Tertio Millennio adveniente




Lettera Apostolica "Tertio Millennio Adveniente" - Città del Vaticano

TERTIO MILLENNIO ADVENIENTE LETTERA APOSTOLICA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI CIRCA LA PREPARAZIONE DEL GIUBILEO DELL'ANNO 2000 Ai Vescovi, Ai sacerdoti e ai diaconi, Ai religiosi e alle religiose, A tutti i fedeli laici

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1. Mentre ormai s'avvicina il terzo millennio della nuova era, il pensiero va spontaneamente alle parole dell'apostolo Paolo: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mando il suo Figlio, nato da donna" (
Ga 4,4). La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo, Figlio consustanziale al Padre e con il mistero della Redenzione del mondo. San Paolo sottolinea in questo brano che il Figlio di Dio è nato da donna, nato sotto la Legge, venuto nel mondo per riscattare quanti erano sotto la Legge, affinché potessero ricevere l'adozione a figli. Ed aggiunge: "Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!". La sua conclusione è davvero consolante: "Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio" (Ga 4,6-7).

Questa presentazione paolina del mistero della Incarnazione contiene la rivelazione del mistero trinitario e della continuazione della missione del Figlio nella missione dello Spirito Santo. L'Incarnazione del Figlio di Dio, il suo concepimento, la sua nascita sono il presupposto dell'invio dello Spirito Santo.

Il testo di san Paolo lascia così trasparire lapienezza del mistero dell'Incarnazione redentrice.

I. "GESU' CRISTO E' LO STESSO IERI, OGGI..."

(He 13,8)

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2. Nel suo Vangelo Luca ci ha trasmesso una concisa descrizione delle circostanze riguardanti la nascita di Gesù: "In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordino che si facesse il censimento di tutta la terra (...). Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, cheera della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea sali in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (2,1.3-7).

Si compiva così quanto l'angelo Gabriele aveva predetto nell'Annunciazione. Alla Vergine di Nazaret egli si era rivolto con queste parole: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (1,28). Queste parole avevano turbato Maria e per questo il Messaggero divino si era affrettato ad aggiungere: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo (...). Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (1,30-32.35). La risposta di Maria all'angelico messaggio fu univoca: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (1,38). Mai nella storia dell'uomo tanto dipese, come allora, dal consenso dell'umana creatura (cfr. S.Bernardo, In laudibus Virginis Matris, Homilia IV, 8, Opera omnia, Edit. Cisterc. 4 (1966), 53).

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3. Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, riassume in una sola frase tutta la profondità del mistero dell'Incarnazione. Egli scrive: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (1,14). Per Giovanni, nel concepimento e nella nascita di Gesù si attua l'Incarnazione del Verbo eterno, consustanziale al Padre.

L'Evangelista si riferisce al Verbo che in principio era presso Dio, per mezzo del quale è stato fatto tutto ciò che esiste; il Verbo nel quale era la vita, vita che era la luce degli uomini (cfr. 1,1-5). Del Figlio unigenito, Dio da Dio, l'apostolo Paolo scrive che fu "generato prima di ogni creatura" (
Col 1,15).

Dio crea il mondo per mezzo del Verbo. Il Verbo è l'eterna Sapienza, il Pensiero e l'Immagine sostanziale diDio, "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza" (He 1,3). Egli, generato eternamente ed eternamente amato dal Padre, come Dio da Dio e Luce da Luce, è il principio e l'archetipo di tutte le cose da Dio create nel tempo.

Il fatto che il Verbo eterno abbia assunto nella pienezza dei tempi la condizione di creatura conferisce all'evento di Betlemme di duemila anni fa un singolare valore cosmico. Grazie al Verbo, il mondo delle creature si presenta come "cosmo", cioè come universo ordinato. Ed è ancora il Verbo che, incarnandosi, rinnova l'ordine cosmico della creazione. La Lettera agli Efesini parla del disegno che Dio ha prestabilito in Cristo, "per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (1,10).

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4. Cristo, Redentore del mondo, è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini e non vi è un altro nome sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati (cfr.
Ac 4,12).

Leggiamo nella Lettera agli Efesini: in Lui "abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Dio l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza (...) secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi" (Ep 1,7-10). Cristo, Figlio consustanziale al Padre, è dunque Colui che rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Come afferma in modo suggestivo il Concilio Vaticano II, egli "svela... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GS 22). Gli mostra questa vocazione rivelando il mistero del Padre e del suo amore. "Immagine del Dio invisibile", Cristo è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato. Nella sua natura umana, immune da ogni peccato ed assunta nella Persona divina del Verbo, la natura comune ad ogni essere umano viene elevata ad altissima dignità: "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato" (Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GS 22).

