Pastores gregis IT 20

Lo spirito e la prassi della povertà nel Vescovo


20 I Padri sinodali, in segno di sintonia collegiale, hanno raccolto l'appello da me lanciato nella Liturgia d'apertura del Sinodo, perché la beatitudine evangelica della povertà fosse ritenuta come una delle condizioni necessarie per attuare, nell'odierna situazione, un fecondo ministero episcopale. Anche in questa circostanza, in mezzo all'assemblea dei Vescovi si è come stagliata la figura di Cristo Signore, che « ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni » e che invita anche la Chiesa, con i suoi pastori in primo luogo, « a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza ».87

Il Vescovo, perciò, che vuole essere autentico testimone e ministro del vangelo della speranza, deve essere vir pauper. Lo richiede la testimonianza che egli è tenuto a rendere a Cristo povero; lo richiede anche la sollecitudine della Chiesa verso i poveri, verso i quali è doverosa una scelta preferenziale. La decisione del Vescovo di vivere il proprio ministero nella povertà contribuisce decisamente a fare della Chiesa la « casa dei poveri ».

Tale decisione, inoltre, pone il Vescovo in una situazione di interiore libertà nell'esercizio del ministero consentendogli di comunicare efficacemente i frutti della salvezza. L'autorità episcopale deve essere esercitata con un'instancabile generosità e con un'inesauribile gratuità. Ciò richiede da parte del Vescovo una piena fiducia nella provvidenza del Padre celeste, una magnanima comunione di beni, un austero tenore di vita, una permanente conversione personale. Solo per questa via egli sarà capace di partecipare alle angosce e ai dolori del Popolo di Dio, che egli deve non solo guidare e nutrire, ma con il quale deve essere solidale, condividendone i problemi e contribuendo ad alimentarne la speranza.

Compirà questo servizio con efficacia se la sua vita sarà semplice, sobria e, insieme, attiva e generosa e se metterà coloro che sono ritenuti gli ultimi della nostra società non ai margini ma al centro della comunità cristiana.88 Quasi senza accorgersene, favorirà la « fantasia della carità », che metterà in evidenza più che l'efficacia dei soccorsi prestati, la capacità di vivere la condivisione fraterna. Infatti nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che « nessuno fra loro era bisognoso » (4, 34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il « buon padre di famiglia » e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri.

Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall'esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella « opzione preferenziale per i poveri », che ho indicato come programma per il terzo millennio.89

Con la castità al servizio di una Chiesa che riflette la purezza di Cristo


21 « Ricevi l'anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo ». Con queste parole, proclamate nel Pontificale Romano,90 il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell'impegno che assume di riflettere in sé l'amore verginale di Cristo per tutti i suoi fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l'amore secondo l'esortazione dell'apostolo Pietro: « Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna » (1P 1,22-23).

Mentre con il suo esempio e con la sua parola egli esorta i cristiani ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito e Dio (cfr Rm Rm 12,1), a tutti egli ricorda che « passa la scena di questo mondo » (1Co 7,31), ed è perciò doveroso vivere « nell'attesa della beata speranza » del ritorno glorioso di Cristo (cfr Tt 2,13). In particolare, nella sua sollecitudine pastorale egli è vicino con paterno affetto a quanti hanno abbracciato la vita religiosa nella professione dei consigli evangelici ed offrono il loro prezioso servizio alla Chiesa. Egli sostiene poi ed incoraggia i sacerdoti che, chiamati dalla grazia divina, hanno liberamente assunto l'impegno del celibato per il Regno dei cieli, richiamando a se stesso ed a loro le motivazioni evangeliche e spirituali di tale scelta, quanto mai importante per il servizio del Popolo di Dio. Nell'oggi della Chiesa e del mondo la testimonianza dell'amore casto costituisce, per un verso, una specie di terapia spirituale per l'umanità e, per l'altro, una contestazione dell'idolatria dell'istinto sessuale.

