.

       Agostino, Sermo 295, 2-3


4. La molteplicità delle lingue non è più necessaria

       Che forse non c’è lo Spirito Santo? Chi pensa così non è degno di riceverlo. C’è e adesso. Perché, allora, nessuno parla tutte le lingue, come quella volta coloro che ne furono ripieni? Perché? Perché ciò che quel fatto voleva significare, ora si è compiuto. E che cosa è questo? La Chiesa allora era tutta in una sola casa, ricevette lo Spirito Santo: era solo in pochi uomini, ma era nelle lingue di tutto il mondo. Ecco che cosa voleva dire quel fatto. Che quella piccola Chiesa parlasse le lingue di tutte le genti; infatti, che cosa è se non questa realtà di questa nostra Chiesa, che da oriente a occidente parla con le lingue di tutti i popoli? Oggi si avvera ciò che allora si accennava. Sentimmo, vediamo. "Senti, figlia, e vedi" (Ps 44,11); fu detto: Ascolta la promessa, vedine l’adempimento. Il tuo Dio non ti ha ingannato, non ti ha ingannato il tuo Sposo, non ti ha ingannato colui che ti ha fatto la dote col suo sangue; non ti ha ingannato colui che da brutta ti ha fatto bella e da immonda ti ha fatto vergine immacolata. A te stessa tu sei stata promessa; promessa in pochi, adempita in molti.

       Agostino, Sermo 267, 3


5. La pace frutto della carità

       Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo!, e di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro.

       La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!

       Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo ad ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! E neppure mi taglio fuori dalla comunione dei Padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: "Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì  ti viene in mente che un tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì l’offerta, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta" (Mt 5,23-24).

       Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il Corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo "Amen" dopo aver ricevuto l’Eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?

       Girolamo, Epist, 82, 2





Lezionario "I Padri vivi" 163