Pastores gregis IT


ESORTAZIONE APOSTOLICA

POST-SINODALE

PASTORES GREGIS

DEL SANTO PADRE

GIOVANNI PAOLO II

SUL VESCOVO SERVITORE

DEL VANGELO DI GESÙ CRISTO

PER LA SPERANZA DEL MONDO

INTRODUZIONE



1 I Pastori del gregge, nell'adempimento del loro ministero di Vescovi, sanno di poter contare su di una speciale grazia divina. Nel Pontificale Romano, durante la solenne preghiera d'ordinazione il Vescovo ordinante principale, dopo avere invocato l'effusione dello Spirito che regge e guida, ripete le parole, già presenti nell'antico testo della Tradizione Apostolica: « O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questo tuo servo, da te eletto all'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio ».1 Continua così ad essere adempiuta la volontà del Signore Gesù, il Pastore eterno che ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cfr Gv Jn 20,21) e ha voluto che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori sino alla fine dei secoli.2

L'immagine del Buon Pastore, così amata anche dalla primitiva iconografia cristiana, è stata ben presente ai Vescovi che, provenendo da tutto il mondo, si sono radunati, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, per la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Presso la tomba dell'apostolo Pietro, essi hanno riflettuto insieme con me sulla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Tutti si sono trovati d'accordo nel ritenere che la figura di Gesù Buon Pastore costituisce l'immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome « nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo ».3 È questa la ragione fondamentale per cui « la figura ideale del Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra (cfr 2Co 11,28) ».4

La decima Assemblea del Sinodo dei Vescovi


2 Rendiamo, allora, grazie al Signore, perché ci ha concesso il dono di celebrare un'altra volta ancora un'Assemblea del Sinodo dei Vescovi e di fare in essa un'esperienza davvero profonda dell'essere-Chiesa. Celebrata nel clima ancora vivo del Grande Giubileo del Duemila, all'inizio del terzo millennio cristiano, la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è giunta dopo una lunga serie di assemblee: quelle speciali, tutte accomunate dalla prospettiva dell'evangelizzazione nei diversi continenti, dall'Africa all'America, all'Asia, all'Oceania e all'Europa; e quelle ordinarie, le ultime delle quali hanno dedicato la loro riflessione all'abbondante ricchezza costituita nella Chiesa dalle diverse vocazioni suscitate dallo Spirito nel Popolo di Dio. In questa prospettiva, l'attenzione dedicata al ministero proprio dei Vescovi ha completato il quadro di quell'ecclesiologia di comunione e missione che sempre è necessario avere presente.

A tale riguardo, i lavori sinodali hanno fatto costante riferimento alla dottrina sull'episcopato e sul ministero dei Vescovi delineata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente nel capitolo terzo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e nel Decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus. Di questa luminosa dottrina, che riassume e sviluppa i tradizionali elementi teologici e giuridici, il mio predecessore di v. m. Paolo VI poteva giustamente affermare: « A noi sembra che l'autorità episcopale esca dal Concilio rivendicata nella sua divina istituzione, confermata nella sua insostituibile funzione, avvalorata nelle sue pastorali potestà di magistero, di santificazione e di governo, onorata nella sua estensione alla Chiesa universale per via della comunione collegiale, precisata nella sua collocazione gerarchica, confortata nella corresponsabilità fraterna con gli altri Vescovi verso i bisogni universali e particolari della Chiesa e maggiormente associata in spirito di subordinata unione e solidale collaborazione col capo della Chiesa, centro costitutivo del Collegio episcopale ».5

Al tempo stesso, secondo quanto stabilito dal tema assegnato, i Padri sinodali hanno riconsiderato il proprio ministero alla luce della speranza teologale. Anche questo compito è subito apparso come singolarmente pertinente alla missione del pastore il quale, nella Chiesa, è anzitutto il portatore della testimonianza pasquale ed escatologica.