Nel presente contesto sociale, il Vescovo deve essere particolarmente vicino al suo gregge e innanzitutto ai suoi sacerdoti, paternamente attento alle loro difficoltà ascetiche e spirituali, prestando loro l'opportuno sostegno per favorirne la fedeltà alla vocazione ed alle esigenze di un'esemplare santità di vita nell'esercizio del ministero. Nei casi, poi, di gravi mancanze e, ancor più, di delitti che recano danno alla testimonianza stessa del Vangelo, specie quando accade da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno. Egli è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per la correzione e il bene spirituale del sacro ministro, sia per la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia, come pure per quanto riguarda la protezione e l'aiuto alle vittime.

Con la parola, con l'azione vigile e paterna il Vescovo adempie l'impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Operando in questo modo, il pastore precede il suo gregge come ha fatto Cristo, lo Sposo, che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l'esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.

Animatore di una spiritualità di comunione e di missione


22 Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho posto in evidenza la necessità di « fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione ».91 L'osservazione ha avuto una vasta eco ed è stata ripresa nell'Assemblea sinodale. Ovviamente, il Vescovo per primo, nel suo cammino spirituale, ha il compito di farsi promotore e animatore di una spiritualità di comunione, adoperandosi instancabilmente per farne uno dei principi educativi di fondo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano: nella parrocchia, nelle associazioni cattoliche, nei movimenti ecclesiali, nelle scuole cattoliche, negli oratori. In particolar modo sarà cura del Vescovo di fare sì che la spiritualità della comunione emerga e si affermi laddove si educano i futuri presbiteri, cioè nei seminari, come pure nei noviziati religiosi, nelle case religiose, negli Istituti e nelle Facoltà teologiche.

I punti salienti di questa promozione della spiritualità di comunione li ho indicati sinteticamente nella stessa Lettera apostolica. Qui sarà sufficiente aggiungere che un Vescovo deve particolarmente incoraggiarla all'interno del suo presbiterio, come anche tra i diaconi, i consacrati e le consacrate. Lo farà nel dialogo e nell'incontro personali, ma anche negli incontri comunitari, per i quali egli non mancherà di favorire nella propria Chiesa particolare momenti speciali in cui meglio ci si disponga ad ascoltare lo Spirito « che parla alle Chiese » (
Ap 2,7). Tali sono i ritiri, gli esercizi spirituali e le giornate di spiritualità, come pure l'uso prudente anche dei nuovi strumenti della comunicazione sociale, se ciò risulta opportuno per una maggiore efficacia.

Coltivare una spiritualità di comunione vuol pure dire, per un Vescovo, alimentare la comunione col Romano Pontefice e con gli altri fratelli Vescovi, specialmente all'interno di una medesima Conferenza episcopale e Provincia ecclesiastica. Anche in questo caso, non da ultimo per superare il rischio della solitudine e dello scoraggiamento davanti all'enormità e alla sproporzione dei problemi, un Vescovo farà volentieri ricorso, oltre che alla preghiera, anche all'amicizia e alla comunione fraterna con i suoi Fratelli nell'episcopato.

La comunione nella sua sorgente e nel suo modello trinitari si esprime sempre nella missione. La missione è il frutto e la conseguenza logica della comunione. Si favorisce il dinamismo della comunione quando ci si apre agli orizzonti e alle urgenze della missione, garantendo sempre la testimonianza dell'unità affinché il mondo creda, e dilatando gli spazi dell'amore affinché tutti raggiungano la comunione trinitaria, dalla quale procedono e alla quale sono destinati. Quanto più è intensa la comunione, tanto più è favorita la missione, specialmente quando è vissuta nella povertà dell'amore, che è la capacità di muoversi incontro ad ogni persona, gruppo e cultura con la sola forza della Croce, spes unica e testimonianza suprema dell'amore di Dio, che si manifesta anche come amore di fraternità universale.

