Pastores gregis IT 61

Le Chiese patriarcali e il loro Sinodo


61 Tra le istituzioni proprie delle Chiese cattoliche orientali emergono le Chiese patriarcali. Esse appartengono a quei raggruppamenti di Chiese che, come afferma il Concilio Vaticano II,249 per divina Provvidenza, nel succedersi del tempo si sono organicamente costituiti e che godono sia di disciplina e di usi liturgici propri, sia di un comune patrimonio teologico e spirituale, sempre conservando l'unità della fede e dell'unica divina costituzione della Chiesa universale. La loro particolare dignità è data dal fatto che esse, quasi matrici di fede, hanno generato altre Chiese, le quali sono come loro figlie e perciò fino ai nostri tempi a loro legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri.

Quest'istituzione patriarcale è ben antica nella Chiesa. Già attestata nel primo Concilio ecumenico di Nicea, essa è stata riconosciuta dai primi Concili ecumenici ed è tuttora la forma tradizionale di governo nelle Chiese orientali.250 Nella sua origine e struttura particolare, pertanto, essa è d'istituzione ecclesiastica. Appunto per questo il Concilio Ecumenico Vaticano II ha espresso il desiderio che « dove sia necessario si erigano nuovi Patriarcati, la cui fondazione è riservata al Concilio Ecumenico o al Romano Pontefice ».251 Chiunque nelle Chiese orientali ha una potestà sovraepiscopale e sovralocale – come i Patriarchi e i Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali – partecipa della suprema autorità che il Successore di Pietro ha su tutta la Chiesa, ed esercita questa sua potestà nel rispetto, oltre che del Primato del Romano Pontefice,252 anche dell'ufficio dei singoli Vescovi, senza invadere il campo della loro competenza e senza limitare il libero esercizio delle funzioni loro proprie.

I rapporti, infatti, tra i Vescovi di una Chiesa patriarcale e il Patriarca, che a sua volta è il Vescovo dell'eparchia patriarcale, si sviluppano sulla base stabilita già in antichità nei Canoni degli Apostoli: « Bisogna che i Vescovi di ciascuna nazione sappiano chi tra loro è il primo e lo considerino come loro capo e non facciano nulla di importante senza il suo assenso; ciascuno non si occuperà che di ciò che riguarda il suo distretto e i territori che da esso dipendono; ma anch'egli non faccia nulla senza l'assenso di tutti; così la concordia regnerà e Dio sarà glorificato, per Cristo nello Spirito Santo ».253Questo canone esprime l'antica prassi della sinodalità nelle Chiese d'Oriente, offrendone al tempo stesso il fondamento teologico e il significato dossologico, poiché è affermato chiaramente che l'azione sinodale dei Vescovi nella concordia rende culto e gloria a Dio Uno e Trino.

Nella vita sinodale delle Chiese patriarcali, dunque, dev'essere riconosciuta un'attuazione effettiva della dimensione collegiale del ministero episcopale. Tutti i Vescovi legittimamente consacrati partecipano al Sinodo della loro Chiesa patriarcale in quanto pastori di una porzione del Popolo di Dio. Tuttavia, il ruolo del primo, ossia del Patriarca, è riconosciuto come un elemento a suo modo costituente l'azione collegiale. Non si dà, infatti, alcuna azione collegiale senza un « primo » riconosciuto come tale. La sinodalità, per altro verso, non distrugge né diminuisce la legittima autonomia d'ogni Vescovo nel governo della propria Chiesa; afferma, però, l'affetto collegiale dei Vescovi corresponsabili di tutte le Chiese particolari comprese nel Patriarcato.

Al Sinodo patriarcale è riconosciuta una vera potestà di governo. Esso, infatti, elegge il Patriarca e i Vescovi per gli uffici entro il territorio della Chiesa patriarcale, nonché i candidati all'episcopato per gli uffici fuori dai confini della Chiesa patriarcale da proporre per la nomina al Romano Pontefice.254Oltre al consenso o parere necessari per la validità di determinati atti di competenza del Patriarca, al Sinodo spetta emanare le leggi, che hanno il loro vigore entro – e in caso di leggi liturgiche anche oltre – i confini della Chiesa patriarcale.255 Il Sinodo, inoltre, restando salva la competenza della Sede Apostolica, è il tribunale superiore dentro i confini della stessa Chiesa patriarcale.256 Per la gestione, poi, degli affari più importanti, specialmente di quelli che riguardano l'aggiornamento delle forme e dei modi di apostolato e della disciplina ecclesiastica, il Patriarca e anche il Sinodo patriarcale si avvalgono della collaborazione consultiva dell'Assemblea patriarcale, che il Patriarca convoca almeno ogni cinque anni.257

