Lezionario "I Padri vivi" 198

XXVIII DOMENICA

198 Letture:
    
2R 5,14-17
     2Tm 2,8-13
     Lc 17,11-19


1. La gratitudine promuove sempre più grazie

       "Non furono dieci a essere guariti; e gli altri nove dove sono?" (Lc 17,17). Penso che ricordiate che son queste le parole del Salvatore, che rimproverava l’ingratitudine di quei nove. Si vede dal testo quanto abbiano saputo ben pregare coloro che dicevano: "Gesù, figlio di David, abbi pietà di noi" (Lc 18,38); mancò però l’altra cosa di cui parla l’Apostolo (1Tm 2,1), il ringraziamento, perché non tornarono a render grazie a Dio.

       Anche oggi vediamo molti impegnati a chiedere ciò di cui sanno d’aver bisogno, ma vediamo ben pochi che si preoccupano di ringraziare per ciò che hanno ricevuto. E non è che è male chiedere con insistenza; ma l’essere ingrati toglie forza alla domanda. E forse è un tratto di clemenza il negare agli ingrati il favore che chiedono. Che non capiti a noi di essere tanto più accusati d’ingratitudine, quanto maggiori sono i benefici che abbiamo ricevuto. È dunque un tratto di misericordia, in questo caso, negare misericordia, com’è un tratto d’ira mostrare misericordia, certo quella misericordia di cui parla il Padre della misericordia attraverso il Profeta, quando dice: "Facciamo misericordia al malvagio, ed egli non imparerà a far giustizia" (Is 26,10)...

       Vedi, dunque, che non giova a tutti essere guariti dalla lebbra della conversione mondana, i cui peccati son noti a tutti; ma alcuni contraggono un male peggiore, quello dell’ingratitudine; male che è tanto peggiore, quanto è più interno...

       Fortunato quel Samaritano, il quale riconobbe di non aver niente che non avesse ricevuto, e perciò tornò a ringraziare il Signore. Fortunato colui che a ogni dono, torna a colui nel quale c’è la pienezza di tutte le grazie; poiché quando ci mostriamo grati di quanto abbiamo ricevuto, facciamo spazio in noi stessi a un dono anche maggiore. La sola ingratitudine impedisce la crescita del nostro rapporto di grazia, poiché il datore, stimando perduto ciò che ha ricevuto un ingrato, si guarda poi bene di perdere tanto più, quanto più dà a un ingrato. Fortunato perciò colui che, ritenendosi forestiero, si prodiga in ringraziamenti per il più piccolo favore, e ha coscienza e dichiara che è un gran dono ciò che si dà a un forestiero sconosciuto. Noi però, miserabili, sebbene a principio, quando ancora ci sentiamo forestieri, siamo abbastanza timorati, umili e devoti, poi tanto facilmente ci dimentichiamo quanto sia gratuito tutto ciò che abbiamo ricevuto e, come presuntuosi della nostra familiarità con Dio, non badiamo che meriteremmo di sentirci dire che i nemici del Signore sono proprio i suoi familiari (Mt 10,36). Lo offendiamo più facilmente, come se non sapessimo che dovranno essere giudicati più severamente i nostri peccati, dal momento che leggiamo nel salmo: "Se un mio nemico mi avesse maledetto, l’avrei pure sopportato" (Ps 54,13). Perciò vi scongiuro, fratelli; umiliamoci sempre più sotto la potente mano di Dio e facciamo di tutto per tenerci lontani da questo orribile vizio dell’ingratitudine, sicché, impegnati con tutto l’animo nel ringraziamento, ci accaparriamo la grazia del nostro Dio, che sola può salvare le nostre anime. E mostriamo la nostra gratitudine non solo a parole, ma anche con le opere e nella verità; perché il Signore nostro, che è benedetto nei secoli, non vuole tanto parole, quanto azioni di grazie. Amen.

       Bernardo di Chiarav., De diversis, 23, 5-8


2. Gesù salvezza universale

       Il Signore Gesù loda chi lo ringrazia, rimprovera gli ingrati guariti nella pelle, ma ancora lebbrosi nel cuore. Che dice l’Apostolo? "Discorso fedele e degnissimo di essere accolto" (1Tm 1,15s). Che discorso è? "Gesù Cristo è venuto nel mondo". A che fare? "Per salvare i peccatori". E tu chi sei? "Io sono il primo dei peccatori". Chi dice di non essere, o di non essere stato peccatore, è ingrato verso il Salvatore. Nessun uomo in questa massa, che viene da Adamo, nessun uomo affatto è esente da malattia, nessuno è guarito senza la grazia di Cristo. Che cosa bisogna dire dei bambini, malati per la loro discendenza da Adamo? Anch’essi son portati alla Chiesa; se non possono andarci con i loro piedi, vi vanno con i piedi degli altri, per essere guariti. La Chiesa accomoda loro i piedi degli altri, perché vi giungano; il cuore degli altri, perché credano; la lingua degli altri, perché professino la fede, proprio perché son malati, perché un altro ha peccato...