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5. Questo "farsi uno di noi" del Figlio di Dio è avvenuto nella più grande umiltà, sicché non meraviglia che la storiografia profana, presa da fatti più clamorosi e da personaggi maggiormente in vista, non gli abbia dedicato all'inizio che fuggevoli, anche se significativi, cenni. Riferimenti a Cristo si trovano, ad esempio, nelle Antichità Giudaiche, opera redatta a Roma dallo storico Giuseppe Flavio tra il 93 e il 94 (cfr. Ant. Iud. 20, 200, come pure il noto, quanto dibattuto, passo di 18,63-64) e soprattutto negli Annali di Tacito, composti tra il 115 e il 120; in essi, riferendo dell'incendio di Roma del 64, falsamente imputato da Nerone ai cristiani, lo storico fa esplicito cenno a Cristo "suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio" (Annales 15,44,3). Anche Svetonio nella biografia dell'imperatore Claudio, scritta intorno al 121, ci informa circa l'espulsione dei Giudei da Roma perché "sotto istigazione di un certo Cresto suscitavano frequenti tumulti" (Vita Claudii, 25,4). Fra gli interpreti è convinzione diffusa che tale passo si riferisca a Gesù Cristo, divenuto motivo di contesa all'interno dell'ebraismo romano. Di rilievo, a riprova della rapida diffusione del cristianesimo, è pure la testimonianza di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, il quale riferisce all'imperatore Traiano, tra il 111 ed il 113, che un gran numero di persone solevano raccogliersi "in un giorno stabilito, prima dell'alba, per cantare alternatamente un inno a Cristo come a un Dio" (Epist. 10,96).

Ma il grande evento, che gli storici non cristiani si limitano a menzionare, acquista la sua luce piena negli scritti del Nuovo Testamento che, pur essendo documenti di fede, non sono meno attendibili, nell'insieme dei loro riferimenti, anche come testimonianze storiche. Cristo, vero Dio e vero uomo, Signore del cosmo è anche Signore della storia, di cui è "l'Alfa e l'Omega" (
Ap 1,8 Ap 21,6), "il Principio e la Fine" (Ap 21,6). In Lui il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia. E quanto esprime con efficace sintesi la Lettera agli Ebrei: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (1,1-2).

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6. Gesù è nato dal Popolo eletto, a compimento della promessa fatta ad Abramo e costantemente ricordata dai profeti. Questi parlavano a nome e in luogo di Dio.

L'economia dell'Antico Testamento, infatti, è essenzialmente ordinata a preparare e ad annunziare la venuta di Cristo Redentore dell'universo e del suo Regno messianico. I libri dell'Antica Alleanza sono così testimoni permanenti di una attenta pedagogia divina.(cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione
DV 15), In Cristo questa pedagogia raggiunge la sua meta: Egli infatti non si limita a parlare "a nome di Dio" come i profeti, ma è Dio stesso che parla nel suo Verbo eterno fatto carne. Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo. Nel cristianesimo l'avvio è dato dall'Incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all'uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo. E quanto proclama il Prologo del Vangelo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (1,18). Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana.

E mistero di grazia.

In Cristo la religione non è più un "cercare Dio come a tentoni" (cfr. Ac 17,27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l'uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell'Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla ad ogni uomo ed ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio. Più ancora, in quest'Uomo risponde a Dio l'intera creazione. Gesù Cristo è il nuovo inizio di tutto: tutto in lui si ritrova, viene accolto e restituito al Creatore dal quale ha preso origine. In tal modo, Cristo è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo. Se da una parte Dio in Cristo parla di sé all'umanità, dall'altra, nello stesso Cristo, l'umanità intera e tutta la creazione parlano di sé a Dio - anzi, si donano a Dio.

Tutto così ritorna al suo principio. Gesù Cristo è la ricapitolazione di tutto (cfr. Ep 1,10) e insieme il compimento di ogni cosa in Dio: compimento che è gloria di Dio. La religione che si fonda in Gesù Cristo è religione della gloria, è un esistere in novità di vita a lode della gloria di Dio (cfr. Ep 1,12). Tutta la creazione, in realtà, è manifestazione della sua gloria; in particolare l'uomo (vivens homo) è epifania della gloria di Dio, chiamato a vivere della pienezza della vita in Dio.

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7. In Gesù Cristo Dio non solo parla all'uomo, ma lo cerca. L'Incarnazione del Figlio di Dio testimonia che Dio cerca l'uomo. Di questa ricerca Gesù parla come del ricupero di una pecorella smarrita (cfr.
Lc 15,1-7). E una ricerca che nasce nell'intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell'Incarnazione del Verbo. Se Dio va in cerca dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza sua, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo. Dio dunque cerca l'uomo, che è sua particolare proprietà, in maniera diversa di come lo è ogni altra creatura. Egli è proprietà di Dio in base ad una scelta di amore: Dio cerca l'uomo spinto dal suo cuore di Padre.

Perché lo cerca? Perché l'uomo si è da lui allontanato, nascondendosi come Adamo tra gli alberi del paradiso terrestre (cfr. Gn 3,8-10). L'uomo si è lasciato sviare dal nemico di Dio (cfr. Gn 3,13). Satana lo ha ingannato persuadendolo di essere egli stesso dio e di poter conoscere, come Dio, il bene e il male, governando il mondo a suo arbitrio senza dover tenere conto della volontà divina (cfr. Gn 3,5). Cercando l'uomo tramite il Figlio, Dio vuole indurlo ad abbandonare le vie del male, nelle quali tende ad inoltrarsi sempre di più.

"Fargli abbandonare" quelle vie, vuol dire fargli capire che si trova su strade sbagliate; vuol dire sconfiggere il male diffuso nella storia umana. Sconfiggere il male: ecco la Redenzione. Essa si realizza nel sacrificio di Cristo, grazie al quale l'uomo riscatta il debito del peccato e viene riconciliato con Dio. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, assumendo un corpo e un'anima nel grembo della Vergine, proprio per questo: per fare di sé il perfetto sacrificio redentore. La religione dell'Incarnazione è la religione della Redenzione del mondo attraverso il sacrificio di Cristo, in cui è contenuta la vittoria sul male, sul peccato e sulla stessa morte. Cristo, accettando la morte sulla croce, contemporaneamente manifesta e dà la vita, poiché risorge e la morte non ha più alcun potere su di lui.

