Ut unum sint 62

Relazioni con le antiche Chiese dell'Oriente

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62. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche Chiese dell'Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovano nella gioia. La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso (Nota 103: cfr. Dichiarazione comune del Sommo Pontefice Paolo VI e di Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria e Patriarca della sede di S. Marco (10 maggio 1973): AAS 65 (1973),299-301]; e con il Patriarca siro ortodosso d'Antiochia, Sua Santità Jacoub III (Nota 104: cfr. Dichiarazione comune del Sommo Pontefice Paolo VI e di Sua Beatitudine Mar Ignazio Jacoub III, Patriarca della Chiesa di Antiochia dei Siri e di tutto l'Oriente (27 ottobre 1971): AAS 63 (1971),814-815]. Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda (Nota 105: cfr. Discorso agli inviati della Chiesa Copta Ortodossa (2 giugno 1979): AAS 71 (1979),1000-1001], e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas (Nota 106: cfr. Dichiarazione comune del Papa Giovanni Paolo II e di Sua Santità Moran Mar Ignazio Zakka I Iwas, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente (23 giugno 1984): Insegnamenti VII, 1 (1984),1902-1906].

Con il venerato Patriarca della Chiesa d'Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l'11 giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le nostre due Chiese: "Noi condividiamo la fede ricevuta dagli Apostoli, gli stessi sacramenti e lo stesso ministero radicato nella successione apostolica (...]. Oggi infatti possiamo affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è stata causa di divisione tra di noi" (Nota 107: Discorso rivolto a Sua Santità Abuna Paulos, Patriarca della Chiesa Ortodossa d'Etiopia (11 giugno 1993): L'Osservatore Romano 11-12 giugno 1993, p. 4].

Più recentemente, il Signore mi ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune cristologica con il Patriarca assiro dell'Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994. Tenendo conto delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto professare insieme la vera fede in Cristo (Nota 108: cfr. Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente: L'Osservatore Romano 12 novembre 1994, p.1].

Voglio dire la mia esultanza per tutto questo con le parole della Vergine: "L'anima mia magnifica il Signore" (
Lc 1,46).

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63. Per le tradizionali controversie sulla cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci di confessare insieme quella fede che ci è comune. Ancora una volta, si deve constatare che tale importante acquisizione è sicuramente frutto della ricerca teologica e del dialogo fraterno. E non soltanto questo. Essa ci è di incoraggiamento: ci mostra, infatti, che la via percorsa è giusta e che si può ragionevolmente sperare di trovare insieme la soluzione per le altre questioni controverse.


Dialogo con le altre Chiese e Comunità ecclesiali in Occidente

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64. Nell'ampio piano tracciato per il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani, il Decreto sull'ecumenismo prende ugualmente in considerazione le relazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali d'Occidente. Con l'intento di instaurare un clima di fraternità cristiana e di dialogo, il Concilio situa le sue indicazioni nell'ambito di due considerazioni di ordine generale: l'una a carattere storico-psicologico e l'altra a carattere teologico-dottrinale. Da una parte, il suddetto documento rileva: "Le Chiese e le Comunità ecclesiali, che o in quel gravissimo sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del Medioevo o in tempi posteriori si sono separate dalla sede apostolica romana, sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta relazione, dato il lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica" (Nota 109:
UR 19].

D'altra parte, con altrettanto realismo si constata: "Bisogna pero riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo d'indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto d'interpretazione della verità rivelata" (Nota 110: Ibid. UR 19].

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65. Sono comuni le radici e sono simili, nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato in Occidente lo sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e Comunità sorte dalla Riforma. Di conseguenza esse possiedono una comune caratteristica occidentale. Le "divergenze" pur importanti sopra accennate non escludono quindi reciproche influenze e complementarità. Il movimento ecumenico ha preso avvio proprio nell'ambito delle Chiese e Comunità della Riforma. Contemporaneamente, e già nel gennaio del 1920, il Patriarcato ecumenico aveva espresso l'auspicio che si organizzasse una collaborazione tra le Comunioni cristiane. Questo fatto mostra che l'incidenza dello sfondo culturale non è decisiva. Essenziale è invece la questione della fede. La preghiera di Cristo, nostro unico Signore, Redentore e Maestro, parla a tutti nello stesso modo, all'Oriente come all'Occidente. Essa diventa un imperativo che impone di abbandonare le divisioni per ricercare e ritrovare l'unità, sospinti anche dalle stesse amare esperienze della divisione.