       Non disperate. Se siete malati, accostatevi a lui, e fatevi guarire; se siete ciechi, accostatevi a lui, e fatevi illuminare. Se siete sani, ringraziatelo; se siete malati, correte a lui per la guarigione. Dite tutti: "Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti" (Ps 95,6) e uomini e salvi. Se lui ci ha fatti uomini, noi ci siam fatti salvi: abbiam fatto meglio di lui. È meglio, infatti, un uomo salvo, che uno semplicemente uomo. Se, dunque, Dio ti ha fatto uomo, e tu ti sei fatto un uomo buono, quello che hai fatto tu è meglio. Ma non ti credere più di Dio; abbassati, adora, inchinati a colui che ti ha fatto: nessuno ricrea, se non colui che crea; nessuno ti rifà, se non colui che ti ha fatto. Leggiamo in un altro salmo: "Lui ci ha fatti, non ci siam fatti da noi" (Ps 99,3). Certo, quando ti fece, tu non potevi far nulla; ora che sei, anche tu puoi fare qualche cosa; puoi andare dal Medico, lo puoi chiamare; egli è dappertutto. E perché lo chiamassi, risvegliò il tuo cuore e ti diede la possibilità di invocarlo. "Perché Dio opera in voi e vi rende capaci di volere e di operare" (Ph 2,13). Proprio perché tu avessi la buona volontà, lui ti ha chiamato prima. Grida: "La grazia del mio Dio mi viene in aiuto" (Ps 58,11). La sua misericordia ti ha prevenuto, perché esistessi, sentissi e acconsentissi. Lui ti ha prevenuto in tutto; previeni tu in qualche modo la sua ira. Come? Dichiara che tutto il bene che hai, lo hai da Dio, e che tutto il male viene da te. Non disprezzarlo in ciò che hai di bene, non lodarne te stesso. Non lo accusare della tua malizia; non scusare te stesso. Colui che ti ha prevenuto in tanti beni, verrà da te e vedrà i suoi doni e i tuoi mali e guarderà come ti sarai servito dei suoi doni. Dal momento ch’egli ti ha prevenuto in tutti questi beni, vedi un po’ come tu puoi prevenire la sua venuta. Senti il salmo: "Preveniamo il suo incontro". Renditelo propizio, prima che arrivi; placalo, prima che stia qui. Hai un sacerdote per mezzo del quale puoi placare il tuo Dio; ed egli, insieme col Padre è Dio per te, lui che s’è fatto uomo per te. Così canterai con i salmi, preparandoti a riceverlo con la tua confessione. Esulta con i salmi; professando la sua misericordia, accusa te stesso. Lodando lui, che ti ha fatto, e accusando te stesso, verrà colui che è morto per te e ti risusciterà.

       La dottrina mutevole e incostante è la lebbra della mente. Tenete ben fisso questo. Nessuno apporti novità, nessuno faccia il lebbroso. Una dottrina incostante, che cambia colore, è segno di lebbra mentale: anche questa la guarisce Cristo. Forse avevi seguito qualche novità, ci riflettesti e tornasti alla dottrina migliore; e ciò ch’era cambiato è tornato di un solo colore. Non ne attribuire il merito a te stesso, per non essere uno di quei nove che non ringraziarono il Signore. Uno solo ringraziò. Gli altri erano tutti Giudei. Quello era uno straniero, simboleggiava i Gentili, e lui, il decimo dei lebbrosi, con quel numero, pagò le decime a Cristo. A lui infatti dobbiamo che esistiamo, che viviamo, che abbiamo intelligenza; se siamo uomini, se siamo buoni, se l’intelligenza è retta, lo dobbiamo a lui. Di nostro abbiamo solo i nostri peccati. Che hai, che non l’abbia ricevuto? (1Co 4,7). Voi, dunque, soprattutto voi che capite ciò che udite, sollevate il cuore guarito dalla malattia, purificato dalle tentazioni di novità, e ringraziate Iddio.

       Agostino, Sermo 176, 2.5


3. La carità più eccellente della fede e della speranza

       La fede ha per oggetto le cose che non si vedono, ma cederà il posto alla chiara visione, quando le vedremo. La speranza ha per oggetto le cose che non possediamo, sicché, quando verrà la realtà, non ci sarà più la speranza, perché non c’è più ragione di sperare ciò che ormai possediamo. Quanto alla carità, viceversa, essa non può non aumentare sempre di più (1Co 13,4-13). Se amiamo ciò che non vediamo, quanto dovremo amarlo allorché lo vedremo! Cresca dunque sempre il nostro desiderio! Se siamo cristiani, lo siamo soltanto in ordine alla vita eterna. Nessun cristiano riponga la sua speranza nei beni presenti, nessuno, per il fatto di essere cristiano, si riprometta la felicità in questo mondo. Della felicità presente usi come meglio può, se può, quando può e nella misura in cui può. Quando ce l’ha renda grazie a Dio che così lo consola; quando non l’ha renda grazie alla giustizia di Dio. Sia in ogni caso pieno di gratitudine; mai sia ingrato! Ringrazi il Padre che consola e che accarezza; e ringrazi ugualmente il Padre che vuol raddrizzare, che flagella e che sottopone a disciplina. Dio infatti sempre ama: sia quando accarezze sia quando minaccia. Ripeta le parole che avete udito nel salmo: "È buono lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, Altissimo" (Ps 91,2).

