Lezionario "I Padri vivi" 206

SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA B.V. MARIA

206 (19 marzo)

       La venerazione di san Giuseppe compare nel IX secolo ed ha piuttosto carattere privato. Si diffonde nell’XI secolo sotto l’influsso dei crociati, che a Nazareth hanno costruito una basilica in suo onore, ma diventa comune solamente a partire dal XIV secolo.

       All’incremento del culto contribuiscono molto i francescani e i carmelitani. Il papa Sisto IV (1471-1484) sancisce la festa in onore di san Giuseppe e prescrive di celebrarla il giorno 19 marzo. Non sappiamo perché è stata scelta proprio questa data. Una volta, il 19 marzo era una festa in onore della dea Minerva, protettrice degli artigiani e degli artisti. Si può parlare di una strana coincidenza, ma non di un legame voluto. Gregorio XV, nel 1621, riconosce la festa del 19 marzo come di precetto. Pio IX, nel 1870, proclamò san Giuseppe patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII introdusse il suo nome nel Canone della Messa.

       San Giuseppe, l’uomo giusto, come lo chiamerà la Sacra Scrittura, è come quel servo fedele e prudente, al quale il signore affida i suoi beni. Dio ha affidato a Giuseppe «gli inizi della nostra redenzione»: Maria e Gesù. Per la sua obbedienza, disponibilità in tutto, il restare nascosto e il lavoro quotidiano, san Giuseppe diventò un modello per ciascun credente. Colui che crede deve accogliere senza paura la chiamata di Dio, deve perseguirla anche quando non capisce tutto, nell’umiltà del cuore deve leggere i segni della volontà di Dio. San Giuseppe è il patrono della Chiesa, poiché la Chiesa è chiamata a portare agli uomini la salvezza, a servire a tempo pieno il suo Signore.

       Annuncia, o Giuseppe, al tuo protoparente David

       le meraviglie:

       tu che vedesti partorire la Vergine,

       tu che adorasti insieme ai magi,

       tu che glorificasti con i pastori,

       tu che fosti istruito dall’angelo.

       Prega Cristo Dio perché salvi le nostre anime.

       Liturgia Bizantina, EE, n. 3034


1. Giuseppe, il giusto

       Giuseppe, suo sposo, che era giusto... (
Mt 1,19). L’evangelista, dopo aver affermato che questa nascita derivava esclusivamente dallo Spirito Santo, senza nessun intervento naturale, conferma la sua asserzione anche in un altro modo. E ci dà una prova per impedire che qualcuno nutra dei dubbi, in quanto prima di allora non si era mai udito né si era mai visto niente di simile. Per prevenire il sospetto che egli, come discepolo di Gesù, avesse inventato questa prodigiosa storia della nascita verginale allo scopo di far cosa grata al suo maestro, fa intervenire Giuseppe, il quale prova la verità di questo avvenimento con il dolore che esso gli ha provocato. È, insomma, come se l’evangelista dicesse: se non volete credere a me, se la mia testimonianza vi sembra sospetta, credete almeno allo sposo di questa vergine. Egli, infatti, dice: «Giuseppe, suo sposo, che era giusto...». La qualifica di giusto, in questa circostanza, significa uomo che ha tutte le virtù. Con «giustizia» si intende talvolta una sola virtù in particolare, come quando si dice: colui che non è avaro è giusto. Ma giustizia significa anche la generalità di tutte le virtù: e, in questo senso soprattutto, la Scrittura usa il termine «giustizia», come quando ad esempio dice: «uomo giusto, verace» (Jb 1,1), oppure: «tutti e due erano giusti» (Lc 1,6)...

       Giuseppe, dunque, essendo giusto, cioè essendo buono e caritatevole, decise di lasciarla segretamente (Mt 1,19). Il Vangelo ci fa sapere che cosa pensava di fare questo uomo giusto prima di aver conosciuto il mistero, allo scopo che non si nutra dubbi su ciò che accadde quando ne venne a conoscenza. Se Maria fosse stata veramente quella che lui credeva, non soltanto avrebbe meritato di essere disonorata pubblicamente, ma anche di essere condannata al supplizio previsto dalla legge. Malgrado questo, Giuseppe non solo le risparmia la vita, ma salva anche il suo onore: e, lungi dal punirla, evita anche di denunziarla. Vedete bene quant’era saggio e virtuoso quest’uomo, e al di sopra delle passioni che con violenza tiranneggiano gli uomini! Voi sapete fin dove giunge la gelosia. Salomone che conosceva bene tale sentimento, dice: La gelosia del marito sarà piena di furore ed egli non perdonerà niente nel giorno del giudizio (Pr 6,34). E altrove sta scritto: La gelosia è dura come l’inferno (Ct 8,6). Noi, del resto, conosciamo molte persone che preferirebbeo morire piuttosto che essere esposte ai sospetti della gelosia. Ma c’era allora ben più che un semplice sospetto, perché la gravidanza della Vergine appariva quale prova evidente dei suoi timori. Malgrado ciò, egli era così puro e così al di sopra delle passioni, che non volle neppure minimamente affliggere Maria. Siccome, da un lato, avrebbe violato la legge se l’avesse trattenuta presso di sé e, dall’altro, l’avrebbe esposta alla morte se l’avesse denunziata e tradotta in tribunale, egli non fece né l’una cosa né l’altra, ma adottò un comportamento ben superiore alla antica legge.

       È giusto che alla vigilia dell’avvento della grazia del Salvatore, si manifestino molti segni di una più alta perfezione. Come quando il sole sta per levarsi, prima ancora di mostrare i suoi raggi, rischiara da lontano con la sua luce la maggior parte del mondo, così il Cristo, che stava per uscire dal seno della Vergine, già illuminava, prima di nascere, tutto il mondo. E per questo, molto tempo prima della sua nascita, i profeti furono colti dalla gioia, le donne predissero l’avvenire e Giovanni, mentre era ancora nel seno della madre, esultò di allegrezza. Di qui deriva anche la sapienza che Giuseppe manifestò in quella occasione. Egli non accusa la Vergine, non la rimprovera, ma si limita a pensare di separarsi da lei in segreto.

