Pastores gregis IT 52

La sollecitudine del Vescovo verso la famiglia


52 Molte voci di Padri sinodali si sono levate a favore della famiglia, giustamente chiamata « chiesa domestica », spazio aperto alla presenza del Signore Gesù, santuario della vita. Fondata sul sacramento del Matrimonio, essa appare quale comunità di importanza primaria, giacché in essa sia i coniugi sia i loro figli vivono la propria vocazione e si perfezionano nella carità. La famiglia cristiana – è stato sottolineato nel Sinodo – è comunità apostolica, aperta alla missione.201

È proprio del Vescovo fare in modo che nella società civile siano sostenuti e difesi i valori del matrimonio attraverso giuste scelte politiche ed economiche. All'interno, poi, della comunità cristiana egli non mancherà di incoraggiare la preparazione dei fidanzati al matrimonio, l'accompagnamento delle giovani coppie e la formazione di gruppi di famiglie che sostengano la pastorale familiare e, non da ultimo, siano in grado di aiutare le famiglie in difficoltà. La vicinanza del Vescovo ai coniugi e ai loro figli, anche attraverso iniziative di vario genere a carattere diocesano, sarà per loro di sicuro conforto.

Guardando ai compiti educativi della famiglia stessa, i Padri sinodali hanno unanimemente riconosciuto il valore delle scuole cattoliche in ordine alla formazione integrale delle nuove generazioni, all'inculturazione della fede e al dialogo fra le diverse culture. È perciò necessario che il Vescovo sostenga e qualifichi l'opera delle scuole cattoliche, promuovendone il sorgere laddove non esistono e sollecitando, per quanto sta in lui, le istituzioni civili perché favoriscano un'effettiva libertà d'insegnamento all'interno del Paese.202

I giovani, una priorità pastorale in vista del futuro


53 Il Vescovo, pastore e padre della comunità cristiana, avrà una cura particolare per l'evangelizzazione e l'accompagnamento spirituale dei giovani. Un ministero di speranza non può fare a meno di costruire il futuro insieme con coloro – i giovani, appunto – ai quali è affidato l'avvenire. Come « sentinelle del mattino », i giovani attendono l'aurora di un mondo nuovo. L'esperienza delle Giornate Mondiali della Gioventù, che i Vescovi incoraggiano cordialmente, ci mostra quanto numerosi siano i giovani disponibili a impegnarsi nella Chiesa e nel mondo, se è proposta loro un'autentica responsabilità e offerta una integrale formazione cristiana.

In questa prospettiva, facendomi interprete del pensiero dei Padri sinodali, rivolgo uno speciale appello alle persone di vita consacrata dei molti Istituti impegnati nell'ambito della formazione e della educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, perché non si lascino scoraggiare dalle difficoltà del momento e non desistano dalla loro benemerita opera, ma la intensifichino qualificando sempre meglio i loro sforzi.203

I giovani, attraverso una relazione personale con i loro pastori e formatori, siano spinti a crescere nella carità, siano educati a una vita generosa, disponibile al servizio degli altri, soprattutto degli indigenti e degli ammalati. In questo modo sarà più facile parlare loro anche delle altre virtù cristiane, specialmente della castità. Su questa via giungeranno a capire che una vita è « bella » quando è donata, sull'esempio di Gesù. Potranno così compiere scelte responsabili e definitive, sia in ordine al matrimonio, sia nel ministero sacro e nella vita consacrata.

La pastorale vocazionale


54 Determinante è la promozione di una cultura vocazionale in senso più ampio: occorre cioè educare i giovani alla scoperta della vita stessa come vocazione. Converrà pertanto che il Vescovo faccia appello alle famiglie, alle comunità parrocchiali e agli istituti educativi, perché aiutino i ragazzi e i giovani a scoprire il progetto di Dio sulla loro vita, accogliendo la chiamata alla santità che Dio originalmente rivolge a ciascuno.204

È molto importante, a tale proposito, rinvigorire la dimensione vocazionale di tutta l'azione pastorale. Per questo il Vescovo procurerà che la pastorale giovanile e vocazionale sia affidata a sacerdoti e a persone capaci di trasmettere, con l'entusiasmo e con l'esempio della loro vita, l'amore per Gesù. Sarà loro compito accompagnare i giovani mediante un rapporto personale di amicizia e, se possibile, di direzione spirituale, per aiutarli a cogliere i segni della chiamata di Dio, e a cercare la forza per corrispondervi nella grazia dei Sacramenti e nella vita di preghiera, che è anzitutto ascolto di Dio che parla.