       Agostino, Enarr. in Ps., 91, 1




XXIX DOMENICA

199 Letture:
    
Ex 17,8-13a
     2Tm 3,14-17 2Tm 4,1-2
     Lc 18,1-8


1. Non molte parole nella preghiera, ma pregare sempre

       Credete, o fratelli, che Dio non sappia di che abbiamo bisogno? Conosce e prevede i nostri desideri, lui che conosce bene la nostra povertà. Perciò, quando insegnò a pregare, disse anche ai discepoli di non essere verbosi nelle loro preghiere: "Non dite molte parole; il Padre vostro sa già di che avete bisogno, prima che glielo chiediate" (Mt 6,7). Ma se il Padre nostro sa di che abbiamo bisogno già prima che glielo chiediamo, che bisogno c’è di chiederglielo, sia pur brevemente? Che motivo c’è per la stessa preghiera, se il Padre sa di che abbiamo bisogno? Par che dica: Non chiedere a lungo; so già che cosa ti serve. Ma, Signore mio, se lo sai, perché dovrei chiederlo? Tu non vuoi ch’io faccia una lunga preghiera. Ma, mentre in un luogo si dice: "Quando pregate, non usate molte parole" (Mt 6,7), in un altro si dice: "Chiedete e vi sarà dato" (Mt 7,7), e perché non si pensi che sia una frase detta casualmente, viene anche aggiunto: "Cercate e troverete ()". E poi ancora, perché si capisca che la cosa è detta di proposito, dice a modo di conclusione: "Bussate e vi sarà aperto ()". Vuole, dunque, che tu chieda, perché possa ricevere; che cerchi, per trovare; che bussi, per entrare. Ma se il Padre sa già di che abbiamo bisogno, perché chiedere perché cercare, perché bussare? Perché affaticarci a chiedere, a cercare, a bussare? Per istruire colui che sa tutto? In altro luogo troviamo le parole del Signore: "Bisogna pregare sempre, senza venir mai meno" (Lc 18,1). Ma se bisogna pregare sempre, perché dice di non usar molte parole nella preghiera? Come faccio a pregar sempre, se devo finir presto? Da una parte mi si dice di pregar sempre, senza venir mai meno, e dall’altra di essere breve. Che cosa è questo? E per capire questo, chiedi, cerca, bussa. È astruso, ma per allenarti. Dunque, fratelli, dobbiamo esortare alla preghiera noi e voi. In questo mondo, infatti, non abbiamo altra speranza che nel bussare con la preghiera tenendo per certo che, se il Padre non dà qualche cosa, è perché sa che non è bene. Tu sai che cosa desideri, ma lui sa che cosa ti giova. Pensa di essere malato - e siamo malati, perché la nostra vita è tutta una malattia e una lunga vita non è che una lunga malattia. Immagina, allora, che vai dal medico. Ti vien di chiedere che ti faccia bere del vino. Non t’è proibito di chiederlo, purché non ti faccia male. Non esitare a chiedere, non indugiare; ma se te lo nega, non ti scomporre. Se è così col medico della tua carne, quanto più con Dio, Medico, Creatore e Redentore della carne e anima tua?

       Agostino, Sermo 80, 2


2. Valore della preghiera

       La preghiera è il sacrificio spirituale, che annulla gli antichi sacrifici. "Che mi serve la moltitudine dei vostri sacrifici? Ne ho fin troppo dei sacrifici dei vostri arieti e sono stanco del grasso di agnelli e del sangue di tori e di capri. Chi vi ha chiesto queste cose?" Ciò che Dio chiede, lo dice il Vangelo: "Verrà il tempo che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio infatti è spirito" e così vuole i suoi adoratori (Jn 4,21 Jn 23). E noi siamo veri adoratori, se preghiamo in spirito e in spirito offriamo in sacrificio la nostra preghiera, come dono a Dio, appropriato e gradevole: il dono ch’egli vuole, il dono ch’egli va cercando. Questa è l’offerta che dobbiamo portare all’altare di Dio, nata dall’intimo del cuore, nutrita di fede, accomodata dalla verità, piena d’innocenza, pura di castità, coronata dall’agape fraterna, accompagnata dallo splendore delle buone opere, allietata da canti e inni; ed essa ci otterrà tutto da Dio.

       Che cosa infatti Dio potrà negare a una preghiera che nasce dallo spirito e dalla verità, come lui la vuole? Quante testimonianze possiamo leggere e sentire della sua efficacia! L’antica preghiera liberava dal fuoco, dalle bestie e dalla fame, eppure non aveva ricevuto forma da Cristo. Quanto più, dunque, può ottenere la preghiera cristiana! Non ferma l’angelo della rugiada in mezzo alle fiamme, non chiude la bocca dei leoni, non porta agli affamati il pranzo dei contadini, non porta via la sensazione del dolore; ma istruisce nella sofferenza coloro che sentono il dolore, accresce la grazia, perché la fede, comprendendo che cosa soffra per il nome di Dio, conosca che cosa riceve da Dio.

       Nel Vecchio Testamento la preghiera infliggeva piaghe, disperdeva eserciti nemici, sospendeva l’irrorazione delle piogge. Ora invece la preghiera allontana ogni ira di Dio, veglia per i nemici, supplica per quelli che perseguitano. È strano che strappi acque celesti, quella preghiera che poté far venire fuoco dal cielo? Solo la preghiera vince Dio; ma Cristo non volle che operasse alcun male, le diede solo la virtù di fare il bene. Perciò non sa far altro che richiamare i defunti dal cammino della morte, rinforzare i deboli, restaurare i malati, liberare gl’indemoniati, aprire le carceri, sciogliere le catene degli innocenti. È la preghiera che cancella i delitti, allontana le tentazioni, pone fine alle persecuzioni, consola i pusillanimi, dà gioia ai forti, guida i pellegrini, doma le tempeste, blocca i ladri, nutre i poveri, consiglia i ricchi, rialza coloro che son caduti, sostiene quelli che stanno per cadere, consolida quelli che stanno in piedi.

