Redemptoris custos IT




Esortazione apostolica "Redemptoris Custos" sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa

Ai Vescovi ai sacerdoti e ai diaconi ai religiosi e alle religiose a tutti i fedeli

Introduzione

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1. Chiamato ad essere il custode del redentore, "Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sè la sua sposa" (
Mt 1,24).

Ispirandosi al Vangelo, i padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedico con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Irenaei, "Adversus haereses", IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694), così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine santa è figura e modello.

Nel centenario della pubblicazione dell'epistola enciclica "Quamquam Pluries" di papa Leone XIII (die 15 aug. 1889: "Leonis XIII P. M. Acta", IX [1890] 175-182) e nel solco della plurisecolare venerazione per san Giuseppe, desidero offrire alla vostra considerazione, cari fratelli e sorelle, alcune riflessioni su colui al quale Dio "affido la custodia dei suoi tesori più preziosi" (S. Rituum Congreg., "Quemadmodum Deus", die 8 dec. 1870: "Pii IX P. M. Acta", pars I, vol. V, 282; Pii IX, "Inclytum Patriarcham", die 7 iul. 1871: "l. c." 331-335). Con gioia compio questo dovere pastorale, perché crescano in tutti la devozione al patrono della Chiesa universale e l'amore al Redentore, che egli esemplarmente servi.

In tal modo l'intero popolo cristiano non solo ricorrerà con maggior fervore a san Giuseppe e invocherà fiduciosamente il suo patrocinio, ma terrà sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di "partecipare" all'economia della salvezza (cfr. S. Ioannis Chrysostomi, "In Matth. Hom.", V, 3: PG 57, 57s; Dottori della Chiesa e Sommi Pontefici, anche in base all'identità del nome, hanno indicato il prototipo di Giuseppe di Nazareth in Giuseppe d'Egitto per averne in qualche modo adombrato il ministero e la grandezza di custode dei più preziosi tesori di Dio Padre, il Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre: cfr. v. g., S. Bernardi, "Super "Missus est" Hom.", II, 16: "S. Bernardi Opera", IV, 33s; Leonis XII, "Quamquam Pluries", die 15 aug. 1889: "l. c." 179).

Ritengo, infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l'umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell'ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione.

Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazaret "partecipo" come nessun'altra persona umana, ad eccezione di Maria, la madre del Verbo incarnato.

Egli vi partecipo insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l'eterno Padre "ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ep 1,5).


I - Il quadro evangelico Il matrimonio con Maria

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2. "Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (
Mt 1,20-21).

In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i padri della Chiesa.

L'evangelista Matteo spiega il significato di questo momento, delineando anche come Giuseppe lo ha vissuto. Tuttavia, per comprenderne pienamente il contenuto ed il contesto, è importante tener presente il passo parallelo del Vangelo di Luca. Infatti, riferendoci al versetto che dice: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovo incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18), l'origine della gravidanza di Maria "per opera dello Spirito Santo" trova una descrizione più ampia ed esplicita in quel che leggiamo in Luca circa l'Annunciazione della nascita di Gesù: "L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,26-27). Le parole dell'angelo: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28), provocarono un turbamento interiore in Maria ed insieme la spinsero a riflettere. Allora il messaggero tranquillizza la Vergine ed al tempo stesso le rivela lo speciale disegno di Dio a suo riguardo: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai e partorirai un figlio, e lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre" (Lc 1,30-32).

L'Evangelista aveva poco prima affermato che, al momento dell'Annunciazione, Maria era "promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe". La natura di queste "nozze" viene spiegata indirettamente, quando Maria, dopo aver udito ciò che il messaggero aveva detto della nascita del Figlio, chiede: "Come avverrà questo? Non conosco uomo" (Lc 1,34). Allora le giunge questa risposta: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35). Maria, anche se già "sposata" con Giuseppe, rimarrà vergine, perché il bambino, concepito in lei sin dall'Annunciazione, era concepito per opera dello Spirito Santo.

A questo punto il testo di Luca coincide con quello di Matteo (Mt 1,18) e serve a spiegare ciò che in esso leggiamo. Se, dopo le nozze con Giuseppe, Maria "si trovo incinta per opera dello Spirito Santo", questo fatto corrisponde a tutto il contenuto dell'Annunciazione e, in particolare, alle ultime parole pronunciate da Maria: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Rispondendo al chiaro disegno di Dio, Maria col trascorrere dei giorni e delle settimane si rivela davanti alla gente e davanti a Giuseppe come "incinta", come colei che deve partorire e porta in sé il mistero della maternità.