Sono, questi, alcuni degli ambiti nei quali ogni Vescovo esercita il suo ministero di governo ed esprime verso la porzione del Popolo di Dio che gli è affidata la carità pastorale che lo anima. Una delle forme caratteristiche di tale carità è la compassione, a imitazione di Cristo, Sommo Sacerdote, il quale seppe compatire le umane fragilità, poiché egli stesso era stato provato in tutto come noi, anche se, a differenza di noi, non nel peccato (cfr Ebr
He 4,15). Tale compassione è sempre unita alla responsabilità, che il Vescovo ha assunto di fronte a Dio e alla Chiesa. È così che egli realizza le promesse e gli impegni assunti nel giorno della sua Ordinazione episcopale, quando ha dato liberamente il suo assenso alla richiesta della Chiesa di prendersi cura, con amore di padre, del Popolo santo di Dio e di guidarlo sulla via della salvezza; di essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri, i malati e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto e pure, come buon pastore, di andare alla ricerca delle pecore smarrite per riportarle all'ovile di Cristo.205

CAPITOLO SESTO


NELLA COMUNIONE DELLE CHIESE


« La preoccupazione per tutte le Chiese » (2Co 11,28)


55 Scrivendo ai cristiani di Corinto, l'apostolo Paolo rievoca tutto ciò che egli ha patito per il Vangelo: « Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese » (2Co 11,26-28). La conclusione a cui egli giunge è un interrogativo appassionato: « Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? » (2Co 11,29). È lo stesso interrogativo che interpella la coscienza di ogni Vescovo, in quanto membro del Collegio episcopale.

Lo ricorda espressamente il Concilio Vaticano II quando afferma che tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa. « Tutti i Vescovi infatti devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all'amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr Mt 5,10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca, e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di Chiese ».206

Accade così che ogni Vescovo è simultaneamente in relazione con la sua Chiesa particolare e con la Chiesa universale. Lo stesso Vescovo, infatti, che è visibile principio e fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale. Tutti i Vescovi, pertanto, risiedendo nelle loro Chiese particolari sparse nel mondo, ma sempre custodendo la comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale e con il Collegio stesso, danno consistenza ed espressione alla cattolicità della Chiesa e nel contempo conferiscono alla loro Chiesa particolare tale nota di cattolicità. Ogni Vescovo, così, è quasi punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e testimonianza visibile della presenza dell'unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare. Nella comunione delle Chiese, dunque, il Vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare e, in questa, egli rappresenta la comunione delle Chiese. Mediante il ministero episcopale, infatti, le portiones Ecclesiae partecipano alla totalità dell'Una-Santa, mentre questa, sempre attraverso tale ministero, si rende presente nella singola Ecclesiae portio.207

La dimensione universale del ministero episcopale è pienamente manifestata e attuata quando tutti i Vescovi, in comunione gerarchica col Romano Pontefice, agiscono come Collegio. Riuniti solennemente in un Concilio Ecumenico o sparsi per il mondo, ma sempre in comunione gerarchica col Romano Pontefice, essi costituiscono la prosecuzione del Collegio apostolico.208 Anche in altre forme, però, tutti i Vescovi collaborano tra di loro e con il Romano Pontefice in bonum totius Ecclesiae, e ciò avviene anzitutto perché il Vangelo sia annunciato in tutta la terra e anche per fare fronte ai vari problemi che assillano le diverse Chiese particolari. Nello stesso tempo, anche l'esercizio del ministero del Successore di Pietro per il bene di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa particolare, come pure l'azione del Collegio in quanto tale, sono di valido aiuto perché, nelle Chiese particolari affidate alla cura pastorale dei singoli Vescovi diocesani, siano salvaguardate l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa. Nella Cattedra di Pietro i Vescovi, sia come singoli sia uniti tra di loro come Collegio, trovano il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità della fede e della comunione.209

