Ut unum sint 43

La solidarietà nel servizio all'umanità

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43. Accade sempre più spesso che i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. così facendo essi "comunicano" in uno degli elementi costitutivi della missione cristiana: ricordare alla società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di Dio, mettendo in guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a calpestare i diritti umani. E chiaro, e l'esperienza lo dimostra, che in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una voce isolata. I responsabili delle Comunità non sono tuttavia i soli ad unirsi in questo impegno per l'unità. Numerosi cristiani di tutte le Comunità, a motivo della loro fede, partecipano insieme a progetti coraggiosi che si propongono di cambiare il mondo nel senso di far trionfare il rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi. Nella Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis ho constatato con gioia questa collaborazione, sottolineando che la Chiesa cattolica non può sottrarvisi (Nota 72: cfr.
SRS 32: AAS 80 (1988),556].

Infatti i cristiani, che un tempo agivano in modo indipendente, sono ora impegnati insieme a servizio di questa causa, perché la benevolenza di Dio possa trionfare. La logica è già quella del Vangelo. Per questo motivo, ribadendo quanto avevo scritto nella mia prima Lettera enciclica, la Redemptor hominis, ho avuto occasione "di insistere su questo punto e di incoraggiare ogni sforzo compiuto in questa direzione, a tutti i livelli in cui ci incontriamo con gli altri nostri fratelli cristiani" (Nota 73: Discorso ai Cardinali e alla Curia Romana (28 giugno 1985), 10: AAS 77 (1985),1158; cfr. Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), RH 11: AAS 71 (1979),277-278] ed ho ringraziato Dio "di ciò che egli ha già compiuto nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali e per mezzo loro", come anche per mezzo 28 giugno 1985), 10: AAS 77 (1985),1158]. Oggi constato con soddisfazione che la già vasta rete di collaborazione ecumenica si estende sempre di più. Anche per influsso del Consiglio ecumenico delle Chiese, si compie un grande lavoro in questo campo.

Convergenze nella parola di Dio e nel culto divino

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44. I progressi della conversione ecumenica sono significativi anche in un altro settore, quello relativo alla Parola di Dio. Penso prima di tutto ad un evento così importante per svariati gruppi linguistici come le traduzioni ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione, da parte del Concilio Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa cattolica non poteva non accogliere con gioia questa realizzazione (Nota 75: cfr. Segretariato per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e Comitato Esecutivo delle Società Bibliche Unite, Principi per la collaborazione interconfessionale nella traduzione della Bibbia, Documento concordato (1968): Ench. Oecum. 1, 319-331, riveduto ed aggiornato nel Documento Directives concernant la coopération interconfessionelle dans la traduction de la Bible (16 novembre 1987), Tipografia Poliglotta Vaticana 1987].

Tali traduzioni, opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura alla preghiera e all'attività pastorale di tutti i discepoli di Cristo. Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni.

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45. Al rinnovamento liturgico compiuto dalla Chiesa cattolica, ha corrisposto in diverse Comunità ecclesiali l'iniziativa di rinnovare il loro culto. Alcune di esse, sulla base dell'auspicio espresso a livello ecumenico (Nota 76: cfr. Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Battesimo, Eucaristia, Ministero (gennaio 1982): Ench. Oecum. 1, 1391-1447], hanno abbandonato la consuetudine di celebrare la loro liturgia della Cena soltanto in rare occasioni ed hanno optato per una celebrazione domenicale. D'altra parte, paragonando i cicli delle letture liturgiche di diverse Comunità cristiane occidentali, si constata che essi convergono per l'essenziale. Sempre a livello ecumenico (Nota 77: Ad esempio, durante le ultime assemblee del Consiglio Ecumenico delle Chiese, a Vancouver nel 1983; a Canberra nel 1991 e di "Fede e Costituzione" a Santiago de Compostela nel 1993], si è dato un rilievo del tutto speciale alla liturgia e ai segni liturgici (immagini, icone, paramenti, luce, incenso, gestualità).

