Redemptoris Missio 35

A tutti i popoli, nonostante le difficoltà

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35. La missione "ad gentes" ha davanti a sé un compito immane che non è per nulla in via di estinzione. Essa, anzi, sia dal punto di vista numerico per l'aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti. Il compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i popoli appare immenso e sproporzionato rispetto alle forze umane della Chiesa.

Le difficoltà sembrano insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un'opera soltanto umana. In alcuni Paesi è proibito l'ingresso dei missionari; in altri è vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la conversione e persino il culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura culturale: la trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e la conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e della propria cultura.

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36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore Paolo VI indicava in primo luogo "la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza" (EN 80). Grandi ostacoli alla missionarietà della Chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, la scristianizzazione in Paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane, che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che "una religione vale l'altra". Possiamo aggiungere - come diceva lo stesso Pontefice - che ci sono anche "alibi che possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli, per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento del Concilio".

Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo la retta via del "sentire cum Ecclesia".

Le difficoltà interne ed esterne non debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni settore della vita cristiana - è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è possibile, dobbiamo dire: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (
Lc 17,10).

Ambiti della missione "ad gentes"

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37. La missione "ad gentes", in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della situazione.

a) Ambiti territoriali. L'attività missionaria è stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territoriale della missione "ad gentes", anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici d'azione. E' vero che a una missione universale deve corrispondere una prospettiva universale: la Chiesa, infatti, non può accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria. Ma è anche vero che l'attività missionaria "ad gentes", essendo diversa dalla cura pastorale dei fedeli e dalla nuova evangelizzazione dei non praticanti, si esercita in territori e presso gruppi umani ben delimitati.

Il moltiplicarsi delle giovani Chiese nei tempi recenti non deve illudere. Nei territori affidati a queste Chiese, specie in Asia, ma anche in Africa e in America Latina e Oceania, ci sono vaste zone non evangelizzate: interi popoli e aree culturali di grande importanza in non poche Nazioni non sono ancora raggiunte dall'annunzio evangelico e dalla presenza della Chiesa locale. Anche in Paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate al regime speciale della missione "ad gentes" con gruppi e aree non evangelizzate. Si impone, quindi, anche in questi Paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in certi casi una prima evangelizzazione.

Le situazioni, pero, non sono omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa la responsabilità missionaria della Chiesa non sono credibili se non sono autenticate da un serio impegno di nuova evangelizzazione nei Paesi di antica cristianità, non pare giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto Gesù Cristo con quella di un altro che l'ha conosciuto, accettato e poi rifiutato, pur continuando a vivere in una cultura che ha assorbito in gran parte i principi e valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto alla fede, sostanzialmente diverse.

Pertanto, il criterio geografico, anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere verso cui deve rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono Paesi e aree geografiche e culturali in cui mancano comunità cristiane autoctone; altrove queste sono talmente piccole, da non essere un segno chiaro di presenza cristiana; oppure queste comunità mancano di dinamismo per evangelizzare le loro società o appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella cultura nazionale dominante. Nel Continente asiatico, in particolare, verso cui dovrebbe orientarsi principalmente la missione "ad gentes", i cristiani sono una piccola minoranza, anche se a volte vi si verificano significativi movimenti di conversione ed esemplari modi di presenza cristiana.

b) Mondi e fenomeni sociali nuovi. Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, ad esempio, all'urbanizzazione e al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la pressione demografica. Già ora in non pochi Paesi più della metà della popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini.

Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione "ad gentes" sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. E' vero che la "scelta degli ultimi" deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire, un'umanità nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani Nazioni si sta formando nelle città.

Parlando del futuro, non si possono dimenticare i giovani, i quali in numerosi Paesi costituiscono già più della metà della popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non cristiani, che sono il futuro di interi Continenti? Evidentemente i mezzi ordinari della pastorale non bastano più: occorrono associazioni e istituzioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani. Ecco un campo, dove i moderni Movimenti ecclesiali hanno ampio spazio per impegnarsi.

Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei Paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la Chiesa all'accoglienza, al dialogo, all'aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i migranti occupano un posto del tutto particolare i rifugiati e meritano la massima attenzione. Essi sono ormai molti milioni nel mondo e non cessano di aumentare: sono fuggiti da condizioni di oppressione politica e di miseria disumana, da carestie e siccità di dimensioni catastrofiche.

La Chiesa deve assumerli nell'ambito della sua sollecitudine apostolica.

Infine, si possono ricordare le condizioni di povertà, spesso intollerabile, che vengono a crearsi in non pochi Paesi e sono spesso all'origine delle migrazioni di massa. La comunità dei credenti in Cristo è provocata da queste situazioni disumane: l'annunzio di Cristo e del regno di Dio deve diventare strumento di riscatto umano per queste popolazioni.

c) Aree culturali, o areopaghi moderni. Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago, dove annunzia il Vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell'ambiente (cfr.
Ac 17,22-31).

L'areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il Vangelo.

Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire - "un villaggio globale".

I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo areopago: si privilegiano generalmente altri strumenti per l'annunzio evangelico e per la formazione, mentre i mass-media sono lasciati all'iniziativa di singoli o di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea secondaria. L'impegno nei mass-media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione moderna. E' un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI diceva che "la rottura fra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca" (EN 20), e il campo dell'odierna comunicazione conferma in pieno questo giudizio.

Molti altri sono gli areopaghi del mondo moderno, verso cui si deve orientare l'attività missionaria della Chiesa. Ad esempio, l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato sono altrettanti settori da illuminare con la luce del Vangelo.

E' da ricordare, inoltre, il vastissimo areopago della cultura, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vita. Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti. Ecco perché organismi e convegni internazionali si dimostrano sempre più importanti in molti settori della vita umana, dalla cultura alla politica, dall'economia alla ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano in questa dimensione internazionale, debbono sempre ricordare il loro dovere di testimoniare il Vangelo.

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38. Il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall'altro si manifestano l'angosciosa ricerca di significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità, ma anche nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del "ritorno religioso" non è privo di ambiguità, ma contiene anche un invito. La Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità, in Cristo che si proclama "la via, la verità e la vita". E' il cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare.


Fedeltà a Cristo e promozione della libertà dell'uomo

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39. Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo.

La Chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la missione.

E' necessario che essa "segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui poi risorgendo usci vincitore". La Chiesa, quindi, ha il dovere di fare di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli; e ne ha anche il diritto, che le è stato dato da Dio per l'attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli. E' da auspicare che l'autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo la Chiesa si adopera nei vari Paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensi di un diritto inalienabile di ogni persona umana.

D'altra parte, la Chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si oppongono con i più vari pretesti all'attività missionaria la Chiesa ripete: Aprite le porte a Cristo! Mi rivolgo a tutte le Chiese particolari, giovani e antiche. Il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura. Benedetto XV ammoniva già i missionari del suo tempo se mai, "dimentichi della propria dignità, pensassero più alla loro patria terrestre che a quella del cielo".

La stessa raccomandazione vale oggi per le Chiese particolari: Aprite le porte ai missionari, poiché "ogni Chiesa particolare, che si separasse volontariamente dalla Chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio e si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale" (EN 62).

Rivolgere l'attenzione verso il Sud e l'Oriente 40. L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la Chiesa.

Mentre si avvicina la fine del secondo millennio della redenzione, si fa sempre più evidente che le genti che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la maggioranza dell'umanità. Il bilancio dell'attività missionaria nei tempi moderni è certo positivo: la Chiesa è stata fondata in tutti i Continenti, anzi oggi la maggioranza dei fedeli e delle Chiese particolari non è più nella vecchia Europa, ma nei Continenti che i missionari hanno aperto alla fede.

Rimane, pero, il fatto che gli "ultimi confini della terra", a cui si deve portare il Vangelo, si allontanano sempre più, e la sentenza di Tertulliano, secondo cui il Vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti i popoli, è ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione "ad gentes" è ancora agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica del Sud e dell'Oriente, in Paesi non cristiani, fa aumentare di continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo.

Bisogna, dunque, rivolgere l'attenzione missionaria verso quelle aree geografiche e quegli ambienti culturali che sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico. Tutti i credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante della loro fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la luce. Tale sollecitudine deve diventare, per così dire, fame e sete di far conoscere il Signore, quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti del mondo non cristiano.