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8. La religione che trae origine dal mistero della Incarnazione redentiva è la religione del "rimanere nell'intimo di Dio", del partecipare alla sua stessa vita.

Ne parla san Paolo nel passo riportato all'inizio: "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" (
Ga 4,6). L'uomo eleva la sua voce a somiglianza di Cristo, il quale si rivolgeva "con forti grida e lacrime" (He 5,7) a Dio, specialmente nel Getsemani e sulla croce: l'uomo grida a Dio come ha gridato Cristo e testimonia così di partecipare alla sua figliolanza per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, che il Padre ha mandato nel nome del Figlio, fa si che l'uomo partecipi alla vita intima di Dio. Fa si che l'uomo sia anche figlio, a somiglianza di Cristo, ed erede di quei beni che costituiscono la parte del Figlio (cfr. Ga 4,7). In questo consiste la religione del "rimanere nella vita intima di Dio", alla quale l'Incarnazione del Figlio di Dio dà inizio.

Lo Spirito Santo, che scruta le profondità di Dio (cfr. 1Co 2,10), introduce noi uomini in tali profondità in virtù del sacrificio diCristo.


II. IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000

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9. Parlando della nascita del Figlio di Dio, san Paolo la situa nella "pienezza del tempo" (cfr.
Ga 4,4). Il tempo in realtà si è compiuto per il fatto stesso che Dio, con l'Incarnazione, si è calato dentro la storia dell'uomo. L'eternità è entrata nel tempo: quale "compimento" più grande di questo? Quale altro "compimento" sarebbe possibile? Qualcuno ha pensato a certi cicli cosmici arcani, nei quali la storia dell'universo, e in particolare dell'uomo, costantemente si ripeterebbe. L'uomo sorge dalla terra e alla terra ritorna (cfr. Gn 3,19): questo è il dato di evidenza immediata. Ma nell'uomo vi è un'insopprimibile aspirazione a vivere per sempre. Come pensare ad una sua sopravvivenza al di là della morte? Alcuni hanno immaginato varie forme di reincarnazione: in dipendenza da come egli ha vissuto nel corso dell'esistenza precedente, si troverebbe a sperimentare una nuova esistenza più nobile o più umile, fino a raggiungere la piena purificazione.

Questa credenza, molto radicata in alcune religioni orientali, sta ad indicare, tra l'altro, che l'uomo non intende rassegnarsi alla irrevocabilità della morte. E convinto della propria natura essenzialmente spirituale ed immortale.

La rivelazione cristiana esclude la reincarnazione e parla di un compimento che l'uomo è chiamato a realizzare nel corso di un'unica esistenza sulla terra. Questo compimento del proprio destino l'uomo lo raggiunge nel dono sincero di sé, un dono che è reso possibile soltanto nell'incontro con Dio. E in Dio, pertanto, che l'uomo trova la piena realizzazione di sé: questa è la verità rivelata da Cristo. L'uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l'eterno suo Figlio. Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. "La pienezza del tempo", infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella "pienezza del tempo" significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio.

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10. Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale. Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella "pienezza del tempo" dell'Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno. Con la venuta di Cristo iniziano gli "ultimi tempi" (cfr.
He 1,2), l'"ultima ora" (cfr. 1Jn 2,18), inizia il tempo della Chiesa che durerà fino alla Parusia.

Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo. E quanto si fa, ad esempio, quando si dedicano a Dio singoli tempi, giorni o settimane, come già avveniva nella religione dell'Antica Alleanza e avviene ancora, anche se in modo nuovo, nel cristianesimo. Nella liturgia della Veglia pasquale il celebrante, mentre benedice il cero che simboleggia il Cristo risorto, proclama: "Il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno". Egli pronuncia queste parole incidendo sul cero la cifra dell'anno in corso. Il significato del rito è chiaro: esso mette in evidenza il fatto che Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati dalla sua Incarnazione e Risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella "pienezza del tempo". Per questo anche la Chiesa vive e celebra la liturgia nello spazio dell'anno. L'anno solare viene così pervaso dall'anno liturgico, che riproduce in un certo senso l'intero mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, iniziando dalla prima Domenica d'Avvento e terminando nella solennità di Cristo, Re e Signore dell'universo e della storia. Ogni domenica ricorda il giorno della risurrezione del Signore.

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11. Su tale sfondo diventa comprensibile l'usanza dei Giubilei, che ha inizio nell'Antico Testamento e ritrova la sua continuazione nella storia della Chiesa.

Gesù di Nazaret, recatosi un giorno nella sinagoga della sua Città, si alzo per leggere (cfr.
Lc 4,16-30). Gli venne dato il rotolo del profeta Isaia, nel quale egli lesse il seguente passo: "Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (61,1-2).

Il Profeta parlava del Messia. "Oggi - aggiunse Gesù - si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con ivostri orecchi" (Lc 4,21), facendo capire che il Messia annunziato dal Profeta era proprio lui e che in lui prendeva avvio il "tempo" tanto atteso: era giunto il giorno della salvezza, la "pienezza del tempo". Tutti i Giubilei si riferiscono a questo "tempo" e riguardano la missione messianica di Cristo, venuto come "consacrato con l'unzione" dello Spirito Santo, come "mandato dal Padre". E lui ad annunziare la buona novella ai poveri. E lui a portare la libertà a coloro che ne sono privi, a liberare gli oppressi, a restituire la vista ai ciechi (cfr. Mt 11,4-5 Lc 7,22). In tal modo egli realizza "un anno di grazia del Signore", che annunzia non solo con la parola, ma prima di tutto con le sue opere. Giubileo, cioè "un anno di grazia del Signore", è la caratteristica dell'attività di Gesù e non soltanto la definizione cronologica di una certa ricorrenza.