Il Vescovo diocesano in relazione alla suprema autorità


56 Il Concilio Vaticano II insegna che « ai Vescovi, come a successori degli Apostoli, nelle Diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario, proprio e immediato, che è necessario per l'esercizio del loro dovere pastorale (munus pastorale), ferma sempre restando in ogni campo la potestà del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità ».210

Nell'aula sinodale è stata sollevata da qualcuno la questione se non si possa trattare la relazione tra il Vescovo e la suprema autorità alla luce del principio di sussidiarietà, specialmente per quanto concerne i rapporti tra il Vescovo e la Curia romana, auspicando che tali rapporti, in linea con un'ecclesiologia di comunione, si svolgano nel rispetto delle competenze di ciascuno e, quindi, nell'attuazione di una maggiore decentralizzazione. È stato pure chiesto che si studi la possibilità di applicare tale principio alla vita della Chiesa, salvaguardando in ogni caso il fatto che principio costitutivo per l'esercizio dell'autorità episcopale è la comunione gerarchica dei singoli Vescovi con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale.

Come si sa, il principio di sussidiarietà fu formulato dal mio predecessore di v. m. Pio XI per la società civile.211 Il Concilio Vaticano II, che non ha mai usato il termine « sussidiarietà », ha però incoraggiato la condivisione tra gli organismi della Chiesa, avviando una nuova riflessione sulla teologia dell'Episcopato, che sta dando i suoi frutti nella concreta applicazione del principio della collegialità alla comunione ecclesiale. I Padri sinodali hanno tuttavia ritenuto, per quanto riguarda l'esercizio dell'autorità episcopale, che il concetto di sussidiarietà risulti ambiguo e hanno insistito di approfondire teologicamente la natura dell'autorità episcopale alla luce del principio di comunione.212

Nell'Assemblea sinodale si è parlato più volte del principio di comunione.213 Si tratta di una comunione organica, che si ispira all'immagine del Corpo di Cristo, di cui parla l'apostolo Paolo quando sottolinea le funzioni di complementarità e mutuo aiuto tra le diverse membra nell'unico corpo (cfr
1Co 12,12-31).

Perché, dunque, il ricorso al principio di comunione sia fatto correttamente ed efficacemente, saranno ineludibili alcuni punti di riferimento. Si dovrà innanzitutto tener conto del fatto che nella sua Chiesa particolare, il Vescovo diocesano possiede tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l'adempimento del suo ministero pastorale. A lui, pertanto, compete un ambito proprio di esercizio autonomo di tale autorità, ambito riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale.214 La potestà del Vescovo, dall'altra parte, coesiste con la potestà suprema del Romano Pontefice, anch'essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le singole Chiese e i raggruppamenti di esse, su tutti i pastori e i fedeli.215

Altro punto fermo da tener presente: l'unità della Chiesa è radicata nell'unità dell'episcopato, il quale, per essere uno, richiede un Capo del Collegio. Analogamente la Chiesa, per essere una, esige una Chiesa come Capo delle Chiese, quella di Roma il cui Vescovo, Successore di Pietro, è il Capo del Collegio.216 Affinché, dunque, « ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita ad immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa [...] Il primato del Vescovo di Roma e il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale « non derivati dalla particolarità delle Chiese », ma tuttavia interiori a ogni Chiesa particolare [...] L'essere il ministero del successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare ».217

La Chiesa di Cristo, nella sua nota di cattolicità, si realizza pienamente in ogni Chiesa particolare, la quale riceve tutti i mezzi naturali e soprannaturali per adempiere la missione, che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tra questi c'è anche la potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo, richiesta per l'esercizio del suo ministero pastorale (munus pastorale), il quale esercizio, però, è sottoposto alle leggi universali e alle riserve, fatte dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice, alla suprema autorità, oppure ad altra autorità ecclesiastica.218