Una speranza fondata su Cristo


3 Compito, infatti, d'ogni Vescovo è annunziare al mondo la speranza, a partire dalla predicazione del Vangelo di Gesù Cristo: la speranza « non soltanto per ciò che riguarda le cose penultime, ma anche e soprattutto la speranza escatologica, quella che attende il tesoro della gloria di Dio (cfr Ef Ep 1,18), che supera tutto ciò che è mai entrato nel cuore dell'uomo (cfr 1Co 2,9) e a cui non possono essere paragonate le sofferenze del tempo presente (cfr Rm Rm 8,18) ».6 La prospettiva della speranza teologale, insieme con quella della fede e della carità, deve informare interamente il ministero pastorale del Vescovo.

A lui, in particolare, spetta il compito di essere profeta, testimone e servo della speranza. Egli ha il dovere di infondere fiducia e di proclamare di fronte a chiunque le ragioni della speranza cristiana (cfr 1P 3,15). Il Vescovo è profeta, testimone e servo di tale speranza soprattutto dove più forte è la pressione di una cultura immanentistica, che emargina ogni apertura verso la trascendenza. Laddove manca la speranza, la fede stessa è messa in questione. Anche l'amore è affievolito dall'esaurirsi di questa virtù. La speranza, infatti, specialmente in tempi di crescente incredulità e indifferenza, è valido sostegno per la fede ed efficace incentivo per la carità. Essa trae la sua forza dalla certezza dell'universale volontà salvifica di Dio (cfr 1Tm 2,3) e della costante presenza del Signore Gesù, l'Emmanuele sempre con noi sino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20).

Soltanto con la luce e la consolazione che provengono dal Vangelo un Vescovo riesce a tenere viva la propria speranza (cfr Rm Rm 15,4) e ad alimentarla in quanti sono affidati alla sua premura di pastore. Egli, dunque, sarà imitatore della Vergine Maria, la Mater spei, che ha creduto nell'adempimento delle Parole del Signore (cfr Lc Lc 1,45). Poggiando sulla Parola di Dio e aggrappandosi saldamente alla speranza, che è come ancora sicura e salda che penetra nel cielo (cfr Ebr He 6,18-20), il Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, « speranza della gloria » (Col 1,27), grazie al quale « non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno » (Ap 21,4).

La Speranza nel fallimento delle speranze


4 Ciascuno ricorderà che le sessioni del Sinodo dei Vescovi si svolsero in giorni fortemente drammatici. Nell'animo dei Padri sinodali era ancora viva l'eco dei terribili eventi dell'11 settembre 2001, con il doloroso esito d'innumerevoli vittime innocenti e l'insorgere nel mondo di nuove, gravissime situazioni d'incertezza e di paura per la stessa civiltà umana e per il pacifico convivere delle nazioni. Si profilavano, così, ulteriori orizzonti di guerra e di morte che, aggiungendosi alle già esistenti situazioni di conflitto, mostravano in tutta la sua urgenza il bisogno di rivolgere al Principe della Pace l'invocazione perché i cuori degli uomini tornassero ad essere disponibili alla riconciliazione, alla solidarietà e alla pace.7

Insieme con la preghiera, l'Assemblea sinodale alzò la propria voce per condannare ogni forma di violenza e per indicarne le ultime radici nel peccato dell'uomo. Di fronte al fallimento delle speranze umane che, fondandosi su ideologie materialiste, immanentiste ed economiciste, tutto pretendono di misurare in termini di efficienza e di rapporti di forza e di mercato, i Padri sinodali hanno riaffermato la convinzione che solo la luce del Risorto e l'impulso dello Spirito Santo aiutano l'uomo ad appoggiare le proprie attese sulla speranza che non delude. Per questo hanno proclamato: « Non possiamo lasciarci intimidire dalle diverse forme di negazione del Dio vivente che cercano, più o meno scopertamente, di minare la speranza cristiana, a farne una parodia o a deriderla. Lo confessiamo nella gioia dello Spirito: Cristo è veramente risorto! Nella sua umanità glorificata, ha aperto l'orizzonte della vita eterna a tutti gli uomini che si convertono ».8