UR 66

66. Il Concilio Vaticano II non intende fare la "descrizione" del cristianesimo del "dopo Riforma", poiché le Chiese e le Comunità ecclesiali "differiscono non solo da noi, ma anche non poco tra di loro" e questo "per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale" (Nota 111: Ibid., UR 19].

Inoltre, lo stesso Decreto osserva che il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non è ancora invalso dappertutto (Nota 112: cfr. ibid. UR 19]. Indipendentemente da queste circostanze, pero, il Concilio propone il dialogo. Il Decreto conciliare cerca poi di "mettere in risalto alcuni punti che possono (...] costituire il fondamento di questo dialogo ed un incitamento ad esso" (Nota 113: Ibid. UR 19]. "Il nostro pensiero si rivolge (...] a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo" (Nota 114: Ibid., UR 20]. Questi fratelli coltivano amore e venerazione per le Sacre Scritture: "Invocando lo Spirito Santo, essi cercano nelle stesse Scritture Dio che parla ad essi in Cristo, preannunciato dai Profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo e quanto il Divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della sua morte e della sua resurrezione (...]; essi affermano la divina autorità dei libri sacri" (Nota 115: Ibid., UR 21]. Allo stesso tempo, pero, "pensano diversamente da noi (...] circa il rapporto tra le Sacre Scritture e la Chiesa, nella quale, secondo la fede cattolica, il Magistero autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta" (Nota 116: Ibid. UR 21].

Malgrado ciò, "la Sacra Scrittura nello stesso dialogo (ecumenico] costituisce l'eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini" (Nota 117: Ibid. UR 21].

Inoltre, il sacramento del Battesimo che abbiamo in comune rappresenta "il vincolo sacramentale dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" (Nota 118: Ibid., UR 22]. Le implicazioni teologiche, pastorali ed ecumeniche del comune Battesimo sono molte ed importanti. Sebbene di per sé costituisca "soltanto l'inizio e l'esordio", questo sacramento "è ordinato all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione eucaristica" (Nota 119: Ibid. UR 22].

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67. Divergenze dottrinali e storiche del tempo della Riforma sono emerse a proposito della Chiesa, dei sacramenti e del Ministero ordinato. Il Concilio richiede pertanto che "la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano l'oggetto del dialogo" (Nota 120: Ibid,
UR 22; cfr. UR 20]. Il Decreto Unitatis redintegratio, rilevando come alle Comunità del dopo Riforma faccia difetto la "piena unità con noi, derivante dal Battesimo", osserva che esse, "special- mente per la mancanza del sacramento dell'Ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico", anche se "nella Santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa" (Nota 121: Ibid., UR 22].

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68. Il Decreto non dimentica la vita spirituale e le conseguenze morali: "La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo ed è aiutata dalla grazia del Battesimo e dall'ascolto della parola di Dio. Si manifesta nella preghiera privata, nella meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della comune liturgia antica" (Nota 122: Ibid.,
UR 23]. Il documento conciliare, peraltro, non si limita a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma estende il suo apprezzamento al vivo sentimento della giustizia e alla sincera carità verso il prossimo, che sono presenti in questi fratelli; esso inoltre non dimentica le loro iniziative per rendere più umane le condizioni sociali della vita e per ristabilire la pace. Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola di Cristo quale sorgente della vita cristiana. In tal modo il testo rileva una problematica che, in campo etico-morale, diventa sempre più urgente nel nostro tempo: "Molti fra i cristiani non sempre (...] intendono il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici" (Nota 123: Ibid. UR 23]. In questa vasta materia vi è un grande spazio di dialogo attorno ai principi morali del Vangelo e alle loro applicazioni.

