Ut unum sint 21

Primato della preghiera

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21. "Questa conversione del cuore e questa santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, si devono ritenere come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale" (Nota 42: Ibid., 8]. Si avanza sulla via che conduce alla conversione dei cuori al ritmo dell'amore che si rivolge a Dio e, allo stesso tempo, ai fratelli: a tutti i fratelli, anche quelli che non sono in piena comunione con noi. Dall'amore nasce il desiderio dell'unità anche in coloro che ne hanno sempre ignorato l'esigenza. L'amore è artefice di comunione tra le persone e tra le Comunità. Se ci amiamo, noi tendiamo ad approfondire la nostra comunione, ad orientarla verso la perfezione. L'amore si rivolge a Dio quale fonte perfetta di comunione - l'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo -, per attingervi la forza di suscitare la comunione tra le persone e le Comunità, o di ristabilirla tra i cristiani ancora divisi. L'amore è la corrente profondissima che dà vita ed infonde vigore al processo verso l'unità. Tale amore trova la sua più compiuta espressione nella preghiera comune. Quando i fratelli che non sono in perfetta comunione tra loro si riuniscono insieme per pregare, il Concilio Vaticano II definisce la loro preghiera anima dell'intero movimento ecumenico.

Essa è "un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità", "una genuina manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati" (Nota 43: Ibid.]. Anche quando non si prega in senso formale per l'unità dei cristiani, ma per altri motivi, come, ad esempio, per la pace, la preghiera diventa di per sé espressione e conferma dell'unità. La preghiera comune dei cristiani invita Cristo stesso a visitare la comunità di coloro che lo implorano: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (
Mt 18,20).

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22. Quando si prega insieme tra cristiani, il traguardo dell'unità appare più vicino. La lunga storia dei cristiani segnata da molteplici frammentazioni sembra ricomporsi, tendendo a quella Fonte della sua unità che è Gesù Cristo. Egli "è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (
He 13,8). Nella comunione di preghiera Cristo è realmente presente; prega "in noi", "con noi" e "per noi". E Lui che guida la nostra preghiera nello Spirito Consolatore che ha promesso e ha dato alla sua Chiesa già nel Cenacolo di Gerusalemme, quando Egli l'ha costituita nella sua originaria unità. Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso. Se i cristiani, nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di ciò li unisce. Se si incontreranno sempre più spesso e più assiduamente davanti a Cristo nella preghiera, essi potranno trarre coraggio per affrontare tutta la dolorosa ed umana realtà delle divisioni, e si ritroveranno insieme in quella comunità della Chiesa che Cristo forma incessantemente nello Spirito Santo, malgrado tutte le debolezze e gli umani limiti.

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23. Infine, la comunione di preghiera induce a guardare con occhi nuovi la Chiesa e il cristianesimo. Non si deve dimenticare, infatti, che il Signore ha implorato dal Padre l'unità dei suoi discepoli, perché essa rendesse testimonianza alla sua missione ed il mondo potesse credere che il Padre lo aveva inviato (cfr.
Jn 17,21). Si può dire che il movimento ecumenico abbia in un certo senso preso l'avvio dall'esperienza negativa di quanti, annunciando l'unico Vangelo, si richiamavano ciascuno alla propria Chiesa o Comunità ecclesiale; una contraddizione che non poteva sfuggire a chi ascoltava il messaggio di salvezza e che vi trovava un ostacolo all'accoglimento dell'annuncio evangelico. Purtroppo questo grave impedimento non è superato. E vero: non siamo ancora in piena comunione. Eppure, malgrado le nostre divisioni, noi stiamo percorrendo la via verso la piena unità, quell'unità che caratterizzava la Chiesa apostolica ai suoi esordi, e che noi cerchiamo sinceramente: guidata dalla fede, la nostra comune preghiera ne è la prova. In essa, ci raduniamo nel nome di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità. La preghiera "ecumenica" è a servizio della missione cristiana e della sua credibilità. Per questo essa deve essere particolarmente presente nella vita della Chiesa ed in ogni attività che abbia lo scopo di favorire l'unità dei cristiani. E come se noi dovessimo sempre ritornare a radunarci nel Cenacolo del Giovedi Santo, sebbene la nostra presenza insieme, in tale luogo, attenda ancora il suo perfetto compimento, fino a quando, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani si riuniranno nell'unica celebrazione dell'Eucaristia (Nota 44: cfr. ibid., 4].

