Lezionario "I Padri vivi" 186

XVI DOMENICA

186 Letture
    
Gn 18,1-10a
     Col 1,24-28
     Lc 10,38-42

1. Marta e Maria

       S’è parlato della misericordia; ma non c’è una sola forma di virtù. Nell’esempio di Marta e di Maria ci viene mostrata nelle opere della prima, la devozione attiva, e in quelle della seconda la religiosa attenzione dell’anima alla Parola di Dio: se questa attenzione è conforme alla fede, essa passa avanti alle stesse opere, secondo quanto sta scritto: "Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).

       Cerchiamo quindi di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada.

       Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera. Che la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste. E non rimproverare né giudicare oziosi coloro che si dedicano alla ricerca della sapienza. Salomone il pacifico infatti ha cercato di coabitare con la sapienza.

       Marta non è certo rimproverata per i suoi buoni servigi; ma Maria ha la preferenza, perché ha scelto per sé la parte migliore. Gesù dispone infatti di molti beni, e molti ne elargisce: e così la più sapiente delle due donne ha scelto ciò che ha riconosciuto principale.

       Del resto, gli apostoli non giudicarono miglior cosa abbandonare la Parola di Dio per servire alla mensa (Ac 6,2) ma erano opera di sapienza ambedue le cose, tanto che fu Stefano, ricolmo di sapienza, a essere scelto come ministro (Ac 6,5). Ed ecco, è necessario che colui che serve obbedisca a colui che insegna, e questi esorti e rianimi il ministro.

       Uno è infatti il corpo della Chiesa, anche se diverse sono le membra: ciascuno ha bisogno dell’altro. "L’occhio non può dire alla mano: non desidero l’opera tua, né può dire così il capo ai piedi" (1Co 12,12ss), né l’orecchio può negare di far parte del corpo. Anche se tra le membra alcune sono più importanti, tuttavia le altre sono necessarie.

       La sapienza risiede nel capo, l’attività nelle mani: infatti gli occhi del sapiente sono nel suo capo, perché veramente sapiente è colui il cui spirito è in Cristo e il cui occhio interiore si innalza verso l’alto. Perciò "l’occhio del sapiente è nel suo capo" (Qo 2,14), quello dello stolto nel suo calcagno.

       Ambrogio, In Luc., 7, 85-86


2. La parte migliore di Maria

       Marta e Maria erano sorelle non solo di sangue, ma anche di religione; ambedue seguirono il Signore, ambedue lo servirono concordemente nei bisogni della sua vita temporale. Marta lo accolse, come si accoglie un ospite. Ma era la serva che accoglieva il Signore, la malata che accoglieva il Salvatore, la creatura che accoglieva il Creatore. Lei bisognosa di cibo dello spirito, accoglieva il Signore bisognoso di cibo per il corpo...

       Così fu ricevuto il Signore "che venne in casa sua e i suoi non lo ricevettero, ma a quelli che lo accolsero, diede la capacità di diventare figli di Dio" (Jn 1,11); adottò gli schiavi, e se li fece fratelli; ricomprò i prigionieri, e se li fece coeredi. Perché nessuno di voi abbia a dire: O beati coloro che ebbero la fortuna di accogliere il Signore in casa loro! Non t’affliggere, non recriminare d’esser nato in un tempo in cui non puoi vedere il Signore nella sua carne; non ti ha tolto questo privilegio. "Ciò che fate a uno di questi più piccoli, lo fate a me" (Mt 25,40)...

       Marta era molto occupata a servire il Signore; Maria, sua sorella, preferì farsi cibare dal Signore. Lasciò in qualche modo sua sorella indaffarata nelle faccende, si mise a sedere ai piedi del Signore e, senz’altro pensiero, lo sentiva parlare. L’orecchio attentissimo aveva udito: "Statemi attenti, e vedete che son io il Signore" (Ps 45,11). Quella s’agitava, questa si nutriva; quella dava mano a molte cose, questa pensava a una sola. Due cose buone tutte e due; e come facciamo a sapere qual è meglio? Abbiamo chi ci può rispondere, sentiamone la risposta. Abbiamo già sentito nella lettura che cosa sia meglio; ma risentiamolo ancora insieme. Marta chiama in causa l’ospite, porta al giudice il suo pio lamento, che la sorella l’abbia lasciata sola al suo lavoro. Maria sta lì, sente e non si giustifica; il Signore dà la sua risposta. Maria, tranquilla, preferisce affidare la sua causa al giudice; poiché, se si fosse impegnata a cercar lei una risposta, avrebbe perduto il filo di quello che sentiva. Rispose il Signore, al quale non mancano le parole, perché lui è la Parola, il Verbo. E che dice? "Marta, Marta!" E la ripetizione indica insieme affetto e un richiamo all’attenzione. "Tu ti affanni in molte cose, eppure una sola cosa è veramente necessaria"; proprio su quell’unica necessaria è caduta la scelta di Maria...