       Le cose erano a questo punto e l’angustia del santo uomo era al colmo, quando interviene l’angelo a dissipare tutte queste tenebre. Dobbiamo ora chiederci perché l’angelo non è venuto più presto, per prevenire il turbamento e i pensieri di Giuseppe e perché, invece, giunge solo quando egli sta considerando nel suo animo l’accaduto. Mentre egli stava ripensando a queste cose, venne un angelo... (Mt 1,20). D’altra parte, poiché l’angelo aveva avvertito Maria prima che ella concepisse dallo Spirito Santo, questo fatto dà luogo a una ulteriore difficoltà. Infatti, dato che l’angelo non aveva rivelato niente a Giuseppe, perché Maria, che aveva invece appreso ogni cosa dall’angelo, tacque e, pur vedendo il suo sposo così turbato, non gli diede quelle spiegazioni che avrebbero fugato ogni dubbio? Dunque, perché l’angelo non parlò a Giuseppe prima che egli si turbasse? Devo rispondere prima a questa domanda: l’angelo non è apparso prima a Giuseppe, nel timore che egli restasse incredulo dinanzi alla sua rivelazione e che dovesse perciò subire la stessa conseguenza di Zaccaria. Quando infatti si vede una cosa con i propri occhi, è facile credere; ma non essendoci prima ancor niente di visibile, egli poteva non credere tanto facilmente alle parole. Per questo l’angelo non preavvertì Giuseppe. Ed è per la stessa ragione che Maria mantenne il silenzio. Ella riteneva che non sarebbe stata creduta dal suo sposo, se gli avesse annunciato una cosa straordinaria... Quando dunque Giuseppe «stava ripensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo». Perché non gli apparve visibilmente come ai pastori, come a Zaccaria e come alla Vergine? La ragione sta nel fatto che tanta era la fede di Giuseppe che egli non aveva bisogno di una simile visione. Per la Vergine, date le grandi cose che dovevano esserle annunziate, cose molto più incredibili di tutto quanto era stato detto a Zaccaria, non solo bisognava preavvertirla prima della concezione, ma era necessaria anche una visione straordinaria. Quanto ai pastori, invece, uomini piuttosto rozzi, avevano bisogno di una visione evidentissima. Ma Giuseppe, che si era accorto della gravidanza di Maria, che aveva l’animo turbato da dolorosi sospetti ed era dispostissimo a cambiare la sua tristezza in gioiosa speranza se qualcuno gliene avesse dato la possibilità, accolse di tutto cuore la rivelazione.

       L’angelo attende, dunque, il maturarsi dei sospetti, così che il turbamento dello spirito di Giuseppe diventi la vera prova della rivelazione, che gli vien fatta. Giuseppe non aveva comunicato i suoi timori a nessuno, li aveva tenuti chiusi nel suo cuore e ora ascolta l’angelo che gli parla proprio di tali timori: non era questa una prova certissima che era Dio a mandargli quel messaggero, dato che soltanto Dio può sondare il segreto dei cuori? Osservate, dunque, quante conseguenze ne derivano: la sapienza e la virtù di Giuseppe vengono messe in risalto, mentre la rivelazione dell’angelo, fatta a tempo opportuno, serve a rafforzare la sua fede e, infine, l’intero racconto evangelico non provoca dubbi o sospetti, in quanto ci mostra che Giuseppe prova tutti i sentimenti che un uomo deve necessariamente provare in simili circostanze.

       Ma in qual modo l’angelo lo convince? Ascoltate e ammirate con quale saggezza gli parla: Giuseppe, figlio di David - gli dice - non temere di prendere con te Maria, tua sposa (Mt 1,20).

       L’angelo menziona prima di tutto David, da cui il Messia doveva nascere; e così calma di colpo tutti i suoi timori, facendogli tornare alla mente, citando il nome di uno dei suoi antenati, la promessa che Dio aveva fatta a tutto il popolo giudeo. Non solo, ma spiega perché lo chiama «figlio di David», con l’aggiungere le parole «non temere». Non si comporta così Dio in un’altra occasione che le Scritture ci tramandano. Quando Abimelec cominciò a nutrire pensieri non leciti nei confronti della sposa di Abramo, Dio gli parlò in modo terribile e pieno di minacce, sebbene egli avesse agito per ignoranza, in quanto non sapeva che Sara era la sposa di Abramo. Dio, invece, parla qui con ben maggiore dolcezza; ma quale differenza tra le due circostanze, tra la disposizione d’animo di Giuseppe e quella di Abimelec! In verità il comportamento di Giuseppe non meritava alcun rimprovero. E queste parole, «non temere», indicano che Giuseppe temeva di offendere Dio tenendo presso di sé un’adultera; ma che, se non fosse stato per questo, non avrebbe mai pensato a separarsene.

       Ripeto, parlando a Giuseppe dei suoi più segreti pensieri, dei sentimenti più intimi, l’angelo vuol provare, e lo prova a sufficienza, che egli viene da parte di Dio. Ma dopo aver pronunciato il nome della Vergine, perché aggiunge «tua sposa»? Dice così per giustificare la Vergine con questa parola, in quanto non si darebbe mai questo titolo a una adultera. Il termine «sposa», come sapete, sta qui per fidanzata: la Scrittura, infatti, chiama anche «generi» coloro che sono soltanto alla vigilia di divenirlo.

       Che significano queste parole «prendere Maria»? Nient’altro che Giuseppe continui a tenere Maria nella sua casa, dato che aveva pensato di separarsene. Tieni, dice l’angelo in sostanza, la tua sposa che avevi deciso di lasciare, poiché è Dio che te la dà, non i suoi genitori. Te la dona, non per i soliti scopi del matrimonio, ma soltanto perché dimori con te, e la unisce a te per mezzo di me stesso che ti parlo. Ella è affidata ora a Giuseppe, come più tardi Cristo la affiderà al suo discepolo...