       La preghiera è la fortificazione della fede, armatura contro il nemico che ci aggredisce da ogni parte. Ricordiamola quando siamo di sentinella di giorno e quando vegliamo di notte. Sotto le armi della preghiera custodiamo lo stendardo del nostro imperatore, aspettiamo in preghiera la tromba dell’angelo.

       Pregano anche tutti gli angeli, prega ogni essere creato, pregano le greggi e le bestie feroci e s’inginocchiano, e uscendo dalle stalle e dalle tane si voltano al cielo e a loro modo muovono il loro spirito. Anche gli uccelli, appena svegli, s’innalzano verso il cielo, stendono le ali in forma di croce e dicono qualcosa che sembra una preghiera. Che volete di più per il valore della preghiera? Anche il Signore pregò, e a lui sia lode e benedizione nei secoli dei secoli.

       Tertulliano, De oratione, XXVIII, 1-4; XXIX, 1-4


3. La preghiera di Cristo

       «E passò la notte in preghiera a Dio». Ecco che ti viene indicato un esempio, ti viene offerto un modello da imitare. Cosa non dovrai tu fare per la tua salvezza, mentre per te Cristo passa la notte in preghiera? Cosa ti conviene fare, quando vuoi intraprendere qualche opera buona, se consideri che Cristo, al momento di inviare gli apostoli, ha pregato, e ha pregato da solo? Se non mi sbaglio, in nessun luogo si trova che egli ha pregato insieme con gli apostoli: ovunque egli prega da solo. Il disegno di Dio non può essere disturbato da desideri umani, e nessuno può essere partecipe dell’intimo pensiero di Cristo.

       Ambrogio, In Luc., 5, 43


4. Perseveranza nella preghiera

       "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Sono in relazione con quel passo ove ha detto: "Venite, ascoltate, e vi racconterò, tutti voi che temete Dio, quante cose egli ha fatte all’anima mia" (Ps 65,16). Dette le cose che avete ascoltate e giunto alla fine, così ha concluso: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né le mie preghiere né la sua misericordia". In questo modo colui che parla giunge alla risurrezione, dove per la speranza siamo anche noi; o, meglio, chi pronunzia questa invocazione siamo anche noi, e tale voce è anche la nostra voce. Finché dunque siamo qui in terra, preghiamo Dio affinché non rimuova da noi la nostra preghiera né la sua misericordia: cioè, affinché con perseveranza noi preghiamo e con perseveranza egli abbia misericordia di noi. Molti infatti stentano a pregare; e, mentre all’inizio della loro conversione pregano con fervore, dopo pregano svogliatamente, poi con freddezza, e quindi con frequenti omissioni: quasi fossero divenuti sicuri! È sveglio il nemico, e tu dormi? Il Signore stesso ci ha ordinato nel Vangelo: "È necessario pregare sempre e non venir meno" (Lc 18,1). E propone la parabola di quel giudice ingiusto che non temeva Dio né aveva rispetto per gli uomini e al quale ogni giorno si rivolgeva, per essere udita, quella vedova. Fu vinto dalla importunità il giudice cattivo che non era stato piegato dalla compassione; e dentro di sé cominciò a dire: "Io, veramente, non temo Dio né ho rispetto per gli uomini; tuttavia, per la noia che ogni giorno mi arreca questa vedova, ascolterò la sua causa e le renderò giustizia". E aggiunge il Signore: "Se un giudice iniquo ha agito così, il Padre vostro non vendicherà i suoi eletti, che a lui gridano giorno e notte? Anzi, vi dico: Renderà loro giustizia al più presto" (Lc 18,4-8). Non cessiamo dunque mai di pregare. Quanto ha promesso di darci, anche se ci viene rinviato, non ci viene tolto. Sicuri della sua promessa, non cessiamo di pregare, sapendo che anche questo è suo dono. Ecco perché dice il salmo: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Quando vedrai che la tua preghiera non è allontanata da te, sta’ tranquillo!, non è rimossa da te neppure la sua misericordia.

       Agostino, Enarr. in Ps., 65, 24


5. Fine e perfezione della preghiera

       Essendo [Gesù] la fonte inviolabile della santità, non aveva bisogno per ottenere la purificazione dell’aiuto della segregazione dal mondo e del soccorso della solitudine esteriore... e tuttavia "si ritirò solo sul monte a pregare" (Mt 14,23). Volle con ciò insegnarci, dandocene l’esempio, che anche noi, se vogliamo consultare Dio con cuore puro e integro negli affetti, dobbiamo del pari appartarci da ogni inquietudine e confusione delle folle, affinché, pur dimoranti ancora nel corpo, possiamo gustare in certa misura quella beatitudine che è promessa in futuro ai santi, e sia possibile almeno in parte per noi che "Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28).

       Allora, infatti, si potrà dire perfettamente adempiuta in noi quella preghiera rivolta al Padre dal nostro Salvatore a favore dei suoi discepoli: "Perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Jn 17,26), e ancora: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siamo anch’essi in noi una cosa sola" (Jn 17,21). Quando quell’amore perfetto, con il quale egli ci ha amato per primo (cf. 1Jn 4,10), sarà trasfuso anche nell’affetto del nostro cuore, sarà compiuta questa preghiera del Signore che noi crediamo non possa in alcun modo venir cancellata.