Un cammino che procede nel quotidiano


23 Il realismo spirituale induce a riconoscere che il Vescovo è chiamato a vivere la propria vocazione alla santità nel contesto di difficoltà esterne e interne, di debolezze proprie ed altrui, d'imprevisti quotidiani, di problemi personali e istituzionali. È una situazione, questa, costante nella vita dei pastori, della quale è testimone san Gregorio Magno quando constata con sofferenza: « Dopo che mi sono posto sulle spalle del cuore il fardello pastorale, l'animo non può assiduamente raccogliersi in se stesso, perché rimane diviso in molte cose. Infatti sono costretto a discutere ora le cause delle Chiese, ora quelle dei monasteri, spesso a interessarmi della vita e delle azioni dei singoli... E così mentre la mente, lacerata e dilaniata, è costretta a pensare a tante cose, quando può rientrare in se stessa per concentrarsi totalmente nella predicazione, senza tirarsi indietro dal ministero di annunziare la Parola? ... La vita della sentinella dev'essere dunque sempre alta e vigilante ».92

Per controbilanciare le spinte centrifughe, che tentano di frantumare la sua unità interiore, il Vescovo ha bisogno di coltivare un sereno tenore di vita, che favorisca l'equilibrio mentale, psicologico e affettivo, e lo renda capace di aprirsi all'accoglienza delle persone e delle loro domande, in un contesto di autentica partecipazione alle diverse situazioni, liete e tristi. Anche la cura della propria salute nelle sue varie dimensioni costituisce per un Vescovo un atto di amore verso i fedeli ed una garanzia di maggiore apertura e disponibilità alle suggestioni dello Spirito. Sono note, al riguardo, le raccomandazioni fatte da S. Carlo Borromeo, fulgida figura di pastore, nel discorso che egli tenne nell'ultimo suo Sinodo: « Eserciti la cura d'anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso ».93

Il Vescovo, pertanto, curerà di entrare con equilibrio nella molteplicità dei suoi impegni armonizzandoli tra loro: la celebrazione dei divini misteri e la preghiera privata, lo studio personale e la programmazione pastorale, il raccoglimento e il giusto riposo. Sostenuto da questi sussidi per la sua vita spirituale, egli troverà la pace del cuore sperimentando la profondità della comunione con la Trinità, che lo ha scelto e consacrato. Nella grazia che Dio gli assicura, ogni giorno egli saprà svolgere il suo ministero, attento ai bisogni della Chiesa e del mondo, come testimone della speranza.

La formazione permanente del Vescovo


24 In stretto collegamento con l'impegno del Vescovo di proseguire instancabilmente sulla via della santità vivendo una spiritualità cristocentrica ed ecclesiale, l'Assemblea sinodale ha posto anche l'istanza di una sua formazione permanente. Necessaria per tutti i fedeli, come è stato sottolineato nei precedenti Sinodi e ribadito nelle successive Esortazioni apostoliche Christifideles Laici, Pastores dabo vobis e Vita consecrata, la formazione permanente è da ritenersi necessaria specialmente per il Vescovo, che porta su di sé la responsabilità del comune progresso e del concorde cammino nella Chiesa.

Come per i sacerdoti e le persone di vita consacrata, anche per un Vescovo la formazione permanente è un'esigenza intrinseca alla sua vocazione e missione. Grazie ad essa, infatti, è possibile discernere le nuove chiamate con cui Dio precisa ed attualizza la chiamata iniziale. Anche l'apostolo Pietro, dopo il « seguimi » del primo incontro con Cristo (cfr Mt
Mt 4,19), si sente ripetere lo stesso invito dal Risorto che, prima di lasciare la terra, preannunciandogli le fatiche e le tribolazioni del futuro ministero, aggiunge: « Tu seguimi » (Jn 21,22). « C'è, dunque, un “seguimi” che accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un “seguimi” che attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte, un “seguimi” che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel martirio ».94Non si tratta, è evidente, di attuare soltanto un adeguato aggiornamento, richiesto da una realistica conoscenza della situazione della Chiesa e del mondo, così da permettere al Pastore di essere inserito nel presente con mente aperta e cuore compassionevole. A questa buona ragione di un'aggiornata formazione permanente, si uniscono le motivazioni antropologiche derivanti dal fatto che la vita stessa è un incessante cammino verso la maturità, e quelle teologiche connesse in profondità con la radice sacramentale: il Vescovo, infatti, deve « custodire con vigile amore il “mistero” che porta in sé per il bene della Chiesa e dell'umanità ».95

