Sacramentum caritatis IT 65


Adorazione e pietà eucaristica

Il rapporto intrinseco tra celebrazione e adorazione


66 Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole, sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo ».(191) Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri ».(193)

(191) Enarrationes in Psalmos 98,9: CCL XXXIX, 1385; cfr Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 44-45.
(192) Cfr Propositio 6.
(193) Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 45.


La pratica dell'adorazione eucaristica


67 Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.

Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.

(194) Cfr Propositio 6; Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), nn. 164-165, Città del Vaticano 2002, pp.137-139; Sacra Congregazione dei Riti, Istr. Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967): AAS 57 (1967), 539-573.


Forme di devozione eucaristica


68 Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell'altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)

(195) Cfr Relatio post disceptationem, 11: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, p. 5.


Il luogo del tabernacolo nella chiesa


69 In relazione all'importanza della custodia eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.

(196) Cfr Propositio 28.
(197) Cfr n. 314.


TERZA PARTE

EUCARISTIA, MISTERO DA VIVERE

« Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre,

così anche colui che mangia di me vivrà per me » (Jn 6,57)




Forma eucaristica della vita cristiana

Il culto spirituale – logiké latreía

(Rm 12,1)


70 Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che « chi mangia di questo pane vivrà in eterno » (Jn 6,51). Ma questa « vita eterna » inizia in noi già in questo tempo attraverso il cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: « Colui che mangia di me vivrà per me » (Jn 6,57). Queste parole di Gesù ci fanno capire come il mistero « creduto » e « celebrato » possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell'esistenza cristiana. Comunicando al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e consapevole. Vale anche qui quanto sant'Agostino, nelle sue Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell'anima: mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore immagina di sentirsi dire: « Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me ».(198) Infatti non è l'alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; « ci attira dentro di sé ».(199)

La Celebrazione eucaristica appare qui in tutta la sua forza quale fonte e culmine dell'esistenza ecclesiale, in quanto esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logiké latreía.(200) Le parole di san Paolo ai Romani a questo proposito sono la formulazione più sintetica di come l'Eucaristia trasformi tutta la nostra vita in culto spirituale gradito a Dio: « Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale » (Rm 12,1). In questa esortazione emerge l'immagine del nuovo culto come offerta totale della propria persona in comunione con tutta la Chiesa. L'insistenza dell'Apostolo sull'offerta dei nostri corpi sottolinea l'umana concretezza di un culto tutt'altro che disincarnato. Ancora il Santo di Ippona a questo proposito ci ricorda che « questo è il sacrificio dei cristiani, l'essere cioè molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col Sacramento dell'altare, che i fedeli ben conoscono, e nel quale le si mostra chiaramente che nella cosa che si offre essa stessa è offerta ».(201) La dottrina cattolica, infatti, afferma che l'Eucaristia, in quanto sacrificio di Cristo, è anche sacrificio della Chiesa, e quindi dei fedeli.(202) L'insistenza sul sacrificio – « fare sacro » – dice qui tutta la densità esistenziale implicata nella trasformazione della nostra realtà umana afferrata da Cristo (cfr Ph 3,12).

(198) VII, 10, 16: PL 32, 742.
(199) Benedetto XVI, Omelia sulla Spianata di Marienfeld, (21 agosto 2005): AAS 97 (2005), 892; cfr Omelia nella Veglia di Pentecoste (3 giugno 2006): AAS 98 (2006), 505.
(200) Cfr Relatio post disceptationem, 6, 47: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, pp. 5-6; Propositio 43.
(201) De civitate Dei, X, 6: PL 41, 284.
(202) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 1368.


Efficacia onnicomprensiva del culto eucaristico

71 Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto dell'esistenza, trasfigurandola: « Sia dunque che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio » (1Co 10,31). In ogni atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana, l'Eucaristia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell'uomo chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29s). Non c'è nulla di autenticamente umano – pensieri ed affetti, parole ed opere – che non trovi nel sacramento dell'Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l'Eucaristia: il culto a Dio nell'esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell'individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell'esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l'uomo vivente (cfr 1Co 10,31). E la vita dell'uomo è la visione di Dio.(203)

(203) Cfr S. Ireneo, Contro le eresie IV, 20, 7: PG 7, 1037.