La capacità di governo proprio, comprendente anche l'esercizio del magistero autentico,219intrinsecamente appartenente al Vescovo nella sua Diocesi, si trova all'interno di quella realtà misterica della Chiesa, la quale fa sì che nella Chiesa particolare sia immanente la Chiesa universale, che rende presente la suprema autorità, cioè il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi con la loro potestà suprema, piena, ordinaria e immediata su tutti i fedeli e pastori.220

Conformemente alla dottrina del Concilio Vaticano II, si deve affermare che la funzione di insegnare (munus docendi) e quella di governare (munus regendi) – quindi la corrispondente potestà di magistero e di governo – nella Chiesa particolare sono da ciascun Vescovo diocesano esercitate, per loro natura, nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con il Collegio stesso.221 Ciò non indebolisce l'autorità episcopale, anzi la rafforza, in quanto i vincoli della comunione gerarchica che legano i Vescovi alla Sede Apostolica richiedono una necessaria coordinazione tra la responsabilità del Vescovo diocesano e quella della suprema autorità, che è dettata dalla natura stessa della Chiesa. È lo stesso diritto divino a porre i limiti dell'esercizio dell'una e dell'altra. La potestà dei Vescovi, per questo, « non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa ».222

Bene si espresse pertanto il Papa Paolo VI quando, aprendo il terzo periodo del Concilio Vaticano II, affermò: « Come voi, venerati Fratelli nell'episcopato, sparsi sulla terra per dare consistenza ed espressione alla vera cattolicità della Chiesa, avete bisogno di un centro, d'un principio di unità nella fede e nella comunione, quale appunto trovate in questa Cattedra di Pietro; così Noi abbiamo bisogno che voi Ci siate sempre vicini per dare sempre più al volto della Sede Apostolica la sua prestanza, la sua umana e storica realtà, anzi la consonanza alla sua fede, l'esempio al compimento dei suoi doveri, il conforto nelle sue tribolazioni ».223

La realtà della comunione, che è alla base di tutte le relazioni intraecclesiali 224 e che è stata messa in luce anche nella discussione sinodale, costituisce una relazione di reciprocità tra il Romano Pontefice e i Vescovi. Infatti, se da una parte il Vescovo, per esprimere in pienezza il suo stesso ufficio e fondare la cattolicità della sua Chiesa, deve esercitare la potestà di governo che gli è propria (munus regendi), nella comunione gerarchica con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, dall'altra parte il Romano Pontefice, Capo del Collegio, nell'esercizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa (munus supremi Ecclesiae pastoris), agisce sempre nella comunione con tutti gli altri Vescovi, anzi con tutta la Chiesa.225 Nella comunione ecclesiale, allora, come il Vescovo non è solo, ma è continuamente riferito al Collegio e al suo Capo ed è da essi sostenuto, così anche il Romano Pontefice non è solo, ma è sempre in riferimento ai Vescovi ed è da essi sostenuto. È questa un'altra ragione per cui l'esercizio della potestà suprema del Romano Pontefice non annulla, ma afferma, corrobora e rivendica la stessa potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo nella sua Chiesa particolare.

Le visite\i « \Iad limina Apostolorum\i »


57 Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione tra i Vescovi e la Cattedra di Pietro sono le visite ad limina Apostolorum.226 Tre, infatti, sono i momenti principali di tale avvenimento, con un loro proprio significato.227 Anzitutto il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, che indica il riferimento a quell'unica fede di cui essi diedero testimonianza a Roma con il loro martirio.

Connesso con questo momento è l'incontro col Successore di Pietro. In occasione della visita ad limina, infatti, i Vescovi si riuniscono attorno a lui e attuano, secondo il principio di cattolicità, una comunicazione di doni tra tutti quei beni che per opera dello Spirito si ritrovano nella Chiesa, sia a livello particolare e locale, sia a livello universale.228 Ciò che allora si attua non è semplicemente una reciproca informazione, ma soprattutto l'affermazione e il consolidamento della collegialità (collegialis confirmatio) nel corpo della Chiesa, per la quale si ha l'unità nella diversità, generando una specie di « perichoresis » tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, che si può paragonare al movimento per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore.229 La linfa vitale che viene da Cristo, unisce tutte le parti, come la linfa della vite che va ai tralci (cfr Gv
Jn 15,5). Ciò si rende evidente, in particolare, nella Celebrazione eucaristica dei Vescovi con il Papa. Ogni Eucaristia, infatti, è celebrata in comunione col Vescovo proprio, col Romano Pontefice e col Collegio Episcopale e, mediante questi, con i fedeli della Chiesa particolare e di tutta la Chiesa, così che la Chiesa universale è presente in quella particolare e questa è inserita, insieme con le altre Chiese particolari, nella comunione della Chiesa universale.