Per l'aggiornamento periodico, specialmente su alcuni temi di grande importanza, si richiedono dei veri momenti prolungati di ascolto, di comunione e di dialogo con persone esperte – Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici –, in uno scambio di esperienze pastorali, di conoscenze dottrinali, di risorse spirituali che non mancheranno di assicurare un vero arricchimento personale. Allo scopo, i Padri sinodali hanno sottolineato l'utilità di speciali corsi di formazione per i Vescovi, come i convegni annuali promossi dalla Congregazione per i Vescovi o da quella per l'Evangelizzazione dei Popoli a favore dei Vescovi di recente ordinazione episcopale. Ugualmente è stato auspicato che brevi corsi di formazione o giornate di studio e di aggiornamento, come pure corsi di esercizi spirituali per i Vescovi, siano disposti e preparati dai Sinodi patriarcali, dalle Conferenze nazionali o regionali e pure dalle Assemblee continentali di Vescovi.

Converrà che la stessa Presidenza della Conferenza episcopale si assuma il compito di provvedere alla preparazione ed alla realizzazione di tali programmi di formazione permanente, incoraggiando i Vescovi a partecipare a questi corsi, così da ottenere anche in questo modo una maggiore comunione fra i Pastori, in vista di una migliore efficacia pastorale nelle singole diocesi.96

È evidente in ogni caso che, come la vita della Chiesa, così anche lo stile di azione, le iniziative pastorali, le forme del ministero del Vescovo sono in evoluzione. Anche da questo punto di vista si rende necessario un aggiornamento, in conformità con le disposizioni del Codice di Diritto Canonico e in rapporto alle nuove sfide e ai nuovi impegni della Chiesa nella società. In tale contesto l'Assemblea sinodale ha proposto di rivedere il Direttorio Ecclesiae imago, già pubblicato dalla Congregazione per i Vescovi il 22 febbraio 1973, e di adattarlo alle mutate esigenze dei tempi e ai cambiamenti intercorsi nella Chiesa e nella vita pastorale.97

L'esempio dei santi Vescovi


25 Nella loro vita e nel loro ministero, nel cammino spirituale e nello sforzo di adeguare la loro azione apostolica, i Vescovi sono sempre confortati dall'esempio di Pastori santi. Io stesso nell'Omelia per la Celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo ho proposto l'esempio di santi Pastori canonizzati durante l'ultimo secolo, come testimonianza di una grazia dello Spirito che non è mai mancata alla Chiesa e non mancherà mai.98

La storia della Chiesa, a partire dagli Apostoli, conosce un numero davvero grande di Pastori la cui dottrina e santità sono in grado d'illuminare e orientare il cammino spirituale anche dei Vescovi del terzo millennio. Le gloriose testimonianze dei grandi Pastori dei primi secoli della Chiesa, dei Fondatori delle Chiese particolari, dei confessori della fede e dei martiri, che in tempi di persecuzione hanno dato la vita per Cristo, restano come luminosi punti di riferimento a cui i Vescovi del nostro tempo possono guardare per trarne indicazioni e stimoli nel loro servizio al Vangelo.

Molti, in particolare, sono stati esemplari nell'esercizio della virtù della speranza, quando in tempi difficili hanno risollevato il loro popolo, hanno ricostruito le chiese dopo tempi di persecuzione e di calamità, hanno edificato ospizi dove accogliere pellegrini e poveri, hanno aperto ospedali dove curare ammalati e vecchi. Tanti altri Vescovi sono stati guide illuminate, che hanno aperto nuovi sentieri per il loro popolo. In tempi difficili, conservando fisso lo sguardo su Cristo crocifisso e risorto, nostra speranza, hanno dato risposte positive e creative alle sfide del momento. All'inizio del terzo millennio, vi sono ancora di questi Pastori, che hanno una storia da raccontare, fatta di fede ancorata saldamente alla Croce. Pastori che sanno cogliere le umane aspirazioni, assumerle, purificarle e interpretarle alla luce del Vangelo e che, perciò, hanno pure una storia da costruire, insieme con tutto il popolo a loro affidato.