La certezza di questa professione di fede dev'essere tale da rendere di giorno in giorno più salda la speranza di un Vescovo, inducendolo a confidare che la bontà misericordiosa di Dio non smetterà mai di costruire strade di salvezza e di aprirle alla libertà d'ogni uomo. È la speranza ad incoraggiarlo a discernere, nel contesto dove svolge il suo ministero, i segni della vita capaci di sconfiggere i germi nocivi e mortali. È ancora la speranza a sostenerlo nel trasformare perfino i conflitti in occasioni di crescita, aprendoli alla riconciliazione. Sarà ancora la speranza in Gesù, Buon Pastore, a riempire il suo cuore di compassione inducendolo a piegarsi sul dolore di ogni uomo e donna che soffre, per lenirne le piaghe, conservando sempre la fiducia che la pecora smarrita possa essere ritrovata. In tal modo il Vescovo sarà sempre più luminosamente segno di Cristo, Pastore e Sposo della Chiesa. Agendo come padre, fratello e amico di ogni uomo, egli sarà accanto a ciascuno viva immagine di Cristo, nostra speranza,9 nel quale si adempiono tutte le promesse di Dio e sono portate a compimento tutte le attese della creazione.

Servi del Vangelo per la speranza del mondo


5 Disponendomi, dunque, a consegnare questa mia Esortazione apostolica, nella quale riprendo il patrimonio di riflessione maturato in occasione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dai primi Lineamenta all'Instrumentum Laboris, dagli interventi fatti in Aula dai Padri sinodali alle due Relazioni che li hanno introdotti e riassunti, dall'arricchimento di pensiero e di esperienza pastorale emerso nei circuli minores alle Propositiones, che mi sono state presentate a conclusione dei lavori sinodali perché offrissi alla Chiesa intera un apposito documento dedicato al tema sinodale del Vescovo, servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo,10rivolgo il mio saluto fraterno e invio il bacio di pace a tutti i Vescovi che sono in comunione con questa Cattedra, affidata per primo a Pietro perché fosse garante dell'unità e, come è da tutti riconosciuto, presiedesse nell'amore.11

A voi, venerati e carissimi Fratelli, ripeto l'invito che, all'inizio del nuovo millennio, ho rivolto a tutta la Chiesa: Duc in altum! È anzi Cristo stesso che lo ripete ai Successori di quegli Apostoli che questo invito ascoltarono dalla sua viva voce e, fidandosi di Lui, partirono per la missione sulle strade del mondo: Duc in altum (
Lc 5,4). Alla luce di questo insistente invito del Signore, « noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus docendi, sanctificandi et regendi. Duc in docendo! “Annunzia la parola – diremmo con l'Apostolo –, insisti in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2Tm 4,2). Duc in sanctificando! Le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori. Essi formano una sorta di retesalvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita. Duc in regendo! Come Pastori e veri Padri, coadiuvati dai Sacerdoti e dagli altri collaboratori, abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione fraterna. Per quanto si tratti d'una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d'animo. Con Pietro e con i primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la speranza del mondo! ».12

In questo modo, vivendo come uomini di speranza e rispecchiando nel proprio ministero l'ecclesiologia di comunione e di missione, i Vescovi saranno davvero motivo di speranza per il loro gregge. Noi sappiamo che il mondo ha bisogno della « speranza che non delude » (cfr Rm Rm 5,5). Noi sappiamo che questa speranza è Cristo. Lo sappiamo e perciò predichiamo la speranza che scaturisce dalla Croce.

Ave Crux spes unica! Questo saluto, risuonato nell'aula sinodale nel momento centrale dei lavori della X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, risuoni sempre sulle nostre labbra, perché la Croce è mistero di morte e di vita. La Croce è divenuta per la Chiesa « albero della vita ». Per questo noi annunciamo che la vita ha vinto la morte.

Ci ha preceduto in questo annuncio pasquale una schiera di santi Pastori, che in medio Ecclesiaesono stati segni eloquenti del Buon Pastore. Noi, per questo, lodiamo e ringraziamo sempre Iddio onnipotente ed eterno perché, come cantiamo nella Santa Liturgia, con i loro esempi ci rafforza, con i loro insegnamenti ci ammaestra e con la loro intercessione ci protegge.13 Il volto di ciascuno di questi santi Vescovi, dagli esordi della vita della Chiesa sino ai nostri giorni, come ho detto a conclusione dei lavori sinodali, è quasi una tessera che, collocata in una sorta di mistico mosaico, compone il volto di Cristo Buon Pastore. Su di Lui, dunque, facendoci anche in questo modelli per il gregge che il Pastore dei Pastori ci ha affidato, fissiamo il nostro sguardo per essere, con sempre più grande impegno, ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