L'organizzazione metropolitana e delle Province ecclesiastiche


62 Un modo concreto per favorire la comunione tra i Vescovi e la solidarietà tra le Chiese è ridare vitalità all'antichissima istituzione delle Province ecclesiastiche, dove i Metropoliti sono strumento e segno sia della fraternità tra i Vescovi della Provincia che della loro comunione con il Romano Pontefice.258 Un lavoro pastorale comune, difatti, per la somiglianza dei problemi che assillano i singoli Vescovi e per il fatto che il numero limitato di essi permette un'intesa maggiore e più efficace, sarà certamente meglio programmato nelle assemblee dei Vescovi della stessa Provincia e soprattutto nei Concili provinciali.

Dove, per il bene comune, si riterrà opportuna l'erezione delle Regioni ecclesiastiche, simile funzione potrà essere svolta dalle assemblee dei Vescovi della medesima Regione o, comunque, dai Concili plenari. Al riguardo, poi, è da ribadire quanto già espresso dal Concilio Vaticano II: « La veneranda istituzione dei Sinodi e dei Concili riprenda nuovo vigore, per provvedere più adeguatamente e più efficacemente all'incremento della fede e alla tutela della disciplina nelle varie Chiese, secondo le mutate circostanze dei tempi ».259 In essi i Vescovi potranno agire esprimendo non solo la comunione tra di loro, ma anche quella con tutte le componenti della porzione di Popolo di Dio loro affidata; tali componenti sono rappresentate nei Concili a norma del diritto.

Nei Concili particolari, infatti, proprio per la partecipazione in essi anche di presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici, sebbene solo con voto consultivo, è in modo immediato espressa non soltanto la comunione tra i Vescovi, ma anche la comunione tra le Chiese. I Concili particolari, inoltre, come momento ecclesiale solenne, richiedono una riflessione accurata nella preparazione, che coinvolge tutte le categorie di fedeli, in modo tale da renderli luogo adatto per le decisioni più importanti, specialmente quelle riguardanti la fede. Il posto dei Concili particolari, perciò, non può essere preso dalle Conferenze episcopali, come precisa lo stesso Concilio Vaticano II quando auspica che i Concili particolari riprendano nuovo vigore. Le Conferenze episcopali, invece, possono essere un valido strumento per la preparazione dei Concili plenari.260

Le Conferenze episcopali

63 Non s'intende affatto, con questo, sottacere l'importanza e l'utilità delle Conferenze dei Vescovi, che hanno trovato nell'ultimo Concilio una loro configurazione istituzionale, precisata ulteriormente nel Codice di Diritto Canonico e nel recente Motu proprio Apostolos suos.261 Istituzioni analoghe sono, nelle Chiese cattoliche orientali, le Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris previste dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali « affinché in uno scambio luminoso di prudenza ed esperienza e mediante un confronto di pareri nasca una santa cospirazione di forze per il bene comune delle Chiese, con cui favorire l'unità di azione, aiutare le attività comuni, promuovere più speditamente il bene della religione e inoltre osservare più efficacemente la disciplina ecclesiastica ».262

Queste assemblee di Vescovi sono oggi, come si esprimevano anche i Padri sinodali, un valido strumento per esprimere e portare a pratica attuazione lo spirito collegiale dei Vescovi. Per questo, le Conferenze episcopali sono da valorizzare ulteriormente in tutte le loro potenzialità.263 Esse, infatti, « si sono sviluppate notevolmente ed hanno assunto il ruolo di organo preferito dai Vescovi di una nazione o di un determinato territorio per lo scambio di vedute, per la consultazione reciproca e per la collaborazione a vantaggio del bene comune della Chiesa: “esse sono diventate in questi anni una realtà concreta, viva ed efficiente in tutte le parti del mondo”. La loro rilevanza appare dal contributo efficace che recano all'unità tra i Vescovi, e quindi all'unità della Chiesa, rivelandosi uno strumento assai valido per rinsaldare la comunione ecclesiale ».264

Poiché membri delle Conferenze episcopali sono solo i Vescovi e tutti quelli che nel diritto sono equiparati ai Vescovi diocesani, anche se non insigniti del carattere episcopale,265 il fondamento teologico di esse è, a differenza dei Concili particolari, immediatamente la dimensione collegiale della responsabilità del governo episcopale. Solo indirettamente lo è la comunione tra le Chiese.