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69. Gli auspici e l'invito del Concilio Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente avviato il dialogo teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità cristiane mondiali d'Occidente. D'altra parte, per il dialogo multilaterale, già nel 1964 si iniziava il processo di costituzione di un "Gruppo Misto di Lavoro" con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e, dal 1968, dei teologi cattolici entravano a far parte, come membri a pieno titolo, del Dipartimento teologico di detto Consiglio, la Commissione "Fede e Costituzione". Il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse. I temi suggeriti dal Decreto conciliare come materia di dialogo sono stati già affrontati, o lo saranno a breve scadenza.

La riflessione dei vari dialoghi bilaterali, con una dedizione che merita l'elogio di tutta la comunità ecumenica, si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo, l'Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l'autorità della Chiesa, la successione apostolica. Si sono delineate così delle prospettive di soluzione insperate e nel contempo si è compreso come fosse necessario scandagliare più profondamente alcuni argomenti.

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70. Tale ricerca difficile e delicata, che implica problemi di fede e rispetto della propria coscienza e di quella dell'altro, è stata accompagnata e sostenuta dalla preghiera della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.

La preghiera per l'unità, già così radicata e diffusa nel tessuto connettivo ecclesiale, mostra che ai cristiani non sfugge l'importanza della questione ecumenica. Proprio perché la ricerca della piena unità esige un confronto di fede fra credenti che si riferiscono all'unico Signore, la preghiera è la fonte dell'il luminazione sulla verità da accogliere tutta intera. Inoltre, attraverso la preghiera, la ricerca dell'unità, lungi dall'essere confinata nell'ambito di specialisti, si estende ad ogni battezzato. Tutti, indipendentemente dal loro ruolo nella Chiesa e dalla loro formazione culturale, possono dare un contributo attivo, in una dimensione misteriosa e profonda.


Relazioni ecclesiali

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71. Bisogna rendere grazie alla Divina Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano il progresso sulla via della ricerca dell'unità. Accanto al dialogo teologico vanno opportunamente menzionate le altre forme d'incontro, la preghiera comune e la collaborazione pratica. Papa Paolo VI ha dato un forte impulso a questo processo con la sua visita alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, avvenuta il 10 giugno 1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti di varie Chiese e Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente a far migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità cristiana. Papa Giovanni Paolo I, durante il suo tanto breve pontificato, espresse la volontà di continuare il cammino (Nota 124: cfr. Radiomessaggio Urbi et Orbi (27 agosto 1978): AAS 70 (1978),695-696]. Il Signore ha concesso a me di operare in questa direzione. Oltre agli importanti incontri ecumenici a Roma, una parte significativa delle mie visite pastorali è regolarmente dedicata alla testimonianza a favore dell'unità dei cristiani. Alcuni dei miei viaggi mostrano perfino una "priorità" ecumenica, specie nei paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una minoranza rispetto alle Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime rappresentano una considerevole porzione dei credenti in Cristo di una data società.

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72. Ciò vale soprattutto per i paesi europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni, e per l'America del Nord. In questo contesto, e senza voler sminuire le altre visite, meritano speciale attenzione quelle che, nel continente europeo, mi hanno condotto a due riprese in Germania, nel novembre del 1980 e nell'aprile-maggio del 1987; la visita nel Regno Unito (Inghilterra, Scozia e Galles), nel maggio-giugno del 1982; in Svizzera nel giugno del 1984; e nei Paesi scandinavi e nordici (Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda), dove mi sono recato nel giugno del 1989. Nella gioia, nel reciproco rispetto, nella solidarietà cristiana e nella preghiera, ho incontrato tanti e tanti fratelli, tutti impegnati nella ricerca della fedeltà al Vangelo. Constatare tutto questo è stato per me fonte di grande incoraggiamento. Abbiamo sperimentato la presenza del Signore tra dinoi. Vorrei a questo riguardo richiamare un atteggiamento dettato da fraterna carità ed improntato a profonda lucidità di fede che ho vissuto con intensa partecipazione. Esso si riferisce alle celebrazioni eucaristiche che ho presieduto in Finlandia ed in Svezia durante il mio viaggio nei Paesi scandinavi e nordici. Al momento della comunione, i Vescovi luterani si sono presentati al celebrante. Essi hanno voluto dimostrare con un gesto concordato il desiderio di giungere al momento in cui noi, cattolici e luterani, potremo condividere la stessa Eucaristia, e hanno voluto ricevere la benedizione del celebrante. Con amore, io li ho benedetti. Lo stesso gesto, tanto ricco di significato, è stato ripetuto a Roma, durante la messa che ho presieduto in Piazza Farnese in occasione del VI centenario della canonizzazione di santa Brigida, il 6 ottobre 1991. Ho incontrato analoghi sentimenti anche oltre oceano, in Canada, nel settembre del 1984; e specie nel settembre del 1987 negli Stati Uniti dove si avverte una grande apertura ecumenica. E il caso, per fare un esempio, dell'incontro ecumenico a Columbia, in South Carolina, l'11 settembre 1987. E per sé importante il fatto stesso che avvengono con regolarità questi incontri tra i fratelli del "dopo Riforma" ed il Papa. Sono profondamente grato perché essi mi hanno accettato di buon grado, sia i responsabili delle varie Comunità, che le Comunità nel loro insieme. Da questo punto di vista, ritengo significativa la celebrazione ecumenica della Parola, svoltasi a Columbia, ed avente come tema la famiglia.