Contemplando il volto del nostro Maestro e Signore nell'ora in cui « amò i suoi sino alla fine », tutti noi, come l'apostolo Pietro, ci lasciamo lavare i piedi per avere parte con Lui (cfr Jn 13,1-9). E con la forza che da Lui ci viene nella Santa Chiesa, di fronte ai nostri presbiteri e diaconi, dinanzi a tutte le persone di vita consacrata e a tutti i carissimi fedeli laici, ripetiamo a voce alta: « Quali che siamo, la vostra speranza non sia riposta in noi: se siamo buoni, siamo ministri; se siamo cattivi, siamo ministri. Se, però, siamo ministri buoni e fedeli, allora davvero noi siamo ministri ».14 Ministri del Vangelo per la speranza del mondo.



CAPITOLO PRIMO


MISTERO E MINISTERO DEL VESCOVO


« ... e ne scelse Dodici » (Lc 6,13)


6 Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero.15 Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché « stessero con Lui » (Mc 3,14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr Lc Lc 6,12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: « ne costituìDodici » (Mc 3,14). Si svela, così, il mistero dell'elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.

La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr Mt Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.16

La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr At Ac 1,5 At Ac 1,8 Ac 2,4 Jn 20,22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell'imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1Tm 4,14 2Tm 1,6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l'imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell'Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell'esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.17

Il fondamento trinitario del ministero episcopale


7 La dimensione cristologica del ministero pastorale, considerata in profondità, avvia alla comprensione del fondamento trinitario del ministero stesso. La vita di Cristo è trinitaria. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre e l'unto di Spirito Santo, mandato nel mondo; è Colui che, insieme col Padre, invia lo Spirito alla Chiesa. Questa dimensione trinitaria, che si manifesta in tutto il modo d'essere e di agire di Cristo, plasma anche l'essere e l'agire del Vescovo. A ragione quindi i Padri sinodali hanno esplicitamente voluto illustrare la vita e il ministero del Vescovo alla luce dell'ecclesiologia trinitaria contenuta nella dottrina del Concilio Vaticano II.

Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant'Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev'essere da tutti riverito.18 In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell'Oriente richiama l'autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza.19 Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri.20 Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.

Cristo è l'icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa.21 C'è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all'unico ovile.

L'unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l'umana debolezza.22

Carattere collegiale del ministero episcopale


8 « ... ne costituì Dodici » (Mc 3,14). La Costituzione dogmatica Lumen gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull'indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti « sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro ».23In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio.24

L'unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull'Ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell'essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesù Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero episcopale in virtù della Consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È così che si è membri del Collegio episcopale,25 per cui le tre funzioni ricevute nell'Ordinazione episcopale – di santificare, di insegnare e di governare – debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto.26

Ciò costituisce quello che è chiamato « affetto collegiale », o collegialità affettiva, da cui deriva la sollecitudine dei Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale.27 Se, dunque, si deve dire che un Vescovo non è mai solo, in quanto è sempre unito al Padre per il Figlio nello Spirito Santo, si deve pure aggiungere che egli non è mai solo anche perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell'episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro.

Tale affetto collegiale si attua e si esprime secondo gradi diversi in vari modi, anche istituzionalizzati, quali sono, ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, i Concili particolari, le Conferenze dei Vescovi, la Curia Romana, le Visite ad limina, la collaborazione missionaria, ecc. In modo pieno, però, l'affetto collegiale si attua e si esprime solo nell'azione collegiale in senso stretto, cioè nell'azione di tutti i Vescovi insieme con il loro Capo, con il quale esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa.28

Questa natura collegiale del ministero apostolico è voluta da Cristo stesso. L'affetto collegiale, pertanto, o collegialità affettiva (collegialitas affectiva), vige sempre tra i Vescovi come communio episcoporum, ma solo in alcuni atti si esprime come collegialità effettiva (collegialitas effectiva). I vari modi di attuazione della collegialità affettiva in collegialità effettiva sono di ordine umano, ma in gradi diversi concretizzano l'esigenza divina che l'episcopato si esprima in modo collegiale.29 Nei Concili ecumenici, poi, la suprema potestà del Collegio su tutta la Chiesa viene esercitata in modo solenne.30