Essendo, in ogni caso, le Conferenze episcopali un organo permanente che si riunisce periodicamente, la loro funzione sarà efficace se si porrà come ausiliaria rispetto a quella che i singoli Vescovi svolgono per diritto divino nella loro Chiesa. A livello di singola Chiesa, infatti, il Vescovo diocesano pasce nel nome del Signore il gregge a lui affidato come pastore proprio, ordinario e immediato e il suo agire è strettamente personale, non collegiale, anche se animato dallo spirito comunionale. A livello, quindi, di raggruppamenti di Chiese particolari per zone geografiche (nazione, regione, ecc.), i Vescovi ad esse preposti non esercitano congiuntamente la loro cura pastorale con atti collegiali pari a quelli del Collegio episcopale, il quale, come soggetto teologico è indivisibile.266Per questo i Vescovi della stessa Conferenza episcopale riuniti in Assemblea esercitano congiuntamente per il bene dei loro fedeli, nei limiti delle competenze loro attribuite dal diritto o da un mandato delle Sede Apostolica, solo alcune delle funzioni che scaturiscono dal loro ministero pastorale (munus pastorale).267

È certo che le Conferenze episcopali più numerose richiedono, proprio per svolgere il loro servizio a favore dei singoli Vescovi che le formano e quindi delle singole Chiese, una complessa organizzazione. In ogni caso è da « evitare la burocratizzazione degli uffici e delle commissioni operanti tra le riunioni plenarie ».268 Le Conferenze episcopali, infatti, « con le loro commissioni e uffici esistono per aiutare i Vescovi e non per sostituirsi a essi »,269 e ancor meno per costituire una struttura intermedia tra la Sede Apostolica e i singoli Vescovi. Le Conferenze episcopali possono offrire un valido aiuto alla Sede Apostolica esprimendo il loro parere su specifici problemi di carattere più generale.270

Le Conferenze episcopali, poi, esprimono e attuano lo spirito collegiale che unisce i Vescovi e, di conseguenza, la comunione tra le varie Chiese, stabilendo tra di loro, specialmente tra le più vicine, strette relazioni nella ricerca di un bene maggiore.271 Ciò può essere realizzato in vari modi, mediante consigli, simposi, federazioni. Di notevole rilevanza sono specialmente le riunioni continentali dei Vescovi, che però non assumono mai le competenze che sono riconosciute alle Conferenze episcopali. Tali riunioni sono di grande aiuto per fomentare tra le Conferenze episcopali delle diverse nazioni quella collaborazione che, in questo tempo di « globalizzazione », si rivela particolarmente necessaria per affrontarne le sfide ed attuare una vera « globalizzazione della solidarietà ».272

L'unità della Chiesa e il dialogo ecumenico


64 La preghiera del Signore Gesù per l'unità fra tutti i suoi discepoli (ut unum sint , Gv 17, 21) costituisce per ogni Vescovo un pressante appello ad un preciso dovere apostolico. Non è possibile attendersi questa unità come frutto dei nostri sforzi; essa è principalmente dono della Trinità Santa alla Chiesa. Ciò tuttavia non dispensa i cristiani dal porre ogni impegno, a cominciare da quello della preghiera, per affrettare il cammino verso la piena unità. Rispondendo alle preghiere e alle intenzioni del Signore e alla sua oblazione sulla Croce per radunare i figli dispersi (cfr Gv Jn 11,52), la Chiesa cattolica si sente impegnata in modo irreversibile nel dialogo ecumenico, dal quale dipende l'efficacia della sua testimonianza nel mondo. Occorre, dunque, perseverare sulla via del dialogo della verità e dell'amore.

