Mediator Dei - Pio XII  106

Liturgia e dogma

106 Questo inconcusso diritto della Gerarchia Ecclesiastica è provato anche dal fatto che la sacra Liturgia ha strette attinenze con quei principi dottrinali che la Chiesa propone come facenti parte di certissime verità, e perciò deve conformarsi ai dettami della fede cattolica proclamati dall'autorità del supremo Magistero per tutelare la integrità della religione rivelata da Dio.

A questo proposito, Venerabili Fratelli, riteniamo di porre nella sua giusta luce una cosa che pensiamo non esservi ignota: l'errore, cioè, di coloro i quali pretesero che la sacra Liturgia fosse quasi un esperimento del dogma, in quanto che se una di queste verità avesse, attraverso i riti della sacra Liturgia, portato frutti di pietà e di santità, la Chiesa avrebbe dovuto approvarla, diversamente l'avrebbe ripudiata. Donde quel principio: La legge della preghiera è legge della fede (Lex orandi, lex credendi).

Non è, però, così che insegna e comanda la Chiesa. Il culto che essa rende a Dio è, come brevemente e chiaramente dice S. Agostino, una continua professione di fede cattolica e un esercizio della speranza e della carità: «Dio si deve onorare con la fede, la speranza e la carità». Nella sacra Liturgia facciamo esplicita professione di fede non soltanto con la celebrazione dei divini misteri, con il compimento del Sacrificio e l'amministrazione dei Sacramenti, ma anche recitando e cantando il Simbolo della fede, che è come il distintivo e la tessera dei cristiani, con la lettura di altri documenti e delle Sacre Lettere scritte per ispirazione dello Spirito Santo. Tutta la Liturgia ha, dunque, un contenuto di fede cattolica, in quanto attesta pubblicamente la fede della Chiesa.

Per questo motivo, sempre che si è trattato di definire un dogma, i Sommi Pontefici e i Concili, attingendo ai cosiddetti «Fonti teologici», non di rado hanno desunto argomenti anche da questa sacra disciplina; come fece, per esempio, il Nostro Predecessore di immortale memoria Pio IX quando definì l’Immacolata Concezione di Maria Vergine. Allo stesso modo, anche la Chiesa e i Santi Padri, quando si discuteva di una verità controversa o messa in dubbio, non hanno mancato di chiedere luce anche ai riti venerabili trasmessi dall'antichità. Così si ha la nota e veneranda sentenza: «La legge della preghiera stabilisca la legge della fede» (Legem credendi lex statuat supplicandi). La Liturgia, dunque, non determina né costituisce il senso assoluto e per virtù propria la fede cattolica, ma piuttosto, essendo anche una professione delle celesti verità, professione sottoposta al Supremo Magistero della Chiesa, può fornire argomenti e testimonianze di non poco valore per chiarire un punto particolare della dottrina cristiana. Che se vogliamo distinguere e determinare in modo generale ed assoluto le relazioni che intercorrono tra fede e Liturgia, si può affermare con ragione che «la legge della fede deve stabilire la legge della preghiera». Lo stesso deve dirsi anche quando si tratta delle altre virtù teologiche: «Nella . . . fede, nella speranza e nella carità preghiamo sempre con desiderio continuo».

Progresso e sviluppo della Liturgia

107 La Gerarchia Ecclesiastica ha sempre usato di questo suo diritto in materia liturgica allestendo e ordinando il culto divino e arricchendolo di sempre nuovo splendore e decoro a gloria di Dio e per il vantaggio dei fedeli. Non dubitò, inoltre - salva la sostanza del Sacrificio Eucaristico e dei Sacramenti - mutare ciò che non riteneva adatto, aggiungere ciò che meglio sembrava contribuire all'onore di Gesù Cristo e della Trinità augusta alla istruzione e a stimolo salutare del popolo cristiano.