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73. E motivo, poi, di grande gioia il constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole Chiese locali abbondino le iniziative e le azioni a favore dell'unità dei cristiani, le quali estendono le loro coinvolgenti incidenze a livello delle Conferenze episcopali, delle singole diocesi e comunità parrocchiali, come pure dei diversi ambienti e movimenti ecclesiali.

Collaborazioni realizzate

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74. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (
Mt 7,21). La coerenza e l'onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta. Il Decreto conciliare sull'ecumenismo nota che negli altri cristiani "la fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo sentimento della giustizia e la sincera carità verso il prossimo" (Nota 125: UR 23]. Quello appena delineato è un terreno fertile non soltanto per il dialogo, ma anche per un'attiva collaborazione: la "fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale, per coltivare l'educazione della gioventù, per render più umane le condizioni so ciali della vita, per ristabilire la pace universale" (Nota 126: Ibid. UR 23]. La vita sociale e culturale offre ampi spazi di collaborazione ecumenica. Sempre più spesso i cristiani si ritrovano insieme per difendere la dignità umana, per promuovere il bene della pace, l'applicazione sociale del Vangelo, per rendere presente lo spirito cristiano nelle scienze e nelle arti. Essi si ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire incontro ai bisogni e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità, l'ingiustizia sociale.

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75. Questa cooperazione, che trae ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani non è mai una mera azione umanitaria. Essa ha la sua ragione d'essere nella parola del Signore: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare" (
Mt 25,35).

Come ho già sottolineato, la cooperazione di tutti i cristiani manifesta chiaramente quel grado di comunione che già esiste tra di loro (Nota 127: cfr. ibid., UR 12]. Di fronte al mondo, l'azione congiunta dei cristiani nella società riveste allora il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa assume anche le dimensioni di un annuncio perché rivela il volto di Cristo. Le divergenze dottrinali che permangono esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche alla collaborazione. La comunione di fede già esistente tra i cristiani offre pero una solida base non soltanto alla loro azione congiunta in campo sociale, ma anche nell'ambito religioso. Questa cooperazione faciliterà la ricerca dell'unità. Il Decreto sull'ecumenismo notava che da essa "i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani" (Nota 128: Ibid. UR 12].