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12. Le parole e le opere di Gesù costituiscono in questo modo il compimento dell'intera tradizione dei Giubilei dell'Antico Testamento. E noto che il Giubileo era un tempo dedicato in modo particolare a Dio. Esso cadeva ogni settimo anno, secondo la Legge di Mosè: era l'"anno sabbatico", durante il quale si lasciava riposare la terra e venivano liberati gli schiavi. L'obbligo della liberazione degli schiavi veniva regolato da prescrizioni dettagliate contenute nel Libro dell'Esodo (23,10-11), del Levitico (25,1-28), del Deuteronomio (15,1-6) e cioè, praticamente, in tutta la legislazione biblica, la quale acquista così questa peculiare dimensione. Nell'anno sabbatico, oltre alla liberazione degli schiavi, la Legge prevedeva il condono di tutti i debiti, secondo precise prescrizioni. E tutto ciò doveva essere fatto in onore di Dio. Quanto riguardava l'anno sabbatico valeva anche per quello "giubi- lare", che cadeva ogni cinquant'anni. Nell'anno giubilare pero le usanze di quello sabbatico erano ampliate e celebrate ancor più solennemente. Leggiamo nel Levitico: "Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia" (25,10).

Una delle conseguenze più significative dell'anno giubilare era la generale "emancipazione" di tutti gli abitanti bisognosi di liberazione. In questa occasione ogni israelita rientrava in possesso della terra dei suoi padri, se eventualmente l'aveva venduta o persa cadendo in schiavitù. Non si poteva essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa apparteneva a Dio, né gli israeliti potevano rimanere per sempre in una situazione di schiavitù, dato che Dio li aveva "riscattati" per sé come esclusiva proprietà liberandoli dalla schiavitù in Egitto.

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13. Anche se i precetti dell'anno giubilare restarono in gran parte una prospettiva ideale - più una speranza che una realizzazione concreta, divenendo peraltro una prophetia futuri in quanto preannuncio della vera liberazione che sarebbe stata operata dal Messia venturo - sulla base della normativa giuridica in essi contenuta si venne delineando una certa dottrina sociale, che si sviluppo poi più chiaramente a partire dal Nuovo Testamento. L'anno giubilare doveva restituire l'eguaglianza tra tutti i figli d'Israele, schiudendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi invece l'anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro diritti. Si doveva proclamare, nel tempo previsto dalla Legge, un anno giubilare, venendo in aiuto ad ogni bisognoso. Questo esigeva un governo giusto.

La giustizia, secondo la Legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli ed un re doveva distinguersi in questo, come afferma il Salmista: "Egli libererà il povero che invoca e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri" (
Ps 72 (71),12-13). Le premesse di simile tradizione erano strettamente teologiche, collegate prima di tutto con la teologia della creazione e con quella della divina Provvidenza. Era convinzione comune, infatti, che solo a Dio, come Creatore, spettasse il "dominium altum", cioè la signoria su tutto il creato e in particolare sulla terra (cfr. Lv 25,23). Se nella sua Provvidenza Dio aveva donato la terra agli uomini, ciò stava a significare che l'aveva donata a tutti. perciò le ricchezze della creazione erano da considerarsi come un bene comune dell'intera umanità. Chi possedeva questi beni come sua proprietà, ne era in verità soltanto un amministratore, cioè un ministro tenuto ad operare in nome di Dio, unico proprietario in senso pieno, essendo volontà di Dio che i beni creati servissero a tutti in modo giusto. L'anno giubilare doveva servire proprio al ripristino anche di questa giustizia sociale.

Nella tradizione dell'anno giubilare ha così una delle sue radici la dottrina sociale della Chiesa, che ha avuto sempre un suo posto nell'insegnamento ecclesiale e si è particolarmente sviluppata nell'ultimo secolo, soprattutto a partire dall'Enciclica Rerum novarum.

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14. Occorre sottolineare tuttavia ciò che Isaia esprime con le parole: "predicare un anno di grazia del Signore". Il Giubileo, per la Chiesa, è proprio questo "anno di grazia": anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, anno della riconciliazione tra i contendenti, anno di molteplici conversioni e di penitenza sacramentale ed extrasacramentale. La tradizione degli anni giubilari è legata alla concessione di indulgenze in modo più largo che in altri periodi.

Accanto ai Giubilei che ricordano il mistero dell'Incarnazione, al compiersi dei cento, dei cinquanta e dei venticinque anni, vi sono poi quelli che commemorano l'evento della Redenzione: la croce di Cristo, la sua morte sul Golgota e la sua risurrezione. La Chiesa, in queste circostanze, proclama "un anno di grazia del Signore" e si adopera affinché di questa grazia possano più ampiamente usufruire tutti i fedeli. Ecco perché i Giubilei vengono celebrati non soltanto "in Urbe", ma anche "extra Urbem": tradizionalmente ciò avveniva l'anno successivo alla celebrazione "in Urbe".