« Iuxta dominicam viventes » – Vivere secondo la domenica

72 Questa radicale novità che l'Eucaristia introduce nella vita dell'uomo si è rivelata alla coscienza cristiana fin dall'inizio. I fedeli hanno subito percepito il profondo influsso che la Celebrazione eucaristica esercitava sullo stile della loro vita. Sant'Ignazio di Antiochia esprimeva questa verità qualificando i cristiani come « coloro che sono giunti alla nuova speranza », e li presentava come coloro che vivono « secondo la domenica » (iuxta dominicam viventes).(204) Questa formula del grande martire antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e l'esistenza cristiana nella sua quotidianità. La consuetudine caratteristica dei cristiani di riunirsi nel primo giorno dopo il sabato per celebrare la risurrezione di Cristo – secondo il racconto di san Giustino martire (205) – è anche il dato che definisce la forma dell'esistenza rinnovata dall'incontro con Cristo. La formula di sant'Ignazio – « Vivere secondo la domenica » – sottolinea pure il valore paradigmatico che questo giorno santo possiede per ogni altro giorno della settimana. Esso, infatti, non si distingue in base alla semplice sospensione delle attività solite, come una sorta di parentesi all'interno del ritmo usuale dei giorni. I cristiani hanno sempre sentito questo giorno come il primo della settimana, perché in esso si fa memoria della radicale novità portata da Cristo. Pertanto, la domenica è il giorno in cui il cristiano ritrova quella forma eucaristica della sua esistenza secondo la quale è chiamato a vivere costantemente. « Vivere secondo la domenica » vuol dire vivere nella consapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere la propria esistenza come offerta di se stessi a Dio, perché la sua vittoria si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta intimamente rinnovata.

(204) Epistola ai Magnesiani, 9,1: PG 5, 670.
(205) Cfr I Apologia 67, 1-6; 66: PG 6, 430 s. 427. 430.


Vivere il precetto festivo


73 I Padri sinodali, consapevoli di questo principio nuovo di vita che l'Eucaristia pone nel cristiano, hanno ribadito l'importanza per tutti i fedeli del precetto domenicale come fonte di libertà autentica, per poter vivere ogni altro giorno secondo quanto hanno celebrato nel « giorno del Signore ». La vita di fede, infatti, è in pericolo quando non si avverte più il desiderio di partecipare alla Celebrazione eucaristica in cui si fa memoria della vittoria pasquale. Partecipare all'assemblea liturgica domenicale, insieme a tutti i fratelli e le sorelle con i quali si forma un solo corpo in Cristo Gesù, è richiesto dalla coscienza cristiana e al tempo stesso forma la coscienza cristiana. Smarrire il senso della domenica come giorno del Signore da santificare è sintomo di una perdita del senso autentico della libertà cristiana, la libertà dei figli di Dio (206). Rimangono preziose, a questo riguardo, le osservazioni fatte dal mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Dies Domini (207), a proposito delle diverse dimensioni della domenica per i cristiani: essa è Dies Domini, in riferimento all'opera della creazione; Dies Christi in quanto giorno della nuova creazione e del dono che il Signore Risorto fa dello Spirito Santo; Dies Ecclesiae come giorno in cui la comunità cristiana si ritrova per la celebrazione; Dies hominis come giorno di gioia, riposo e carità fraterna.

Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa primordiale, nella quale ogni fedele, nell'ambiente in cui vive, può farsi annunziatore e custode del senso del tempo. Da questo giorno, in effetti, scaturisce il senso cristiano dell'esistenza ed un nuovo modo di vivere il tempo, le relazioni, il lavoro, la vita e la morte. È bene, dunque, che nel giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino, intorno alla Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la formazione nella fede di bambini, giovani e adulti, pellegrinaggi, opere di carità e momenti diversi di preghiera. A motivo di questi valori così importanti – per quanto giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale – è necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca per risultare un giorno « vuoto di Dio ».(208)

(206) Cfr Propositio 30.
(207) Cfr AAS 90 (1998), 713-766.
(208) Propositio 30.