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76. Come non ricordare, in questo contesto, l'interesse ecumenico per la pace che si esprime nella preghiera e nell'azione con una crescente partecipazione dei cristiani ed una motivazione teologica a mano a mano più profonda? Non potrebbe essere altrimenti. Non crediamo forse noi in Gesù Cristo, Principe della pace? I cristiani sono sempre più compatti nel rifiutare la violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all'ingiustizia sociale. Siamo chiamati ad un impegno sempre più attivo, perché appaia ancora più chiaramente che le motivazioni religiose non sono la vera causa dei conflitti in corso, anche se, purtroppo, non è scongiurato il rischio di strumentalizzazioni a fini politici e polemici. Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata Mondiale di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali hanno invocato con una sola voce il Signore della storia per la pace nel mondo. In quel giorno, in modo distinto ma parallelo, hanno pregato per la pace anche gli Ebrei e i Rappresentanti delle religioni non cristiane, in una sintonia di sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più profonde dello spirito umano. Né vorrei dimenticare la Giornata di preghiera per la pace in Europa specialmente nei Balcani, che mi ha ricondotto pellegrino nella città di san Francesco il 9 e 10 gennaio 1993 e la Messa per la pace nei Balcani e in particolare nella Bosnia-Erzegovina, che ho presieduto il 23 gennaio 1994 nella Basilica di San Pietro e nel contesto della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Quando il nostro sguardo percorre il mondo, la gioia invade il nostro animo.

Constatiamo infatti che i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della pace. Essi la considerano strettamente connessa con l'annuncio del Vangelo e con l'avvento del Regno di Dio.


III. QUANTA EST NOBIS VIA?

Continuare ed intensificare il dialogo

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77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci separa ancora dal quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristia del Signore. La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati. In vista di questa mèta, tutti i risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se promettente e positiva.

78
78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione dell'unità voluta da Dio.

La tendenza verso una tale unità è espressa anche da altri (Nota 129: Il paziente lavoro della Commissione "Fede e Costituzione" è pervenuto ad una visione analoga, che la VII Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese ha fatto sua nella dichiarazione detta di Canberra (7-20 febbraio 1991, cfr. Signs of the Spirit, Official report, Seventh Assembly, WCC, Geneva 1991, pp. 235-258) e che è stata riaffermata dalla Conferenza mondiale di "Fede e Costituzione" a Santiago de Compostela (3-14 agosto 1993, cfr. Service d'information 85 (1994],18-38)].

L'ecumenismo implica che le Comunità cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze dell'"eredità tramandata dagli Apostoli" (Nota 130:
UR 14]. Senza di ciò, la piena comunione non sarà mai possibile. Questo vicendevole aiuto nella ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica. La ricerca dell'unità si è espressa nei vari documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo. In tali testi si tratta del Battesimo, dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità partendo da una certa unità fondamentale di dottrina. Da tale unità fondamentale, ma parziale, si deve ora passare all'unità visibile necessaria e sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica. Questo cammino verso l'unità visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa voluta da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna non imporre altri obblighi all'infuori degli indispensabili (cfr. Ac 15,28).

79
79. Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l'insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.

In questo coraggioso cammino verso l'unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa (Nota 131: cfr. Ibid.,
UR 4 UR 11]. Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per l'unità ed ancor più l'opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a vedere tutto al negativo. Mantenere una visione dell'unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata non significa mettere un freno al movimento ecumenico (Nota 132: cfr. Discorso ai Cardinali e alla Curia Romana (28 giugno 1985), 6: AAS 77 (1985),1153]. Al contrario significa evitargli di accomodarsi in soluzioni apparenti, che non perverrebbero a nulla di stabile e di solido (Nota 133: cfr. ibid. UR 4]. L'esigenza della verità deve andare fino in fondo. E non è forse questa la legge del Vangelo?

Ricezione dei risultati raggiunti

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80. Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino ad ora raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così i legami di comunione, occorre un serio esame che, in modi, forme e competenze diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti di questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l'universale consenso, che si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto sulla Chiesa
LG 12].

E lo stesso Spirito che assiste il Magistero e suscita il sensus fidei.

Per recepire i risultati del dialogo occorre pertanto un ampio ed accurato processo critico che li analizzi e ne verifichi con rigore la coerenza con la Tradizione di fede ricevuta dagli Apostoli e vissuta nella comunità dei credenti radunata attorno al Vescovo, suo legittimo Pastore.

81
81. Questo processo, che si dovrà fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone competenti. Di grande rilievo, a tal fine, è il contributo che i teologi e le facoltà di teologia sono chiamati ad offrire in adempimento al loro carisma nella Chiesa. E chiaro, inoltre, che le commissioni ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti del tutto singolari. L'intero processo è seguito ed aiutato dai Vescovi e dalla Santa Sede. L'autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio definitivo. In tutto questo, sarà di grande aiuto attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito della fede e la formulazione in cui esso è espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in apertura del Concilio Vaticano II (Nota 135: cfr. AAS 54 (1962),792].