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15. Nella vita delle singole persone i Giubilei sono legati solitamente alla data di nascita, ma si celebrano anche gli anniversari del Battesimo, della Cresima, della prima Comunione, dell'Ordinazione sacerdotale o episcopale, del sacramento del Matrimonio. Alcuni di questi anniversari hanno un riscontro nell'ambito laico, ma i cristiani attribuiscono sempre ad essi un carattere religioso. Nella visione cristiana, infatti, ogni Giubileo - quello del 25° di Sacerdozio o di Matrimonio, detto "d'argento", o quello del 50°, detto "d'oro", o quello del 60°, detto "di diamante" - costituisce un particolare anno di grazia per la singola persona che ha ricevuto uno dei sacramenti elencati. Quanto abbiamo detto dei Giubilei individuali può essere pure applicato alle comunità o alle istituzioni. così dunque si celebra il centenario, o il millennio di fondazione di una città o di un comune. Nell'ambito ecclesiale si festeggiano i Giubilei delle parrocchie e delle diocesi. Tutti questi Giubilei personali o comunitari rivestono nella vita dei singoli e delle comunità un ruolo importante e significativo.

Su tale sfondo, i duemila anni dalla nascita di Cristo (prescindendo dall'esattezza del computo cronologico) rappresentano un Giubileo straordinariamente grande non soltanto per i cristiani, ma indirettamente per l'intera umanità, dato il ruolo di primo piano che il cristianesimo ha esercitato in questi due millenni. Significativamente il computo del decorso degli anni si fa quasi dappertutto a partire dalla venuta di Cristo nel mondo, la quale diventa così il centro anche del calendario oggi più utilizzato. Non è forse anche questo un segno del contributo impareggiabile recato alla storia universale dalla nascita di Gesù di Nazaret?

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16. Il termine "Giubileo" parla di gioia; non soltanto di gioia interiore, ma di un giubilo che si manifesta all'esterno, poiché la venuta di Dio è un evento anche esteriore, visibile, udibile e tangibile, come ricorda san Giovanni (cfr.
1Jn 1,1). E giusto quindi che ogni attestazione di gioia per tale venuta abbia una sua manifestazione esteriore. Essa sta ad indicare che la Chiesa gioisce per la salvezza. Invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni, affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno. Il 2000 segnerà perciò la data del Grande Giubileo.

Quanto al contenuto, questo Grande Giubileo sarà, in un certo senso, uguale ad ogni altro. Ma sarà, al tempo stesso, diverso e di ogni altro più grande. La Chiesa infatti rispetta le misure del tempo: ore, giorni, anni, secoli.

Sotto questo aspetto essa cammina al passo con ogni uomo, rendendo consapevole ciascuno di come ognuna di queste misure sia intrisa della presenza di Dio e della sua azione salvifica. In questo spirito la Chiesa gioisce, rende grazie, chiede perdono, presentando suppliche al Signore della storia e delle coscienze umane.

Tra le suppliche più ardenti di questa ora eccezionale, all'avvicinarsi del nuovo Millennio, la Chiesa implora dal Signore che cresca l'unità tra tutti i cristiani delle diverse Confessioni fino al raggiungimento della piena comunione.

Esprimo l'auspicio che il Giubileo sia l'occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono. Quanto gioverebbe in tale prospettiva che, nel rispetto dei programmi delle singole Chiese e Comunità, si raggiungessero intese ecumeniche nella preparazione e realizzazione del Giubileo: esso acquisterà così ancora più forza testimoniando al mondo la decisa volontà di tutti i discepoli di Cristo di conseguire al più presto la piena unità nella certezza che "nulla è impossibile a Dio".

III. LA PREPARAZIONE DEL GRANDE GIUBILEO

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17. Ogni giubileo è preparato nella storia della Chiesa dalla divina Provvidenza.

Ciò vale anche per il Grande Giubileo dell'Anno 2000. Convinti di ciò, noi oggi guardiamo con senso di gratitudine non meno che di responsabilità a quanto è avvenuto nella storia dell'umanità a partire dalla nascita di Cristo, e soprattutto agli eventi tra il Mille e il Duemila. Ma in modo tutto particolare ci volgiamo con sguardo di fede a questo nostro secolo, cercandovi ciò che rende testimonianza non solo alla storia dell'uomo, ma anche all'intervento divino nelle umane vicende.

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18. In questa prospettiva si può affermare che il Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio. Si tratta infatti di un Concilio simile ai precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa ed insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all'evoluzione recente del mondo con le sconvolgenti esperienze del XX secolo, travagliato da una prima e da una seconda guerra mondiale, dall'esperienza dei campi di concentramento e da orrendi eccidi. Quanto è successo mostra più che mai che il mondo ha bisogno di purificazione; ha bisogno di conversione.

Si ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni una epoca nuova nella vita della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che l'Assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII. Nella storia della Chiesa, "il vecchio" e "il nuovo" sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il "nuovo" cresce dal "vecchio", il "vecchio" trova nel "nuovo" una sua più piena espressione. così è stato per il Concilio Vaticano II e per l'attività dei Pontefici legati all'Assemblea conciliare, iniziando da Giovanni XXIII, proseguendo con PaoloVI e Giovanni Paolo I, fino al Papa attuale.

Ciò che è stato da essi compiuto durante e dopo il Concilio, il magistero non meno che l'azione di ciascuno di loro ha certamente recato un contributo significativo alla preparazione di quella nuova primavera di vita cristiana che dovrà essere rivelata dal Grande Giubileo, se i cristiani saranno docili all'azione dello Spirito Santo.