       È cosa buona attendere ai poveri e soprattutto servire a coloro che si son dedicati al servizio di Dio. Non si tratta, infatti, tanto di un dare, quanto di un retribuire, a dire di san Paolo: "Se vi abbiamo dato doni spirituali, è proprio tanto che raccogliamo i vostri beni temporali?" (1Co 9,11). È cosa buona, fatelo, ve lo dico nel nome del Signore, non siate pigri nell’accogliere i santi. Talvolta senza saperlo, accogliendo gente che non conoscevano, ospitarono angeli (He 13,2). È cosa buona, certo; ma è meglio ciò che scelse Maria. In Marta c’è un’occupazione che nasce da un bisogno, in Maria c’è una dolcezza che nasce dall’amore. L’uomo vuol dare soddisfazione, quando serve; e talvolta non ci riesce: si cerca ciò che manca, si offre ciò che si ha; l’animo si distende. Infatti, se Marta avesse potuto far tutto da sola, non avrebbe chiesto l’aiuto della sorella. Son molte cose, son diverse, perché son di questo mondo, son temporali, son cose buone, ma transitorie. E a Marta, che dice il Signore? "Maria ha scelto meglio". Non è che tu hai scelto male ma lei ha scelto meglio. Senti perché meglio: "Non le verrà portato via". A te un giorno sarà portato via il peso della necessità: ma la dolcezza della verità è eterna. A lei non sarà tolto l’oggetto della sua scelta. Non le sarà tolto, anzi, le verrà aumentato. In questa vita viene accresciuto, nell’altra sarà perfetto: non sarà tolto mai.

       D’altra parte, Marta, abbi pazienza, per quanto ti benedica per questo tuo lavoro, tu, in fin dei conti, cerchi una tua ricompensa, la tua quiete. Ora sei tanto affaccendata, vuoi tenere in piedi dei corpi mortali, anche se son quelli di santi; ma, quando arriverai a quella patria, troverai più un pellegrino da ospitare? Un affamato cui dare il tuo pane? Un assetato cui porgere la tua acqua? Un malato da visitare? Un litigante da mettere in pace? Un morto da seppellire? Tutte queste cose non le troverai lassù. E che cosa ci sarà? Proprio ciò che ha scelto Maria. Là staremo a mensa, non daremo da mangiare. Perciò là sarà pieno e perfetto ciò che Maria ha scelto qui; da quella mensa ricchissima della Parola di Dio raccoglieva appena delle briciole. Volete sapere che cosa sarà lassù? Lo dice il Signore stesso: "Vi dico io che li farò sedere e lui passerà e li servirà" (Lc 12,37). Che cosa è questo star seduti, se non stare a proprio agio e riposare? E che significa il suo passare e servire? Prima passa, e nel passare serve. Ma dove? In quel banchetto celeste, di cui dice: "Vi dico io, molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" (Mt 8,11). Là il Signore ci nutre, ma prima passa di qui. Infatti, come sapete, Pasqua vuol dire passaggio. È venuto il Signore, ha fatto cose divine, ha subito pene umane. Vien forse ancora sputacchiato? Ancora schiaffeggiato? Ancora coronato di spine? Ancora flagellato, ancora crocifisso, ancora trafitto dalla lancia? È passato. D’altronde anche il Vangelo parla allo stesso modo, quando dice che egli fece la Pasqua con i suoi discepoli. Che cosa dice il Vangelo? "Giunta l’ora che Gesù passasse da questo mondo al Padre" (Jn 13,1). Dunque, lui passò, per darci da mangiare; andiamogli dietro, per sederci con lui.

       Agostino, Sermo 103, 2 s


3. Dio non ci vuole preoccupati

       Dio nostro Padre non voleva che noi vivessimo preoccupati e in ansia per le cose della vita; questo avvenne ad Adamo, ma in un secondo tempo. Gustò il frutto dell’albero e s’accorse d’essere nudo e si fece un cinto. Ma prima di mangiare il frutto "erano tutti e due nudi e non si vergognavano" (Gn 3,7). Così ci voleva Dio, senza turbamenti di sorta. E questo è il segno di un animo che è lontano da ogni affetto libidinoso; e chi è in questa disposizione, non ha in mente altre opere che quelle degli angeli. Così non penseremmo che a celebrare eternamente il Creatore, sarebbe nostra letizia la sua contemplazione e lasceremmo a lui ogni preoccupazione, come scrisse David: "Lascia al Signore la cura di te stesso, ed egli ti nutrirà" (Ps 54,23). E Gesù insegna agli apostoli: "Non vi preoccupate della vostra vita, di quello che mangerete, né del come vestirete il vostro corpo" (Mt 6,25). E ancora: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto vi sarà dato in sovrappiù" (Mt 6,33). E a Marta: "Marta, Marta, tu ti preoccupi di troppe cose; ma una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la migliore, e non le sarà tolta" (Lc 10,14-15); cioè, si metterà ai piedi del Signore e ascolterà la sua Parola.

       Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 2, 11




XVII DOMENICA

187 Letture:
    
Gn 18,20-21 Gn 18,23-32
     Col 2,12-14
     Lc 11,1-3

3. La coscienza del dono ricevuto

       Anzitutto - dice Cristo - bisogna che voi sappiate chi siete stati e chi siete diventati, cioè che conosciate la grandezza del dono ricevuto da Dio. Poiché sono state fatte per voi grandi cose, molto più grandi che per quelli che sono vissuti prima di voi. Ciò che io stesso faccio per coloro che credono in me e che sono divenuti miei discepoli per elezione, in verità il mette molto al di sopra dei discepoli di Mosè. Se infatti è vero che la prima Alleanza fatta sul Monte Sinai genera per la schiavitù, allora anch’essa è schiava e genera schiavi (cf. Ga 4,24s). Erano infatti schiavi tutti quelli soggetti ai comandamenti: questi regolavano la loro condotta; e la pena di morte, alla quale nessuno poteva sfuggire, era diretta contro tutti quelli che violavano i comandamenti.

       Ma voi, grazie a me, avete ricevuto il dono dello Spirito Santo; esso vi ha fatti diventare figli adottivi e così potete chiamare Dio Padre vostro. Infatti, non avete ricevuto lo Spirito per ricadere nella schiavitù e nella paura; ma lo spirito di adozione a figli, grazie al quale nella libertà chiamate Dio Padre (Rm 8,15). Adesso, voi servite in Gerusalemme con orgoglio e avete quella libertà che spetta a coloro che la risurrezione rende liberi ed immutabili, e partecipi della vita celeste già in questo mondo.

       Dunque, poiché c’è questa differenza tra voi e quelli che sono soggetti alla Legge - se è vero che la lettera della Legge uccide e condanna coloro che la violano ad una morte inevitabile, lo spirito invece vivificato dalla grazia fa sì che mediante la risurrezione diventiate immortali e immutabili - sarebbe bene che voi anzitutto sapeste mantenere costumi degni di tale nobile condizione; infatti, solo quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio, quelli invece che sono soggetti alla Legge, hanno soltanto il nome comune di figli. Ho detto: "Siete dèi e figli dell’Altissimo" (Ps 81,6s), ma come uomini morirete. Perciò, coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo e che quindi aspettano l’immortalità, devono vivere dello Spirito, vivere secondo lo Spirito e avere la coscienza degna di coloro che lo Spirito guida, cioè tenersi lontani dal peccato, avere costumi conformi alla vita divina. In caso contrario, non sarò con voi quando invocherete il nostro Signore e Dio.

       Bisogna naturalmente che sappiate che Dio è Signore e Creatore di tutte le cose e dunque anche di voi; infatti, è grazie a lui che godete molti beni. Eppure, chiamatelo Padre affinché, una volta compresa la vostra nobile condizione, la vostra dignità e la vostra grandezza di figli del Signore di tutte le cose e vostro Signore, possiate agire in armonia con queste verità.

       Non dite, allora: «Padre mio», ma: «Padre nostro». Egli è infatti Padre di tutti come la grazia, mediante la quale siamo diventati suoi figli adottivi. Perciò, non vogliate solo agire degnamente verso il Padre, ma vivete anche in buona armonia con i vostri fratelli, che sono nelle mani dello stesso Padre.

       Teodoro di Mopsuestia, Hom. Catech., 11, 7-9


2. L’amico importuno

       "Se uno di voi ha un amico e lo va a trovare a mezzanotte e gli dice: Amico prestami tre pani... (Lc 11,5).

       Ecco un altro precetto affinché innalziamo preghiere ogni momento, non solo di giorno ma anche di notte. Vedi infatti che quest’uomo, che è andato a mezzanotte per chiedere tre pani al suo amico, insistendo nella sua richiesta, non prega invano.

       Cosa sono questi tre pani, se non l’alimento del mistero celeste? ché se tu ami il Signore Dio tuo, ne potrai ottenere non solo per te, ma anche per gli altri.

       E chi è amico nostro più di colui che per noi ha dato il suo corpo?