Ogni Chiesa particolare avrà, dunque, la cura di celebrare i propri santi Vescovi, ricordando anche i Pastori che per la vita santa e gli insegnamenti illuminati hanno lasciato nel popolo speciale eredità di ammirazione e di affetto. Sono essi le spirituali sentinelle che guidano dal cielo il cammino della Chiesa pellegrina nel tempo. Anche per questo, affinché sia conservata sempre viva la memoria della fedeltà dei Vescovi eminenti nell'esercizio del loro ministero, l'Assemblea sinodale ha raccomandato che le Chiese particolari o, secondo il caso, le Conferenze episcopali si adoperino per farne conoscere ai fedeli la figura per mezzo di biografie aggiornate e, se è il caso, esaminino l'opportunità di introdurre le loro cause di canonizzazione.99

La testimonianza di una vita spirituale ed apostolica pienamente realizzata rimane ancora oggi la grande prova della forza del Vangelo nel trasformare le persone e le comunità, facendo penetrare nel mondo e nella storia la stessa santità di Dio. Anche questo è un motivo di speranza, specialmente per le nuove generazioni che attendono dalla Chiesa proposte stimolanti a cui ispirarsi nell'impegno di rinnovare in Cristo la società del nostro tempo.



CAPITOLO TERZO


MAESTRO DELLA FEDE


E ARALDO DELLA PAROLA


« Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo » (Mc 16,15)


26 Ai suoi Apostoli Gesù risorto affida la missione di « fare discepoli » tutti i popoli insegnando loro ad osservare tutto ciò che Lui stesso ha comandato. Alla Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocifisso e risorto, è dunque affidato solennemente il compito di predicare il Vangelo a tutte le creature. È compito che durerà sino alla fine dei tempi. A partire da quel primo inizio non è ormai più possibile pensare ad una Chiesa senza tale missione evangelizzatrice. Ne ha manifestato la consapevolezza l'apostolo Paolo con le ben note parole: « Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1Co 9,16).

Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo « invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede ».100

L'attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede o ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità. Egli perciò può ripetere con Paolo: « Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo » (1Co 4,15). Proprio per questa dinamica generatrice di vita nuova secondo lo Spirito, il ministero episcopale si mostra nel mondo come segno di speranza per i popoli, per ogni uomo.

Molto opportunamente, perciò, i Padri sinodali hanno ricordato che l'annuncio di Cristo ha sempre il primo posto e che il Vescovo è il primo annunciatore del Vangelo con le parole e con la testimonianza della vita. Egli deve essere cosciente delle sfide che l'ora presente reca con sé ed avere il coraggio di affrontarle. Tutti i Vescovi, quali ministri della verità, sosterranno questo loro compito con forza e fiducia.101

Cristo nel cuore del Vangelo e dell'uomo


27 Il tema dell'annuncio del Vangelo è stato davvero preminente negli interventi dei Padri sinodali, i quali hanno a più riprese e nei modi più vari affermato che centro vivo dell'annuncio del Vangelo è Cristo crocifisso e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.102

Cristo, infatti, è il cuore dell'evangelizzazione, il cui programma « s'incentra, in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, da amare, da imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio ».103

Da Cristo, cuore del Vangelo, si dipartono tutte le altre verità della fede e s'irradia pure la speranza per tutti gli uomini. Cristo, infatti, è la luce che illumina ogni uomo e chiunque è rigenerato in Lui riceve le primizie dello Spirito, che lo mettono in grado di adempiere la legge nuova dell'amore.104

In forza, perciò, della sua stessa missione apostolica, il Vescovo è abilitato ad introdurre il suo popolo nel cuore del mistero della fede, ove potrà incontrare la persona viva di Gesù Cristo. I fedeli giungeranno così a comprendere che tutta l'esperienza cristiana ha la sua fonte e il suo indefettibile punto di riferimento nella Pasqua di Gesù, vincitore del peccato e della morte.105

Nell'annuncio della morte e risurrezione del Signore, poi, è incluso « l'annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell'uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa [...] L'evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo ».106

Il Vescovo, uditore e custode della Parola


28 Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell'insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede.107

Da questo punto di vista, si rivela in tutta la sua ricchezza di significato il gesto previsto nel Rito romano di Ordinazione episcopale, quando sul capo dell'eletto è imposto l'Evangeliario aperto: si vuole con ciò esprimere, da una parte, che la Parola avvolge e custodisce il ministero del Vescovo e, dall'altra, che la vita di lui dev'essere interamente sottomessa alla Parola di Dio nella quotidiana dedizione alla predicazione del Vangelo con ogni pazienza e dottrina (cfr
2Tm 4). Anche i Padri sinodali hanno più volte ricordato che il Vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, testimoniandone il messaggio di salvezza. In effetti, il senso del munus docendi episcopale scaturisce dalla natura stessa di ciò che dev'essere custodito, cioè il deposito della fede.