Inoltre, negli istituti di teologia dove si formano i futuri ministri, lo studio della storia e del significato della liturgia comincia a far parte dei programmi, come un bisogno che si sta riscoprendo. Si tratta di segni di convergenza che riguardano vari aspetti della vita sacramentale. Certamente, a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l'unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più "con un cuore solo". A volte, il poter finalmente suggellare questa comunione "reale sebbene non ancora piena" sembra essere più vicino. Chi avrebbe potuto un secolo fa anche solo pensarlo?

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46. In questo contesto, è motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possono, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell'Eucaristia, della Penitenza, dell'Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi sacramenti. Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze, anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi sacramenti ai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Le condizioni per tale reciproca accoglienza sono stabilite in norme e la loro osservanza si impone per la promozione ecumenica (Nota 78: cfr.
UR 8 UR 15; CIC 844; CIO 671; Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directoire pour l'application des principes et des normes sur l'Oecuménisme (25 marzo 1993), 122-125: AAS 85 (1993),1086-1087; 129-131, l.c., 1088-1089; 123 e 132, l.c., 1087.1089].

Apprezzare i beni presenti tra gli altri cristiani

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47. Il dialogo non si articola esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge tutta la persona: esso è anche un dialogo d'amore. Il Concilio ha affermato: "E necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all'effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre stupendo e sorprendente nelle sue opere" (Nota 79:
UR 4].

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48. Le relazioni che i membri della Chiesa cattolica hanno stabilito con gli altri cristiani dal Concilio in poi, hanno fatto scoprire ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo contatto diretto, a vari livelli, tra i pastori e tra i membri delle Comunità, ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza che gli altri cristiani rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un vastissimo spazio per tutta l'esperienza ecumenica, che è allo stesso tempo la sfida che si pone a questa nostra epoca. Il XX secolo non è forse un tempo di grande testimonianza, che va "fino all'effusione del sangue"? Ed essa non riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità ecclesiali, che traggono il loro nome da Cristo, crocifisso e risorto? Tale comune testimonianza della santità, come fedeltà all'unico Signore, è un potenziale ecumenico straordinariamente ricco di grazia. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che i beni presenti negli altri cristiani possono contribuire all'edificazione dei cattolici: "Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano mai è contrario ai veri benefici della fede, anzi può sempre far si che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente" (Nota 80: Ibid.
UR 4]. Il dialogo ecumenico, come vero dialogo di salvezza, non mancherà di stimolare questo processo, già in se stesso ben avviato, a progredire verso la vera e piena comunione.

Crescita della comunione

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49. Frutto prezioso delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita della comunione. Le une e l'altro hanno reso consapevoli i cristiani degli elementi di fede che essi hanno in comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente il loro impegno verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II rimane potente centro di propulsione e di orientamento. La Costituzione dogmatica Lumen gentium collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al riconoscimento degli elementi salvifici che si trovano nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali (Nota 81: cfr.
LG 15]. Non si tratta di una presa di coscienza di elementi statici, passivamente presenti in tali Chiese e Comunità. In quanto beni della Chiesa di Cristo, per loro natura essi spingono verso il ristabilimento dell'unità. Ne consegue che la ricerca dell'unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un'esigenza che scaturisce dall'essere stesso della comunità cristiana.

Similmente, i dialoghi teologici bilaterali con le maggiori Comunità cristiane partono dal riconoscimento del grado di comunione già in atto, per discutere poi in modo progressivo le divergenze esistenti con ciascuna. Il Signore ha concesso ai cristiani del nostro tempo di poter ridurre il contenzioso tradizionale.

Il dialogo con le Chiese d'Oriente

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50. A questo riguardo, si deve innanzitutto constatare, con particolare gratitudine alla Provvidenza divina, che il legame con le Chiese d'Oriente, incrinato durante i secoli, si è rinsaldato con il Concilio Vaticano II. Gli osservatori di queste Chiese presenti al Concilio, assieme a rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente, hanno manifestato pubblicamente, in un momento così solenne per la Chiesa cattolica, la comune volontà di ricercare la comunione. Il Concilio, da parte sua, ha considerato con oggettività e con profondo affetto le Chiese d'Oriente, mettendo in rilievo la loro ecclesialità e gli oggettivi vincoli di comunione che le legano alla Chiesa cattolica. Il Decreto sull'ecumenismo afferma: "Per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce", aggiungendo, di conseguenza, che tali chiese "quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli" (Nota 82:
LG 15].