Capitolo V - Le vie della missione

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41. "L'attività missionaria non è né più né meno che la manifestazione, o epifania, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e nella storia, nella quale Dio, proprio mediante la missione, attua all'evidenza la storia della salvezza". Quali vie segue la Chiesa per giungere a questo risultato? La missione è una realtà unitaria, ma complessa, e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della Chiesa e del mondo.


La prima forma di evangelizzazione è la testimonianza

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42. L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri (EN 41), più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, è il "testimone" per eccellenza e il modello della testimonianza cristiana. Lo Spirito Santo accompagna il cammino della Chiesa e l'associa alla testimonianza che egli rende a Cristo.

La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella Chiesa, sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, che in molti casi è l'unico modo possibile di essere missionari.

La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al Vangelo. Anche l'impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo.

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43. Il cristiano e le comunità cristiane vivono profondamente inseriti nella vita dei rispettivi popoli e sono segno del Vangelo anche nella fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura nazionale, sempre pero nella libertà che Cristo ha portato. Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale, perché tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo.

La Chiesa è chiamata a dare la sua testimonianza a Cristo assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico o economico; non cercando essa stessa gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per il servizio dei più poveri e imitando la semplicità di vita del Cristo. La Chiesa e i missionari debbono dare anche la testimonianza dell'umiltà, rivolta anzitutto verso se stessi, che si traduce nella capacità di un esame di coscienza a livello personale e comunitario, per correggere nei propri comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di Cristo.


Il primo annunzio di Cristo Salvatore

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44. L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la Chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della "buona novella" che sono amati e salvati da Dio. "L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo... la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso" (EN 27). Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo, il quale è nel cuore della missione e della vita della Chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione.

Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce "nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui" (
Ag 13) e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero.

L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la "vita nuova", divina ed eterna. E' questa la "buona novella", che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze.

In esso lo Spirito è all'opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre.

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45. Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Gli ascoltatori, prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha mandato e lo sostiene.

L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola parresia, che significa parlare con franchezza e coraggio, e questo termine ricorre anche in san Paolo: "Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte" (
1Th 2,2). "Pregate... anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una parola franca per far conoscere il mistero del Vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere".

Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui e può ripetere con gli apostoli: "Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo" (Ac 5,32). Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la "Parola di Dio", la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza.

La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i "martiri", cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori e i testimoni per eccellenza.

Conversione e battesimo

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46. L'annunzio della Parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e "confessarlo". Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (
Jn 6,44).

La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, pero, essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla "vita secondo la carne" alla "vita secondo lo Spirito" (cfr. Rm 8,3-13). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli.

A questa conversione la Chiesa chiama tutti, sull'esempio di Giovanni Battista, che preparava la via a Cristo, "predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati", e di Cristo stesso, il quale, "dopo che Giovanni fu arrestato,... si reco in Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo"" (Mc 1,4 Mc 1,14-15).

Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di "proselitismo"; si dice che basta aiutare gli uomini ad essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la "buona novella" di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: "Se tu conoscessi il dono di Dio", e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: "Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete" (Jn 4,10 Jn 4,15).

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47. Gli apostoli, mossi dallo Spirito Santo, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento della Pentecoste, Pietro parla alla folla in modo convincente: "All'udir tutto questo, si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: "Convertitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo"" (
Ac 2,37-38). E battezzo in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo la guarigione dello storpio, parla alla folla e ripete: "Convertitevi, dunque, e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati!" (Ac 3,19).

La conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte le genti e a battezzarle; lo è anche per l'intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita in lui: "In verità, in verità ti dico - Gesù dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio" (Jn 3,5). Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e la attesti, bensi è sacramento che significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del corpo di Cristo, ch'è la Chiesa.

Tutto questo va ricordato, perché non pochi, proprio dove si svolge la missione "ad gentes", tendono a scindere la conversione a Cristo dal battesimo, giudicandolo come non necessario. E' vero che in certi ambienti si notano aspetti sociologici relativi al battesimo, che ne oscurano il genuino significato di fede.