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3. In queste circostanze "Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (
Mt 1,19). Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla "mirabile" maternità di Maria. Certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da quella situazione per lui difficile. "Mentre dunque stava pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te, Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati"" (Mt 1,20-21).

Esiste una stretta analogia tra l'"Annunciazione" del testo di Matteo e quella del testo di Luca. Il messaggero divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei che secondo la legge è la sua "sposa", rimanendo vergine, è divenuta madre in virtù dello Spirito Santo. E quando il Figlio, portato in grembo da Maria, verrà al mondo, dovrà ricevere il nome di Gesù. Era, questo, un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, pero, si tratta del Figlio che - secondo la promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.

Il messaggero si rivolge a Giuseppe come allo "sposo di Maria", a colui che a suo tempo dovrà imporre tale nome al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazaret, a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria.

"Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa" (Mt 1,24). Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostro in tal modo una disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò che Dio gli chiedeva per mezzo del suo messaggero.

II - Il depositario del mistero di Dio

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4. Quando Maria, poco dopo l'Annunciazione, si reco nella casa di Zaccaria per visitare la parente Elisabetta, udi, proprio mentre la salutava, le parole pronunciate da Elisabetta "piena di Spirito Santo" (
Lc 1,41). Oltre alle parole che si ricollegavano al saluto dell'angelo nell'Annunciazione, Elisabetta disse: "E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Queste parole sono state il pensiero-guida dell'enciclica "Redemptoris Mater", con la quale ho inteso approfondire l'insegnamento del Concilio Vaticano II che afferma: "La beata Vergine avanzo nella peregrinazione della fede e serbo fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce" (LG 58), "andando innanzi" (cfr. LG 63) a tutti coloro che mediante la fede seguono Cristo.

Ora, all'inizio di questa peregrinazione la fede di Maria si incontra con la fede di Giuseppe. Se Elisabetta disse della Madre del Redentore: "Beata colei che ha creduto", si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla Parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Per la verità, Giuseppe non rispose all'"annuncio" dell'angelo come Maria, ma "fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa". Ciò che egli fece è purissima "obbedienza della fede" (cfr. Rm 1,5 Rm 16,26 2Co 10,5-6).

Si può dire che quello che Giuseppe fece lo uni in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accetto come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettato nell'Annunciazione. Il Concilio insegna: "A Dio che rivela è dovuta "l'obbedienza della fede", per la quale l'uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio, prestandogli il "pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" e assentendo volontariamente alla rivelazione da lui fatta" (DV 5). La frase sopracitata, che tocca l'essenza stessa della fede, si applica perfettamente a Giuseppe di Nazaret.

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5. Egli, pertanto, divenne un singolare depositario del mistero "nascosto da secoli nella mente di Dio" (cfr.
Ep 3,9), come lo divenne Maria, in quel momento decisivo che dall'Apostolo è chiamato "la pienezza del tempo", allorché "Dio mando il suo Figlio, nato da donna" per "riscattare coloro che erano sotto la legge", perché "ricevessero l'adozione a figli" (cfr. Ga 4,4-5). "Piacque a Dio - insegna il Concilio - nella sua bontà e sapienza di rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ep 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ep 2,18 2P 1,4)" (DV 2).

Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria - ed anche in relazione a Maria - egli partecipa a questa fase culminante dell'autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina Annunciazione. Egli è anche colui che è posto per primo da Dio sulla via della "peregrinazione della fede", sulla quale Maria - soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste - andrà innanzi in modo perfetto (cfr. LG 63).

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6. La via propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della fede si concluderà prima, cioè prima che Maria sosti ai piedi della Croce sul Golgota e prima che ella - ritornato Cristo al Padre - si ritrovi nel Cenacolo della Pentecoste nel giorno della manifestazione al mondo della Chiesa, nata nella potenza dello Spirito di verità. Tuttavia, la via della fede di Giuseppe segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario. L'Incarnazione e la Redenzione costituiscono un'unità organica ed indissolubile, in cui l'"economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro" (
DV 2). Proprio per questa unita papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per san Giuseppe, stabili che nel canone romano della Messa, memoriale perpetuo della Redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di Maria, e prima degli apostoli, dei Sommi Pontefici e dei martiri (cfr. S. Rituum Congreg., "Novis hisce temporibus, die 13 nov. 1962: AAS 54 [1962]).

Il servizio della paternità

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7. Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. E' per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo di Maria. Ne segue che la paternità di Giuseppe - una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cfr. Rm 8,28s) - passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia.