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19. Il Concilio, pur non assumendo i toni severi di Giovanni Battista, quando sulle rive del Giordano esortava alla penitenza ed alla conversione (cfr.
Lc 3,1-17), ha manifestato in sé qualcosa dell'antico Profeta, additando con nuovo vigore agli uomini di oggi il Cristo, l'"Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo" (cfr. Jn 1,29), il Redentore dell'uomo, il Signore della storia. Nell'Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la profondità del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo. Ponendosi in docile ascolto della Parola di Dio, ha riaffermato la universale vocazione alla santità; ha provveduto alla riforma della liturgia, "fonte e culmine" della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti della sua esistenza a livello universale e nelle Chiese locali; si è impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da quella dei laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei Vescovi; ha riscoperto, in particolare, la collegialità episcopale, espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai Vescovi in comunione col Successore di Pietro. Sulla base di questo profondo rinnovamento, il Concilio si è aperto ai cristiani delle altre Confessioni, agli aderenti ad altre religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo. In nessun altro Concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell'unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane, del significato specifico dell'Antica Alleanza e di Israele, della dignità della coscienza personale, del principio della libertà religiosa, delle diverse tradizioni culturali all'interno delle quali la Chiesa svolge il proprio mandato missionario, dei mezzi di comunicazione sociale.

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20. Un'enorme ricchezza di contenuti ed un nuovo tono, prima sconosciuto, nella presentazione conciliare di questi contenuti, costituiscono quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, con il linguaggio del Discorso della Montagna e delle Beatitudini. Nel messaggio conciliare Dio è presentato nella sua assoluta signoria su tutte le cose, ma anche come garante dell'autentica autonomia delle realtà temporali.

La miglior preparazione alla scadenza bimillenaria, pertanto, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione, per quanto possibile fedele, dell'insegnamento delVaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa. Con il Concilio è stata come inaugurata l'immediata preparazione al Grande Giubileo del 2000, nel senso più ampio della parola. Se cerchiamo qualcosa di analogo nella liturgia, si potrebbe dire che l'annuale liturgia dell'Avvento è il tempo più vicino allo spirito del Concilio. L'Avvento ci prepara, infatti, all'incontro con Colui che era, che è e che costantemente viene (cfr.
Ap 4,8).

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21. Nel cammino di preparazione all'appuntamento del 2000 si inserisce la serie di Sinodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e Sinodi continentali, regionali, nazionali e diocesani. Il tema di fondo è quello dell'evangelizzazione, anzi della nuova evangelizzazione, le cui basi sono state poste dall'Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, pubblicata nel 1975 dopo la terza Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi. Questi Sinodi costituiscono già per se stessi parte della nuova evangelizzazione: nascono dalla visione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa; aprono un ampio spazio alla partecipazione dei laici, dei quali definiscono la specifica responsabilità nella Chiesa; sono espressione della forza che Cristo ha donato a tutto il Popolo di Dio, facendolo partecipe della propria missione messianica, missione profetica, sacerdotale e regale. Molto eloquenti sono a tale riguardo le affermazioni del secondo capitolo della Cost. dogm. Lumen gentium. La preparazione al Giubileo dell'Anno 2000 si attua così, a livello universale e locale, in tutta la Chiesa, animata da una consapevolezza nuova della missione salvifica ricevuta da Cristo.

Questa consapevolezza si manifesta con significativa evidenza nelle Esortazioni postsinodali dedicate alla missione dei laici, alla formazione dei sacerdoti, alla catechesi, alla famiglia, al valore della penitenza e della riconciliazione nella vita della Chiesa e dell'umanità e, prossimamente, alla vita consacrata.

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22. Specifici compiti e responsabilità, in vista del Grande Giubileo dell'Anno 2000, spettano al ministero del Vescovo di Roma. In qualche modo hanno operato in questa prospettiva tutti i Pontefici del secolo che sta per concludersi. Col programma di rinnovare tutto in Cristo, san Pio X cerco di prevenire i tragici sviluppi che la situazione internazionale di inizio del secolo andava maturando.

La Chiesa era consapevole di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni così fondamentali della pace e della giustizia, di fronte all'affermarsi nel mondo contemporaneo di tendenze opposte. I Pontefici del periodo preconciliare si mossero in tal senso con grande impegno, ciascuno da una propria angolatura particolare: Benedetto XV si trovo di fronte alla tragedia della prima guerra mondiale; Pio XI dovette misurarsi con le minacce dei sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna, e prima ancora in Messico. Pio XII intervenne nei confronti della gravissima ingiustizia rappresentata dal totale disprezzo della dignità umana, quale si ebbe durante la seconda guerra mondiale. Egli diede luminosi orientamenti anche per la nascita di un nuovo assetto mondiale dopo la caduta dei sistemi politici antecedenti.

Nel corso del secolo, inoltre, sulle orme di Leone XIII, i Papi hanno ripreso sistematicamente i temi della dottrina sociale cattolica, trattando delle caratteristiche di un giusto sistema nel campo dei rapporti tra lavoro e capitale.

Basti pensare all'Enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, ai numerosi interventi di Pio XII, alla Mater et Magistra e alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, alla Populorum progressio e alla Lettera Apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI.