       Darà alla luce un figlio - continua - e tu gli porrai nome Gesù (Mt 1,21) . Infatti, sebbene questo fanciullo sia stato concepito dallo Spirito Santo, non credere di essere dispensato dal prenderne cura e dal servirlo in ogni cosa. Sebbene tu sia estraneo al suo concepimento e sebbene Maria sia sempre rimasta perfettamente vergine, tuttavia io ti do il compito proprio di un padre, che tuttavia non fa venir meno la verginità di Maria, il compito cioè di dare il nome al neonato. Sarai tu che gli imporrai il nome; e, sebbene egli non sia tuo figlio, tu dimostrerai per lui l’affetto proprio di un padre. Per questa ragione - conclude l’angelo - ti permetto di dargli il nome, per renderti subito familiare al bimbo.

       Ma per evitare che ciò faccia credere che egli sia veramente il padre del fanciullo che sta per nascere, ascoltate con quanta precisione l’angelo gli parla. «Partorirà», dice; non dice: partorirà a te, ma dice genericamente che partorirà, in quanto la Vergine non ha partorito Gesù Cristo per Giuseppe, ma per tutti gli uomini.

       Crisostomo Giovanni, In Matth., 4, 3-6


2. Il dubbio di Giuseppe

       Giuseppe, suo sposo, essendo giusto e non volendo esporla, pensò di lasciarla nascostamente (Mt 1,9). Ben detto che, essendo giusto, non volle esporla: perché come non sarebbe stato giusto, se, conoscendola rea, avesse accettato il fatto, così non sarebbe stato giusto, se l’avesse condannata innocente. Poiché, dunque, era giusto e non voleva esporla, pensò di lasciarla nascostamente.

       Perché voleva lasciarla? Senti in questo non il mio, ma il parere dei Padri. Pensò di lasciarla per lo stesso motivo per cui Pietro allontanò da sé il Signore, dicendo: Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore (Lc 5,8), o per cui il centurione non lo voleva in casa, dicendo: Signore, io non son degno che tu entri nella mia casa (Mt 8,8). Così anche Giuseppe, ritenendosi indegno e peccatore, s’andava dicendo che non poteva convivere familiarmente con una donna così grande, di cui temeva la mirabile e superiore dignità. Vedeva e temeva la donna che portava un segno certo della divina presenza; e poiché non riusciva a penetrare il mistero, la voleva lasciare nascostamente. Pietro si spaventò innanzi alla grandezza della potenza, il centurione innanzi alla maestà della presenza. E anche Giuseppe, come uomo, ebbe paura della novità di così grande miracolo, ebbe paura della profondità del mistero; e pensò di lasciarla nascostamente. Ti meravigli che Giuseppe si ritenesse indegno della comunanza di vita con la Vergine, quando sentì che anche santa Elisabetta non poté sostenerne la presenza, se non con timore e riverenza? Disse, infatti: Come mai la madre del mio Signore viene in casa mia? (Lc 1,43). Perciò Giuseppe pensò di lasciarla. Ma perché di nascosto e non pubblicamente? Perché non si ricercasse la ragione del divorzio, non se ne chiedesse il motivo. Che cosa avrebbe potuto rispondere un uomo giusto a un popolo di dura cervice, a un popolo che non credeva e contestava? Se diceva ciò che pensava, ciò che aveva sperimentato della purità di Maria, quali crudeli e increduli Giudei non avrebbero subito deriso lui e lapidato lei? Come avrebbero creduto alla Verità che taceva nel seno, essi che la disprezzarono quando gridò nel tempio? Che cosa avrebbero fatto a uno che non si vedeva, se poi gli gettarono addosso le loro mani empie, quando brillava di miracoli? Rettamente, dunque, l’uomo giusto, per non essere obbligato a mentire, o a infamare un’innocente, pensò di lasciarla nascostamente.

       Se invece qualcuno pensa, diversamente, che Giuseppe avesse un dubbio umano, ma che, essendo giusto, non se la sentì di stare insieme con Maria a causa del sospetto e neppure - essendo un uomo pio - osò esporla al ludibrio e perciò pensò di lasciarla di nascosto, rispondo brevemente, che se così è, quel dubbio fu necessario, perché fosse risolto da una risposta divina. Fu scritto, infatti: Mentre egli andava pensando queste cose - cioè di lasciarla segretamente - gli apparve un angelo in sogno e gli disse: Giuseppe, figlio di David, non aver paura di prendere con te Maria tua sposa, perché ciò ch’è nato in lei, proviene dallo Spirito Santo (Mt 1,20). Per questo motivo poi Maria s’era promessa a Giuseppe, o piuttosto, così l’evangelista pone le cose: promessa a un uomo, che si chiamava Giuseppe. Lo chiama virum, non per dire marito, ma uomo di virtù. O anche, secondo un altro evangelista, Giuseppe è detto non semplicemente uomo, ma uomo di lei, perché l’appellativo corrisponda a ciò ch’egli necessariamente appare che sia. Dovette essere detto il suo uomo, o marito, perché era necessario che tale egli fosse riputato; così anche fu chiamato padre del Salvatore, perché fosse creduto che lo fosse, e anche l’evangelista dice: Gesù aveva quasi trent’anni ed era creduto figlio di Giuseppe (Lc 3,23). Dunque, non era né marito della madre né padre del figlio, sebbene per una certa e necessaria disposizione per un po’ di tempo tale fu detto e creduto.