Gli evangelisti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la verginità (cfr.
Mt 1,18-24 Lc 1,26-34), chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cfr. Mt 1,16 Mt 1,18-20 Mt 1,24 Lc 1,27 Lc 2,5).

Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe. Di qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe. "Perché - si chiede santo Agostino - non lo dovevano essere attraverso Giuseppe? Non era forse Giuseppe il marito di Maria? (...) La Scrittura afferma, per mezzo dell'autorità angelica, che egli era il marito. Non temere, dice, di prendere con te Maria come tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Gli viene ordinato di imporre il nome al bambino, benché non nato dal suo seme. Ella, dice, partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. La Scrittura sa che Gesù non è nato dal seme di Giuseppe, poiché a lui preoccupato circa l'origine della gravidanza di lei è detto: viene dallo Spirito Santo. E tuttavia non gli viene tolta l'autorità paterna, dal momento che gli è ordinato di imporre il nome al bambino. Infine, anche la stessa Vergine Maria, ben consapevole di non aver concepito Cristo dall'unione coniugale con lui, lo chiama tuttavia padre di Cristo" ("Sermo 51", 10, 16: PL 38, 342).

Il Figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del vincolo matrimoniale che li unisce: "A motivo di quel matrimonio fedele meritarono entrambi di essere chiamati genitori di Cristo, non solo quella madre, ma anche quel suo padre, allo stesso modo che era coniuge di sua madre, entrambi per mezzo della mente, non della carne" (S. Augustini, "De nuptiis et concupiscentia" I, 11, 12: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, "De consensu evangelistarum", II, 1, 2: PL 34, 1071; Eiusdem, "Contra Faustum", III, 2: PL 42, 214). In tale matrimonio non manco nessuno dei requisiti che lo costituiscono: "In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c'è nessun adulterio; il sacramento, perché non c'è nessun divorzio" (S. Augustini, "De nuptiis et concupiscentia", I, 11, 13: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, "Contra Iulianum", V, 12, 46: PL 44, 810).

Analizzando la natura del matrimonio, sia sant'Agostino che san Tommaso la collocano costantemente nell'"indivisibile unione degli animi", nell'"unione dei cuori", nel "consenso" (S. Augustini, "Contra Faustum", XXIII, 8: PL 42, 470s; Eiusdem, "De consensu evangelistarum", II, 1, 3: PL 34, 1072; Eiusdem, "Sermo 51", 13, 21: PL 38, 344s; S. Thomae, III 29,2, in conclus.), elementi che in quel matrimonio si sono manifestati in modo esemplare.

Nel momento culminante della storia della salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l'umanità mediante il dono del Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena "libertà" il "dono sponsale di sé" nell'accogliere ed esprimere un tale amore (cfr. "", III, 1 [1980] 88-92.148-152.428-431). "In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch'esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all'inizio dell'Antico, c'è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l'opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell'amore e questa culla della vita" (Pauli VI, "Allocutio ad Motum "Equipes Notre-Dame", 7, die 4 maii 1970: Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 428. Luades Familiae Nazarethanae, quae domesticae communitatis perfectum habendum est exemplar, similes inveniuntur, v. g., apud Leonis XIII, "Neminem Fugit", die 14 iun. 1892: "Leonis XIII P. M. Acta", XII [1892] 149s; apud Benedicti XV, "Bonum Sane", die 25 iul. 1920: AAS 12 [1920] 313-317).

Quanti insegnamenti da ciò derivano oggi per la famiglia! Poiché "l'essenza ed i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore" e "la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa" ("Familairis Consortio", 17), e nella santa Famiglia, in questa originaria "Chiesa domestica" (FC 49; cfr. LG 11; AA 11) che tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, "per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l'esempio di tutte le famiglie cristiane" (FC 85).

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8. San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente "ministro della salvezza" (cfr. S. Ioannis Chrysostomi, "In Matth. Hom.", V, 3: PG 57, 57s). La sua paternità si è espressa concretamente "nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa" ("Insegnamenti di Paolo VI", IV [1966] 110).

La liturgia, ricordando che sono stati affidati "alla premurosa custodia di san Giuseppe gli inizi della nostra redenzione" ("Missale Romanum", Collecta "in Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.V.M") precisa anche che "Dio lo ha messo a capo della sua famiglia, come servo fedele e prudente, affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito" ("Missale Romanum", Praefatio "in Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.V.M."). Leone XIII sottolinea la sublimità di questa missione: "Egli tra tutti si impone nella sua augusta dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell'opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio.

Donde conseguiva che il Verbo di Dio fosse sottomesso a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell'onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre" ("Quamquam Pluries", die 15 aug. 1889: "Leonis XIII P. M. Acta", IX [1890] 178).