La sacra Liturgia, difatti, consta di elementi umani e di elementi divini: questi, essendo stati istituiti dal Divin Redentore, non possono, evidentemente, esser mutati dagli uomini; quelli, invece, possono subire varie modifiche, approvate dalla sacra Gerarchia assistita dallo Spirito Santo, secondo le esigenze dei tempi, delle cose e delle anime. Da qui nasce la stupenda varietà dei riti orientali ed occidentali; da qui lo sviluppo progressivo di particolari consuetudini religiose e pratiche di pietà inizialmente appena accennate; di qui viene che talvolta sono richiamate nell'uso e rinnovate pie istituzioni obliterate dal tempo. Tutto ciò testimonia la vita della intemerata Sposa di Gesù Cristo durante tanti secoli; esprime il linguaggio da essa usato per manifestare al suo Sposo divino la fede e l'amore inesausto suo e delle genti ad essa affidate; dimostra la sua sapiente pedagogia per stimolare e incrementare nei credenti il «senso di Cristo».

Non poche, in verità, sono le cause per le quali si spiega e si evolve il progresso della sacra Liturgia durante la lunga e gloriosa storia della Chiesa. Così, per esempio, una più certa ed ampia formulazione della dottrina cattolica sulla incarnazione del Verbo di Dio, sul Sacramento e sul Sacrificio Eucaristico, sulla Vergine Maria Madre di Dio, ha contribuito all'adozione di nuovi riti per mezzo dei quali la luce più splendidamente brillata nella dichiarazione del magistero ecclesiastico, si rifletteva meglio e più chiaramente nelle azioni liturgiche, per giungere con maggiore facilità alla mente e al cuore del popolo cristiano.

L'ulteriore sviluppo della disciplina ecclesiastica nell'amministrazione dei Sacramenti, per esempio del Sacramento della Penitenza, l'istituzione e poi la scomparsa del catecumenato, la Comunione Eucaristica sotto una sola specie nella Chiesa Latina, ha contribuito non poco alla modificazione degli antichi riti ed alla graduale adozione di nuovi e più confacenti alle mutate disposizioni disciplinari.

A questa evoluzione e a questi mutamenti contribuirono notevolmente le iniziative e le pratiche pie non strettamente connesse con la sacra Liturgia, nate nelle epoche successive per mirabile disposizione di Dio e così diffuse nel popolo: come, per esempio, il culto più esteso e più fervido della divina Eucaristia, della passione acerbissima del nostro Redentore, del sacratissimo Cuore di Gesù, della Vergine Madre di Dio e del suo purissimo Sposo.

Tra le circostanze esteriori ebbero la loro parte i pubblici pellegrinaggi di devozione ai sepolcri dei martiri, l'osservanza di particolari digiuni istituiti allo stesso fine, le processioni stazionali di penitenza che si celebravano in questa alma Città e alle quali non di rado interveniva anche il Sommo Pontefice.

È pure facilmente comprensibile come il progresso delle belle arti, in special modo dell'architettura, della pittura e della musica, abbiano influito non poco sul determinarsi e il vario conformarsi degli elementi esteriori della sacra Liturgia.

La sola autorità competente

108 Del medesimo suo diritto in materia liturgica si è servita la Chiesa per tutelare la santità del culto contro gli abusi temerariamente introdotti dai privati e dalle chiese particolari. Così accadde che, moltiplicandosi usi e consuetudini di questo genere durante il secolo XVI, e mettendo le iniziative private in pericolo l'integrità della fede e della pietà con grande vantaggio degli eretici e a propaganda del loro errore, il Nostro Predecessore di immortale memoria Sisto V, per difendere i legittimi riti della Chiesa e impedire le infiltrazioni spurie, istituì nel 1588 la Congregazione dei riti, organo cui tuttora compete di ordinare e prescrivere con vigile cura tutto ciò che riguarda la sacra Liturgia.

Perciò il solo Sommo Pontefice ha il diritto di riconoscere e stabilire qualsiasi prassi di culto, di introdurre e approvare nuovi riti e di mutare quelli che giudica doversi mutare; i Vescovi, poi, hanno il diritto e il dovere di vigilare diligentemente perché le prescrizioni dei sacri canoni relative al culto divino siano puntualmente osservate. Non è possibile lasciare all'arbitrio dei privati, siano pure essi membri del Clero, le cose sante e venerande che riguardano la vita religiosa della comunità cristiana, l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo e il culto divino, l'onore che si deve alla SS. Trinità, al Verbo Incarnato, alla sua augusta Madre c agli altri Santi, e la salvezza degli uomini; per lo stesso motivo a nessuno è permesso di regolare in questo campo azioni esterne che hanno un intimo nesso con la disciplina ecclesiastica, con l'ordine, l’unità e la concordia del Corpo Mistico, e non di rado con la stessa integrità della fede cattolica.