Delle Chiese d'Oriente è stata riconosciuta la grande tradizione liturgica e spirituale, il carattere specifico del loro sviluppo storico, le discipline da loro seguite sin dai primi tempi e sancite dai santi Padri e dai Concili ecumenici, il modo che è loro proprio di enunciare la dottrina. Tutto ciò nella convinzione che la legittima diversità non si oppone affatto all'unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione. Il Concilio Ecumenico Vaticano II vuole fondare il dialogo sulla comunione esistente e richiama l'attenzione proprio sulla ricca realtà delle Chiese d'Oriente: "perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, affinché tengano in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e si formino un equo giudizio su tutte queste cose" (Nota 83: Ibid., 14].

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51. Questo orientamento conciliare è stato fecondo sia per le relazioni di fraternità, che sono andate sviluppandosi per mezzo del dialogo della carità, sia per la discussione dottrinale nell'ambito della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Esso è stato altrettanto ricco di frutti nelle relazioni con le antiche Chiese dell'Oriente. Si è trattato di un processo lento e laborioso, che è stato pero fonte di molta gioia; ed è stato anche entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare progressivamente la fraternità.


La ripresa dei contatti

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52. Per quanto riguarda la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a cui abbiamo appena fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca apertura mostrata dai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e dal Patriarca ecumenico Athenagoras I e dai suoi successori, dall'altra. Il mutamento operato ha la sua espressione storica nell'atto ecclesiale per il cui tramite "si è tolto dalla memoria e dal mezzo delle Chiese" (Nota 84: cfr. Dichiarazione comune del Papa Paolo VI e del Patriarca di Costantinopoli Athenagoras I (7 dicembre 1965): Tomos agapis, Vatican-Phanar (1958-1970), Roma-Istanbul 1971, pp. 280-281] il ricordo delle scomuniche che novecento anni prima, nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e Costantinopoli.

Quell'evento ecclesiale, tanto denso di impegno ecumenico, avvenne negli ultimi giorni del Concilio, il 7 dicembre del 1965. L'assise conciliare si concludeva così con un atto solenne che era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione.

Questo gesto era stato preceduto dall'incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras I a Gerusalemme, nel gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. In quell'occasione egli poté anche incontrare il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva far visita al Patriarca Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio del 1967 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, il Patriarca era accolto solennemente a Roma. Questi incontri nella preghiera additavano la via da seguire per il riavvicinamento tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente ed il ristabilimento dell'unità che esisteva tra loro nel primo millennio. Dopo la morte di Papa Paolo VI ed il breve pontificato di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato affidato il ministero di Vescovo di Roma, ho ritenuto che fosse uno dei primi doveri del mio servizio pontificio rinnovare un personale contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios I, il quale aveva nel frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la successione del Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29 novembre del 1979, potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse in comunione canonica con la sede di Costantinopoli. Sembra importante aggiungere, a questo proposito, che allora erano già in corso i preparativi per la convocazione del futuro Concilio delle Chiese ortodosse. La ricerca della loro armonia è un contributo alla vita e alla vitalità di quelle Chiese sorelle, e ciò anche in considerazione della funzione che esse sono chiamate a svolgere nel cammino verso l'unità. Il Patriarca ecumenico ha voluto restituirmi la visita che gli avevo reso, e nel dicembre del 1987 ho avuto la gioia di accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con la solennità che gli era dovuta. In questo contesto di fraternità ecclesiale, va ricordata la consuetudine, ormai stabilita da vari anni, di accogliere a Roma, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato ecumenico, così come di inviare al Fanar una delegazione della Santa Sede per la solenne celebrazione di sant'Andrea.