       A lui, nel mezzo della notte, David domandò dei pani e li ottenne; domandava infatti quando diceva: "Nel mezzo della notte mi alzai per lodarti" (Ps 118,62). Meritò così di ottenere quei pani che ha posti davanti a noi da mangiare. Egli ha chiesto quando ha detto: "Bagnerò ogni notte il mio letto" (Ps 6,7); e non ha avuto timore di svegliare dal sonno colui che egli sa sempre all’opera vigilante.

       Memori perciò delle Scritture, giorno e notte con la preghiera chiediamo insistentemente il perdono per i nostri peccati. Se infatti quel sì grande santo, che era preso dalle cure del regno, rivolgeva sette volte al giorno la sua lode al Signore (Ps 118,164), sempre intento ai sacrifici del mattino e della sera, che cosa dobbiamo fare noi? Non dobbiamo chiedere con tanta maggiore insistenza, in quanto molto più frequentemente cadiamo per la fragilità del corpo e dell’anima, affinché, stanchi del cammino e affaticati per il corso di questo mondo e per la tortuosità di questa vita, non ci manchi per il nostro ristoro il pane che fortifica il cuore dell’uomo?

       E non soltanto nel mezzo della notte, ma quasi a ogni istante il Signore ci raccomanda di vegliare; viene egli la sera, e alla seconda e alla terza veglia, ed è solito bussare. Perciò "beati quei servi che il padrone, quando verrà, troverà vigilanti" (Lc 12,37). Se dunque tu desideri che la potenza di Dio si cinga e ti serva (Lc 12,37), devi sempre vegliare; siamo infatti circondati di tranelli e pesante è il sonno del corpo, e se l’anima si mette a dormire perderà il vigore della sua forza.

       Riscuotiti dunque dal tuo sonno onde bussare alla porta di Cristo, che anche Paolo chiese gli fosse aperta; egli, non contento delle sue preghiere, supplicò che l’assistessero anche quelle del popolo, affinché gli fosse aperta la porta per parlare del mistero di Cristo (Col 4,3).

       E forse è proprio questa la porta che Giovanni vide aperta; vide infatti e disse: "Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta in cielo e la voce che avevo udito prima mi parlava come una tromba e diceva: Sali fin qui e ti mostrerò ciò che deve accadere" (Ap 4,1). La porta si è dunque aperta a Giovanni, si è aperta a Paolo, per poter ricevere per noi i pani da mangiare. Paolo ha perseverato nel bussare alla porta, in modo opportuno e importuno (2Tm 4,2), allo scopo di rianimare i Gentili, affaticati e stanchi dalla fatica del cammino nel mondo, con l’abbondanza del nutrimento celeste.

       Questo passo ci dà dunque il precetto di pregare di frequente, ci dà la speranza di ottenere e l’arte di persuadere: prima esponendo il precetto stesso, e poi fornendoci un esempio. Colui infatti che promette una cosa, deve dare la speranza della promessa, in modo che si presti obbedienza all’avvertimento e fede nella promessa: questa fede, sull’esempio della bontà umana, acquista a più forte ragione la speranza della bontà eterna, sempreché siano giuste le cose che si chiedono per evitare che la preghiera divenga peccato (Ps 108,7).

       Paolo poi non si è vergognato di chiedere più volte la stessa cosa, per non sembrare o poco fiducioso nella misericordia del Signore, o orgogliosamente impermalito per non averla ottenuta con la preghiera. "Per questo" - egli dice - "tre volte pregai il Signore" (2Co 12,8); e ci indica così che spesso Dio non ci accorda ciò di cui lo preghiamo, perché giudica inutile quanto invece noi riteniamo esserci vantaggioso.

       Ambrogio, In Luc., 7, 87-90


3. Preghiera del peccatore penitente: il ritorno alla casa del Padre

Ritornerò alla casa di mio Padre

come il prodigo,

e vi sarò accolto;

come fece lui, anch’io farò:

non vorrà egli forse esaudirmi?

Alla tua porta,

Padre misericordioso,

ecco io busso;

aprimi, fa’ ch’io entri,

per tema che mi perda,

m’allontani e perisca!

Tu mi facesti erede,

e io la mia eredità abbandonai

dissipando i miei beni;

ormai considerami

come un salariato

e come un servo!

Come del pubblicano,

abbi di me pietà perché io viva

per la tua grazia!

Come alla peccatrice,

rimetti i miei peccati,

Figlio di Dio!

Come Pietro,

me pure trai

di mezzo ai flutti!

Come per il ladrone

pietà ti prenda della mia malizia

e di me ricordati!

Come la pecorella

che s’è smarrita, cercami, Signore,

e tu mi troverai;

sulle tue spalle portami, Signore,

all’alloggio di tuo Padre!

Come al cieco del tuo Vangelo,

aprimi gli occhi,

perch’io la luce veda!

Come al sordo,

dischiudimi le orecchie,

sì che oda la tua voce!