Innovazioni temerarie

109 Certo, la Chiesa è un organismo vivente, e perciò, anche per quel che riguarda la sacra Liturgia, ferma restando l'integrità del suo insegnamento, cresce e si sviluppa, adattandosi e conformandosi alle circostanze ed alle esigenze che si verificano nel corso del tempo; tuttavia è severamente da riprovarsi il temerario ardimento di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti. Così, non senza grande dolore, sappiamo che accade non soltanto in cose di poca, ma anche di gravissima importanza; non manca,difatti, chi usa la lingua volgare nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico, chi trasferisce ad altri tempi feste fissate già per ponderate ragioni; chi esclude dai legittimi libri della preghiera pubblica gli scritti del Vecchio Testamento, reputandoli poco adatti ed opportuni per i nostri tempi.

L'uso della lingua latina come vige nella gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina. In molti riti, peraltro, l'uso della lingua volgare può essere assai utile per il popolo, ma soltanto la Sede Apostolica ha il potere di concederlo, e perciò in questo campo nulla è lecito fare senza il suo giudizio e la sua approvazione, perché, come abbiamo detto, l'ordinamento della sacra Liturgia è di sua esclusiva competenza.

Allo stesso modo si devono giudicare gli sforzi di alcuni per ripristinare certi antichi riti e Cerimonie. La Liturgia dell'epoca antica è senza dubbio degna di venerazione, ma un antico uso non è, a motivo soltanto della sua antichità, il migliore sia in se stesso sia in relazione ai tempi posteriori ed alle nuove condizioni verificatesi. Anche i riti liturgici più recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi dei quali l'inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare la santità degli uomini.

È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede.

Come, difatti, nessun cattolico di senso può rifiutare le formulazioni della dottrina cristiana composte e decretate con grande vantaggio in epoca più recente dalla Chiesa, ispirata e retta dallo Spirito Santo, per ritornare alle antiche formule dei primi Concili, o può ripudiare le leggi vigenti per ritornare alle prescrizioni delle antiche fonti del Diritto Canonico, così, quando si tratta della sacra Liturgia, non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per le mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall’illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del «deposito della fede» affidatole dal suo Divino Fondatore, a buon diritto condannò. Siffatti deplorevoli propositi ed iniziative tendono a paralizzare l'azione santificatrice con la quale la sacra Liturgia indirizza salutarmente al Padre celeste i figli di adozione.

Tutto, dunque, sia fatto nella necessaria unione con la Gerarchia ecclesiastica. Nessuno si arroghi il diritto di essere legge a se stesso e di imporla agli altri di sua volontà. Soltanto il Sommo Pontefice, in qualità di successore di Pietro al quale il Divin Redentore affidò il gregge universale, ed insieme i Vescovi che, sotto la dipendenza della Sede Apostolica, «lo Spirito Santo pose . . . a reggere la Chiesa di Dio», hanno il diritto e il dovere di governare il popolo cristiano. Perciò, Venerabili Fratelli, ogni qual volta voi tutelate la vostra autorità all'occorrenza anche con severità salutare, non soltanto adempite il vostro dovere, ma difendete la volontà stessa del Fondatore della Chiesa.

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Parte II.

Il Culto Eucaristico

Il mistero della Santissima Eucaristia, istituita dal Sommo Sacerdote Gesù Cristo e rinnovata in perpetuo per sua volontà dai suoi ministri, è come la somma e il centro della religione cristiana. Trattandosi del culmine della sacra Liturgia, riteniamo opportuno, Venerabili Fratelli, indugiare alquanto e richiamare la vostra attenzione su questo gravissimo argomento.