       Se così avverrà, dato che ogni amore, ogni desiderio, ogni impegno, ogni sforzo, ogni nostro pensiero, tutto ciò che vediamo, quel che diciamo, quanto operiamo e speriamo avrà Dio come fine, l’unità che è ora del Padre con il Figlio, e del Figlio con il Padre, sarà trasfusa nei nostri sensi e nella nostra mente. E come Dio ci ama di un amore puro e sincero, anche noi saremo uniti a lui da carità perpetua e inseparabile; uniti a lui in tal modo, qualunque cosa speriamo, pensiamo o parliamo, sarà Dio; in lui, infatti, raggiungeremo quel fine di cui abbiamo parlato e che lo stesso Signore pregando auspica che si compia in noi: "Che tutti siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola, io in loro e tu in me, affinché siano anch’essi perfetti nell’unità" (Jn 17,22-23). E inoltre: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato, dove sono io, siano anche loro con me ()". Questo il destino del solitario [monaco], tale deve essere il suo intento, sì da meritare di possedere in questo corpo mortale un’immagine della futura beatitudine, avere quaggiù in qualche modo una caparra della celeste conversazione e della gloria che qui ha il suo inizio.

       Cassiano Giovanni, Collationes, 10, 6 s.




XXX DOMENICA

200 Letture:
    
Si 35,15-17 Si 35,20-22a
     2Tm 4,6-8 2Tm 4,16-18
     Lc 18,9-14

1. L’umiltà ottiene il perdono

       Poiché la fede non è dei superbi, ma degli umili, "disse per alcuni che credevano di essere giusti e disprezzavano gli altri, questa parabola. Due uomini andarono al tempio a pregare; un fariseo e un pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, che non sono come tutti gli altri uomini" (Lc 18,9s). Avesse detto almeno: come molti uomini. Che cosa dice questo "tutti gli altri", se non tutti, eccetto lui? Io, afferma, sono giusto; gli altri son tutti peccatori. "Non sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri". Ed eccoti dalla vicinanza del pubblicano un motivo di orgogliosa esaltazione. Dice, infatti: "Come questo pubblicano". Io sono solo, dice; questo è uno come tutti gli altri. Non sono come costui, per la mia giustizia, per cui non posso essere un cattivo, io. "Digiuno due volte la settimana, pago le decime su tutte le mie cose". Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto. Non trovi niente. Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava davvero. "Il pubblicano se ne stava invece lontano"; ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà lo avvicinava. "Il pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino. Il Signore sta in alto", ma guarda gli umili. Gli alti, come il fariseo, li guarda da lontano; li guarda da lontano, ma non li perdona. Senti meglio l’umiltà del pubblicano. Non gli basta di tenersi lontano; "neanche alzava gli occhi al cielo". Per essere guardato, non guardava. Non osava alzare gli occhi; il rimorso lo abbassava, la speranza lo sollevava. Senti ancora: "Si percoteva il petto". Voleva espiare il peccato, perciò il Signore lo perdonava: "Si percuoteva il petto, dicendo: Signore, abbi compassione di me peccatore". Questa è preghiera. Che meraviglia che Dio lo perdoni, quando lui si riconosce peccatore? Hai sentito il contrasto tra il fariseo e il pubblicano, senti ora la sentenza; hai sentito il superbo accusatore, il reo umile, eccoti il giudice. "In verità vi dico". È la Verità, Dio, il Giudice che parla. "In verità vi dico, quel pubblicano uscì dal tempio giustificato a differenza di quel fariseo". Dicci, Signore, il perché. Chiedi il perché? Eccotelo. "Perché chi si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato". Hai sentito la sentenza, guardati dal motivo; hai sentito la sentenza, guardati dalla superbia.

       Agostino, Sermo 115, 2


2. Pensa a te stesso

       Mi verrebbe meno il giorno, se volessi elencare gli studi di quelli che s’interessano del Vangelo e quanto esso si adatti a tutti. Pensa a te stesso; sii sobrio, ascolta i consigli, controlla il presente, prevedi il futuro. Non trascurare, per indolenza, il presente e non t’illudere d’aver già in mano cose future, che ancora non sono e forse non si avvereranno mai. Non è questa la malattia propria dei giovani, che per leggerezza di mente credono di avere già le cose che sperano? Infatti in un momento di riposo o nella pace della notte costruiscono delle immagini di cose inesistenti e si ripromettono splendore di vita, illustri matrimoni, figli fortunati, lunga vecchiaia, tributi di onore. Poi, incapaci come sono di fermarsi a una qualsiasi speranza si lasciano trasportare dall’ardore del loro animo alle cose più grandi della terra. Comprano case belle e grandi e le riempiono di preziosa e vaga suppellettile; e aggiungono tutto quanto è fuori del mondo. Aggiungono greggi, folle di servi, magistrature civili, principati, comandi militari, guerre, trofei, regno. Passate queste cose in rassegna, per eccesso di stoltezza, credono presenti queste cose sperate e se le vedono già innanzi ai piedi. È la malattia dell’ignavo, veder nella veglia gli oggetti d’un sogno. Per reprimere questa sfrenatezza di mente, la Scrittura enunzia il sapiente precetto: "Pensa a te stesso" e non promette mai ciò che non esiste e dirige le cose presenti alla tua utilità. Penso che il legislatore si sia servito di questo monito, per eliminare un tal vizio dalle abitudini degli uomini. Perché a noi è più facile curiosare nelle cose altrui, che pesare le proprie cose. Perciò finiscila di andare a scovare nei mali altrui, guardati dal frugare nelle malattie altrui, volgi gli occhi e scruta te stesso. Non son pochi coloro che, secondo la parola del Signore (Mt 7,3), vedono la pagliuzza nell’occhio del fratello e non s’accorgono della trave che è nel loro occhio. Non cessar mai di esaminarti se la tua vita si attiene al precetto; ciò che è intorno a te, non lo guardare, perché non ti si presenti l’occasione di imitare quel fariseo, che giustificava se stesso e disprezzava il pubblicano (Lc 18,11). Chiediti sempre se hai peccato in pensieri, se la lingua sia stata troppo facile, se la mano sia stata temeraria. E se troverai che hai peccato molto (e lo troverai, perché sei uomo), usa le parole del pubblicano: "Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Bada a te stesso. Questa parola ti starà bene nel felice successo, quando la tua nave è portata dalla corrente, e ti gioverà nei momenti difficili, in modo che non diventi orgoglioso nel fasto e non disperi nell’avversità. Ti senti grande perché sei ricco? T’inorgoglisci per la nobiltà dei tuoi antenati? Ti glorii della tua nazione, bellezza, onori ricevuti? Pensa a te stesso: Sei mortale; vieni dalla terra e tornerai nella terra (Gn 3,19)