       Pensa da questo titolo, per cui meritò di essere onorato da Dio al punto da essere detto e creduto padre di Dio; pensa dal proprio nome - che significa accrescimento - che uomo fosse questo Giuseppe. Ricordati anche di quel grande patriarca venduto in Egitto, e sappi ch’egli ne ha avuto non solo il nome, ma anche la castità, l’innocenza e la grazia. Quel Giuseppe, venduto e condotto in Egitto, per invidia dei fratelli, era figura di Cristo venduto; questo Giuseppe, fuggendo dall’odio di Erode, portò Cristo in Egitto. Quello, per fedeltà al suo padrone, non volle unirsi alla sua padrona questo, riconoscendo la verginità della sua padrona e madre dei suo Signore, la custodì fedelmente. Quello ebbe l’intelligenza dei sogni; a questo è stato concesso di conoscere ed essere attore dei segreti celesti. Quello conservò il grano per tutto il popolo; questi ebbe in custodia il pane vivo venuto dal cielo per sé e per tutto il popolo. Era certamente uomo buono e fedele questo Giuseppe, cui fu data in sposa la Madre del Salvatore. Servo fedele e prudente, che il Signore costituì consolazione di sua madre, allevatore della sua carne, unico e fedelissimo collaboratore sulla terra del suo grande piano. A questo si aggiunge che Giuseppe è della casa di David. Veramente discende questo Giuseppe dalla casa di David, da stirpe reale; nobile di casato, più nobile ancora di mente. Sicuramente figlio di David, non degenere da suo padre David. Sicuramente, dico, figlio di David, non solo per sangue, ma per fede, santità, devozione. L’uomo che il Signore, come David, riconobbe secondo il suo cuore, l’uomo al quale poteva affidare l’arcano segretissimo e sacratissimo del suo cuore; l’uomo al quale, come a un altro David, confidò i piani occulti della sua sapienza e non volle che fosse all’oscuro del suo mistero, mistero che a nessun principe di questo secolo fu rivelato; l’uomo al quale fu dato ciò che molti re e profeti cercarono di vedere e non lo videro, avrebbero voluto sentire e non lo sentirono; e a lui fu dato non solo di vederlo e sentirlo, ma di portarlo in braccio, allevarlo, stringerlo al seno, baciarlo, nutrirlo e vegliarlo. Non solo Giuseppe ma anche Maria dovette essere una discendente della casa di David. Non avrebbe potuto, infatti, sposare un uomo della casa di David, se anch’essa non fosse stata della casa di David. Tutti e due, dunque, della casa di David: ma in Maria si è avverata la promessa che il Signore giurò a David, Giuseppe è stato il testimone cosciente che la promessa fu mantenuta.

       Bernardo di Chiarav., Laudes Mariae, 2, 13-16


3. Giuseppe figura degli apostoli

       In seguito, morto Erode, Giuseppe è avvertito da un angelo di riportarsi in Giudea con il bambino e sua madre. Nel far ritorno, avendo appreso che il figlio di Erode, Archelao, era re, ebbe paura di andarvi, e venne ancora avvertito da un angelo di passare in Galilea e di fissare la sua dimora in una cittadina di quella regione, Nazareth (Mt 2,22-23). Così, egli riceve avviso di far ritorno in Giudea e, ritornato, ha paura. E, ricevuto nuovo avviso in sogno, ha l’ordine di recarsi in paese di pagani. Tuttavia, non avrebbe dovuto aver paura, dal momento che aveva ricevuto un avvertimento, oppure l’avvertimento che in seguito sarebbe stato modificato non avrebbe dovuto essere apportato da un angelo. Ma è stata osservata una ragione tipologica. Giuseppe è figura degli apostoli, ai quali è stato affidato Cristo per essere portato dovunque. Siccome Erode passava per morto, cioè il suo popolo si era perduto in occasione della Passione del Signore, essi hanno ricevuto il comando di predicare ai Giudei. Erano infatti stati inviati alle pecore perdute della casa d’Israele (Mt 15,24), ma, permanendo il dominio dell’incredulità ereditaria, essi temono e si ritirano. Avvertiti da un sogno, ovvero contemplando nei pagani il dono dello Spirito Santo (Jl 2,28-31), portano Cristo a questi ultimi, pur essendo stato inviato alla Giudea, chiamato però vita e salvezza dei pagani.

       Ilario di Poitiers, In Matth., 2, 1


5. Gesù Figlio di Dio

       E per prima cosa nessuno deve scandalizzarsi che così sia scritto: Si credeva che Egli fosse figlio di Giuseppe. E giustamente si credeva, perché per natura non lo era; ma si credeva per il motivo che lo aveva generato Maria, la quale era sposa di Giuseppe, suo sposo (Mt 1,18); così infatti trovi: Non è costui il figlio del falegname? (Mt 13,55)...

       Non sembra, inoltre, fuori luogo spiegare per qual motivo Egli abbia avuto per padre un falegname. Infatti, mediante questa tipologia, Egli dimostra di avere per Padre Colui che, artefice di tutte le cose, creò il mondo, come sta scritto: In principio Dio creò il cielo e la terra. È bensì vero che non si deve paragonare l’umano al divino: però la tipologia non fa una grinza, poiché il Padre di Cristo opera nel fuoco e nello Spirito, e come un buon falegname dell’anima pialla tutt’intorno i nostri difetti, mettendo prontamente la scure alla radice degli alberi sterili, abile nel recidere i rami stenti, nel lasciar sulla vetta quelli elevati, nel render flessibile col fuoco dello Spirito la durezza dell’anima, e nel plasmare per differenti impieghi tutto il genere umano con la diversa qualità dei ministeri.

       Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lucam, 3, 2


6. La paternità spirituale di Giuseppe

       Ma quando nacque lo stesso Re di tutte le genti, ebbe inizio la dignità della nascita verginale dalla Madre del Signore, la quale da una parte meritò di avere il figlio, dall’altra non meritò di essere violata nella sua integrità.

       E come quell’unione era priva di ogni violazione, così ciò che la madre diede alla luce in una maniera verginale, perché lo sposo non l’avrebbe accolto in modo puro e casto?

       Come, infatti, fu vergine la sposa, così fu casto lo sposo: e come rimase vergine la madre, così [rimase] casto lo sposo.

       Colui, dunque, che dice: Non doveva essere chiamato padre, poiché non aveva generato il figlio, costui richiede la concupiscenza nel generare i figli, non l’affetto della carità.

       È migliore colui che compiva nell’anima, ciò che un altro desidera compiere nella carne.

       Infatti, anche quelli che adottano i figli, li generano col cuore più castamente, non potendoli procreare con la carne.