Il Sacrifizio Eucaristico

201 Cristo Signore, «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec» che, «avendo amato i suoi che erano nel mondo», «nell'ultima cena, nella notte in cui veniva tradito, per lasciare alla Chiesa sua sposa diletta un sacrificio visibile - come lo esige la natura degli uomini - che rappresentasse il sacrificio cruento, che una volta tanto doveva compiersi sulla Croce, e perché il suo ricordo restasse fino alla fine dei secoli, e ne venisse applicata la salutare virtù in remissione dei nostri quotidiani peccati, . . . offrì a Dio Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e ne diede agli Apostoli allora costituiti sacerdoti del Nuovo Testamento, perché sotto le stesse specie lo ricevessero, mentre ordinò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo».

L'augusto Sacrificio dell'altare non è, dunque, una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla Croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima. «Una . . . e identica è la vittima; egli medesimo, che adesso offre per ministero dei sacerdoti, si offrì allora sulla Croce; è diverso soltanto il modo di fare l'offerta».

Identico, quindi, è il sacerdote, Gesù Cristo, la cui sacra persona è rappresentata dal suo ministro. Questi, per la consacrazione sacerdotale ricevuta, assomiglia al Sommo Sacerdote, ed ha il potere di agire in virtù e nella persona di Cristo stesso; perciò, con la sua azione sacerdotale, in certo modo «presta a Cristo la sua lingua, gli offre la sua mano».

Parimenti identica è la vittima, cioè il Divin Redentore, secondo la sua umana natura e nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue. Differente, però, è il modo col quale Cristo è offerto. Sulla Croce, difatti, Egli offrì a Dio tutto se stesso e le sue sofferenze, e l'immolazione della vittima fu compiuta per mezzo di una morte cruenta liberamente subita; sull'altare, invece, a causa dello stato glorioso della sua umana natura, «la morte non ha più dominio su di Lui» e quindi non è possibile l'effusione del sangue; ma la divina sapienza ha trovato il modo mirabile di rendere manifesto il sacrificio del nostro Redentore con segni esteriori che sono simboli di morte. Giacché, per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo corpo, così si ha il suo sangue; le specie eucaristiche poi, sotto le quali è presente, simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue. Così il memoriale della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio dell'altare, perché per mezzo di simboli distinti si significa e dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima.

Identici, finalmente, sono i fini, di cui il primo è la glorificazione di Dio. Dalla nascita alla morte, Gesù Cristo fu divorato dallo zelo della gloria divina, e, dalla Croce, l'offerta del sangue arrivò al cielo in odore di soavità. E perché questo inno non abbia mai a cessare, nel Sacrificio Eucaristico le membra si uniscono al loro Capo divino e con Lui, con gli Angeli e gli Arcangeli, cantano a Dio lodi perenni, dando al Padre onnipotente ogni onore e gloria.

Il secondo fine è il ringraziamento a Dio. Il Divino Redentore soltanto, come Figlio di predilezione dell'Eterno Padre di cui conosceva l'immenso amore, poté innalzarGli un degno inno di ringraziamento. A questo mirò e questo volle «rendendo grazie», nell'ultima cena, e non cessò di farlo sulla Croce, non cessa di farlo nell'augusto Sacrificio dell'altare, il cui significato è appunto l'azione di grazie o eucaristica, e ciò perché è «cosa veramente degna e giusta, equa e salutare».

Il terzo fine è l'espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce «propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo». Sugli altari si offre egualmente ogni giorno per la nostra redenzione, affinché, liberati dalla eterna dannazione, siamo accolti nel gregge degli eletti. E questo non soltanto per noi che siamo in questa vita mortale, ma anche «per tutti coloro che riposano in Cristo, che ci hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno della pace»; poiché sia che viviamo, sia che moriamo, «non ci separiamo dall'unico Cristo».

Il quarto fine è l'impetrazione. Figlio prodigo, l'uomo ha male speso e dissipato tutti i beni ricevuti dal Padre celeste, perciò è ridotto in somma miseria e squallore; dalla Croce, però, Cristo «avendo a gran voce e con lacrime offerto preghiere e suppliche . . . è stato esaudito per la sua pietà», e sui sacri altari esercita la stessa efficace mediazione affinché siamo colmati d'ogni benedizione e grazia. Si comprende pertanto facilmente perché il sacrosanto Concilio di Trento affermi che col Sacrificio Eucaristico ci viene applicata la salutare virtù della Croce per la remissione dei nostri quotidiani peccati.