Fin dai primi secoli il riferimento ultimo della comunione è alla Chiesa di Roma, dove Pietro e Paolo hanno dato la loro testimonianza di fede. Infatti con essa, per la sua posizione preminente, è necessario che concordi ogni Chiesa, perché essa è la garanzia ultima dell'integrità della tradizione trasmessa dagli Apostoli.230 La Chiesa di Roma presiede alla comunione universale della carità,231tutela le legittime varietà e nello stesso tempo veglia perché la particolarità non solo non nuoccia all'unità, ma la serva.232 Tutto ciò comporta la necessità della comunione delle varie Chiese con la Chiesa di Roma, perché tutte si possano trovare nell'integrità della Tradizione apostolica e nell'unità della disciplina canonica per la custodia della fede, dei Sacramenti e della via concreta alla santità. Tale comunione delle Chiese è espressa dalla comunione gerarchica tra i singoli Vescovi e il Romano Pontefice.233 Dalla comunione cum Petro et sub Petro di tutti i Vescovi, attuata nella carità, scaturisce il dovere della collaborazione di tutti con il Successore di Pietro, per il bene della Chiesa intera e quindi di ogni Chiesa particolare. La visita ad limina è diretta appunto a questo fine.

Il terzo aspetto delle visite ad limina è costituito dall'incontro con i responsabili dei Dicasteri della Curia romana: trattando con loro, i Vescovi hanno diretto accesso ai problemi di competenza dei singoli Dicasteri, e sono così introdotti ai vari aspetti della comune sollecitudine pastorale. Al riguardo, i Padri sinodali hanno chiesto che, nel segno della mutua conoscenza e fiducia, si facciano più frequenti i rapporti tra Vescovi, singoli o uniti nelle Conferenze episcopali, e Dicasteri della Curia romana,234 in modo che questi, direttamente informati sui problemi concreti delle Chiese, possano meglio svolgere il loro servizio universale.

Senza dubbio le visite ad limina, insieme con la relazione quinquennale sullo stato della Diocesi,235sono mezzi efficaci per l'attuazione dell'esigenza di reciproca conoscenza, che sgorga dalla stessa realtà della comunione tra i Vescovi e il Romano Pontefice. La presenza dei Vescovi a Roma per la visita può, anzi, essere occasione opportuna per affrettare, da una parte, la risposta alle questioni da loro presentate ai Dicasteri e per favorire, dall'altra, secondo l'auspicio da essi manifestato, una loro consultazione individuale o collettiva, in vista della predisposizione di documenti di rilevante importanza generale; nell'occasione potranno, inoltre, essere opportunamente illustrati ai medesimi Vescovi, prima della loro pubblicazione, eventuali documenti che la Santa Sede intendesse indirizzare alla Chiesa nel suo insieme o specificamente alle loro Chiese particolari.

Il Sinodo dei Vescovi


58 Secondo un'esperienza ormai consolidata, ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, in qualche modo espressiva dell'episcopato, mostra in maniera peculiare lo spirito di comunione che unisce i Vescovi con il Romano Pontefice e i Vescovi tra di loro, permettendo di esprimere un approfondito giudizio ecclesiale, sotto l'azione dello Spirito, riguardo ai vari problemi che assillano la vita della Chiesa.236

Come è noto, durante il Concilio Vaticano II emerse l'esigenza che i Vescovi potessero aiutare meglio il Romano Pontefice nell'esercizio del suo ufficio. Fu proprio in considerazione di ciò che il mio predecessore di v. m. Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi,237 pur tenendo presente l'apporto che già recava al Romano Pontefice il Collegio dei Cardinali. Mediante il nuovo organismo si poteva così esprimere più efficacemente l'affetto collegiale e la sollecitudine dei Vescovi per il bene di tutta la Chiesa.