Al par del paralitico,

guarisci la malattia mia,

perch’io canti la lode del tuo nome!

Come il lebbroso,

col tuo issopo purificami

dalle mie sozzure!

Come la giovinetta,

figlia di Giairo,

fa’ ch’io viva, o mio Signore!

Come la suocera di Pietro,

guariscimi, perché sono malato!

Come il ragazzo,

figlio della vedova,

rimettimi in piedi!

Al par di Lazzaro,

di tua voce chiamami

e sciogli le mie bende!

Poiché son morto

tanto per il peccato,

quanto per malattia;

riscattami dalla mia rovina,

perch’io canti la lode del tuo nome!

Signor ti prego,

della terra e del cielo,

vieni in mio aiuto

e mostrami la strada,

ch’io corra verso te!

Figlio del Buono,

verso di te guidami,

il culmine poni alla tua misericordia!

Verrò verso di te

e qui mi sazierò nell’allegrezza.

Schiaccia per me in quest’ora

in cui mi trovo esausto

il frumento di vita!

Alla tua ricerca mi son mosso

e il Maligno mi ha spiato

come un ladro.

M’ha legato dapprima e incatenato

nei piaceri

del perverso mondo;

nel carcere mi ha chiuso

dei suoi piaceri

poscia chiudendomi la porta in viso;

nessuno v’è che possa liberarmi,

sì che muova alla tua ricerca,

o buon Signore!

Figlio di Dio, inviami

la tua grande pietà!

Spezza il suo giogo,

da lui sulle mie spalle posto,

perché mi soffoca!

Essere tuo desidero, Signore,

e camminar con te.

Sui tuoi comandi medito,

la notte e il giorno.

Accordami ciò che chiedo,

accogli le mie preghiere,

o Misericordioso!

Non stroncare, Signore,

la speme del tuo servo,

perché ti attende!

       Giacomo di Sarug, Oratio peccatoris poenitentis




XVIII DOMENICA

188 Letture:
    
Qo 1,2 Qo 2,21-23
     Col 3,1-5 Col 3,9-11
     Lc 12,13-21

1. La tentazione della prosperità

       La tentazione è di due specie. A volte le avversità provano il cuore come l’oro nella fornace (Sg 3,6), quando attraverso la pazienza ne mettono in luce tutta la bontà; a volte, e non di rado, la prosperità della vita tiene per alcuni il posto della tentazione. È ugualmente difficile, infatti, conservare nelle avversità un animo nobile e guardarsi da un abuso nella prosperità. Della prima tentazione è modello Giobbe, quel grande atleta che sostenendo con animo indomito l’impeto scrosciante del diavolo, fu tanto più grande della tentazione, quanto più grandi e quasi inestricabili furono le prove a lui inflitte dal nemico. Esempio della tentazione che nasce dalla prosperità è quel ricco che, avendo già molte ricchezze, ne sognava ancora delle altre; ma il buon Dio a principio non lo condannò per la sua ingratitudine, anzi, lo favorì con sempre nuove ricchezze, in attesa che il suo animo si volgesse una buona volta alla generosità e alla mansuetudine. Ma: "Il campo del ricco portò frutti abbondanti ed egli andava pensando: Che farò? Demolirò i miei granai e ne farò di più grandi" (Lc 12,16-18).

       Perché fu fertile il campo di quell’uomo, che non avrebbe fatto nulla di buono con quella ricchezza? Certo perché risplendesse di più l’indulgenza di Dio, la cui bontà si estende anche a costoro, poiché: "fa piovere sui giusti e sui malvagi e fa che il sole nasca per i buoni e per i cattivi" (Mt 5,45). Ma questa bontà di Dio accresce poi la pena contro i malvagi. Dio mandò la pioggia sulla terra coltivata con mani avare, diede il sole per riscaldare i semi e moltiplicare i frutti. Da Dio viene la terra buona, il clima temperato, la fecondità dei semi, l’opera dei buoi che sono i mezzi della ricchezza dei campi. Ma qual è stata la reazione dell’uomo? Modi amari, odio, scarsezza nel dare. Questo era il ricambio a tanta magnificenza ricevuta. Non si ricordò dei suoi simili, non pensò che il superfluo dovesse essere distribuito agli indigenti, non fece nessun conto del comando: "Non ti stancare di dare al bisognoso" (Pr 3,27) e: "Spezza il tuo pane con chi ha fame" (Pr 3,3). Non sentiva la voce dei profeti, i suoi granai scoppiavano da ogni parte, ma il suo cuore avaro non era sazio. Aggiungendosi sempre nuovi prodotti ai vecchi, finì in questa inestricabile povertà di mente, che l’avarizia non gli consentiva di sottrarre ciò che superava e non aveva magazzini ove deporre la nuova ricchezza. Perciò non trova una soluzione, è affannato. "Cosa farò?" È infelice per la fertilità dei suoi campi, per quello che ha, più infelice per quello che aspetta. La terra a lui non produce dei beni, gli porta sospiri; non gli accresce abbondanza di frutti, gli porta preoccupazioni, pene, ansietà. Si lamenta come i poveri. Il suo grido cosa farò? non è il medesimo che emette l’indigente? Dove troverò il cibo, il vestito? Il ricco fa lo stesso lamento. È afflitto. Ciò che porta gioia agli altri, uccide lui. Non si rallegra, quando i granai son tutti pieni; le ricchezze sovrabbondanti e incontenibili lo feriscono; ha paura che qualche goccia, che n’esca, sia motivo di sollievo a un indigente.