       Basilio di Cesarea, Hom. «Attende tibi ipsi», 5


3. Dio non preferisce il peccatore a chi non ha peccato

       Dato che egli aggiunge: «Perché dunque questa preferenza accordata ai peccatori?» e cita opinioni analoghe, per rispondere dirò: il peccatore non è assolutamente preferito a chi non ha peccato. Capita che un peccatore che ha preso coscienza della sua colpa, e per tal motivo progredisce sulla via della conversione umiliandosi per i suoi peccati, venga preferito ad un altro che si riguarda come meno peccatore, e che, lungi dal credersi peccatore, si gonfia di orgoglio per certe qualità superiori che crede di possedere. È quel che rivela a chi legge lealmente il vangelo la parabola del pubblicano che dice: "Abbi pietà di me peccatore", mentre il fariseo, con sufficienza perversa, si gloriava dicendo: "Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano". Gesù, infatti, conclude il suo discorso sui due uomini: "Il pubblicano scese a casa sua giustificato, al contrario dell’altro, poiché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,13-14).

       Siamo ben lontani, perciò, «dal bestemmiare Dio e dal mentire», insegnando ad ogni uomo, chiunque esso sia, a prendere coscienza della propria umana piccolezza in rapporto alla grandezza di Dio, e a chiedere incessantemente ciò che manca alla nostra natura a colui che solo può colmare le nostre insufficienze.

       Origene, Contra Celsum, 3, 64


4. Il fariseo e il pubblicano (Lc 18,9-14)

Il fariseo della Legge,
Nella sua preghiera al Tempio,
In mostra metteva il ben compiuto
Agli occhi tuoi che tutto scrutano.

S’inorgoglisce l’anima insensata,
Se stessa comparando all’uman genere
Lontano, ed al vicino pubblicano,
Che, nello stesso istante, supplicava.

Non sol non ebbe quel che domandava
Per il magniloquente suo linguaggio,
Ma le antecedenti opre di giustizia,
Perse per il suo dire vanitoso.

Ma allora che farò io alla mia anima,
Affezionata al vizio totalmente,
Del tutto disattenta al buon oprare,
E attenta ad ammassar cattive azioni?

Le buone azioni, in effetti, io non compio
Di cui si gloriava il fariseo;
Eppure di gran lunga io lo supero
Nel vezzo del vanto e dell’orgoglio.

Del pubblicano dona bensì la voce
Capo di pubblicani, all’anima guarita,
Per gridare di sua propria voce:
«Mio Dio, perdona i miei peccati!».

Con lui, Signor, giustificami,
Con un sol verbo come facesti a lui;
Lo spirito mio umilia dal di dentro,
Perché dalla tua grazia sia esaltato.

       Nerses Snorhali, Jesus, 659-665




XXXI DOMENICA

201 Letture:
    
Sg 11,23-12,2
     2Th 1,11-2,2
     Lc 19,1-10


1. La conversione di Zaccheo

       Il Maledetto cinge la spada contro di noi e mostra le armi per spaventarci, ma esse si struggono come cera sui corpi. che non si lasciano indurre al peccato Si adira Satana, perché la schiera dei giusti è più numerosa del suo esercito. E perfino il suo gregge insorge e fugge verso il Figlio di Maria.

       Si è allontanato da lui il suo zelante seguace Zaccheo, poiché il Signore l’ha incontrato e l’ha accolto benevolmente; il sicomoro lungo la via è stato il suo rifugio. Ne è sceso stanco e ha riacquistato le forze. Stando sull’albero, Gesù lo ha illuminato con la sua luce; sul ramo, le tenebre si sono dissipate.