La dimensione collegiale dà all'episcopato il carattere d'universalità. Può, dunque, essere stabilito un parallelismo tra la Chiesa una e universale, quindi indivisa, e l'episcopato uno e indiviso, quindi universale. Principio e fondamento di tale unità, sia della Chiesa sia del Collegio dei Vescovi, è il Romano Pontefice. Come, infatti, insegna il Concilio Vaticano II, il Collegio, « in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del Popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo ».31 Per questo la « unità dell'Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell'unità della Chiesa ».32

La Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né una federazione di esse e, neppure, il risultato della loro comunione in quanto, secondo le espressioni degli antichi Padri e della Liturgia, nel suo essenziale mistero essa precede la creazione stessa.33 Alla luce di questa dottrina si potrà aggiungere che il rapporto di mutua interiorità, che vige tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare, per cui le Chiese particolari sono « formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica »,34 si riproduce nel rapporto tra Collegio episcopale nella sua totalità e il singolo Vescovo. Per questo « il Collegio episcopale non è da intendersi come la somma dei Vescovi preposti alle Chiese particolari, né il risultato della loro comunione, ma, in quanto elemento essenziale della Chiesa universale, è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare ».35

Possiamo meglio comprendere questo parallelismo tra la Chiesa universale e il Collegio dei Vescovi alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II: « Gli Apostoli furono, dunque, ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia ».36 Negli Apostoli, non singolarmente considerati, ma nel loro essere Collegio, era contenuta la struttura della Chiesa, che in loro era costituita nella sua universalità e unità, e del Collegio dei Vescovi loro successori, segno di tale universalità e unità.37

È così che « la potestà del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potestà dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari; essa è una realtà anteriore a cui partecipano i singoli Vescovi, i quali non possono agire su tutta la Chiesa se non collegialmente ».38A tale potestà d'insegnare e di governare i Vescovi partecipano solidalmente in maniera immediata per il fatto stesso che sono membri del Collegio episcopale, nel quale realmente persevera il Collegio apostolico.39

Come la Chiesa universale è una e indivisibile, così pure il Collegio episcopale è un « soggetto teologico indivisibile » e quindi anche la potestà suprema, piena e universale di cui il Collegio è soggetto, come lo è il Romano Pontefice personalmente, è una e indivisibile. Proprio perché il Collegio episcopale è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare, vi sono molti Vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare.40 Ogni Vescovo, sempre in unione con tutti i Fratelli nell'episcopato e con il Romano Pontefice, rappresenta Cristo Capo e Pastore della Chiesa: non solo in modo proprio e specifico, quando riceve l'ufficio di pastore di una Chiesa particolare, ma anche quando collabora col Vescovo diocesano nel governo della sua Chiesa,41 oppure partecipa all'ufficio di pastore universale del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale. Erede del fatto che lungo la sua storia la Chiesa, oltre alla forma propria della presidenza di una Chiesa particolare, ha riconosciuto anche altre forme di esercizio del ministero episcopale, come quella di Vescovo ausiliare o di rappresentante del Romano Pontefice negli Uffici della Santa Sede o nelle Legazioni pontificie, anche oggi essa, a norma del diritto, ammette tali forme, quando si rendono necessarie.42

Indole missionaria e unitarietà del ministero episcopale


9 Il Vangelo secondo Luca riferisce che Gesù diede ai Dodici il nome di Apostoli, che letteralmente significa inviati, mandati (cfr 6, 13). Nel Vangelo secondo Marco leggiamo pure che Gesù costituì i Dodici « anche per mandarli a predicare » (3, 14). Ciò significa che tanto l'elezione quanto la costituzione dei Dodici come Apostoli sono finalizzate alla missione. Il primo loro invio (cfr Mt Mt 10,5 Mc 6,7 Lc 9,1-2) trova la sua pienezza nella missione che Gesù loro affida, dopo la Risurrezione, al momento dell'Ascensione al Cielo. Sono parole che conservano tutta la loro attualità: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo » (Mt 28,18-20). Questa missione apostolica ha avuto la sua solenne conferma nel giorno dell'effusione pentecostale dello Spirito Santo.