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24. E motivo di gioia il costatare come i tanti incontri ecumenici comportino quasi sempre la preghiera ed anzi culminino con essa. La Settimana di Preghiera per l'unità dei cristiani, che si celebra nel mese di gennaio, o intorno a Pentecoste in alcuni Paesi, è diventata una tradizione diffusa e consolidata. Ma anche al di fuori di essa, molte sono le occasioni che, durante l'anno, inducono i cristiani a pregare insieme. In questo contesto, desidero richiamarmi a quell'esperienza particolare che è il peregrinare del Papa tra le Chiese, nei diversi continenti e nei vari paesi dell'oikoumene contemporanea. E stato il Concilio Vaticano II, ne sono ben consapevole, ad orientare il Papa verso questo particolare esercizio del suo ministero apostolico. Si può dire di più. Il Concilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in adempimento del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione (Nota 45: cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994),
TMA 24: AAS 87 (1995),19-20]. Queste mie visite hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e la preghiera comune di fratelli che cercano l'unità in Cristo e nella sua Chiesa. Ricordo con una emozione tutta speciale la preghiera assieme al Primate della Comunione anglicana nella cattedrale di Canterbury, il 29 maggio 1982, quando, in quel mirabile edificio, riconoscevo una "dimostrazione eloquente dei nostri lunghi anni di retaggio comune e dei tristi anni di separazione che ad esso seguirono" (Nota 46: Discorso nella cattedrale di Canterbury (29 maggio 1982), 5: AAS 74 (1982),922]; né posso dimenticare quelle nei Paesi scandinavi e nordici (1-10 giugno 1989), nelle Americhe o in Africa, o quella presso la sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese (12 giugno 1984), l'organismo che si prefigge lo scopo di chiamare le Chiese e le Comunità ecclesiali che ne fanno parte "alla mèta dell'unità visibile in un'unica fede ed in un'unica comunità eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo" (Nota 47: Consiglio Ecumenico delle Chiese, Regolamento, III, 1 citato in Ench. cum. 1, 1392].

E come potrei mai dimenticare la mia partecipazione alla liturgia eucaristica nella chiesa di san Giorgio, al Patriarcato ecumenico (30 novembre 1979), e la celebrazione nella Basilica di San Pietro, durante la visita a Roma del mio venerato Fratello, il Patriarca Dimitrios I (6 dicembre 1987)? In quella circostanza, presso l'altare della Confessione, noi professammo insieme il Simbolo niceno-costantinopolitano, secondo il testo originale greco. Poche parole non bastano a descrivere i tratti specifici che hanno caratterizzato ciascuno di questi incontri di preghiera. Per i condizionamenti del passato che, in modo differenziato, gravavano su ciascuno di essi, tutti hanno una propria e singolare eloquenza; tutti sono scolpiti nella memoria della Chiesa che è orientata dal Paraclito alla ricerca dell'unità di tutti i credenti in Cristo.

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25. Non soltanto il Papa si è fatto pellegrino. In questi anni, tanti degni rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali mi hanno fatto visita a Roma e con loro ho potuto pregare, in circostanze pubbliche e private. Ho già accennato alla presenza del Patriarca ecumenico Dimitrios I. Vorrei ora anche ricordare quell'incontro di preghiera che mi ha unito, nella stessa Basilica di San Pietro, per la celebrazione dei Vespri, con gli Arcivescovi luterani, primati di Svezia e di Finlandia, in occasione del VI centenario della Canonizzazione di santa Brigida (5 ottobre 1991). Si tratta di un esempio, perché la consapevolezza del dovere di pregare per l'unità è diventata parte integrante della vita della Chiesa. Non vi è evento importante, significativo, che non benefici della presenza reciproca e della preghiera dei cristiani. Mi è impossibile elencare tutti questi incontri, benché ciascuno meriti di essere nominato. Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci guida. Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine e pagine del nostro "Libro dell'unità", un "Libro" che dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e speranza.