Molti Padri sinodali hanno richiamato la specifica vocazione che ogni Vescovo ha di promuovere nella propria diocesi questo dialogo e di svilupparlo in veritate et caritate (cfr Ep 4,15). Lo scandalo della divisione fra i cristiani, infatti, è avvertito da tutti come un segnale opposto alla speranza cristiana. Le forme concrete per questa promozione del dialogo ecumenico, poi, sono state indicate nella migliore conoscenza reciproca tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa; in incontri e iniziative appropriate, e soprattutto nella testimonianza della carità. Esiste, in effetti, un ecumenismo della vita quotidiana, fatto di reciproca accoglienza, ascolto e collaborazione, che possiede una singolare efficacia.

D'altra parte, i Padri sinodali hanno pure avvertito il rischio di gesti poco ponderati, segnali di un « ecumenismo impaziente », che possono arrecare danno al cammino in atto verso l'unità piena. È, perciò, molto importante che da tutti siano accolti e messi in pratica i retti principi del dialogo ecumenico, come pure che su di essi s'insista nei seminari con i candidati al ministero sacro, nelle parrocchie e nelle altre strutture ecclesiali. La stessa vita interna della Chiesa, poi, deve offrire una testimonianza d'unità nel rispetto e nell'apertura di spazi sempre più ampi nei quali siano accolte e sviluppino le loro grandi ricchezze le diverse tradizioni teologiche, spirituali, liturgiche e disciplinari.273

La missionarietà nel ministero episcopale


65 In quanto membri del Collegio episcopale, i Vescovi sono consacrati non solo per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini.274 Questa dottrina esposta nel Concilio Vaticano II è stata richiamata dai Padri sinodali per mettere in evidenza il fatto che ogni Vescovo dev'essere consapevole dell'indole missionaria del proprio ministero pastorale. Tutta la sua azione pastorale, dunque, deve essere caratterizzata da uno spirito missionario, per suscitare e conservare nell'animo dei fedeli l'ardore per la diffusione del Vangelo. Per questo è compito del Vescovo suscitare, promuovere e dirigere nella propria Diocesi attività e iniziative missionarie, anche sotto l'aspetto economico.275

Non meno importante, poi, come è stato affermato nel Sinodo, è incoraggiare la dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare promovendo, a seconda delle diverse situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità culturale e una sana interazione fra le differenti culture. Il carattere sempre più multiculturale delle città e delle società, d'altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni internazionali, stabilisce nuove situazioni dalle quali emerge una particolare sfida missionaria.

Nell'Aula sinodale vi sono stati anche interventi che hanno posto in evidenza alcune questioni relative ai rapporti tra i Vescovi diocesani e le Congregazioni religiose missionarie, sottolineando la necessità al riguardo di una più approfondita riflessione. Al tempo stesso, è stato riconosciuto il grande contributo di esperienza che una Chiesa particolare può ricevere dalle stesse Congregazioni di vita consacrata per mantenere viva tra i fedeli la dimensione missionaria.

In questo suo zelo il Vescovo si mostri servo e testimone della speranza. La missione, infatti, è senza dubbio l'indice esatto della fede in Cristo e nel suo amore per noi: 276 l'uomo di tutti i tempi è da essa sospinto ad una vita nuova, animata dalla speranza. Annunciando Cristo risorto, infatti, i cristiani presentano Colui che inaugura una nuova era della storia e proclamano al mondo la buona notizia di una salvezza integrale e universale, che contiene in sé la caparra di un mondo nuovo, in cui il dolore e l'ingiustizia faranno posto alla gioia e alla bellezza. All'inizio di un nuovo millennio, poi, quando si è acuita la coscienza dell'universalità della salvezza e si sperimenta che l'annuncio del Vangelo deve essere ogni giorno rinnovato, dall'Assemblea sinodale giunge l'invito a non diminuire l'impegno missionario, anzi ad ampliarlo in una sempre più profonda cooperazione missionaria.



CAPITOLO SETTIMO


IL VESCOVO


DI FRONTE ALLE SFIDE ATTUALI


« Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! » (Jn 16,33)


66 Nella Sacra Scrittura la Chiesa è paragonata ad un gregge, « di cui Dio stesso ha preannunciato di voler essere il pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il Pastore buono e il Principe dei pastori ».277 Non è forse Gesù stesso a qualificare i suoi discepoli come pusillus grex e ad esortarli a non avere paura, ma a coltivare la speranza? (cfr Lc Lc 12,32).