Nel testo del Vangelo secondo Matteo appena citato, l'intero ministero pastorale può essere visto come articolato secondo la triplice funzione d'insegnamento, di santificazione e di guida. Vediamo qui un riflesso della triplice dimensione del servizio e della missione di Cristo. Noi, difatti, come cristiani e, in modo qualitativamente nuovo, come sacerdoti, partecipiamo alla missione del nostro Maestro, che è Profeta, Sacerdote e Re, e siamo chiamati a rendergli una peculiare testimonianza nella Chiesa e dinanzi al mondo.

Queste tre funzioni (triplex munus) e le potestà che ne derivano esprimono sul piano dell'agire il ministero pastorale (munus pastorale), che ogni Vescovo riceve con la consacrazione episcopale. È lo stesso amore di Cristo, partecipato nella consacrazione, che si concretizza nell'annuncio del Vangelo di speranza a tutte le genti (cfr Lc Lc 4,16-19), nell'amministrazione dei Sacramenti a chi accoglie la salvezza e nella guida del Popolo santo verso la vita eterna. Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intimamente connesse, che reciprocamente si spiegano, si condizionano e si illuminano.43

Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il Popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant'Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium.44 Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Gesù Cristo.

« ... chiamò a sé quelli che egli volle » (Mc 3,13)


10 Molta folla seguiva Gesù, quando egli decise di salire sul monte e di chiamare a sé gli Apostoli. Molti erano i discepoli, ma Egli ne scelse Dodici soltanto per lo specifico compito di Apostoli (cfr Mc Mc 3,13-19). Nell'Aula Sinodale è spesso risuonato il detto di S. Agostino: « Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano ».45

Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il Vescovo è, anzitutto e come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l'insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D'altra parte, in forza della pienezza del sacramento dell'Ordine, il Vescovo è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo.

Si tratta, evidentemente, di due relazioni non semplicemente accostate fra loro, bensì in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l'una all'altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote. Il Vescovo diventa « padre » proprio perché pienamente « figlio » della Chiesa. Ciò ripropone il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale: due modi di partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell'atto supremo del sacrificio della croce.

Questo si riflette sulla relazione che, nella Chiesa, vige tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il fatto che, quantunque differiscano essenzialmente tra di loro, siano ordinati l'uno all'altro,46 crea una reciprocità che struttura armonicamente la vita della Chiesa come luogo di attualizzazione storica della salvezza operata da Cristo. Tale reciprocità si ritrova proprio nella persona stessa del Vescovo, che è e rimane un battezzato, ma costituito nel sommo sacerdozio. Questa realtà più profonda del Vescovo è il fondamento del suo « essere tra » gli altri fedeli e del suo essere « di fronte » ad essi.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II in un bellissimo testo: « Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio (cfr 2P 1,1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli per l'edificazione del Corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio, include l'unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da un comune necessario rapporto: i Pastori della Chiesa sull'esempio del Signore siano al servizio gli uni degli altri e degli altri fedeli e questi a loro volta prestino volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai dottori ».47

Il ministero pastorale ricevuto nella consacrazione, che pone il Vescovo « di fronte » agli altri fedeli, si esprime in un « essere per » gli altri fedeli che non lo sradica dal suo « essere con » loro. Ciò vale sia per la sua santificazione personale, da ricercare ed attuare nell'esercizio del suo ministero, sia per lo stile di attuazione del ministero stesso in tutte le funzioni in cui si esplica.

La reciprocità, che esiste tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, e che si ritrova nello stesso ministero episcopale, si manifesta in una sorta di « circolarità » tra le due forme di sacerdozio: circolarità tra la testimonianza di fede di tutti i fedeli e la testimonianza di fede autentica del Vescovo nei suoi atti magisteriali; circolarità tra la vita santa dei fedeli e i mezzi di santificazione che il Vescovo offre ad essi; circolarità, infine, tra la responsabilità personale del Vescovo riguardo al bene della Chiesa a lui affidata e la corresponsabilità di tutti i fedeli rispetto al bene della stessa.




Pastores gregis IT