       Eva ha seguito il cattivo consiglio e l’ha fatto suo, ma è apparsa Maria, la Santa, e le ha ridato l’antico splendore. Il serpente ha mescolato segretamente il peccato con il sangue della morte e lo ha porto ad Eva. E perché ella non rifiutasse la bevanda, ha simulato amicizia. Nostro Signore ha mescolato col sangue il proprio vino, lo ha reso medicamento di vita e lo ha dato a bere. L’innocente (Maria) ha assaggiato ed ha dominato il sale mortale della terra. In paradiso, il peccato ha assalito Eva e quando ella gli ha ceduto l’ha scacciata dal paradiso. Ha dato ascolto al serpente ed ha perso il giardino. Il serpente che non ha piedi ha impedito il passo ad Eva, ma Maria ha servito la madre. La giovane ha portato la vecchia per poter vivere nell’antica dimora. È morta Eva in tarda età, ma ha generato Maria, tornando così, giovane. La nascita della figlia ha riparato la colpa dell’antica madre. Eva ha nascosto nel nostro feto il fermento della morte e della miseria. Ma è apparsa Maria che ha tolto questo fermento, perché le creature non si corrompessero.

       Dio ha celato le sue onde nella Vergine. Dalla gloriosa è sgorgata la vita. I torrenti hanno risalito i monti, sopra le valli e le voragini. Il Maligno è stato vinto dall’annuncio del Figlio, dinanzi al quale tutti si sono prosternati. A quelli che chiedevano ha rivelato la sua natura, i campi si sono inariditi non potendo sopportare la sua gloria. Quella medicina ha fortificato i ricchi nella grazia, le loro mani l’hanno accolta nel lutto. Le nazioni l’hanno presa, essa ha sanato la ferita prodotta dal serpente.

       Il mare della misericordia ha rotto i suoi argini per lavare le colpe di Zaccheo. La grazia ha vinto la colpa, il colpevole si è sollevato senza subire condanna. Gesù è stato benigno con i peccatori, anche se i nemici lo hanno percosso. Il suo amore è stato quello del pastore che è uscito in cerca della pecorella smarrita (Lc 15,4-7). Egli ha affermato solennemente, perché noi gli credessimo, di non volere la nostra perdizione; quando un peccatore fa penitenza, il Padre e i suoi angeli esultano (Lc 15,7-10).

       Un giorno, ha vietato di persistere nell’odio e nell’ira. Ha voluto renderci simili a lui che tante colpe perdona agli uomini. Essendo egli giusto, ci salva dalla perdizione dandoci a tal fine i mezzi. In cielo, gli angeli tremano davanti a lui, e agli abitanti della terra si permette di vincere.

       Quando le lacrime corrispondono a quello che chiede, egli si lascia commuovere. Tende il suo arco per spaventarci, ma ha pietà e l’arco perde tensione.

       Passando vicino all’albero, ha visto il peccatore, lo ha abbracciato con lo sguardo e si è fermato. Un giorno, per Simone oggi ha gioito per Zaccheo e gli ha ordinato di scendere subito dal sicomoro. Il giusto ha comandato al peccatore di comparire triste davanti al tribunale. Come si sarà rallegrato il colpevole, quando ha incontrato il Giudice misericordioso.

       Quanto più Zaccheo ha temuto, quanto meno ha osato chiedere il perdono; tanto più il Signore ha avuto pietà, tanto più gli ha usato misericordia.

       Giusto e clemente è il Signore, abbiate paura, voi peccatori, ma abbiate fiducia! Perdona le colpe a coloro che fanno penitenza e manda castighi agli ostinati. Per mezzo di Zaccheo, egli ci chiama: guardate al suo amore! Come il pescatore, il Signore getta le reti per potervi prendere in gran numero.

       Ha preso il penitente dall’albero, l’ha trapiantato subito nel suo giardino. Ha visto che come Adamo egli aveva perduto la sua gloria, perciò lo ha vestito di un abito tessuto di misericordia. Lodate il Signore che ha trovato e accolto un peccatore, che altrimenti si sarebbe perduto. Ci ha mostrato con ciò la via della sua misericordia.

       Signore, invece di salire su un albero, io vengo nella tua casa, mi salvi il tuo mistero! Più grande è la croce che il ramo, si riversi sopra di me la tua misericordia!

       Cirillona, Hymn. in convers. Zacch., passim


2. Zaccheo: il buon uso delle ricchezze

       "Ed ecco un uomo di nome Zaccheo" (Lc 19,2). Zaccheo è sul sicomoro, il cieco è sulla strada. Il Signore ha pietà dell’uno e lo aspetta; nobilita l’altro, onorandolo di una sua visita. Interroga il cieco per guarirlo; si invita a casa di Zaccheo senza essere invitato: sapeva infatti che il suo ospite sarebbe stato largamente ricompensato, e se non gli aveva sentito proferire l’invito con la voce, ne aveva tuttavia sentito il desiderio di farlo...

       Ritorniamo ora nelle grazie dei ricchi: non vogliamo offenderli, in quanto desideriamo, se possibile, guarirli tutti. Altrimenti, impressionati dalla parabola del cammello, e lasciati da parte, nella persona di Zaccheo, prima di quando converrebbe, essi avrebbero un giusto motivo per ritenersi ingiuriati.

       Essi debbono apprendere che non c’è colpa nell’essere ricchi, ma nel non sapere usare delle ricchezze: le ricchezze, che nei malvagi ostacolano la bontà, nei buoni debbono costituire un incentivo alla virtù. Ecco, qui il ricco Zaccheo è scelto da Cristo: ma donando egli la metà dei suoi beni ai poveri, restituendo fino a quattro volte quanto aveva fraudolentemente rubato. Fare soltanto la prima di queste due cose non sarebbe stato sufficiente, poiché la generosità non conta niente, se permane l’ingiustizia: il Signore poi chiede che si doni, non che si restituisca semplicemente ciò che si è rubato. Zaccheo compie ambedue le cose, e perciò riceve una ricompensa molto più abbondante di quanto ha donato.