Cristo nostro Signore, nella Sacra Scrittura dell'uno e dell'altro Testamento e nella Tradizione, ha affidato alla sua Chiesa l'unico deposito della Rivelazione divina, che è come lo specchio nel quale essa, « pellegrina in terra, contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia così come egli è ».108 È quanto è avvenuto nel corso dei secoli sino ad oggi: le diverse comunità, accogliendo la Parola sempre nuova ed efficace nel succedersi dei tempi, hanno docilmente ascoltato la voce dello Spirito Santo, impegnandosi a renderla viva e operante nell'attualità dei diversi periodi storici. Così la Parola tramandata, la Tradizione, è divenuta sempre più consapevolmente Parola di vita e, intanto, il compito del suo annuncio e della sua custodia si è progressivamente realizzato, sotto la guida e l'assistenza dello Spirito di Verità, come ininterrotta trasmissione di tutto ciò che la Chiesa è e di tutto ciò che essa crede.109

Questa Tradizione, che trae la sua origine dagli Apostoli, progredisce nella vita della Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II. Similmente cresce e si sviluppa la comprensione delle cose e delle parole trasmesse, sicché nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si stabilisce una singolare unità di sentimenti tra Vescovi e fedeli.110 Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all'interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s'incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei. È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: « La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo (cfr ), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolatre mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi ».111

Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l'esercizio della sua missione d'insegnare. Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all'interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede. Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all'assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant'Agostino: « A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell'unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola ».112 Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d'essere istruiti dallo Spirito.

Sono davvero molti i luoghi dai quali lo Spirito elargisce il suo interiore ammaestramento. Il cuore di ciascuno, anzitutto, e poi la vita delle diverse Chiese particolari, dove emergono e si fanno sentire le molteplici necessità delle persone e delle diverse comunità ecclesiali, mediante linguaggi conosciuti, ma anche diversi e nuovi.

Lo Spirito si fa ancora ascoltare mentre suscita nella Chiesa differenti forme di carismi e di servizi. Anche per questa ragione, certamente, molte volte nell'Aula sinodale si sono udite voci che esortavano il Vescovo all'incontro diretto e al contatto personale, sul modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome, con i fedeli che vivono nelle comunità affidate alla sua premura pastorale. Infatti l'incontro frequente del Vescovo con i suoi presbiteri, in primo luogo, e poi con i diaconi, con i consacrati e le loro comunità, con i fedeli laici, singolarmente e nelle diverse forme di aggregazione, ha grande importanza per l'esercizio di un ministero efficace in mezzo al Popolo di Dio.

Il servizio autentico e autorevole della Parola


29 Con l'Ordinazione episcopale ciascun Vescovo ha ricevuto la fondamentale missione di annunciare autorevolmente la Parola. Ogni Vescovo infatti, in forza della sacra Ordinazione, è dottore autentico che predica al popolo a lui affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale. Ciò vuol dire che i Vescovi sono rivestiti dell'autorità stessa di Cristo ed è per questa fondamentale ragione che « quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, i Vescovi devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito ».113 In questo servizio alla Verità, ogni Vescovo è postodi fronte alla comunità, in quanto egli è per la comunità, verso la quale dirige la propria sollecitudine pastorale e per la quale eleva a Dio con insistenza la sua preghiera.