Gli anni trascorsi hanno mostrato come i Vescovi, in unione di fede e di carità, possano prestare valido aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nell'esercizio del suo ministero apostolico, sia per la salvaguardia della fede e dei costumi, che per l'osservanza della disciplina ecclesiastica. Lo scambio di notizie sulle Chiese particolari, infatti, facilitando la concordanza di sentenze anche su questioni dottrinali, è un modo valido per rafforzare la comunione.238

Ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è una forte esperienza ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue procedure rimane sempre perfettibile.239 I Vescovi riuniti nel Sinodo rappresentano anzitutto le proprie Chiese, ma tengono presenti anche i contributi delle Conferenze episcopali dalle quali sono designati e dei cui pareri circa le questioni da trattare si fanno portatori. Essi esprimono così il voto del Corpo gerarchico della Chiesa e, in qualche modo, quello del popolo cristiano, del quale sono i pastori.

Il Sinodo è un evento in cui si rende particolarmente evidente che il Successore di Pietro, nell'adempimento del suo ufficio, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa.240 « Spetta al Sinodo dei Vescovi – stabilisce al riguardo il Codice di Diritto Canonico – discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non abbia concesso potestà deliberativa ».241 Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva non ne diminuisce l'importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiaenon è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell'azione dello Spirito, anima dell'unica Chiesa di Cristo.

Proprio perché il Sinodo è al servizio della verità e della Chiesa, come espressione della vera corresponsabilità da parte di tutto l'episcopato in unione con il suo Capo riguardo al bene della Chiesa, nel dare il voto o consultivo o deliberativo i Vescovi, insieme agli altri membri del Sinodo, esprimono comunque la partecipazione al governo della Chiesa universale. Come il mio predecessore di v. m. Paolo VI, anche io ho sempre fatto tesoro delle proposte e dei pareri espressi dai Padri sinodali, facendoli entrare nel processo di elaborazione del documento che raccoglie i risultati del Sinodo, e che proprio per questo amo qualificare come « post-sinodale ».

La comunione tra i Vescovi e tra le Chiese a livello locale


59 Oltre che a livello universale, sono molte e varie le forme nelle quali può esprimersi, e di fatto si esprime, la comunione episcopale e quindi la sollecitudine per tutte le Chiese sorelle. I rapporti scambievoli tra i Vescovi, poi, vanno ben oltre i loro incontri istituzionali. La coscienza viva della dimensione collegiale del ministero che è stato loro comunicato deve spingerli a realizzare fra di loro, soprattutto nell'ambito della medesima Conferenza episcopale, a livello sia della Provincia che della Regione ecclesiastica, le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dalla reciproca accoglienza e stima alle varie attenzioni di carità e concreta collaborazione.

Come ho già scritto in precedenza, « molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II in poi anche per quanto riguarda la riforma della Curia Romana, l'organizzazione dei Sinodi, il funzionamento delle Conferenze episcopali. Ma certamente molto resta da fare, per esprimere al meglio le potenzialità di questi strumenti della comunione, oggi particolarmente necessari di fronte all'esigenza di rispondere con prontezza ed efficacia ai problemi che la Chiesa deve affrontare nei cambiamenti così rapidi del nostro tempo ».242 Il nuovo secolo, allora, deve trovarci tutti impegnati più che mai a valorizzare e sviluppare gli ambiti e gli strumenti che servono ad assicurare e a garantire la comunione tra i Vescovi e tra le Chiese.

Ogni azione del Vescovo compiuta nell'esercizio del proprio ministero pastorale è sempre un'azione compiuta nel Collegio. Che si tratti di esercizio del ministero della Parola o del governo nella propria Chiesa particolare, o anche di decisione presa con gli altri Fratelli nell'episcopato riguardo alle altre Chiese particolari della stessa Conferenza episcopale, in ambito provinciale o regionale, rimane sempre azione nel Collegio, perché compiuta conservando la comunione con tutti gli altri Vescovi e con il Capo del Collegio, nonché impegnando la propria responsabilità pastorale. Tutto questo, poi, si realizza non già in virtù di una convenienza umana di coordinamento, bensì di una sollecitudine verso le altre Chiese, che deriva dall'essere, ciascun Vescovo, inserito e raccolto in un Corpo o Collegio. Ogni Vescovo, infatti, è simultaneamente responsabile, anche se in modi diversi, della Chiesa particolare, delle Chiese sorelle più vicine e della Chiesa universale.