       Agostino, Sermo 51, 16




SOLENNITÀ DELL’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

208 (25 marzo)

       Il mistero dell’Incarnazione di Cristo è così strettamente unito con la sua nascita che, inizialmente, la Chiesa non vedeva la necessità di introdurre la festa dell’Annunciazione. Quando però la solennità del Natale assunse nella Chiesa importanza sempre più grande, sorse la festa distinta dell’Annunciazione: le sue prime tracce in Oriente sono del VII secolo. A Roma, venne introdotta da papa Sergio (687-701), insieme con una solenne processione che perdurò fino al XIV secolo.

       Il giorno 25 marzo fu scelto in riferimento alla data del Natale. Inoltre, già nel III secolo vi era la convinzione che Cristo fosse divenuto uomo durante l’equinozio primaverile; in questo giorno avrebbe anche dovuto avvenire la creazione del mondo e dell’uomo. La costituzione della festa dell’Annunciazione nel periodo della Quaresima ha riscontrato un inconveniente: la tradizione proibiva di celebrare in questo periodo le feste, che avrebbero interrotto il digiuno di quaranta giorni.

       Comunque, la Chiesa d’Oriente e poi la Chiesa di Roma consentirono un’eccezione. La liturgia spagnola non ha seguito la prassi comune, ma ha scelto il 18 dicembre - otto giorni prima del Natale - per la festa dell’Annunciazione. Nel XVII secolo, la Chiesa di Roma accetta la festa del 18 dicembre chiamandola l’Attesa della Nascita, ma nel XIX secolo essa viene soppressa.

       L’inconcepibile mistero dell’Incarnazione: il Verbo Eterno riceve il corpo umano nel seno di Maria, il Redentore è vero Dio e vero uomo. Si compie il meraviglioso scambio: il Figlio di Dio assume la natura umana, affinché l’uomo possa partecipare alla natura di Dio stesso.

       La Chiesa vede nell’Incarnazione del Figlio di Dio l’inizio della propria esistenza. Al centro di questo mistero sta Maria: Ella accoglie con fede le parole dell’angelo, concepirà dallo Spirito Santo e porterà nel suo grembo Colui che adempirà le promesse date ad Israele e sarà la salvezza delle nazioni. Ricordiamo il mistero dell’Incarnazione nel periodo della preparazione alla celebrazione del mistero pasquale del Redentore. Eccomi per fare la Tua volontà: le parole pronunciate da Cristo nel momento dell’Incarnazione si adempiranno sul Calvario. Il mistero dell’Incarnazione è inseparabilmente legato al mistero della Pasqua, con la morte e la risurrezione del Signore.

«Avvenga di me secondo la tua parola»: le parole di Maria di Nazareth la porteranno fino alla Croce di Gesù. Celebrare la solennità dell’Annunciazione significa credere alla parola di Dio, partecipare alla vita portataci da Cristo, sottomettersi all’azione dello Spirito in noi, dire sempre «sì» a Dio.

       Ogni giorno, recitando l’«Angelus» ci poniamo di fronte all’avvenimento unico nella storia del mondo, di fronte all’Incarnazione del Figlio di Dio. Tre brevi frasi prese dal Vangelo raccontano ciò che era avvenuto a Nazareth: l’Annunciazione dell’angelo, la disponibilità di Maria piena d’obbedienza e la discesa del Verbo. La preghiera finale esprime l’unione interna tra l’Incarnazione, la Morte e Risurrezione di Cristo.

       Ecco, ci appare ora la nostra riconciliazione:

       Dio si unisce ineffabilmente agli uomini.

       Per la parola dell’Arcangelo viene distrutto l’errore:

       la Vergine infatti accoglie la gioia,

       la terra diventa cielo,

       il mondo è assolto dall’antica maledizione.

       Esulti la creatura e innalzi il suo inno:

       a te sia gloria, o Signore,

       Creatore e Redentore nostro.

       Liturgia Bizantina, EE, n. 3046


1. L’intenzione divina della verginità

       Viene promesso il figlio di Zaccaria, e si promette il figlio della santa Madre, ed anche lei dice quasi le stesse parole che aveva detto Zaccaria. Che cosa aveva detto Zaccaria?

       Da dove mi viene questo? Io, infatti, sono vecchio, e mia moglie è sterile ed avanzata in età.

       E cosa (disse) la santa Madre? In che modo avverrà questo?

       Simile la parola, diverso il cuore. Ascoltiamo con l’orecchio una voce simile, ma all’annuncio dell’angelo riconosciamo un cuore diverso.

       Penò David, e, rimproverato dal profeta, disse: Ho peccato e subito gli fu detto: Ti è stato perdonato il peccato (
2S 12,13).

       Penò Saul, e, corretto dal profeta, disse: Ho peccato, ma non gli fu rimesso il peccato, e l’ira di Dio rimase sopra di lui (1S 15,30).

       Che cosa significa questo, se non che la voce è simile, ma che è diverso il cuore? L’uomo, infatti, ascolta la voce, Dio scruta il cuore.

       In quelle parole di Zaccaria, dunque, l’angelo vide che non vi era la fede ma il dubbio e la disperazione, l’angelo indicò col togliere la voce e col condannare l’infedeltà. Ma la divina Maria: In che modo avverrà questo se non conosco uomo? Riconoscete l’intenzione della vergine. Quando direbbe, con l’intento di coabitare con l’uomo: In che modo avverrà questo? Se, infatti, accadesse, nella maniera in cui suole accadere a tutti i bambini, non direbbe: In che modo avverrà? Ma memore della sua intenzione e consapevole, del santo voto, poiché aveva conosciuto ciò che aveva promesso in voto; col dire: In che modo avverrà questo, poiché non conosco uomo? dal momento che non aveva conosciuto che ciò fosse accaduto, affinché i figli nascessero se non con l’unione delle donne coi propri mariti, ed è ciò che lei stessa si era proposta di ignorare, dicendo: In che modo questo potrà accadere? Cercò di sapere il modo, ma non dubitò dell’onnipotenza di Dio.

       In che modo questo potrà avvenire?