Il senso del riposo e del lavoro


74 Infine, è particolarmente urgente in questo nostro tempo ricordare che il giorno del Signore è anche il giorno del riposo dal lavoro. Ci auguriamo vivamente che esso sia riconosciuto come tale anche dalla società civile, così che sia possibile essere liberi dalle attività lavorative, senza venire per questo penalizzati. I cristiani, infatti, non senza rapporto con il significato del sabato nella tradizione ebraica, hanno visto nel giorno del Signore anche il giorno del riposo dalla fatica quotidiana. Ciò ha un suo preciso senso, perché costituisce una relativizzazione del lavoro, che viene finalizzato all'uomo: il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro. È facile intuire la tutela che da ciò viene offerta all'uomo stesso, che risulta così emancipato da una possibile forma di schiavitù. Come ho avuto modo di affermare, « il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell'uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell'umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita » (209). È nel giorno consacrato a Dio che l'uomo comprende il senso della sua esistenza ed anche dell'attività lavorativa.(210)

(209) Omelia (19 marzo 2006): AAS 98 (2006), 324.
(210) Opportunamente nota al riguardo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 258: « All'uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del sabato eterno (cfr
He 4,9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera sua (cfr Ep 2,10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a Lui, che ne è l'autore ».


Assemblee domenicali in assenza di sacerdote


75 Riscoprendo il significato della Celebrazione domenicale per la vita del cristiano, è spontaneo porsi il problema di quelle comunità cristiane in cui manca il sacerdote e dove, di conseguenza, non è possibile celebrare la santa Messa nel Giorno del Signore. Occorre dire, a questo proposito, che ci troviamo di fronte a situazioni assai diversificate tra loro. Il Sinodo ha raccomandato innanzitutto ai fedeli di recarsi in una delle chiese della Diocesi in cui è garantita la presenza del sacerdote, anche quando ciò richiede un certo sacrificio (211). Là dove, invece, le grandi distanze rendono praticamente impossibile la partecipazione all'Eucaristia domenicale, è importante che le comunità cristiane si radunino ugualmente per lodare il Signore e fare memoria del Giorno a Lui dedicato. Ciò dovrà tuttavia avvenire nel contesto di un'adeguata istruzione circa la differenza tra la santa Messa e le assemblee domenicali in attesa di sacerdote. La cura pastorale della Chiesa si deve esprimere in questo caso nel vigilare perché la liturgia della Parola, organizzata sotto la guida di un diacono o di un responsabile della comunità al quale tale ministero sia stato regolarmente affidato dall'autorità competente, si compia secondo un rituale specifico elaborato dalle Conferenze episcopali e a tale scopo da esse approvato (212). Ricordo che spetta agli Ordinari concedere la facoltà di distribuire la comunione in tali liturgie, valutando attentamente la convenienza di una certa scelta. Inoltre, si deve fare in modo che tali assemblee non ingenerino confusione sul ruolo centrale del sacerdote e sulla componente sacramentale nella vita della Chiesa. L'importanza del ruolo dei laici, che vanno giustamente ringraziati per la loro generosità al servizio delle comunità cristiane, non deve mai occultare il ministero insostituibile dei sacerdoti per la vita della Chiesa.(213) Pertanto, si vigili attentamente a che le assemblee in attesa di sacerdote non diano adito a visioni ecclesiologiche non aderenti alla verità del Vangelo e alla tradizione della Chiesa. Piuttosto dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo il suo cuore. Toccante, a questo proposito, quanto scriveva il Papa Giovanni Paolo II nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979, ricordando quei luoghi dove la gente, privata del sacerdote da parte del regime dittatoriale, si riuniva in una chiesa o in un santuario, metteva sull'altare la stola ancora conservata e recitava le preghiera della liturgia eucaristica fermandosi in silenzio « al momento che corrisponde alla transustanziazione », a testimonianza di quanto « ardentemente essi desiderano di udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare ».(214) Proprio in questa prospettiva, considerato il bene incomparabile derivante dalla celebrazione del Sacrificio eucaristico, chiedo a tutti i sacerdoti una fattiva e concreta disponibilità a visitare il più spesso possibile le comunità affidate alla loro cura pastorale, perché non rimangano troppo tempo senza il Sacramento della carità.

(211) Cfr Propositio 10.
(212) Cfr ibidem.
(213) Cfr Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale del Canada – Quebec in visita ad limina Apostolorum (11 maggio 2006): L'Osservatore Romano, 12 maggio 2006, p. 5.
(214) N. 10: AAS 71 (1979), 414-415.