       Opportunamente si fa rilevare che costui è il "capo dei pubblicani" (Lc 19,2): chi allora potrà disperare della salvezza, quando si è salvato anche colui che traeva il suo guadagno dalla frode?

       "Ed era ricco", sta scritto (Lc 19,2), affinché impari che non tutti i ricchi sono avari.

       Perché le Scritture non precisano mai la statura di nessuno mentre di Zaccheo si dice che "era piccolo di statura" (Lc 19,3)? Vedi se per caso egli non era piccolo nella sua malizia, o piccolo nella sua fede: egli non aveva ancora promesso niente, quando era salito sul sicomoro; non aveva ancora visto Cristo, e perciò era piccolo. Giovanni invece era grande perché vide Cristo, vide lo Spirito, come colomba, fermarsi su Cristo, tanto che disse: "Ho visto lo Spirito discendere come colomba e fermarsi su di lui" (Jn 1,32).

       Quanto alla folla, non si tratta forse di una turba confusa e ignorante, che non aveva potuto vedere le altezze della Sapienza? Zaccheo, finché è in mezzo alla folla, non può vedere Cristo; si è elevato al di sopra della turba e lo ha visto, cioè meritò di contemplare colui che desiderava vedere, oltrepassando l’ignoranza della folla...

       Così vide Zaccheo, che stava in alto; ormai per l’elevatezza della sua fede egli emergeva tra i frutti delle nuove opere, come dall’alto di un albero fecondo...

       Zaccheo sul sicomoro è il nuovo frutto della nuova stagione.

       Ambrogio, In Luc., 8, 82.84-90


3. La risposta di fede alla chiamata di Dio

       L’occhio della fede, che è stato posto nella pupilla della semplicità, riconosce la voce di Dio non appena l’ascolta...

       Tutti coloro che sono stati chiamati hanno obbedito su due piedi alla voce che li invitava, allorché il peso delle cose terrene non si aggrappava alla loro anima. Infatti, i legami del mondo sono un peso per l’intelligenza e per i pensieri, e coloro che ne sono avvinti e impediti difficilmente sentono la voce della chiamata divina.

       Gli apostoli, invece, e prima di loro i giusti e i padri, non erano in queste condizioni: obbedirono come viventi, e ne uscirono leggeri, perché nulla del mondo li appesantiva. Niente può legare e impedire l’anima che ascolta Dio: essa è aperta e pronta, sì che la luce della voce divina, ogniqualvolta si fa presente, la trova in condizione di riceverla.

       Nostro Signore chiamò Zaccheo dal sicomoro sul quale era salito, e subito Zaccheo si affrettò a scendere e lo ricevette nella sua casa: il fatto è che sperava di vederlo e diventare suo discepolo ancor prima di essere stato chiamato. Ed è cosa davvero ammirevole che egli abbia creduto in lui senza che Nostro Signore gli avesse parlato e senza averlo visto corporalmente, ma solo sulla parola di altri: la fede che era in lui era stata custodita nella sua vita e nella sua salute naturali. Egli ha dimostrato la propria fede allorché credette in Nostro Signore sentendolo annunciare; e la semplicità della sua fede è affiorata quando ha promesso di dare la metà dei propri beni ai poveri e di restituire il quadruplo di ciò che aveva frodato.

       In effetti, se l’anima di Zaccheo non fosse stata ripiena in quel momento della semplicità che si addice alla fede, non avrebbe fatto una tale promessa a Gesù e non avrebbe elargito e distribuito in poco tempo quanto il suo lavoro aveva ammassato in lunghi anni. La semplicità spandeva da un lato e dall’altro ciò che la scaltrezza aveva ammucchiato e la purezza dell’anima spargeva ciò che era stato acquisito con i pensieri dell’astuzia; la fede rinunciava a quanto l’ingiustizia aveva trovato e posseduto, e proclamava che non gli apparteneva. Infatti, l’unico bene della fede è Dio e non consente a possedere altro al di fuori di lui; tutti gli altri beni hanno poca importanza per lei, al di fuori di quell’unico bene durevole che è Dio; ed è stata posta in noi per trovare Dio e non possedere che lui, e per vedere che tutto ciò che esula da lui risulta a nostro detrimento.

       Filosseno di Mabbug, Hom., 4, 77-80


4. Il piccolo Zaccheo (Lc 19,1-10)

Come ha fatto Zaccheo il pubblicano

non mi sono elevato da questa terra vile

sullo slanciato albero della sapienza

per la divina tua contemplazione.

La corta taglia da spirituale

non è cresciuta in me con l’opre buone,

senza posa al contrario è sminuita

fino a ridurmi al latte dei bambini.

A ritroso percorrendo la parabola,

del corpo pravo l’albero ho salito,

per terragno amore dal soave gusto,

come Zaccheo, anche lui sul fico.

Di lì, per la possente tua parola

fammi scendere in fretta come lui;

prendi alloggio nella magion dell’anima,

e con Te, il Padre ed il Consolatore.

Fa’ che il corpo che ha reso torto all’anima

in servizio il quadruplo le renda,

e dia metà dei beni corporali

al mio libero arbitrio impoverito,

per la parola tua a lei diretta,

d’ascoltar la tua voce io sia degno,

essendo io del par figlio di Abramo,

del Patriarca seguendone la fede.

       Nerses Snorhali, Jesus, 668-673





Lezionario "I Padri vivi" 198