L'Apostolo delle genti, poi, proclamando la sovrabbondante pienezza e perfezione del Sacrificio della Croce, ha dichiarato che Cristo con una sola oblazione rese perfetti in perpetuo i santificati. I meriti di questo Sacrificio, difatti, infiniti ed immensi, non hanno confini: si estendono alla universalità degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, perché, in esso, sacerdote e vittima è il Dio Uomo; perché la sua immolazione come la sua obbedienza alla volontà dell'Eterno Padre fu perfettissima, e perché Egli ha voluto morire come Capo del genere umano: «Considera come fu trattato il nostro riscatto: Cristo pende dal legno: vedi a qual prezzo comprò . . .; versò il suo sangue, comprò col suo sangue, col sangue dell'Agnello immacolato, col sangue dell'unico Figlio di Dio . . . Chi compra è Cristo, il prezzo è il sangue, il possesso è tutto il mondo».

L'efficacia del Sacrifizio

202 Questo riscatto, però, non ebbe subito il suo pieno effetto: è necessario che Cristo, dopo aver riscattato il mondo col carissimo prezzo di se stesso, entri nel reale ed effettivo possesso delle anime. Quindi, affinché, col gradimento di Dio, si compia per tutti gli individui e per tutte le generazioni fino alla fine dei secoli, la loro redenzione e salvezza, è assolutamente necessario che ognuno venga a contatto vitale col Sacrificio della Croce, e così i meriti che da esso derivano siano loro trasmessi ed applicati. Si può dire che Cristo ha costruito sul Calvario una piscina di purificazione e di salvezza che riempì col sangue da Lui versato; ma se gli uomini non si immergono nelle sue onde e non vi lavano le macchie delle loro iniquità, non possono certamente essere purificati e salvati.

Affinché, quindi, i singoli peccatori si mondino nel sangue dell'Agnello, è necessaria la collaborazione dei fedeli. Sebbene Cristo, parlando in generale, abbia riconciliato col Padre per mezzo della sua morte cruenta tutto il genere umano, volle tuttavia che tutti si accostassero e fossero condotti alla Croce per mezzo dei Sacramenti e per mezzo del Sacrificio dell’Eucaristia, per poter conseguire i frutti salutari da Lui guadagnati sulla Croce. Con questa attuale e personale partecipazione, siccome le membra si configurano ogni giorno più al loro Capo divino, così anche la salute che viene dal Capo fluisce nelle membra, in modo che ognuno di noi può ripetere le parole di San Paolo: «Sono confitto con Cristo in Croce e vivo non già io, ma vive in me Cristo». Come, difatti, in altra occasione abbiamo di proposito e concisamente detto, Gesù Cristo «mentre moriva sulla Croce, donò, alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa, l'immenso tesoro della redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata quest'opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in qualche modo anche dall'azione di lei».

L'augusto Sacrificio dell'altare è un insigne strumento per la distribuzione ai credenti dei meriti derivati dalla Croce del Divin Redentore: «ogni volta che viene offerto questo Sacrificio, si compie l'opera della nostra Redenzione». Esso, però, anziché diminuire la dignità del Sacrificio cruento, ne fa risaltare, come afferma il Concilio di Trento, la grandezza, proclama la necessità. Rinnovato ogni giorno, ci ammonisce che non c'è salvezza al di fuori della Croce del Signore nostro Gesù Cristo (e); che Dio vuole la continuazione di questo Sacrificio «dal sorgere al tramontare del sole» (f) perché non cessi mai l'inno di glorificazione e di ringraziamento che gli uomini debbono al Creatore dal momento che hanno bisogno del suo continuo aiuto e del sangue del Redentore per cancellare i peccati che offendono la sua giustizia.

La partecipazione dei fedeli

203 È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l'Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui».

È ben vero che Gesù Cristo è sacerdote, ma non per se stesso, bensì per noi, presentando all'Eterno Padre i voti e i religiosi sensi di tutto il genere umano; Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all'uomo peccatore; ora il detto dell'Apostolo: «abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell'uomo, lo stesso stato d'animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l'umile sottomissione dello spirito, cioè, l'adorazione, l'onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l'abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l'espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce».

È necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali.