       In quale modo questo avverrà? Tu mi annunzi un figlio, ed hai preparato il mio animo, dimmi il modo.

       Poté, infatti, la vergine santa temere, o ignorare certamente il disegno di Dio, in che modo egli volesse che lei avesse il figlio, quasi disapprovasse il voto della vergine.

       Se dicesse: «Sposati, unisciti all’uomo» che cosa, infatti, avverrebbe? Non lo direbbe Dio; ma egli accettò il voto della vergine, come Dio.

       E ricevette da lei, quello che Egli donò.

       Dimmi, dunque, o angelo di Dio: «In che modo avverrà questo?». Vedi l’angelo che va, lei che cerca di sapere, e che non diffida. Poiché egli vide che lei cercava di sapere, senza diffidare, non si rifiutò di istruirla.

       Ascolta in che modo: rimarrà la tua verginità, tu credi soltanto alla verità, custodisci la verginità, ricevi l’integrità.

       Poiché la tua fede è intatta, intatta sarà anche la tua verginità.

       Infine, ascolta in che modo questo avverrà: Lo Spirito Santo discenderà sopra di te, e la potenza dell’Altissimo ti proteggerà, poiché tu concepisci per la fede, poiché, tu, credendo, non unendoti, avrai nel seno [il figlio]: «poiché il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio».

       Maria per grazia è madre del Figlio di Dio.

       Che cosa sei, tu che in seguito darai alla luce? Da dove l’hai meritato? Da chi lo hai ricevuto?

       In che modo avverrà in te, colui che ti creò? Donde dico, ti viene un così grande bene?

       Tu sei Vergine, sei Santa, hai fatto voto; ma è molto quello che meritasti, anzi, senza dubbio è molto quello che hai ricevuto.

       Infatti, per quale motivo hai meritato questo?

       Avviene in te, colui che ti creò, diviene in te colui per il quale sei stata creata: anzi, per vero, colui per il quale sono stati creati e il cielo e la terra, tutte le cose, si fa in te (carne) uomo il Verbo di Dio, col prendere carne, non perdendo la divinità.

       E il Verbo si unisce alla carne, e il Verbo si congiunge alla carne; e il luogo di una così grande unione, è il tuo seno; di questa, dico, così grande unione, cioè il tuo seno che diventa sede del Verbo incarnato: di qui lo stesso sposo che esce dalla sua stanza nuziale (Ps 18,6).

       Egli concepito, ti trovò vergine, nato, libera la vergine.

       Dà la fecondità, non toglie l’integrità.

       Donde tutto questo ti è avvenuto?

       Mi sembra di interrogare senza delicatezza una vergine, e quasi inopportuna questa mia voce ferisce le orecchie vereconde.

       Ma io vedo la vergine, che palesa il suo pudore, e, tuttavia che risponde, e che mi ammonisce: «Vuoi sapere perché mi sia avvenuto ciò?».

       Ho pudore di risponderti il mio bene, ascolta il saluto dello stesso angelo, e riconosci in me la tua salvezza.

       Credi a colui a cui io mi sono affidato. Perché vuoi sapere questo da me?

       Risponde l’angelo. Dimmi, o angelo, perché è avvenuto questo in Maria?

       Già, l’ho detto, quando l’ho valutata.

       Io ti saluto, o piena di grazia (Lc 1,28).

       Agostino, Sermo 291, 5 s.


2. La grazia di Maria

       Fu mandato da Dio l’angelo Gabriele in un villaggio della Galilea, chiamato Nazareth (Lc 1,6). Ti sorprende che Nazareth, un piccolo villaggio, venga illustrata con un sì gran messaggio e d’un sì gran re? Ma in questo piccolo villaggio c’è nascosto un gran tesoro: è nascosto, dico, agli uomini, non a Dio. O che non è forse Maria il tesoro di Dio? Dov’è lei, ivi è il cuore di lui. I suoi occhi son su di lei, dappertutto egli segue l’umiltà della sua ancella. Non conosce il cielo l’Unigenito di Dio Padre? Se conosce il cielo, conosce anche Nazareth. Potrebbe non conoscere la sua patria? Potrebbe non conoscere la sua eredità? Il cielo gli tocca da parte del Padre, Nazareth gli tocca da parte della madre, poiché egli è - lo afferma lui stesso - Figlio e Signore di David (Mt 22,42-45).

       Il cielo del cielo è per il Signore, ma la terra la diede ai figli degli uomini (Ps 113,16). Si pieghi a lui, quindi, l’uno e l’altro titolo di proprietà, perché è non solo Signore, ma anche figlio dell’uomo. Senti anche come rivendichi a sé la terra in qualità di figlio dell’uomo, ma ne ha anche il diritto per la comunione dei beni tra gli sposi. I fiori apparvero sulla nostra terra (Ct 2,12). E ci sta anche bene l’accenno ai fiori, perché Nazaret significa fiore. Piace una patria fiorita al fiore che spunta da Jesse e se ne sta volentieri tra i gigli il fiore del campo e il giglio delle valli. La bellezza, infatti, il profumo e la speranza del frutto fanno prezioso un fiore: son la sua triplice grazia. E Dio stima anche te come un fiore, e si compiace in te, se c’è in te la bellezza d’una condotta onesta, il profumo dei buoni pensieri e il desiderio del premio futuro. Il frutto dello spirito, infatti, è la vita eterna.

       Non temere, Maria; hai trovato grazia presso Dio. Quanta grazia? Una grazia piena, grazia singolare. Singolare o universale? L’una e l’altra, certo; perché piena e in tanto singolare, perché universale; ricevesti, infatti, tu sola la grazia universale. Grazia singolare, dico, la tua, perché tu sola, più di tutti, hai trovato grazia. Tu sola trovasti una tale pienezza; pienezza universale, perché tutti attingessero a questa pienezza. Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. È in modo singolare frutto del tuo seno; ma per tuo mezzo è giunto alle menti di tutti. Così una volta la rugiada fu tutta sul vello e tutta sull’aia; ma in nessuna parte dell’aia fu tutta, come sul vello (Jg 6,37-40). Solo in te quel Re ricco e straricco, s’è ridotto a niente; eccelso s’è umiliato, immenso s’è fatto piccolo e inferiore agli angeli: vero Dio e Figlio di Dio incarnato. Ma per quale scopo? Perché tutti fossimo arricchiti con la sua povertà, innalzati dalla sua umiltà, accresciuti dal suo abbassamento e, unendoci a Dio attraverso la sua incarnazione, potessimo essere un solo spirito con lui.