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53. Questi regolari contatti permettono tra l'altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri per un fraterno coordinamento. D'altra parte, la nostra reciproca partecipazione alla preghiera ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci induce ad accogliere insieme, e dunque a mettere in pratica, la volontà del Signore per la sua Chiesa. Lungo il cammino che abbiamo percorso dal Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno due eventi particolarmente eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle relazioni tra Oriente ed Occidente: in primo luogo, il Giubileo del 1984, indetto per commemorare l'XI centenario dell'opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio e che mi ha permesso di proclamare compatroni d'Europa i due santi apostoli degli Slavi, messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio, aveva proclamato san Benedetto patrono d'Europa. Associare i due Fratelli di Tessalonica al grande fondatore del monachesimo occidentale vale a mettere indirettamente in risalto quella duplice tradizione ecclesiale e culturale tanto significativa per i duemila anni di cristianesimo che hanno caratterizzato la storia del continente europeo. Non è quindi superfluo ricordare che Cirillo e Metodio provenivano dall'ambito della Chiesa bizantina del loro tempo, epoca durante la quale essa era in comunione con Roma. Nel proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni d'Europa, desideravo non soltanto confermare la verità storica sul cristianesimo nel continente europeo, ma anche fornire un importante tema a quel dialogo tra Oriente ed Occidente, che tante speranze ha suscitato nel dopo Concilio. Come in san Benedetto, nei santi Cirillo e Metodio l'Europa ritrova le sue radici spirituali. Ora che volge al termine il secondo millennio dalla nascita di Cristo, essi debbono essere venerati insieme, come patroni del nostro passato e come santi ai quali le Chiese e le nazioni del continente europeo affidano il loro avvenire.

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54. L'altro evento che mi piace richiamare alla mente è la celebrazione del Millennio del Battesimo della Rus' (988- 1988). La Chiesa cattolica, ed in modo particolare la Sede Apostolica, hanno voluto prendere parte alle celebrazioni giubilari ed hanno cercato di sottolineare come il Battesimo conferito a Kiev a san Vladimiro sia stato uno degli eventi centrali per l'evangelizzazione del mondo. Ad esso debbono la loro fede non soltanto le grandi nazioni slave dell'Est europeo, ma anche quei popoli che vivono oltre i monti Urali e fino all'Alaska. In questa prospettiva, un'espressione che ho più volte adoperato trova il suo motivo più profondo: la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primo millennio della storia del cristianesimo essa si riferisce soprattutto alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus' in poi, tale espressione dilata i suoi confini: l'evangelizzazione si è estesa ad un ambito ben più vasto, così che essa abbraccia ormai l'intera Chiesa. Se si considera poi che tale evento salvifico, avvenuto lungo le sponde del Dniepr, risale ad una epoca durante la quale la Chiesa in Oriente e quella in Occidente non erano divise, si comprende chiaramente come la prospettiva secondo la quale la piena comunione va ricercata sia quella dell'unità nella legittima diversità. E quanto ho affermato con forza nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli (Nota 85: cfr. AAS 77 (1985),779-813] dedicata ai santi Cirillo e Metodio e nella Lettera apostolica Euntes in mundum (Nota 86: cfr. AAS 80 (1988),935-956; cfr. anche Lett. Magnum Baptisimi donum (14 febbraio 1988) AAS80 (1988),988-997] diretta ai fedeli della Chiesa cattolica nella commemorazione del Millennio del Battesimo della Rus' di Kiev.


Chiese sorelle

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55. Il Decreto conciliare Unitatis redintegratio nel suo orizzonte storico tiene presente l'unità che, malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio. Essa assume in un certo senso configurazione di modello. "E cosa gradita per il sacro Concilio (...] richiamare alla mente di tutti, che in Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi Apostoli" (Nota 87: Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo
UR 14].

Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora si concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr. Ac 2,14). Le strutture della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci. Il Decreto sull'ecumenismo mette in rilievo un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese particolari permanevano nell'unità, la "preoccupazione - cioè - e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali" (Nota 88: Ibid. UR 14].

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56. Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire l'appellativo di "Chiese sorelle" alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. La soppressione poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo di ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo nel cammino verso la piena comunione. Le strutture d'unità esistenti prima della divisione sono un patrimonio d'esperienza che guida il nostro cammino verso il ritrovamento della piena comunione. Ovviamente, durante il secondo millennio, il Signore non ha cessato di dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e di crescita. Ma purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese d'Occidente e d'Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed aiuti. Occorre compiere con la grazia di Dio un grande sforzo per ristabilire fra esse la piena comunione, fonte di tanti beni per la Chiesa di Cristo. Tale sforzo richiede tutta la nostra buona volontà, la preghiera umile e una collaborazione perseverante che nulla deve scoraggiare.