Sull'argomento sono ritornato ripetutamente io stesso, dedicando l'Enciclica Laborem exercens in modo specifico all'importanza del lavoro umano, mentre con la Centesimus annus ho inteso ribadire, dopo cento anni, la validità della dottrina della Rerum novarum. Con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis avevo precedentemente riproposto in modo sistematico l'intera dottrina sociale della Chiesa sullo sfondo del confronto tra i due blocchi Est-Ovest e del pericolo di una guerra nucleare. I due elementi della dottrina sociale della Chiesa - la tutela della dignità e dei diritti della persona nell'ambito di un giusto rapporto tra lavoro e capitale e la promozione della pace - si sono incontrati in tale testo e si sono fusi insieme. Alla causa della pace intendono inoltre servire gli annuali Messaggi pontifici del 10 gennaio, pubblicati a partire dal 1968, sotto il pontificato di Paolo VI.

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23. L'attuale pontificato sin dal primo documento parla del Grande Giubileo in modo esplicito, invitando a vivere il periodo di attesa come "un nuovo avvento" (Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979),
RH 1: AAS 71 (1979), 258). Su questo tema è ritornato poi molte altre volte, soffermandovisi ampiamente nell'Enciclica Dominum et vivificantem (cfr. Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), DEV 49ss: AAS 78 (1986), 868ss). Di fatto, la preparazione dell'Anno 2000 diventa quasi una sua chiave ermeneutica. Non si vuole certo indulgere ad un nuovo millenarismo, come da parte di qualcuno si fece allo scadere del primo millennio; si vuole invece suscitare una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese (cfr. Ap 2,7ss), come pure alle singole persone attraverso i carismi al servizio dell'intera comunità. Si intende sottolineare ciò che lo Spirito suggerisce alle varie comunità, dalle più piccole, come la famiglia, sino alle più grandi come le nazioni e le organizzazioni internazionali, senza trascurare le culture, le civiltà e le sane tradizioni. L'umanità, nonostante le apparenze, continua ad attendere la rivelazione dei figli di Dio e vive di tale speranza come nel travaglio del parto, secondo l'immagine utilizzata con tanta forza da san Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 8,19-22).

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24. I pellegrinaggi del Papa sono divenuti un elemento importante nell'impegno di realizzazione del Concilio Vaticano II. Iniziati da Giovanni XXIII, nell'imminenza dell'inau- gurazione del Concilio, con un pellegrinaggio significativo a Loreto e ad Assisi (1962), hanno avuto un cospicuo incremento con Paolo VI, il quale, dopo essersi recato anzitutto in Terra Santa (1964), compi altri nove grandi viaggi apostolici che lo portarono a diretto contatto con le popolazioni dei vari continenti.

Il pontificato attuale ha ampliato ancor più tale programma, cominciando dal Messico, in occasione della III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino Americano, tenutasi a Puebla nel 1979. Vi è stato poi, in quello stesso anno, il pellegrinaggio in Polonia durante il Giubileo per il 900o anniversario della morte di san Stanislao vescovo e martire.

Le successive tappe di questo peregrinare sono conosciute. I pellegrinaggi sono diventati sistematici, raggiungendo le Chiese particolari in tutti i continenti, con una cura attenta per lo sviluppo dei rapporti ecumenici con i cristiani delle diverse confessioni. Sotto quest'ultimo profilo rivestono un rilievo particolare le visite in Turchia (1979), in Germania (1980), in Inghilterra e Galles e in Scozia (1982), in Svizzera(1984), nei Paesi Scandinavi (1989) ed ultimamente nei Paesi Baltici (1993).

Al momento presente, tra le mete di pellegrinaggio vivamente desiderate, vi è, oltre a Sarajevo in Bosnia ed Erzegovina, il Medio Oriente: il Libano, Gerusalemme e la Terra Santa. Sarebbe molto eloquente se, in occasione dell'Anno 2000, fosse possibile visitare tutti quei luoghi che si trovano sul cammino del Popolo di Dio dell'Antica Alleanza, a partire dai luoghi di Abramo e di Mosè, attraverso l'Egitto e il Monte Sinai, fino a Damasco, città che fu testimone della conversione di san Paolo.

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25. Nella preparazione dell'Anno 2000 hanno un proprio ruolo da svolgere le singole Chiese, che con i loro Giubilei celebrano tappe significative nella storia della salvezza dei diversi popoli. Tra questi Giubilei locali o regionali, eventi di somma grandezza sono stati il millennio del Battesimo della Rus' nel 1988 (cfr. Lett. ap. Euntes in mundum (25 gennaio 1988): AAS 80 (1988), 935-956), come pure i cinquecento anni dall'inizio della evangelizzazione nel continente americano (1492). Accanto ad eventi di così vasto raggio, anche se non di portata universale, occorre ricordarne altri non meno significativi: per esempio, il millennio del Battesimo della Polonia nel 1966 e del Battesimo dell'Ungheria nel 1968, insieme con i seicento anni del Battesimo della Lituania nel 1987.

Ricorreranno inoltre prossimamente il 1500° anniversario del Battesimo di Clodoveo re dei Franchi (496), e il 1400° anniversario dell'arrivo di sant'Agostino a Canterbury (597), inizio dell'evangelizzazione del mondo anglosassone.

Per quanto riguarda l'Asia, il Giubileo riporterà il pensiero all'apostolo Tommaso, che già all'inizio dell'era cristiana, secondo la tradizione, reco l'annuncio evangelico in India, dove intorno al 1500 sarebbero poi giunti i missionari dal Portogallo. Cade quest'anno il settimo centenario dell'evangelizzazione della Cina (1294) e ci apprestiamo a fare memoria della diffusione dell'opera missionaria nelle Filippine con la costituzione della sede metropolitana di Manila (1595), come del quarto centenario dei primi martiri in Giappone (1597).