       Ma che diciamo, fratelli? In quale vaso si verserà la grazia? Se la fiducia può contener misericordia e la pazienza la giustizia, quale vaso è idoneo alla grazia? Il balsamo è purissimo, e vuole un vaso fortissimo. E che c’è di così puro o di così solido come l’umiltà del cuore? Perciò dà grazia agli umili; perciò guardò l’umiltà della sua serva. A qual titolo? Perché l’animo umile non impedisce che la pienezza di Dio si versi in esso.

       Bernardo di Chiarav., Hom. 3, in Annunt., 7-9


3. Ave, piena di grazia

       Poiché l’angelo salutò Maria con una formula nuova che non son riuscito a trovare in nessun altro passo delle Scritture sento di dover dire qualcosa a riguardo. Non ricordo dove si possa leggere altrove nelle Scritture la frase pronunciata dall’angelo: Ave, piena di grazia, che in greco si traduce Kecharitoméne. Mai tali parole, «Ave, piena di grazia», furono rivolte ad essere umano; tale saluto doveva essere riservato soltanto a Maria. Se infatti Maria avesse saputo che una formula di tal genere fosse stata indirizzata a qualcuno - ella possedeva infatti la conoscenza della legge, era santa, e conosceva bene, per le sue quotidiane meditazioni, gli oracoli dei profeti - non si sarebbe certo spaventata per quel saluto che le apparve così insolito. Sicché l’angelo le dice: Non temere, Maria, perché tu hai trovato grazia dinanzi al Signore. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli darai il nome di Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.

       Origene, In Luc., 6, 7


4. Discorso per l’annunciazione della santissima Nostra Signora, la Madre di Dio e semprevergine Maria

       Avvicinandosi dunque questa venerabile festa, che segna l’inizio della nostra salvezza - quando dalle celesti altezze scese volando il grande comandante Gabriele, incorporeo, massimo divin soldato del gran Re, primo apostolo della grazia e nobile ministro della nostra salvezza, per recare lieta novella alla tutta pura, santa e immacolata Vergine e gridarle il «Gioisci, o piena di grazia, il Signore è con te», che annulla il «Partorirai i figli nel dolore», castigo della prima madre, portando così agli uomini l’assoluzione della giusta condanna, ed instaurando una splendida gara fra angeli e uomini - mi rammaricavo di non aver tra mano nulla per una così divina solennità, né letture antiche, né una traccia recente di discorso. Non riuscendovi dunque a comporlo da me, per mancanza di conoscenze e di interiore illuminazione, dopo esser rimasto per un po’ di tempo come muto, ho deciso alla fine di gridare alla Vergine «Ave», con le parole dell’arcangelo, perché la sua grazia m’illumini la mente a pensare e mi conceda la parola quando apro la bocca a sua gloria: non già che la Glorificata da Dio abbia bisogno della nostra gloria ma perché Lei piuttosto glorifichi con gloria salvifica quanti la glorificano.

       Ma cominciamo proprio da dove è meglio: da dove cioè ebbe il migliore inizio la parola: non quella del mio presente discorso, ma quella che segnò il principio e la causa dell’essere per tutti gli esseri: questo infatti volle apertamente indicare la lettera alfa. E come fu concesso anche agli uomini, e non solo agli angeli, di cantare l’inno trisagio, così noi pure, dopo aver imparato dall’arcangelo l’«Ave», acclamiamo con l’«Ave» la purissima Vergine. Non si può infatti trovar nulla di più elevato o grazioso od esplicito tra noi uomini di questa parola per salutare la Vergine: perciò molte volte oso rivolgere quest’espressione, benché con labbra indegne, alla Madre di Dio e ripetere «Ave» alla Vergine illibata.

       Ave, illibatissima Madre del Figlio coeterno all’ingenito Padre e ricettacolo santissimo dello Spirito Santo.

       Ave, trono che porti il Re della gloria, nel quale i Cherubini nel cielo non possono fissare lo sguardo.

       Ave, più alta delle schiere celesti, perché hai contenuto l’Incontenibile e hai portato Colui che esse non riescono a contemplare.

       Ave, primo cielo fissato da Dio, in cui abita la luce senza tramonto.

       Ave, firmamento, da cui è sorto il Sole della giustizia.

       Ave, sole che non tramonta, dal quale sono stati illuminati i confini della terra.

       Ave, lucentissima luna, per cui furono scacciate le tenebre dell’incredulità e introdotta la luce della fede.

       Ave, moltiplicato splendore di molteplici astri.    

       Ave, tu per cui s’aprirono le porte celesti e furono infrante le porte e le sbarre dell’Ade.

       Ave, vortice celeste, da cui noi mortali fummo rapiti in alto.

       Ave, nuvola portatrice di pioggia, da cui fu irrorata la vastità della terra.

       Ave, soffio di vento purissimo e fresco, che ristori i fedeli.

       Ave, arcobaleno, segno dell’alleanza di Dio con gli uomini.

       Ave, porta inaccessibile, per cui passò l’Angelo del gran consiglio, lasciandola chiusa.

       Ave, scala celeste, per cui sulla terra discese Chi è al di sopra dei cieli.

       Ave, tu che hai sciolto la condanna del progenitore e della prima madre Eva.

       Ave, paradiso spirituale del fiore d’immortalità.

       Ave, sorgente che sgorghi dall’Eden a irrigare il paradiso - che è la Chiesa di Dio e le schiere dei fedeli - da dove si dividono «ai quattro cardini» i quattro vangeli a irrorare la terra: ivi «Dio fece spuntare ogni albero bello a vedersi» con la mente - cioè i santi dottori e martiri - «e gustoso in cibo» per l’anima.