       Basilio di Cesarea, In illud «Destruam», 1


2. La nostra terra è straniera

       Sapete di abitare una terra straniera. La vostra città è molto lontana da questa. Se sapete la città che dovete abitare, perché mai qui vi procurate campi, apparati sontuosi, case e dimore inutili? Chi prepara queste cose per questa città non cerca di ritornare nella propria. O stolto, dissociato e infelice, non pensi che tutte queste cose ti sono estranee e sotto il dominio di un altro? Infatti, il signore di questa città dirà: Non voglio che tu abiti nella mia città, ma vattene perché non obbedisci alle mie leggi. Tu che hai campi, abitazioni e molti altri averi, mandato via da lui, cosa potrai fare del campo, della casa e delle altre cose che ti procurasti? Ti dice giustamente il signore di questo paese: Obbedisci alle mie leggi o vattene da questo paese. Che dovrai fare tu, che hai una legge nella tua città? Per i tuoi campi e per le altre sostanze rinnegherai completamente la tua legge e camminerai nella legge di questa città? Vedi che non sia nocivo rinnegare la tua legge. Se vuoi tornare nella tua città, non sarai ricevuto perché rinnegasti la legge della tua città e ne sei rimasto tagliato fuori. Bada, abitando in terra straniera, di non procurarti più dello stretto necessario e sii pronto. Quando il signore di questa città vuole cacciarti perché ti sei opposto alla sua legge, uscirai da questa città e andrai nella tua e obbedirai alla tua legge senza ostilità e con gioia. Guardate voi che servite il Signore avendolo nel cuore. Fate le opere di Dio, ricordandovi dei suoi comandamenti e delle promesse che ha fatto. Credetegli, le adempirà se sono osservati i suoi precetti. Invece dei campi, riscattate le anime oppresse come uno può, visitate vedove e orfani (Jc 1,27) e non disprezzateli. Consumate le vostre ricchezze e tutte le sostanze che avete ricevuto da Dio in questi campi e case. Per questo il Signore vi arricchì, per prestare a lui tali servizi. È molto meglio acquistare questi campi, sostanze e case che ritroverai nella tua città quando vi tornerai. Questo investimento è bello e santo, non ha né tristezza né paura, ma allegria. Non fate, dunque, l’investimento dei pagani che è dannoso ai servi di Dio. Fate l’investimento che vi è proprio in cui potete rallegrarvi. Non defraudate, non toccate l’altrui e non desideratelo; è turpe desiderare le cose degli altri. Espleta il tuo lavoro e sarai salvo.

       Erma, Pastor, Sim. 1


3. Giusto uso delle ricchezze

       "Guai a voi ricchi, che avete già la vostra consolazione!" (Lc 6,24). Sebbene l’abbondanza delle ricchezze rechi con sé molte sollecitazioni al male, si trovano tuttavia in esse anche inviti alla virtù. Ma senza dubbio la virtù non ha bisogno di sussidi e l’offerta del povero è certamente più degna di lode che la generosità del ricco. Comunque, coloro che vengono condannati dall’autorità della sentenza di Cristo non sono coloro che possiedono le ricchezze, ma coloro che non sanno usarle bene. Infatti, come il povero è più degno di lode quando dona di buon animo e non si lascia fermare dalla minaccia della miseria, poiché non si ritiene povero se ha quello che basta alla sua condizione, così tanto più degno di rimprovero è il ricco che dovrebbe, almeno, rendere grazie a Dio di tutto quello che ha ricevuto, non tener nascosto e inutilizzato quanto ha avuto per l’utilità di tutti, e non covare i suoi tesori seppellendoli sotto terra. Non è dunque la ricchezza che è condannata, ma l’attaccamento ad essa. Ebbene, quantunque l’avaro per tutta la vita faccia la guardia inquieta, un gravoso servizio di sentinella - pensa questa che non trova l’eguale -, per conservare, in un continuo e angoscioso timore di perderlo, ciò che servirà ai piaceri degli eredi, tuttavia, dato che le preoccupazioni dell’avarizia e il desiderio di ammassare si nutrono di una sorta di vana felicità, chi ha avuto la sua consolazione in questa vita presente, ha perduto la ricompensa eterna.