In Africa, dove pure il primo annuncio risale all'epoca apostolica, insieme ai 1650 anni della consacrazione episcopale del primo Vescovo degli Etiopi, san Frumenzio (c. 340) e ai cinquecento anni dall'inizio dell'evangelizzazione dell'Angola nell'antico regno del Congo (1491), nazioni quali il Camerun, la Costa d'Avorio, la Repubblica Centroafricana, il Burundi, il Burkina-Faso stanno celebrando i rispettivi centenari dell'arrivo dei primi missionari nei loro territori. Altre nazioni africane lo hanno celebrato da poco.

Come tacere poi delle Chiese d'Oriente, i cui antichi Patriarcati si richiamano così da vicino all'eredità apostolica e le cui venerande tradizioni teologiche, liturgiche e spirituali costituiscono un'enorme ricchezza, che è patrimonio comune di tutta la cristianità? Le molteplici ricorrenze giubilari di queste Chiese e delle Comunità che in esse riconoscono l'origine della loro apostolicità evocano il cammino di Cristo nei secoli e approdano anch'esse al grande Giubileo della fine del secondo millennio.

Vista in questa luce, tutta la storia cristiana ci appare come un unico fiume, al quale molti affluenti recano le loro acque. L'Anno 2000 ci invita ad incontrarci con rinnovata fedeltà e con approfondita comunione sulle sponde di questo grande fiume: il fiume della Rivelazione, del cristianesimo e della Chiesa, che scorre attraverso la storia dell'umanità a partire dall'evento accaduto a Nazaret, e poi a Betlemme duemila anni fa. E veramente il "fiume" che con i suoi "ruscelli", secondo l'espressione del Salmo, "rallegra la città di Dio" (46 (45),5).

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26. Nella prospettiva della preparazione dell'Anno 2000 si situano anche gli Anni Santi dell'ultimo scorcio di questo secolo. E ancora fresco nella memoria l'Anno Santo che il Papa Paolo VI indisse nel 1975; nella stessa linea è stato celebrato successivamente il 1983 come Anno della Redenzione. Un'eco forse ancora maggiore ha avuto l'Anno Mariano 1987/88, molto atteso e vissuto profondamente nelle singole Chiese locali, specialmente nei santuari mariani del mondo intero.

L'Enciclica Redemptoris Mater, allora pubblicata, ha posto in evidenza l'insegnamento conciliare sulla presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa: il Figlio di Dio duemila anni fa si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dall'Immacolata Vergine Maria. L'Anno Mariano è stato quasi una anticipazione del Giubileo, contenendo in sé molto di quanto dovrà esprimersi pienamente nell'Anno 2000.

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27. E difficile non rilevare che l'Anno Mariano ha preceduto da vicino gli eventi del 1989. Sono eventi che non possono non sorprendere per la loro vastità e specialmente per il loro rapido svolgimento. Gli anni ottanta si erano andati caricando di un pericolo crescente, sulla scia della "guerra fredda"; il 1989 ha portato con sé una soluzione pacifica, che ha avuto quasi la forma di uno sviluppo "organico". Alla sua luce ci si sente indotti a riconoscere un significato addirittura profetico all'enciclica Rerum novarum: quanto il Papa Leone XIII vi scrive sul tema del comunismo trova in questi eventi una puntuale verifica, come ho sottolineato nell'Enciclica Centesimus annus (cfr. Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991),
CA 12: AAS 83 (1991), 807-809). Si poteva del resto percepire che, nella trama di quanto accaduto, era all'opera con premura materna la mano invisibile della Provvidenza: "Si dimentica forse una donna del suo bambino...?" (Is 49,15).

Dopo il 1989 sono emersi, pero, nuovi pericoli e nuove minacce. Nei Paesi dell'ex blocco orientale, dopo la caduta del comunismo, è apparso il grave rischio dei nazionalismi, come mostrano purtroppo le vicende dei Balcani e di altre aree vicine. Ciò costringe le nazioni europee ad un serio esame di coscienza, nel riconoscimento di colpe ed errori storicamente commessi, in campo economico e politico, nei riguardi di nazioni i cui diritti sono stati sistematicamente violati dagli imperialismi sia del secolo scorso che del presente.

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28. Attualmente, sulla scia dell'Anno Mariano, stiamo vivendo, in analoga prospettiva, l'Anno della Famiglia, il cui contenuto si collega strettamente col mistero dell'Incarnazione e con la storia stessa dell'uomo. Si può dunque nutrire la speranza che l'Anno della Famiglia, inaugurato a Nazaret, diventi, come l'Anno Mariano, una ulteriore, significativa tappa della preparazione al Grande Giubileo.

In tale prospettiva ho indirizzato una Lettera alle Famiglie, nella quale ho inteso riproporre la sostanza dell'insegnamento ecclesiale sulla famiglia portandolo, per così dire, all'interno di ogni focolare domestico. Nel Concilio VaticanoII la Chiesa ha riconosciuto come uno dei suoi compiti quello di valorizzare la dignità del Matrimonio e della famiglia (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
GS 47-52). L'Anno della Famiglia intende contribuire all'attuazione del Concilio in questa dimensione. E perciò necessario che la preparazione al Grande Giubileo passi, in un certo senso, attraverso ogni famiglia. Non è stato forse attraverso una famiglia, quella di Nazaret, che il Figlio di Dio ha voluto entrare nella storia dell'uomo?


Tertio Millennio adveniente