       Ave, «Albero della vita che è nel mezzo del paradiso», del cui frutto noi fedeli ci nutriamo per la remissione dei peccati.

       Ave, porta del paradiso, che introduci i credenti ed escludi gli increduli.

       Ave, campo inseminato, da cui spuntò la spiga che porta la vita.

       Ave, vite fiorente e tralcio fruttuoso, piantata dal Padre, irrigata dallo Spirito, coltivata con arte dal Figlio, che invita con bando sublime le schiere dei fedeli, mesce «nella coppa il suo vino» e sollecita tutti: «Abbandonate la stoltezza e vivrete; ritornate al senno per vivere; bevete il vino che io vi ho versato» e inebriatevi «all’abbondanza della mia casa».

       Ave, mare grande e spazioso, in cui navigò il nocchiero dell’universo.

       Ave, sale delle virtù, che hai salato il mondo.

       Ave, nave guidata da Dio, sovraccarica di beni celesti.

       Ave, porto di salvezza e muraglia inespugnabile.

       Ave, torre potente, che mantieni illesi di fronte al nemico quanti si rifugiano in te.

       Ave, giusto castigo del mondo egiziano infedele e giusta liberazione del popolo d’Israele.

       Ave, nuvola che fai luce di giorno e colonna lucentissima dai bagliori di fuoco nella notte.

       Ave, tu che hai sommerso nel mare gli infedeli e il peccato del Faraone, anzi lo stesso Faraone spirituale e i suoi complici.

       Ave, tenda santa più vasta dei cieli, in cui Dio parlò agli uomini.

       Ave, tavola degna d’onori divini, scritta dal dito di Dio.

       Ave, arca santa, che racchiudi Colui che toglie il peccato del mondo.

       Ave, anfora della manna.

       Ave, verga d’Aronne.

       Ave, fonte della vita.

       Ave, terra della promessa.

       Ave, terra che scorri latte e miele.

       Ave, terra degli uomini miti.

       Ave, fiume divinamente copioso.

       Ave, santa fontana.

       Ave, fonte di acqua sorgiva.

       Ave, arca santa, che fermi l’impeto del Giordano.

       Ave, tromba di Dio.

       Ave, rovina degli infedeli.

       Ave, sostegno di quanti credono nel Figlio tuo.

       Ave, monte santo.

       Ave, città di Dio.

       Ave, santa Sion, dimora di Dio.

       Ave, tempio che contiene Dio.

       Ave, Santo dei Santi.

       Ave, turibolo d’oro.

       Ave, mensa.

       Ave, candelabro.

       Ave, lampada d’inestinguibile luce.

       Ave, strada al regno celeste: Ti glorificano gli angeli, perché sei più elevata di loro, assisa alla destra del Re della gloria: gli stai accanto come ancella e intercedi come madre, regalmente splendida, «con frange d’oro, avvolta in un vestito variopinto intrecciato d’oro», come predisse David.

       Ave, potenza del regno di quaggiù: «I ricchi del popolo ti supplicano», e tutti, re e sacerdoti, pontefici e turbe di monaci e folle senza numero di dotti e d’ignoranti t’invocano protettrice.

       Ave, gloria delle città.

       Ave, salvezza dei villaggi.

       Ave, forza delle isole.

       Ave, speranza dei monaci.

       Ave, ornamento di Giacobbe.

       Ave, figlia di David.

       Ave, frutto dei giusti Gioacchino ed Anna.

       Ave, inesauribile tesoro dei confini della terra.

       Ave, insonne custode di Cipro.

       Ave, sommo presidio di Pafo.

       Ave, sicura espiazione dei fedeli.

       Ave, rifugio di tutti gli uomini e della mia meschinità. Ma come potrò invocare, celebrare, magnificare il tuo potere, o Signora? «Ci hai ferito il cuore, ci hai ferito», come disse Salomone nella Cantica. Te magnificano in cielo gli angeli, te sulla terra invoca la moltitudine degli uomini, te temono le orde dei demoni. Tu hai fatto rifulgere il decoro della verginità, hai nobilitato la maternità, hai benedetto il sesso femminile, hai resa pura la stirpe degli uomini e l’hai portata a Dio. Tu, pura e immacolata, accogli i puri perché amante dei buoni e brami purificare i non puri, perché misericordiosa. Purificaci, illuminaci, guidaci all’eterna vita.

       Ave, roveto incombusto che vide Mosè e voce divina, che manifesti la mirabile unione di Dio con gli uomini: fuoco, perché «il nostro Dio è fuoco che divora»; roveto, perché incorrotta è la natura umana a cui Egli s’unì per amore, conservandola illesa.

       Ave, monte boscoso e ombreggiato antevisto da Abacuc: boscoso, perché grande e quindi impenetrabile agli occhi del corpo; ombreggiato, perché non visibile ad alcuno, prima che in te splendesse il Sole della giustizia, oppure perché tu togli l’arsura del male.

       Ave, monte santo, «monte pingue - come dice David -, monte condensato, monte ove piacque a Dio abitare: il Signore vi porrà dimora per sempre»; «l’Altissimo ha santificato la sua abitazione: Dio è in mezzo ad essa, non sarà smossa».

       Ave, monte che Daniele previde, da cui «fu tagliata la pietra senza lavoro di mani», da cui cioè nacque un bambino senza seme, «e colpì la statua» dell’incredulità per sempre, infrangendo i regni dei tiranni infedeli: «ma il suo regno non avrà fine».

       Ave, tu prefigurata dalla fornace dei Caldei, che conservò illesi i fanciulli: te infatti il fuoco della divinità conservò incorrotta.

       Ave: Colui alla cui presenza stanno «mille migliaia e diecimila miriadi», scese nel tuo grembo «come pioggia sul vello».

       Ave, vero compimento dei tipi e delle figure della legge antica.

       Ave, di ogni portento principio e termine.

       Neofito il Recluso, Inediti, «Marianum», nn. II-IV, 1974, pp. 239-249




Lezionario "I Padri vivi" 206