Opportunamente, pertanto, i Padri sinodali hanno ribadito che « Vivendo nella comunione episcopale, i singoli Vescovi sentano come proprie le difficoltà e le sofferenze dei loro Fratelli nell'episcopato. Affinché questa comunione episcopale sia rafforzata e divenga sempre più forte, i singoli Vescovi e le singole Conferenze episcopali considerino attentamente la possibilità che le loro Chiese hanno di aiutare quelle più povere ».243 Sappiamo che tale povertà può consistere sia in una forte penuria di sacerdoti o di altri operatori pastorali, sia in una grave mancanza di mezzi materiali. Tanto in un caso come nell'altro, a soffrire è l'annuncio del Vangelo. È per questo che, in linea con quanto già il Concilio Vaticano II inculcava,244 faccio mio il pensiero dei Padri sinodali i quali hanno auspicato che siano favorite le relazioni di fraterna solidarietà tra le Chiese di antica evangelizzazione e le cosiddette « giovani Chiese », anche stabilendo dei « gemellaggi », che si concretizzino nella comunicazione di esperienze e di agenti pastorali, nonché di aiuti pecuniari. Ciò infatti conferma l'immagine della Chiesa come « famiglia di Dio », nella quale i più forti sostengono i più deboli per il bene di tutti.245

Si traduce così nella comunione delle Chiese la comunione dei Vescovi, la quale si esprime pure nelle amorevoli attenzioni verso quei Pastori che, più degli altri Fratelli e per ragioni soprattutto legate a situazioni locali, sono stati o, purtroppo, sono ancora provati dalla sofferenza, nella condivisione il più delle volte delle sofferenze dei loro fedeli. Una categoria di Pastori meritevole di particolare attenzione, a motivo del numero crescente di coloro che si trovano a farne parte, è quella dei Vescovi emeriti. Ad essi, nella Liturgia di conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria, insieme con i Padri sinodali ho spesso rivolto il pensiero. La Chiesa intera ha grande considerazione per questi carissimi Fratelli, che restano membri importanti del Collegio episcopale, ed è grata per il servizio pastorale che hanno svolto e ancora svolgono mettendo la loro saggezza e la loro esperienza a disposizione della comunità. L'autorità competente non manchi di valorizzare questo loro personale patrimonio spirituale, in cui è pure depositata una parte preziosa della memoria delle Chiese che hanno guidato per anni. È doveroso porre ogni impegno per assicurare loro condizioni di serenità spirituale ed economica nel contesto umano da essi ragionevolmente desiderato. Si studino inoltre le possibilità di un ulteriore utilizzo delle loro competenze all'interno dei vari organismi delle Conferenze Episcopali.246

Le Chiese cattoliche orientali


60 Nella medesima prospettiva della comunione tra i Vescovi e tra le Chiese i Padri sinodali hanno riservato un'attenzione tutta particolare alle Chiese cattoliche orientali, tornando a considerare le venerande e antiche ricchezze delle loro tradizioni, le quali costituiscono un tesoro vivo che coesiste con analoghe espressioni della Chiesa latina. Le une e le altre insieme illuminano maggiormente l'unità cattolica del Popolo santo di Dio.247

Non c'è dubbio, poi, che le Chiese cattoliche dell'Oriente, in ragione della loro affinità spirituale, storica, teologica, liturgica e disciplinare con le Chiese ortodosse e le altre Chiese orientali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, hanno un titolo specialissimo per la promozione dell'unità dei cristiani, sopratutto dell'Oriente. E ciò sono chiamate a fare, come tutte le Chiese, con la preghiera e con l'esemplare vita cristiana; inoltre, come loro specifico contributo, esse sono chiamate ad aggiungere la loro religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali.248


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