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26. La preghiera, la comunità di preghiera, ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle parole: "Uno solo è il Padre vostro" (
Mt 23,9), quel Padre, Abbà, che Cristo stesso interpella, Lui che è Figlio unigenito e della sua stessa sostanza. E poi: "Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli" (Mt 23,8). La preghiera "ecumenica" svela questa fondamentale dimensione di fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi, perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr. Ep 1,5), rispecchiassimo più pienamente l'inscrutabile realtà della paternità di Dio e, al contempo, la verità sull'umanità propria di ciascuno e di tutti. La preghiera "ecumenica", la preghiera dei fratelli e delle sorelle, esprime tutto questo. Essi, proprio perché separati tra di loro, con tanta maggiore speranza si uniscono in Cristo, affidandogli il futuro della loro unità e della loro comunione. A questo contesto si potrebbe ancora una volta applicare felicemente l'insegnamento del Concilio: "Il Signore Gesù quando prega il Padre, 'perché tutti siano uno (...] come noi siamo una cosa sola' (Jn 17,21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (Nota 48: GS 24]. La stessa conversione del cuore, condizione essenziale di ogni autentica ricerca dell'unità, scaturisce dalla preghiera e da essa è orientata al suo compimento: "Il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità. perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia della sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri" (Nota 49: UR 7].

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27. Pregare per l'unità non è tuttavia riservato a chi vive in un contesto di divisione tra i cristiani. In quell'intimo e personale dialogo che ciascuno di noi deve intrattenere con il Signore nella preghiera, la preoccupazione dell'unità non può essere esclusa. Soltanto così, infatti, essa farà pienamente parte della realtà della nostra vita e degli impegni che abbiamo assunto nella Chiesa. Per riaffermare questa esigenza, ho voluto proporre ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi sembra esemplare, quello di una suora trappista, Maria Gabriella dell'Unità, che ho proclamato beata il 25 gennaio 1983 (Nota 50: Maria Gabriella Sagheddu, nata a Dorgali (Sardegna) il 17 marzo 1914. A 21 anni entra nel Monastero Trappista di Grottaferrata. Venuta a conoscenza, attraverso l'azione apostolica dell'Abbé Paul Couturier, della necessità di preghiere ed offerte spirituali per l'unità dei cristiani, nel 1936, in occasione dell'Ottavario per l'unità, essa decide di offrire la sua vita per tale causa. Dopo una grave malattia, Suor Maria Gabriella muore il 23 aprile 1939].

Suor Maria Gabriella, chiamata dalla sua vocazione ad essere fuori del mondo, ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san Giovanni e l'ha offerta per l'unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni preghiera: l'offerta totale e senza riserve della propria vita al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

L'esempio di suor Maria Gabriella ci istruisce, ci fa comprendere come non vi siano tempi, situazioni o luoghi particolari per pregare per l'unità. La preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni luogo.


Dialogo ecumenico

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28. Se la preghiera è l'"anima" del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce "dialogo". Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico odierno. L'atteggiamento di "dialogo" si situa al livello della natura della persona e della sua dignità. Dal punto di vista filosofico, una tale posizione si ricollega alla verità cristiana sull'uomo espressa dal Concilio: egli infatti "in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa"; l'uomo non può pertanto "ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (Nota 51:
GS 24].