San Paolo ci sprona: "Portate i pesi gli uni degli altri" (
Ga 6,2). Come si adatta a noi e come è attuale l'esortazione dell'Apostolo! L'appellativo tradizionale di "Chiese sorelle" dovrebbe incessantemente accompagnarci in questo cam- mino.

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57. Come auspicava Papa Paolo VI, il nostro scopo dichiarato è di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità: "Dio ci ha concesso di ricevere nella fede questa testimonianza degli Apostoli. Per mezzo del Battesimo noi siamo uno in Cristo Gesù (cfr.
Ga 3,28). In virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia ci uniscono più intimamente; partecipando ai doni di Dio alla sua Chiesa, noi siamo in comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo (...]. In ogni Chiesa locale si realizza questo mistero dell'amore divino. Non è forse questa la ragione dell'espressione tradizionale e tanto bella per cui le Chiese locali amavano designarsi quali Chiese sorelle? (cfr. Decr. UR 14). Questa vita di Chiese sorelle, noi l'abbiamo vissuta durante secoli, celebrando insieme i Concili ecumenici, che hanno difeso il deposito della fede da ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di riscoprirci come Chiese sorelle, nonostante gli ostacoli che nel passato si sono frapposti tra di noi" (Nota 89: Breve ap. Anno ineunte (25 luglio 1967): Tomos agapis, Vatican-Phanar (1958-1970), Roma-Istanbul 1971, pp. 388-391].

Se oggi, alle soglie del terzo millennio, noi ricerchiamo il ristabilimento della piena comunione, è all'attuazione di questa realtà che dobbiamo tendere ed è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento. Il contatto con questa gloriosa tradizione è fecondo per la Chiesa. "Le Chiese d'Oriente - afferma il Concilio - hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la Chiesa d'Occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico" (Nota 90: Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 14]. Sono parte di questo "tesoro" anche "le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiori quella spiritualità monastica, che si estese poi all'Occidente" (Nota 91: Ibid., UR 15]. Come ho avuto modo di rilevare nella recente Lettera apostolica Orientale lumen, le Chiese d'Oriente hanno vissuto con grande generosità l'impegno testimoniato dalla vita monastica, "a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire in molte altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi dire che il monachesimo sia stato nell'antichità - e, a varie riprese, anche in tempi successivi - lo strumento privilegiato per l'evangelizzazione dei popoli" (Nota 92: n. 14: L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 3].

Il Concilio non si limita a mettere in rilievo tutto ciò che rende le Chiese in Oriente ed in Occidente simili tra loro. In armonia con la verità storica, esso non esita ad affermare: "Non fa meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi" (Nota 93: Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 17]. Lo scambio di doni fra le Chiese nella loro complementarità rende feconda la comunione.

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58. Dalla riaffermata comunione di fede già esistente, il Concilio Vaticano II ha tratto delle conseguenze pastorali utili alla vita concreta dei fedeli e alla promozione dello spirito d'unità. A ragione degli strettissimi vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, il Decreto Orientalium ecclesiarum ha rilevato che "la prassi pastorale dimostra, per quanto riguarda i fratelli orientali, che si possono e si devono considerare varie circostanze di singole persone, nelle quali né si lede l'unità della Chiesa, né vi sono pericoli da evitare, e invece urgono la necessità della salvezza e il bene spirituale delle anime. perciò la Chiesa cattolica, secondo le circostanze di tempi, di luoghi e di persone, ha usato spesso e usa una più mite maniera di agire, offrendo a tutti tra i cristiani i mezzi della salvezza e la testimonianza della carità, per mezzo della partecipazione nei sacramenti e nelle altre funzioni e cose sacre" (Nota 94:
OE 26].

Tale orientamento teologico e pastorale, con l'esperienza fatta negli anni del dopo Concilio, è stato assunto dai due Codici di Diritto Canonico (Nota 95: cfr. CIC 844, 2 e 3; CIO 671, 2 e 3]. Esso è stato esplicitato dal punto di vista pastorale dal Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo (Nota 96: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directoire pour l'application des principes et des normes sur l'Oecuménisme (25 marzo 1993), 122-128: AAS 85 (1993),1086-1088]. In questa materia tanto importante e delicata, è necessario che i Pastori istruiscano con cura i fedeli affinché essi conoscano con chiarezza le precise ragioni sia di tale condivisione per quanto riguarda il culto liturgico che delle diverse discipline esistenti al riguardo. Non si deve mai perdere di vista la dimensione ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti, soprattutto della santa Eucaristia.