Poiché non è concepibile che a un compito così sublime non corrispondano le qualità richieste per svolgerlo adeguatamente, bisogna riconoscere che Giuseppe ebbe verso Gesù "per speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere" (Pii XII, "Nuntius radiophonicus ad alumnos transmissus in Scholis Catholicis Foederatarum Americae Civitatum discentes", die 19 febr. 1958: AAS 50 [1958] 174).

Con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre, "dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra" (
Ep 3,15).

Nei Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù. Difatti, la salvezza, che passa attraverso l'umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare, rispettando quella "condiscendenza" inerente all'economia dell'Incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia svolto secondo un piano divinamente prestabilito. La formula spesso ripetuta: "così avvenne, affinché si adempissero..." e il riferimento dell'avvenimento descritto a un testo dell'antico testamento tendono a sottolineare l'unità e la continuità del progetto, che raggiunge in Cristo il suo compimento.

Con l'Incarnazione le "promesse" e le "figure" dell'antico testamento divengono "realtà": luoghi, persone, avvenimenti e riti si intrecciano secondo precisi ordini divini, trasmessi mediante il ministero angelico e recepiti da creature particolarmente sensibili alla voce di Dio. Maria è l'umile serva del Signore, preparata dall'eternità al compito di essere madre di Dio; Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere "l'ordinatore della nascita del Signore" (Origenis, "Hom. XIII in Lucam" 7: S. Ch. 87, 214), colui che ha l'incarico di provvedere all'inserimento "ordinato" del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta "privata" o "nascosta" di Gesù è affidata alla sua custodia.

Il censimento

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9. Recandosi a Betlemme per il censimento in ossequio alle disposizioni della legittima autorità, Giuseppe adempi nei riguardi del Bambino il compito importante e significativo di inserire ufficialmente il nome "Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret" (cfr.
Jn 1,45) nell'anagrafe dell'impero. Tale iscrizione manifesta in modo palese l'appartenenza di Gesù al genere umano, uomo fra gli uomini, cittadino di questo mondo, soggetto alle leggi e istituzioni civili, ma anche "salvatore del mondo". Origene descrive bene il significato teologico inerente a questo fatto storico, tutt'altro che marginale: "Poiché il primo censimento di tutta la terra avvenne sotto Cesare Augusto, e tra tutti gli altri anche Giuseppe si fece registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta, poiché Gesù venne alla luce prima che il censimento fosse compiuto, a chi consideri con diligente attenzione sembrerà esprimere una sorte di mistero il fatto che nella dichiarazione di tutta la terra dovesse essere censito anche Cristo. In tal modo, con tutti registrato, tutti egli poteva santificare, con tutta la terra inscritto nel censimento, alla terra offriva la comunione con sè, e dopo questa dichiarazione tutti gli uomini della terra scriveva nel libro dei viventi, onde quanti avessero creduto in lui, fossero poi inscritti nel cielo con i Santi di colui a cui è la gloria e l'impero nei secoli dei secoli. Amen" ("Hom. XI in Lucam", 6: S. Ch. 87, 194 et 196).

La nascita a Betlemme

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10. Quale depositario del mistero "nascosto da secoli nella mente di Dio", e che comincia a realizzarsi davanti ai suoi occhi "nella pienezza del tempo", Giuseppe è insieme con Maria, nella notte di Betlemme, testimone privilegiato della venuta del Figlio di Dio nel mondo. così scrive Luca: "Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (
Lc 2,6-7).

Giuseppe fu testimone oculare di questa nascita, avvenuta in condizioni umanamente umilianti, primo annuncio di quella "spoliazione" (cfr. Ph 2,5-8), a cui Cristo liberamente accondiscese per la remissione dei peccati. Nello stesso tempo egli fu testimone dell'adorazione dei pastori, giunti sul luogo della nascita di Gesù dopo che l'angelo aveva recato loro questa grande, lieta notizia (cfr. Lc 2,15-16); più tardi fu anche testimone dell'omaggio dei magi, venuti dall'Oriente (cfr. Mt 2,11).

La circoncisione

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11. Essendo la circoncisione del figlio il primo dovere religioso del padre, Giuseppe con questo rito (cfr.
Lc 2,21) esercita il suo diritto-dovere nei riguardi di Gesù.

Il principio secondo il quale i riti dell'antico testamento sono l'ombra della realtà (cfr. He 9,9s; 10,1), spiega perché Gesù li accetti. Come per gli altri riti, anche quello della circoncisione trova in Gesù il "compimento".