Continuare l'ecumenismo spirituale e testimoniare la santità

82
82. Si comprende come la gravità dell'impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare "dialogo della conversione", nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l'Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo. Certamente, in questa relazione di conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso, di penitenza e di fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità che è Cristo, si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio ecumenico. Il "dialogo della conversione" di ogni comunità con il Padre, senza indulgenze per se stessa, è il fondamento di relazioni fraterne che siano una cosa diversa da una cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore. I legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo Gesù. Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena (Nota 136: cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo
UR 6], che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.

83
83. Ho parlato della volontà del Padre, dello spazio spirituale in cui ogni comunità ascolta l'appello ad un superamento degli ostacoli all'unità. Ebbene, tutte le Comunità cristiane sanno che una tale esigenza, un tale superamento, per mezzo della forza che dà lo Spirito, non sono fuori della loro portata. Tutte, infatti, hanno dei martiri della fede cristiana (Nota 137: cfr. ibid.,
UR 4; Paolo VI, Omelia per la canonizzazione dei martiri ugandesi (18 ottobre 1964): AAS 56 (1964),906].

Malgrado il dramma della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da poter arrivare fino all'effusione del sangue. Ma non è forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho qualificato come "dialogo della conversione"? Non è proprio questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo all'esperienza di verità per la piena comunione?

84
84. In una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune.

Esso comprende anche i martiri del nostro secolo, più numerosi di quanto non si pensi, e mostra come, ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita (Nota 138: cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994),
TMA 37: AAS 87 (1995),29-30; Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), VS 93: AAS 85 (1993),1207].

Se si può morire per la fede, ciò dimostra che si può raggiungere la mèta quando si tratta di altre forme della stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr. Ep 2,13).

Se per tutte le Comunità cristiane i martiri sono la prova della potenza della grazia, essi non sono tuttavia i soli a testimoniare di tale potenza. Sebbene in modo invisibile, la comunione non ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una esistenza fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzitutto questa realtà della santità (Nota 139: cfr. Paolo VI, Discorso tenuto all'insigne santuario di Namugongo, Uganda (2 agosto 1969): AAS 61 (1969),590-591].

Nell'irradiazione che emana dal "patrimonio dei santi" appartenenti a tutte le Comunità, il "dialogo della conversione" verso l'unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l'umanità. Come cantano le liturgie, "incoronando i santi, Dio incorona i suoi propri doni" (Nota 140: cfr. Missale Romanum, Praefatio de Sanctis I: "Sanctorum "coronando merita, tua dona coronans""].

Laddove esiste la sincera volontà di seguire Cristo, spesso lo Spirito sa effondere la sua grazia in sentieri diversi da quelli ordinari. L'esperienza ecumenica ci ha permesso di comprenderlo meglio. Se, nello spazio spirituale interiore che ho descritto, le Comunità sapranno veramente "convertirsi" alla ricerca della comunione piena e visibile, Dio farà per esse ciò che ha fatto per i loro santi. Egli saprà superare gli ostacoli ereditati dal passato e le condurrà sulle sue vie dove egli vuole: alla koinonia visibile che è al tempo stesso lode della sua gloria e servizio al suo disegno di salvezza.

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85. Poiché nella sua infinita misericordia, Dio può sempre trarre il bene anche dalle situazioni che recano offesa al suo disegno, possiamo allora scoprire che lo Spirito ha fatto si che le opposizioni servissero in alcune circostanze ad esplicitare aspetti della vocazione cristiana, come avviene nella vita dei santi.

Malgrado la frammentazione, che è un male da cui dobbiamo guarire, si è dunque realizzata come una comunicazione della ricchezza della grazia che è destinata ad abbellire la koinonia. La grazia di Dio sarà con tutti coloro che, seguendo l'esempio dei santi, si impegnano ad assecondarne le esigenze. E noi, come possiamo esitare a convertirci alle attese del Padre? Egli è con noi.



Ut unum sint 62