Questa esortazione Gesù l'ha ripetuta più volte ai suoi discepoli: « Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! » (Jn 16,33). Quando stava per tornare al Padre, dopo avere lavato i piedi agli Apostoli, disse loro: « Non sia turbato il vostro cuore » e aggiunse: « Io sono la Via [...] Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » (Jn 14,1-6). Su questa Via, che è Cristo, il piccolo gregge, la Chiesa, si è incamminata, e a guidarla è Lui, il Pastore Buono, che « quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce » (Jn 10,4).

Ad immagine di Cristo Gesù e sulle sue orme, anche il Vescovo esce per annunziarlo al mondo come Salvatore dell'uomo, di ogni uomo. Missionario del Vangelo, egli agisce in nome della Chiesa, esperta in umanità e vicina agli uomini del nostro tempo. Per questo il Vescovo, forte del radicalismo evangelico, ha pure il dovere di smascherare le false antropologie, di riscattare i valori schiacciati dai processi ideologici e di discernere la verità. Egli sa di poter ripetere con l'Apostolo: « Noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono » (1Tm 4,10).

L'azione del Vescovo, allora, sarà caratterizzata da quella parresía, che è frutto dell'operazione dello Spirito (cfr Ac 4,31). Sicché, uscendo da se stesso per annunciare Gesù Cristo, il Vescovo assume con fiducia e coraggio la sua missione, factus pontifex, fatto veramente « ponte » proteso verso ogni uomo. Con passione di pastore egli esce per cercare le pecore, al seguito di Gesù, che dice: « Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore » (Jn 10,16).

Il Vescovo operatore di giustizia e pace


67 Nell'ambito di questa missionarietà, i Padri sinodali hanno indicato il Vescovo come un profeta di giustizia. La guerra dei potenti contro i deboli ha, oggi più che ieri, aperto profonde divisioni tra ricchi e poveri. I poveri sono legione! All'interno di un sistema economico ingiusto, con dissonanze strutturali molto forti, la situazione degli emarginati si aggrava di giorno in giorno. In tante parti della terra oggi c'è fame, mentre altrove c'è opulenza. Soprattutto i poveri, i giovani, i rifugiati, sono le vittime di queste drammatiche sperequazioni. Anche la donna in molti luoghi è avvilita nella sua dignità di persona, vittima di una cultura edonista e materialista.

Di fronte, e tante volte dentro, a queste situazioni d'ingiustizia, che aprono inevitabilmente la porta ai conflitti e alla morte, il Vescovo è il difensore dei diritti dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Egli predica la dottrina morale della Chiesa, in difesa del diritto della vita, dal concepimento sino alla sua naturale conclusione; predica pure la dottrina sociale della Chiesa, fondata sul Vangelo, e prende a cuore la difesa di chiunque è debole, rendendosi voce di chi non ha voce, per farne valere i diritti. Non c'è dubbio che la dottrina sociale della Chiesa è in grado di suscitare speranza anche nelle situazioni più difficili, perché, se non c'è speranza per i poveri, non ve ne sarà per nessuno, neppure per i cosiddetti ricchi.

I Vescovi hanno condannato con vigore il terrorismo e il genocidio e hanno levato la loro voce a favore di coloro che piangono a motivo di ingiustizie, che sono sottoposti a persecuzione, che sono senza lavoro, per i bambini vessati in vari e sempre gravissimi modi. Come la santa Chiesa che nel mondo è sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano,278 anche il Vescovo è difensore e padre dei poveri, è sollecito della giustizia e dei diritti umani, è portatore di speranza.279

La parola dei Padri sinodali, unita alla mia, è stata esplicita e forte. « Non abbiamo potuto non ascoltare, nel corso del Sinodo, l'eco di tanti altri drammi collettivi [...] S'impone un cambiamento di ordine morale [...] Alcuni mali endemici, troppo a lungo sottovalutati, possono portare alla disperazione intere popolazioni. Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà estrema, in un'epoca in cui l'umanità ha a disposizione come non mai gli strumenti per un'equa condivisione? Non possiamo non esprimere la nostra solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a causa di guerre, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione economica, sono costretti ad abbandonare la propria terra, alla ricerca di un lavoro e nella speranza della pace. I disastri causati dalla malaria, l'aumento dell'AIDS, l'analfabetismo, la mancanza di futuro per tanti bambini e giovani abbandonati su una strada, lo sfruttamento delle donne, la pornografia, l'intolleranza e la strumentalizzazione inaccettabile della religione per scopi violenti, il traffico di droga e il commercio di armi: il catalogo non è completo! E tuttavia, pur in mezzo a tutte queste difficoltà, gli umili rialzano la testa. Il Signore li guarda e li sostiene: « Per l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri io sorgerò, dice il Signore » (Sal 12[11], 6) ».280