Vi sono difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell'ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, e, soltanto in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico. Sostengono, perciò, che solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote agisce unicamente per ufficio concessogli dalla comunità. Essi ritengono, in conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria «concelebrazione» e che è meglio che i sacerdoti «concelebrino» insieme col popolo presente piuttosto che, nell'assenza di esso, offrano privatamente il Sacrificio.

È inutile spiegare quanto questi capziosi errori siano in contrasto con le verità più sopra dimostrate, quando abbiamo parlato del posto che compete al sacerdote nel Corpo Mistico di Gesù. Ricordiamo solamente che il sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se stesso per esse: perciò va all'altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali.

La partecipazione all'oblazione

204 Tutto ciò consta di fede certa; ma si deve inoltre affermare che anche i fedeli offrono la vittima divina, sotto un diverso aspetto.

Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori della Chiesa. «Non soltanto - così Innocenzo III di immortale memoria - offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio - egli dice - è offerto principalmente in persona di Cristo. Perciò l'oblazione che segue alla consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da Cristo e offre insieme con Lui».

Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico significano e dimostrano che l'oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo l'offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente: «Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto presso Dio Padre Onnipotente», ma le preghiere con le quali viene offerta la vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto Sacrificio. Si dice, per esempio: «per i quali noi ti offriamo e ti offrono anch'essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu stesso ci hai donato e date, l'Ostia pura, l'Ostia santa, l'Ostia immacolata».

Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del «carattere» che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo.

Nella Chiesa cattolica, la ragione umana illuminata dalla fede si è sempre sforzata di avere una maggiore conoscenza possibile delle cose divine; perciò è naturale che anche il popolo cristiano domandi piamente in che senso venga detto nel Canone del Sacrificio Eucaristico che lo offre anch'esso. Per soddisfare a questo pio desiderio, Ci piace trattare qui l'argomento con concisione e chiarezza.

Ci sono, innanzi tutto, ragioni piuttosto remote: spesso, cioè, avviene che i fedeli, assistendo ai sacri riti, uniscono alternativamente le loro preghiere alle preghiere del sacerdote; qualche volta, poi, accade parimenti - in antico ciò si verificava con maggiore frequenza - che offrano al ministro dell’altare il pane e il vino perché divengano corpo e sangue di Cristo; e, infine, perché, con le elemosine, fanno in modo che il sacerdote offra per essi la vittima divina.

Ma c'è anche una ragione più profonda perché si possa dire che tutti i cristiani, e specialmente quelli che assistono all'altare, compiono l'offerta.

Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine «offerta». L'immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull'altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico.

Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote è chiaro dal fatto che il ministro dell'altare agisce in persona di Cristo in quanto Capo, che offre a nome di tutte le membra; per cui a buon diritto si dice che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l'oblazione della vittima. Quando, poi, si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso, compiono il rito liturgico visibile - il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato - ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre nella stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote. È necessario, difatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura sua il culto interno: ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa quell'ossequio sapremo col quale lo stesso principale offerente, che è Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano debitamente Dio.

Con grande gioia dell'anima siamo stati informati che questa dottrina, specialmente negli ultimi tempi, per l'intenso studio della disciplina liturgica da parte di molti, è stata posta nella sua luce: ma non possiamo fare a meno di deplorare vivamente le esagerazioni e i travisamenti della verità che non concordano con i genuini precetti della Chiesa.

Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato e senza l'assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l'unità: così non mancano di quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza ed efficacia.

Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell'ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l'offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l'offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti. E ciò si verifica certamente sia che vi assistano i fedeli - che Noi desideriamo e raccomandiamo che siano presenti numerosissimi e ferventissimi - sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il sacro ministro.

Sebbene, dunque, da quel che è stato detto risulti chiaramente che il santo Sacrificio della Messa è offerto validamente a nome di Cristo e della Chiesa, né è privo dei suoi frutti sociali, anche se è celebrato senza l'assistenza di alcun inserviente, tuttavia, per la dignità di questo mistero, vogliamo e insistiamo - come sempre volle la Madre Chiesa - che nessun sacerdote si accosti all'altare se non c'è chi gli serva e gli risponda, come prescrive il can. 813.


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