Il dialogo è passaggio obbligato del cammino da percorrere verso l'autocompimento dell'uomo, del singolo individuo come anche di ciascuna comunità umana. Sebbene dal concetto di "dialogo" sembri emergere in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos), ogni dialogo ha in sé una dimensione globale, esistenziale. Esso coinvolge il soggetto umano nella sua interezza; il dialogo tra le comunità impegna in modo particolare la soggettività di ciascuna di esse. Tale verità sul dialogo, tanto profondamente espressa dal Papa Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam suam (Nota 52: cfr. AAS 56 (1964),609-659], è stata assunta anche dalla dottrina e dalla pratica ecumenica del Concilio. Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno "scambio di doni" (Nota 53: cfr. LG 13].

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29. Per questo motivo, anche il Decreto conciliare sull'ecumenismo pone in primo piano "tutti gli sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi" (Nota 54:
UR 4].

Questo Documento affronta la questione dal punto di vista della Chiesa cattolica e si riferisce al criterio che essa deve applicare nei confronti degli altri cristiani. Vi è pero in tutto questo una esigenza di reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di ciascuna delle parti che vogliono fare dialogo ed è condizione previa per avviarlo. Occorre passare da una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale l'uno e l'altro si riconoscono reciprocamente partner. Quando si inizia a dialogare, ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo interlocutore, di unità nella verità. Per realizzare tutto questo, le manifestazioni del reciproco contrapporsi debbono sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà a superare la divisione e potrà avvicinare all'unità.

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30. Si può affermare, con viva gratitudine verso lo Spirito di verità, che il Concilio Vaticano II è stato un tempo benedetto, durante il quale si sono realizzate le condizioni basilari della partecipazione della Chiesa cattolica al dialogo ecumenico. D'altra parte, la presenza dei numerosi osservatori di varie Chiese e Comunità ecclesiali, il loro profondo coinvolgimento nell'evento conciliare, i tanti incontri e le preghiere comuni che il Concilio ha reso possibili, hanno contribuito a porre in atto le condizioni per dialogare insieme.

Durante il Concilio, i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità cristiane hanno sperimentato la disponibilità al dialogo dell'episcopato cattolico del mondo intero e, in particolare, della Sede Apostolica.


Strutture locali di dialogo

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31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico (Nota 55: cfr.
CIC 755; CIO 902-904].

Il dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata la "tecnica" per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, "avviato tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche" (Nota 56: UR 4]. Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.

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32. Come afferma la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, "la verità va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale" (Nota 57:
DH 3]. Il dialogo ecumenico ha una importanza essenziale. "Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di riforma" (Nota 58: UR 4].

Dialogo come esame di coscienza

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33. Nell'intento del Concilio, il dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se da una parte la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa, in forma sempre più matura, il frutto.

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34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di Giovanni? "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" (1,8-9). Giovanni si spinge ancora più in là quando afferma: "Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1,10). Una esortazione tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un "dialogo delle coscienze", potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? "Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (2,1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche divisioni, l'unità dei cristiani è possibile, a patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le "strutture" stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo consolidamento.

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35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione (Nota 59: cfr. ibid., 4]. Il dialogo ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si trasforma in "dialogo della conversione", e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico "dialogo della salvezza" (Nota 60: Lett. enc. Ecclesiam suam (6 agosto 1964), III: AAS 56 (1964),642].

Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. E proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito.


Dialogo per risolvere le divergenze

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36. Il dialogo è anche strumento naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: "Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà" (Nota 61:
UR 11].

L'amore della verità è la dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti. Per quanto riguarda lo studio delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli (Nota 62: cfr. ibid.].

Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro. Ovviamente, la piena comunione dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile "concordismo". Le questioni serie vanno risolte perché, se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica configurazione o sotto altre spoglie.

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37. Il Decreto Unitatis redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: "Si ricordino che esiste un ordine o 'gerarchia' nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana.

Così si preparerà la via, nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo" (Nota 63: Ibid.; cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. circa la dottrina cattolica sulla Chiesa Mysterium ecclesiae (24 giugno 1973), 4: AAS 65 (1973),402].