Al quadro drammatico appena delineato, conseguono con ovvia urgenza l'appello e l'impegno alla pace. Sono, infatti, sempre attivi i focolai di conflitto ereditati dal precedente secolo e dall'intero millennio. Neppure mancano conflitti locali, che creano lacerazioni profonde tra le culture e le nazionalità. E come tacere dei fondamentalismi religiosi, sempre nemici del dialogo e della pace? In molte regioni del mondo la terra somiglia ad una polveriera, pronta ad esplodere e a rovesciare sulla famiglia umana enormi dolori.

In questa situazione la Chiesa continua ad annunciare la pace di Cristo, che nel discorso della montagna ha proclamato la beatitudine degli « operatori di pace » (
Mt 5,9). La pace è una responsabilità universale, che passa attraverso i mille piccoli atti della vita di ogni giorno. Essa attende i suoi profeti e i suoi artefici, che non possono mancare anzitutto nelle comunità ecclesiali, di cui il Vescovo è pastore. Sull'esempio di Gesù, venuto per annunciare la libertà agli oppressi e per proclamare l'anno di grazia del Signore (cfr Lc 4,16-21), egli sarà pronto sempre a mostrare che la speranza cristiana è intimamente congiunta con lo zelo per la promozione integrale dell'uomo e della società, come insegna la dottrina sociale della Chiesa.

All'interno, poi, di eventuali e purtroppo non rare situazioni di conflitto armato, il Vescovo, anche quando esorta il popolo a far valere i propri diritti, deve sempre avvertire che, per un cristiano, è in ogni caso doveroso escludere la vendetta e aprirsi al perdono e all'amore dei nemici.281 Non c'è giustizia, infatti, senza perdono. Per quanto difficile da accettare, l'affermazione per ogni persona sensata appare scontata: una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono.282

Il dialogo interreligioso, soprattutto a favore della pace nel mondo


68 Come in più circostanze ho ripetuto, il dialogo tra le religioni dev'essere al servizio della pace tra i popoli. Le tradizioni religiose, infatti, possiedono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. Dal Sinodo è giunto l'appello perché i Vescovi si facciano promotori di incontri insieme con i rappresentanti dei popoli per riflettere attentamente sui dissidi e sulle guerre che lacerano il mondo, così da individuare cammini percorribili per un comune impegno di giustizia, di concordia e di pace.

I Padri sinodali hanno fortemente sottolineato l'importanza del dialogo interreligioso in ordine alla pace ed hanno chiesto ai Vescovi di impegnarsi in tal senso nelle rispettive Diocesi. Nuove strade verso la pace possono essere aperte attraverso l'affermazione della libertà religiosa, di cui ha parlato il Concilio Vaticano II nel Decreto Dignitatis humanae, come anche attraverso l'opera educativa a vantaggio delle nuove generazioni, ed il corretto uso dei mezzi di comunicazione sociale.283

La prospettiva del dialogo interreligioso, tuttavia, è sicuramente più ampia e per questa ragione i Padri sinodali hanno ribadito che esso è parte della nuova evangelizzazione, soprattutto in questi tempi in cui, molto più che in passato, convivono nelle stesse regioni, nelle medesime città, nei posti di lavoro della vita quotidiana persone appartenenti a diverse religioni. Il dialogo interreligioso, è, dunque, postulato dalla vita quotidiana di molte famiglie cristiane e anche per questo i Vescovi, come maestri della fede e pastori del Popolo di Dio, debbono avere verso di esso una giusta attenzione.

Da questo contesto di convivenza con persone di altre religioni nasce per i cristiani uno speciale dovere di testimoniare l'unicità e l'universalità del mistero salvifico di Gesù Cristo e la conseguente necessità della Chiesa come strumento di salvezza per l'intera umanità. « Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l'altra” ».284 È chiaro quindi che il dialogo interreligioso non può mai sostituire l'annuncio e la propagazione della fede, i quali costituiscono la finalità prioritaria della predicazione, della catechesi e della missione della Chiesa.