Ciò è dovuto a diversi fattori storici e culturali, che bisogna rimuovere dove ancora sussistono, affinché il sacramento della rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore: a questo compito devono dedicarsi le comunità ecclesiali locali. E' vero anche che non poche persone affermano di essere interiormente impegnate con Cristo e col suo messaggio, ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa dei loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono a percepire la vera natura della Chiesa, mistero di fede e di amore.

Desidero incoraggiare queste persone ad aprirsi pienamente a Cristo ricordando ad esse che, se sentono il fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la Chiesa come "luogo" in cui possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i fedeli e le comunità cristiane a testimoniare autenticamente Cristo con la loro vita nuova.

Certo, ogni convertito è un dono fatto alla Chiesa e comporta per essa una grave responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col catecumenato e poi seguito con l'istruzione religiosa, ma perché, specialmente se è adulto, porta come un'energia nuova, l'entusiasmo della fede, il desiderio di trovare nella Chiesa stessa il Vangelo vissuto. Sarebbe per lui una delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento. Non possiamo predicare la conversione, se non ci convertiamo noi stessi ogni giorno.

Formazione di Chiese locali

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48. La conversione e il battesimo immettono nella Chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio, a cui è piaciuto "di chiamare gli uomini a partecipare della sua stessa vita non tanto ad uno ad uno, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità" (
AGD 2).

La missione "ad gentes" ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare Chiese fino alla loro completa maturazione. E', questa, una meta centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata finché non riesce a edificare una nuova Chiesa particolare, normalmente funzionante nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il decreto "Ad Gentes" (AGD 19-22) e dopo il Concilio si è sviluppata una linea teologica per sottolineare che tutto il mistero della Chiesa è contenuto in ciascuna Chiesa particolare, purché questa non si isoli, ma rimanga in comunione con la Chiesa universale e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un grande e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe precise, in cui cessa l'azione propriamente missionaria e si passa all'attività pastorale. Ma alcuni punti debbono restare chiari.

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49. E' necessario, anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità cristiane, che siano "segno della presenza divina nel mondo" (
AGD 15) e crescano fino a divenire Chiese. Nonostante l'alto numero delle diocesi, esistono tuttora vaste aree in cui le Chiese locali sono del tutto assenti o insufficienti rispetto alla vastità del territorio e alla densità della popolazione: rimane da compiere un grande lavoro di impianto e di sviluppo della Chiesa. Questa fase della storia ecclesiale, detta "plantatio Ecclesiae" non è terminata, anzi in molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare.

La responsabilità di tale compito ricade sulla Chiesa universale e sulle Chiese particolari, su tutto il popolo di Dio e su tutte le forze missionarie.

Ogni Chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria, è evangelizzata ed evangelizzante, e la fede va sempre presentata come dono di Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie, associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola. L'azione evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale, è il segno più chiaro della maturità della fede. Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di apostolato della Chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede.

Le forze missionarie, provenienti da altre Chiese e Paesi, devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità cristiana.

In particolare, tocca ad esse - sempre secondo le direttive dei vescovi e in collaborazione con i responsabili del posto - promuovere la diffusione della fede e l'espansione della Chiesa negli ambienti e gruppi non cristiani, animare in senso missionario le Chiese locali, cosicché la preoccupazione pastorale sia sempre abbinata a quella per la missione "ad gentes". Ogni Chiesa farà allora veramente sua la sollecitudine di Cristo, buon pastore, che si prodiga per il suo gregge, ma al tempo stesso pensa alle "altre pecore che non sono di quest'ovile" (Jn 10,16).

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50. Tale sollecitudine costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria rendono necessario considerare due fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che "la divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede". Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi verso l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra parte, è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, tra loro. E' su questa base che si fonda l'orientamento dato dal Concilio: "I cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, mediante una comune - per quanto possibile - professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, mediante la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull'ecumenismo" (
AGD 6).

L'attività ecumenica e la testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani appartenenti a differenti Chiese e comunità ecclesiali, hanno già recato abbondanti frutti. Ma è sempre più urgente che essi collaborino e testimonino insieme in questo tempo nel quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione con la loro azione. L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la Chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.


Redemptoris Missio 35