       Ambrogio, In Luc., 5, 69


4. Ricchezza e Provvidenza

       Tra fratelli non deve intromettersi un giudice, ma deve l’affetto reciproco decidere sulla ripartizione del loro patrimonio. D’altra parte, non è il patrimonio del denaro, ma quello dell’immortalità che si deve cercare; è vano infatti ammassare ricchezze senza sapere di poterne usare, come colui che, poiché i suoi granai ricolmi crollavano sotto il peso delle nuove messi, preparava magazzini per questa sovrabbondanza di raccolti, senza sapere per chi accumulava (Lc 12,16-21). Resta nel mondo tutto quanto è del mondo, e ci vediamo sfuggire tutto quanto accumuliamo per i nostri eredi: infatti non è nostro ciò che non possiamo portare con noi. Solo la virtù accompagna i morti, ci segue solo la misericordia che, conducendoci e precedendoci nelle dimore del cielo, acquista per i morti, a prezzo di vil denaro, la dimora eterna, come testimoniano i precetti del Signore che ci dice: "Fatevi degli amici con le ricchezze d’iniquità, affinché essi vi accolgano nei loro padiglioni eterni" (Lc 16,9). Ecco dunque un precetto buono, salutare, capace di spingere anche gli avari a scambiare le ricchezze effimere con quelle eterne, ciò che è terrestre con ciò che è divino.

       Ambrogio, In Luc., 7, 122


5. Sobrietà non è solo freno della lussuria

       Capisci ciò che sto ripetendo ogni momento, che la sobrietà non è limitata solo all’astinenza dalla fornicazione, ma vuole il controllo e la fuga anche di tutti gli altri vizi? Dunque chi ama il denaro, non è sobrio. Come, infatti, quello va in cerca di corpi, questo va in cerca di denaro. Anzi questo è più intemperante, perché non è trascinato con altrettanta violenza. Verrebbe, infatti, chiamato inesperto non il cocchiere, che non riuscisse a domar con le redini un cavallo focoso e senza freni, ma quello che non riuscisse a tenerne a bada uno piuttosto mansueto.

       Crisostomo Giovanni, In epist. ad Titum, 5, 2




XIX DOMENICA

189 Letture:
    
Sg 18,3 Sg 18,6-9
     He 11,1-2 He 11,8-19
     Lc 12,32-48


1. I valori della vita umana

       Non vi sembra che la vita sia una via lunga e distesa e quasi un cammino segnato da tappe? Il cammino ha inizio col parto materno e finisce col sepolcro, dove, chi prima chi dopo, arrivano tutti; alcuni dopo aver fatto tutte le tappe, altri già alle prime. Dalle altre strade, che menano da una città all’altra, si può uscire, ci si può fermare, se uno lo vuole; questa invece, anche se volessimo rimandare il percorso, trascina i viandanti senza posa alla meta prestabilita. E neanche è possibile che uno che è uscito dalla porta e s’è messo sulla via, non raggiunga la meta. Ciascuno di noi, appena uscito dal seno materno, è preso dal fiume del tempo, lasciandosi sempre indietro il giorno vissuto, senza possibilità di ritorni. Noi ci congratuliamo degli anni che passano e alle diverse tappe siamo felici, come se guadagnassimo qualche cosa e ci sembra bello, quando uno da ragazzo diventa uomo e da uomo diventa vecchio. Ma dimentichiamo che tutto il tempo che abbiamo vissuto è un tempo che non abbiamo più; così a nostra insaputa la vita si consuma, sebbene noi la misuriamo dal tempo che è passato via. E non pensiamo quanto sia incerto quant’altro tempo ci voglia concedere colui che ci ha mandato a fare questo viaggio e quando ci aprirà le porte d’ingresso alla dimora stabile e che dobbiamo tenerci sempre pronti a partire di qua. Ci dice, però: "Tenete la corda ai fianchi e la lucerna accesa siate simili ai servi che aspettano il ritorno del padrone e si tengono pronti, in modo che gli possano aprire, appena bussa" (Lc 12,35-36)... Tralasciamo le cose inutili e curiamo le cose che sono veramente nostre. Ma quali sono le cose veramente nostre? L’anima, per la quale viviamo e che è intelligente e il corpo, che il Creatore ci ha dato come veicolo per passar la vita. Questo è l’uomo, una mente in una carne complementare. Questo vien fatto dal Creatore nel seno materno. Questo viene alla luce col parto. Questo è destinato a dominare sulle cose terrene. Le creature gli sono sottoposte, perché eserciti la virtù. Gli è data una legge, perché rassomigli al suo Creatore e porti sulla terra un segno della disciplina del cielo. Di qui viene. Questo è chiamato al tribunale di Dio, che lo ha mandato; è chiamato in giudizio, riceverà la mercede di ciò che fa nella vita. E le virtù saranno cosa nostra, se saranno diligentemente fuse con la natura; e non ci abbandonano, se non le cacciamo con i vizi, e ci vanno innanzi alla gloria futura e mettono tra gli angeli chi le coltiva e splendono eternamente sotto gli occhi del Creatore. Le ricchezze invece e i titoli e la gloria e i piaceri e tutta la turba di queste cose che crescono ogni giorno per la nostra insipienza, non vennero alla vita con noi e non ci accompagnano all’uscita; ma in ogni uomo rimane fisso e certo, ciò che fu detto dal giusto: "Sono uscito nudo dal seno di mia madre e nudo tornerò" (Jb 1,11).