Una forma eucaristica dell'esistenza cristiana, l'appartenenza ecclesiale


76 L'importanza della domenica come Dies Ecclesiae ci richiama alla relazione intrinseca tra la vittoria di Gesù sul male e sulla morte e la nostra appartenenza al suo Corpo ecclesiale. Ogni cristiano, infatti, nel Giorno del Signore ritrova anche la dimensione comunitaria della propria esistenza redenta. Partecipare all'azione liturgica, comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo vuol dire nello stesso tempo rendere sempre più intima e profonda la propria appartenenza a Colui che è morto per noi (cfr 1Co 6,19s; 1Co 7,23). Veramente chi mangia di Cristo vive per Lui. In relazione al Mistero eucaristico si comprende il senso profondo della communio sanctorum. La comunione ha sempre ed inseparabilmente una connotazione verticale ed una orizzontale: comunione con Dio e comunione con i fratelli e le sorelle. Le due dimensioni si incontrano misteriosamente nel dono eucaristico. « Dove si distrugge la comunione con Dio, che è comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, si distrugge anche la radice e la sorgente della comunione fra di noi. E dove non viene vissuta la comunione fra di noi, anche la comunione col Dio Trinitario non è viva e vera ».(215) Chiamati, pertanto, ad essere membra di Cristo e dunque membra gli uni degli altri (cfr 1Co 12,27), noi costituiamo una realtà ontologicamente fondata nel Battesimo e alimentata dall'Eucaristia, una realtà che chiede di trovare riscontro sensibile nella vita delle nostre comunità.

La forma eucaristica dell'esistenza cristiana è indubbiamente una forma ecclesiale e comunitaria. Attraverso la Diocesi e le parrocchie, quali strutture portanti della Chiesa in un particolare territorio, ogni fedele può fare esperienza concreta della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità – con la vivacità dei loro carismi donati dallo Spirito Santo per il nostro tempo – come pure gli Istituti di vita consacrata, hanno il compito di offrire un loro specifico contributo per favorire nei fedeli la percezione di questo loro essere del Signore (cfr Rm 14,8). Il fenomeno della secolarizzazione, che contiene non a caso caratteri fortemente individualistici, ottiene i suoi effetti deleteri soprattutto nelle persone che si isolano e per scarso senso di appartenenza. Il cristianesimo, fin dal suo inizio, implica sempre una compagnia, una trama di rapporti vivificati continuamente dall'ascolto della Parola, dalla Celebrazione eucaristica e animati dallo Spirito Santo.

(215) Benedetto XVI, Udienza generale del 29 marzo 2006: L'Osservatore Romano, 30 marzo 2006, p. 4.


Spiritualità e cultura eucaristica


77 I Padri sinodali hanno significativamente affermato che « i fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni tra l'Eucaristia e la vita quotidiana. La spiritualità eucaristica non è soltanto partecipazione alla Messa e devozione al Santissimo Sacramento. Essa abbraccia la vita intera » (216). Questo rilievo riveste per tutti noi oggi particolare significato. Occorre riconoscere che uno degli effetti più gravi della secolarizzazione poc'anzi menzionata sta nell'aver relegato la fede cristiana ai margini dell'esistenza, come se essa fosse inutile per quanto riguarda lo svolgimento concreto della vita degli uomini. Il fallimento di questo modo di vivere « come se Dio non ci fosse » è ora davanti a tutti. Oggi c'è bisogno di riscoprire che Gesù Cristo non è una semplice convinzione privata o una dottrina astratta, ma una persona reale il cui inserimento nella storia è capace di rinnovare la vita di tutti. Per questo l'Eucaristia come fonte e culmine della vita e missione della Chiesa si deve tradurre in spiritualità, in vita « secondo lo Spirito » (Rm 8,4s; cfr Ga 5,16 Ga 5,25). È significativo che san Paolo, nel passo della Lettera ai Romani in cui invita a vivere il nuovo culto spirituale, richiami contemporaneamente alla necessità del cambiamento del proprio modo di vivere e di pensare: « Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto » (Rm 12,2). In tal modo, l'Apostolo delle genti sottolinea il legame tra il vero culto spirituale e la necessità di un nuovo modo di percepire l'esistenza e di condurre la vita. È parte integrante della forma eucaristica della vita cristiana il rinnovamento di mentalità, « affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina » (Ep 4,14).