Ciò, dunque, che ha ascoltato e accolto dal cuore della Chiesa, ogni Vescovo lo restituisce ai suoi fratelli, di cui deve avere cura come il Buon Pastore. Il sensus fidei raggiunge in lui la sua completezza. Il Concilio Vaticano II difatti insegna: « Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr
1Th 2,13), aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Jud 3), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita ».114 È, dunque, parola che, all'interno della comunità e di fronte ad essa, non è più semplicemente parola del Vescovo come persona privata, ma parola del Pastore che conferma la fede, raduna attorno al mistero di Dio e genera la vita.

I fedeli hanno bisogno della parola del proprio Vescovo, hanno bisogno della conferma e della purificazione della loro fede. L'Assemblea sinodale ha sottolineato, per sua parte, questo bisogno, mettendo in rilievo alcuni ambiti specifici nei quali esso è avvertito in modo tutto particolare. Uno di tali ambiti è costituito dal primo annuncio o kerygma, che è sempre necessario per suscitare l'obbedienza della fede, ma che è ancora più urgente nell'odierna situazione segnata dall'indifferenza e dall'ignoranza religiosa di tanti cristiani.115 Anche nell'ambito della catechesi è evidente che il Vescovo è il catechista per eccellenza. Il ruolo incisivo di santi e grandi Vescovi, i cui testi catechetici sono ancora oggi consultati con ammirazione, incoraggia a sottolineare che è compito sempre attuale del Vescovo assumere l'alta direzione della catechesi. In questo suo compito, egli non mancherà di fare riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica.

È perciò sempre valido quanto ho scritto nell'Esortazione apostolica Catechesi tradendae: « Voi [Vescovi] avete una missione particolare nelle vostre Chiese; voi siete in esse i primissimi responsabili della catechesi ».116 Per questo è dovere di ogni Vescovo assicurare nella propria Chiesa particolare la effettiva priorità di una catechesi attiva ed efficace. Egli stesso, anzi, deve esercitare la sua sollecitudine mediante interventi diretti destinati pure a suscitare e a conservare un'autentica passione per la catechesi.117

Consapevole, poi, della sua responsabilità nell'ambito della trasmissione e dell'educazione della fede, ogni Vescovo deve adoperarsi perché simile sollecitudine ci sia in quanti, a motivo della loro vocazione e missione, sono chiamati a trasmettere la fede. Si tratta dei sacerdoti e dei diaconi, dei fedeli di vita consacrata, dei padri e delle madri di famiglia, degli operatori pastorali e in special modo dei catechisti, come pure dei docenti di teologia e di scienze ecclesiastiche e degli insegnanti di religione cattolica.118 Perciò il Vescovo si prenderà cura della loro formazione, iniziale e permanente.

Particolarmente utile, anche per questo suo dovere, è il dialogo aperto e la collaborazione con i teologi, a cui spetta di approfondire con metodo appropriato l'insondabile ricchezza del mistero di Cristo. I Vescovi non manchino di offrire loro, come pure alle istituzioni scolastiche e accademiche nelle quali essi operano, incoraggiamento e sostegno, perché svolgano il loro lavoro a servizio del Popolo di Dio nella fedeltà alla Tradizione e nell'attenzione alle emergenze della storia.119 Qualora si renda opportuno, i Vescovi difendano con fermezza l'unità e l'integrità della fede, giudicando con autorità ciò che è conforme o meno alla Parola di Dio.120

I Padri sinodali hanno pure richiamato l'attenzione dei Vescovi sulle loro responsabilità magisteriali in ambito morale. Le norme che la Chiesa propone riflettono i comandamenti divini, che hanno la loro sintesi ed il loro coronamento nel comandamento evangelico della carità. Il fine a cui tende ogni norma divina è il maggior bene dell'uomo. Vale anche oggi la raccomandazione del Deuteronomio: « Camminate in tutto e per tutto per la via che il Signore vostro Dio vi ha prescritto, perché viviate e siate felici » (5, 33). Non si deve, inoltre, dimenticare che i comandamenti del Decalogo hanno un saldo radicamento nella stessa natura umana e che perciò i valori che essi difendono hanno una validità universale. Questo vale, in particolare, per la vita umana, da difendere dal suo concepimento alla sua conclusione con la morte naturale, la libertà delle persone e delle nazioni, la giustizia sociale e le strutture per attuarla.121


Pastores gregis IT 20