       Basilio di Cesarea, Hom. Quod mundanis, 2 s., 5


2. Il piccolo gregge (Lc 12,32)

Al gruppo scelto del piccolo gregge
aggiungi l’anima sterile di questa pecorella,
affinché piaccia alla volontà del Padre
dare anche a me come ad essi il Regno...

Il servitore tuo non ho imitato
che il tuo ritorno aspettava, Signore;
e il tuo arrivo alla seconda vigilia
né alla terza io attendo.

Ecco perché non oso più sperare
della promessa l’onore ineffabile e sublime
che Tu ti cinga ponendoti a servire
al posto del tuo servitore.

Al disperato sono invece simile
che picchiava i tuoi servi,
fatto pari allo sbronzo ed all’ingordo
che i beni tuoi scialacquava, Signore.

E se ignorante fossi me beato
e non come chi conosce il male,
per non ricever le tante bastonate
sempre poche se commisurate al torto.

Sono al presente dotto nella scienza del male,
e indotto volontario in quella del meglio;
custode attento non son della mia anima
con l’occhio vigile della sentinella.

Svegliami dal sonno mio mortale,
perché abbia a guardarmi dal Brigante.
Dammi la grazia di sperare fino all’aurora
finché mi rassicuri la tua vista.

Rendimi simile a quel servitore
che nutre i suoi compagni,
per dare a tempo il midollo del tuo Verbo
a qualsivoglia anima affamata.

La cintura concedimi virile
per tener legata la concupiscenza;
del tuo precetto illumina la lampada
nella mia anima spenta e tenebrosa.

       Nerses Snorhali, Jesus, 554, 545-552


3. La fine del mondo

       Sorvegliate la vostra vita. Le vostre lampade non si spengano, e non si sciolgano i vostri fianchi (Lc 12,35), ma siate pronti. Non sapete l’ora in cui nostro Signore viene (Mt 24,42-44). Riunitevi spesso cercando ciò che conviene alle vostre anime; non vi gioverà tutto il tempo della vostra fede, se non sarete perfetti in ultimo. Negli ultimi giorni aumenteranno i falsi profeti e i corruttori, le pecore si cambieranno in lupi (Mt 7,15) e l’amore si muterà in odio. Crescendo l’iniquità, gli uni odieranno gli altri, si perseguiteranno e si tradiranno. Allora comparirà il seduttore del mondo come figlio di Dio e farà segni e prodigi. La terra sarà nelle sue mani, e farà cose scellerate che mai avvennero dal principio del mondo. Allora il genere umano perverrà al fuoco della prova, si scandalizzeranno molti e periranno. Quelli, invece, che perseverano nella fede saranno salvati (Mt 24,10-12) dalla maledizione di lui. E allora appariranno i segni della verità; prima il segno dello squarcio nel cielo, poi il segno del suono della tromba, in terzo luogo la risurrezione dei morti. Non di tutti, ma secondo quanto fu detto: "Verrà il Signore e tutti i santi con lui" (Za 14,5). Allora il mondo vedrà il Signore che viene sopra le nubi del cielo (Mt 24,30).

       Didachè, 16, 1-8


4. Il mondo offre solo le tenebre

Qual mai vantaggio ho tratto io dal mondo
e quei che son nel mondo cosa acquistano?

Invero nulla, nudi vivranno nei sepolcri,
nudi risorgeranno e tutti
incorreranno in giudizio,
perché la via vera hanno abbandonato,
la luce del mondo, il Cristo intendo;

le tenebre hanno amato,
e camminare in esse han preferito
essi che non hanno accolto
la luce che nel mondo s’è diffusa,
che il mondo non può cogliere o vedere.

       Simeone Nuovo Teologo, Hymn., 28, 48-56





Lezionario "I Padri vivi" 186