L'alleanza di Dio con Abramo, di cui la circoncisione era segno (cfr. Gn 17,13), raggiunge in Gesù il suo pieno effetto e la sua perfetta realizzazione, essendo Gesù il "si" di tutte le antiche promesse (cfr. 2Co 1,20).

L'imposizione del nome

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12. In occasione della circoncisione, Giuseppe impone al bambino il nome di Gesù.

Questo nome è il solo nel quale si trova la salvezza (cfr.
Ac 4,12); ed a Giuseppe ne era stato rivelato il significato al momento della sua "annunciazione": "E tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai i suoi peccati" (Mt 1,21). Imponendo il nome, Giuseppe dichiara la propria legale paternità su Gesù e, pronunciando il nome, proclama la di lui missione di salvatore.

La presentazione di Gesù al tempio

13 13. Questo rito, riferito da Luca (2,22s), include il riscatto del primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel tempio.

Il riscatto dei primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell'alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero "prezzo" del riscatto (cfr.
1Co 6,20 1Co 7,23 1P 1,19), non solo "compie" il rito dell'antico testamento, ma nello stesso tempo lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l'autore stesso del riscatto.

L'Evangelista rileva che "il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui" (Lc 2,33) e, in particolare, di ciò che disse Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la "salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli" e "luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele" e, più avanti, anche come "segno di contraddizione" (cfr. Lc 2,30-34).

La fuga in Egitto

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14. Dopo la presentazione al tempio l'evangelista Luca annota: "Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui" (
Lc 2,39-40).

Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: "Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertiro, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo"" (Mt 2,13).

In occasione della venuta dei magi dall'Oriente, Erode aveva saputo della nascita del "re dei Giudei" (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli "mando ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù" (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato "re dei Giudei", del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l'avvertimento, "prese con sè il bambino e sua madre nella notte e fuggi in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio"" (Mt 2,14-15 cfr. Os 11,1).

In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passo attraverso l'Egitto. Come Israele aveva preso la via dell'esodo "dalla condizione di schiavitù" per iniziare l'antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.

La permanenza di Gesù al tempio

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15. Dal momento dell'Annunciazione Giuseppe insieme con Maria si trovo in un certo senso nell'intimo del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio e che si era rivestito di carne: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (
Jn 1,14). Egli abito in mezzo agli uomini, e l'ambito della sua dimora fu la santa Famiglia di Nazaret - una delle tante famiglie di questa cittadina della Galilea, una delle tante famiglie della terra di Israele. Ivi Gesù cresceva e "si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui" (Lc 2,40). I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della vita "nascosta", durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica. Un solo momento è sottratto da questo "nascondimento" ed è descritto dal vangelo di Luca: la pasqua di Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni.

Gesù partecipo a questa festa come un giovane pellegrino insieme con Maria e Giuseppe. Ed ecco: "Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero" (Lc 2,43). Passato un giorno, se ne resero conto ed iniziarono le ricerche "tra i parenti e i conoscenti". "Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte" (Lc 2,46-47). Maria domanda: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo" (Lc 2,48). La risposta di Gesù fu tale che i due "non compresero le sue parole". Aveva detto: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49-50).

Udi questa risposta Giuseppe, per il quale Maria aveva appena detto "tuo padre". Difatti così tutti dicevano e pensavano: "Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe" (Lc 3,23). Nondimeno, la risposta di Gesù nel tempio doveva rinnovare nella consapevolezza del "presunto padre" ciò che questi aveva udito una notte, dodici anni prima: "Giuseppe,... non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". Già da allora egli sapeva di essere depositario del mistero di Dio, e Gesù dodicenne evoco esattamente questo mistero: "Devo occuparmi delle cose del Padre mio".

Il sostentamento e l'educazione di Gesù a Nazaret

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16. La crescita di Gesù "in sapienza, in età e in grazia" (
Lc 2,52) avvenne nell'ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di "allevare", ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre.

Nel sacrifico eucaristico la Chiesa venera la memoria anzitutto della gloriosa sempre Vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe (cfr. "Missale Romanum", "Prex Eucharistica I"), perché "nutri colui che i fedeli dovevano mangiare come pane di vita eterna" (S. Rituum Congreg., "Quemadmodum Deus", die 8 dec. 1870: "Pii IX P. M. Acta", pars I, vol V, 282).

Da parte sua, Gesù "era loro sottomesso" (Lc 2,51), ricambiando col rispetto le attenzioni dei suoi "genitori". In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del lavoro, che prestava accanto a Giuseppe.


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