Progressi del dialogo

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59. Dalla sua creazione nel 1979, la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme ha lavorato intensamente, orientando progressivamente la sua ricerca a quelle prospettive che, di comune accordo, erano state determinate, con lo scopo di ristabilire la piena comunione tra le due Chiese. Tale comunione fondata nell'unità di fede, in continuità con l'esperienza e la tradizione della Chiesa antica, troverà la sua espressione piena nella concelebrazione della santa Eucaristia. Con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo di dichiarare insieme al venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico, essa è pervenuta ad esprimere "ciò che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa possono già professare insieme quale fede comune nel mistero della Chiesa ed il vincolo tra la fede ed i sacramenti" (Nota 97: Dichiarazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II e del Patriarca ecumenico Demetrio I (7 dicembre 1987): AAS 80 (1988),253].

La commissione ha poi potuto constatare ed affermare che "nelle nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio" (Nota 98: Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa nel suo Insieme, Documento Il sacramento dell'Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l'importanza della successione apostolica per la santificazione e l'unità del popolo di Dio (26giugno 1988), 1: Service d'information 68 (1988),195].

Si tratta di punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo. E c'è di più: queste affermazioni fatte insieme costituiscono la base che abilita i cattolici e gli ortodossi a rendere sin da ora, nel nostro tempo, una comune testimonianza fedele e concorde perché il nome del Signore sia annunciato e glorificato.

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60. Più recentemente, la commissione mista internazionale ha compiuto un significativo passo nella questione tanto delicata del metodo da seguire nella ricerca della piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, questione che ha spesso inasprito le relazioni fra cattolici ed ortodossi. Essa ha posto le basi dottrinali per una positiva soluzione del problema, che si fonda sulla dottrina delle Chiese sorelle. Anche in questo contesto è apparso chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto alle Chiese orientali cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro apostolato, così come l'effettivo coinvolgimento di queste Chiese nel dialogo della carità e in quello teologico, favoriranno non soltanto un reale e fraterno rispetto reciproco tra gli ortodossi e i cattolici che vivono in uno stesso territorio, ma anche il loro comune impegno nella ricerca dell'unità (Nota 99: cfr. Giovanni Paolo II, Lettera ai Vescovi del Continente europeo circa i rapporti tra cattolici e ortodossi nella nuova situazione dell'Europa centrale e orientale (31 maggio 1991), 6: AAS 84 (1992),168].

Un passo avanti è stato compiuto. L'impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, pero, una pacificazione degli spiriti, che rende la ricerca più feconda. Per quanto riguarda le Chiese orientali in comunione con la Chiesa cattolica, il Concilio aveva espresso il seguente apprezzamento: "Questo Sacro Concilio, ringraziando Dio che molti Orientali figli della Chiesa cattolica (...] vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità ed apostolicità della Chiesa" (Nota 100:
UR 17]. Certamente le Chiese orientali cattoliche, nello spirito del Decreto sull'ecumenismo, sapranno partecipare positivamente al dialogo della carità e al dialogo teologico, sia a livello locale che a livello universale, contribuendo così alla reciproca comprensione e ad una dinamica ricerca della piena unità (Nota 101: cfr. Lett. ap. Orientale Lumen (2 maggio 1995), 24: L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 5].

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61. In questa prospettiva, la Chiesa cattolica null'altro vuole se non la piena comunione tra Oriente ed Occidente. In ciò si ispira alla esperienza del primo millennio. In tale periodo, infatti, "lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si levava, in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell'unico Padre, per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli Apostoli. I primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante unità nella diversità" (Nota 102: Ibid., 18, l.c., p. 4].

In che modo ricomporre tale unità dopo quasi mille anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che incombe anche alla Chiesa ortodossa. Si comprende da qui tutta l'attualità del dialogo, sostenuto dalla luce e dalla potenza dello Spirito Santo.



Ut unum sint 43