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38. Nel dialogo ci si imbatte inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito ecumenico. In primo luogo, davanti a formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso cristologico.

Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: "Sebbene le verità che la Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente" (Nota 64: Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. circa la dottrina cattolica sulla Chiesa Mysterium Ecclesiae (24 giugno 1973), 5: AAS 65 (1973),403].

A questo riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false interpretazioni. Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito opera negli "altri" può contribuire all'edificazione di ogni comunità (Nota 65: cfr.
UR 4] e in un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo.

L'ecumenismo autentico è una grazia di verità.

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39. Il dialogo infine pone gli interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa.

La collaborazione pratica 40. Le relazioni tra i cristiani non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo (Nota 66: cfr. Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell'Oriente: L'Osservatore Romano 12 novembre 1994, p.1]. "La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce più piena il volto di Cristo servo" (Nota 67:
UR 12]. Una tale cooperazione fondata sulla fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo stesso. Inoltre, la cooperazione ecumenica è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione conduce alla piena unità di fede: "Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani" (Nota 68: Ibid.]. Agli occhi del mondo la cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.

II. I FRUTTI DEL DIALOGO

La fraternità ritrovata

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41. Quanto detto sopra a proposito del dialogo ecumenico dalla conclusione del Concilio in poi induce a rendere grazie allo Spirito di verità promesso da Cristo Signore agli Apostoli e alla Chiesa (cfr.
Jn 14,26). E la prima volta nella storia che l'azione in favore dell'unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito tanto vasto. Ciò è già un immenso dono che Dio ha concesso e che merita tutta la nostra gratitudine. Dalla pienezza di Cristo riceviamo "grazia su grazia" (Jn 1,16). Riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione che ci predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a compimento l'opera ecumenica dell'unità. Uno sguardo d'insieme sugli ultimi trent'anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico.

42
42. Avviene ad esempio che - nello stesso spirito del Discorso della montagna - i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle. D'altro canto, persino all'espressione fratelli separati, l'uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione - legata al carattere battesimale - che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e canoniche. Si parla degli "altri cristiani", degli "altri battezzati", dei "cristiani delle altre Comunità". Il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono questi cristiani come "Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica" (Nota 69: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directoire pour l'application des principes et des normes sur l'Oecuménisme (25 marzo 1993), 5: AAS 85 (1993),1040]. Tale ampliamento del lessico traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce. L'ho potuto constatare molte volte di persona, durante le celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi apostolici nelle varie parti del mondo, o negli incontri e nelle celebrazioni ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La "fraternità universale" dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica.

Relegando nell'oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli edifici di culto vengono prestati, si offrono borse di studio per la formazione dei ministri delle Comunità più prive di mezzi, si interviene presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati, si dimostra l'infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi. In una parola, i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo. Se accade che, a motivo di sommovimenti politici violenti, affiori in situazioni concrete una certa aggressività, oppure uno spirito di rivalsa, le autorità delle parti in causa si adoperano in genere per far prevalere la "Legge nuova" dello spirito di carità.

Purtroppo, un tale spirito non ha potuto trasformare tutte le situazioni di conflitto cruento. L'impegno ecumenico in queste circostanze richiede non di rado da chi lo esercita scelte di autentico eroismo. Bisogna ribadire a questo riguardo che il riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia. Esso si radica nel riconoscimento dell'unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. Il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo auspica un reciproco e ufficiale riconoscimento dei Battesimi (Nota 70: Ibid., 94, l.c., 1078].

Ciò che va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica. Va opportunamente ricordato che il carattere fondamentale del Battesimo nell'opera di edificazione della Chiesa è stato chiaramente evidenziato anche grazie al dialogo multilaterale (Nota 71: cfr. Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Battesimo, Eucaristia, Ministero (gennaio 1982): Ench. Oecum. 1, 1391-1447, e precisamente 1398-1408].



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