Affermare con franchezza e senza ambiguità che la salvezza dell'uomo dipende dalla redenzione operata da Cristo non impedisce il dialogo con le altre religioni. Nella prospettiva della professione della speranza cristiana, poi, non si dimenticherà che è proprio essa a fondare il dialogo interreligioso. Come, infatti, si afferma nel Dichiarazione conciliare Nostra aetate, « tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti si riuniscano nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove i popoli cammineranno nella sua luce ».285

La vita civile, sociale ed economica


69 Nell'azione pastorale del Vescovo non può mancare una particolare attenzione alle esigenze di amore e di giustizia che derivano dalle condizioni sociali ed economiche delle persone più povere, abbandonate, maltrattate, nelle quali il credente vede altrettante speciali icone di Gesù. La loro presenza all'interno delle comunità ecclesiali e civili è un banco di prova per l'autenticità della nostra fede cristiana.

Una parola vorrei spendere circa il complesso fenomeno della cosiddetta globalizzazione, che è una delle caratteristiche del mondo attuale. Esiste, infatti, una « globalizzazione » dell'economia, della finanza e anche della cultura, che si va progressivamente affermando come effetto dei rapidi progressi legati alle tecnologie informatiche. Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, essa richiede un attento discernimento allo scopo di individuarne gli aspetti positivi e negativi e le varie conseguenze che ne possono derivare per la Chiesa e per l'intero genere umano. In tale opera è importante l'apporto dei Vescovi, i quali richiameranno sempre l'urgenza di pervenire ad una globalizzazione nella carità, senza marginalizzazione. In proposito, anche i Padri sinodali hanno richiamato il dovere di promuovere una « globalizzazione della carità », considerando in questo medesimo contesto le questioni relative alla remissione del debito estero, che compromette le economie di intere popolazioni, frenando il loro progresso sociale e politico.286

Senza riprendere qui una così grave problematica, ripeto solo alcuni punti fondamentali già altrove esposti: la visione della Chiesa in tale materia ha tre essenziali e concomitanti punti di riferimento, che sono la dignità della persona umana, la solidarietà e la sussidiarietà. Pertanto, « l'economia globalizzata dev'essere analizzata alla luce dei principi della giustizia sociale, rispettando l'opzione preferenziale per i poveri, che devono essere messi in grado di difendersi in un'economia globalizzata, e le esigenze del bene comune internazionale ».287 Innestata nel dinamismo della solidarietà, la globalizzazione non è più emarginante. La globalizzazione della solidarietà, infatti, è conseguenza diretta di quella carità universale che è l'anima del Vangelo.

Il rispetto dell'ambiente e la salvaguardia del creato


70 I Padri sinodali hanno pure ricordato gli aspetti etici della questione ecologica.288 In effetti, il senso profondo dell'appello a globalizzare la solidarietà riguarda pure, e con urgenza, la questione della salvaguardia del creato e delle risorse della terra. Il « gemito della creazione », a cui accenna l'Apostolo (cfr Rm Rm 8,22), sembra oggi verificarsi in una prospettiva capovolta, poiché non si tratta più di una tensione escatologica, nell'attesa della rivelazione dei figli di Dio (cfr Rm Rm 8,19), bensì di uno spasimo di morte che tende ad afferrare l'uomo stesso per distruggerlo.

È qui, difatti, che si svela, nella sua forma più insidiosa e perversa, la questione ecologica. In effetti, « il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l'inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, talora configura un vero e proprio disprezzo dell'uomo ».289

È evidente che la posta in gioco non è solo un'ecologia fisica, cioè attenta a tutelare l'habitat dei vari esseri viventi, ma anche un'ecologia umana, che protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e prepari alle generazioni future un ambiente che si avvicini il più possibile al progetto del Creatore. C'è dunque bisogno di una conversione ecologica, alla quale i Vescovi daranno il proprio contributo insegnando il corretto rapporto dell'uomo con la natura. Alla luce della dottrina su Dio Padre, creatore del cielo e della terra, si tratta di un rapporto « ministeriale »: l'uomo, infatti, è collocato al centro della creazione come ministro del Creatore.


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