(216) Propositio 39.


Eucaristia ed evangelizzazione delle culture


78 Da quanto affermato consegue che il Mistero eucaristico ci mette in dialogo con le differenti culture, ma anche in un certo senso le sfida (217). Occorre riconoscere il carattere interculturale di questo nuovo culto, di questa logiké latreía. La presenza di Gesù Cristo e l'effusione dello Spirito Santo sono eventi che possono stabilmente confrontarsi con ogni realtà culturale, per fermentarla evangelicamente. Ciò comporta conseguentemente l'impegno di promuovere con convinzione l'evangelizzazione delle culture, nella consapevolezza che Cristo stesso è la verità di ogni uomo e di tutta la storia umana. L'Eucaristia diviene criterio di valorizzazione di tutto ciò che il cristiano incontra nelle varie espressioni culturali. In questo importante processo possiamo sentire quanto mai significative le parole di san Paolo che invita nella sua Prima Lettera ai Tessalonicesi a « esaminare ogni cosa e a tenere ciò che è buono » (cfr 1Th 5,21).

(217) Cfr Relatio post disceptationem, 30: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, p. 6.


Eucaristia e fedeli laici


79 In Cristo, Capo della Chiesa suo Corpo, tutti i cristiani formano « la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui » (1P 2,9). L'Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana. Se il Sacrificio eucaristico alimenta ed accresce in noi quanto ci è già dato nel Battesimo per il quale tutti siamo chiamati alla santità (218), allora questo deve emergere e mostrarsi proprio nelle situazioni o stati di vita in cui ogni cristiano si trova. Si diviene giorno per giorno culto gradito a Dio vivendo la propria vita come vocazione. A partire dalla convocazione liturgica, è lo stesso sacramento dell'Eucaristia ad impegnarci nella realtà quotidiana perché tutto sia fatto a gloria di Dio.

E poiché il mondo è « il campo » (Mt 13,38) in cui Dio pone i suoi figli come buon seme, i cristiani laici, in forza del Battesimo e della Cresima, e corroborati dall'Eucaristia, sono chiamati a vivere la novità radicale portata da Cristo proprio all'interno delle comuni condizioni della vita.(219) Essi devono coltivare il desiderio che l'Eucaristia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli ad essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella società tutta.(220) Un particolare incoraggiamento rivolgo alle famiglie, perché traggano ispirazione e forza da questo Sacramento. L'amore tra l'uomo e la donna, l'accoglienza della vita, il compito educativo si rivelano quali ambiti privilegiati in cui l'Eucaristia può mostrare la sua capacità di trasformare e portare a pienezza di significato l'esistenza.(221) I Pastori non manchino mai di sostenere, educare ed incoraggiare i fedeli laici a vivere pienamente la propria vocazione alla santità dentro quel mondo che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio perché ne diventasse la salvezza (cfr Jn 3,16).

(218) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, LG 39-42.
(219) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), CL 14 CL 16: AAS 81 (1989) , 409-413; 416-418.
(220)Cfr Propositio 39.
(221) Cfr ibidem.


Eucaristia e spiritualità sacerdotale


80 La forma eucaristica dell'esistenza cristiana si manifesta indubbiamente in modo particolare nello stato di vita sacerdotale. La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. Il seme di una tale spiritualità si trova già nelle parole che il Vescovo pronuncia nella liturgia dell'Ordinazione: « Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore ».(222) Per dare alla sua esistenza una sempre più compiuta forma eucaristica, il sacerdote, già nel periodo di formazione e poi negli anni successivi, deve fare ampio spazio alla vita spirituale.(223) Egli è chiamato a essere continuamente un autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa gli permetterà di entrare più profondamente in comunione con il Signore e l'aiuterà a lasciarsi possedere dall'amore di Dio, divenendone testimone in ogni circostanza anche difficile e buia. A tale scopo, insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai sacerdoti « la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli ».(224) Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione.

(222) Pontificale Romano. Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Rito dell'ordinazione del presbitero, n. 150.
(223) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992),
PDV 19-33 PDV 70-81: AAS 84 (1992), 686-712; 778-800.
(224) Propositio 38



Sacramentum caritatis IT 65