IL SACERDOTE E L'INCULTURAZIONE

DELLA FEDE

di Oscar Andres Rodriguez Maradiaga

 

Introduzione

Anche se non esiste un numero speciale, nel decreto Presbyterorum Ordinis, sul tema dell'inculturazione della fede, certamente non mancano elementi sparsi che possono illuminare questo aspetto sempre più importante, che si può enucleare in tre punti, con un'appendice, a partire dalla prospettiva della Chiesa pellegrina in America latina.

Alcuni fondamenti teologico-pastorali

Il bisogno per il presbitero di inculturarsi dove è chiamato a esercitare il suo ministero e, a sua volta, di inculturare la fede in tale ambiente, si basa sulla doppia dimensione che la lettera agli Ebrei (5, 1), citata testualmente al n. 3 del decreto, indica al sacerdote. Questi, se dev'essere " preso " di tra gli uomini, lo è dentro una cultura concreta. Perciò la chiamata e la missione del presbitero sono necessariamente mediate da due realtà culturali: quella della comunità da dove è scelto e quella della comunità alla quale è inviato.

D'altra parte, il decreto Presbyterorum Ordinis presenta, tra gli altri, cinque principi fondamentali che implicano qualche dimensione di inculturazione. Essi sono i seguenti:

I. Efficacia pastorale, giacché il n. 1 dice che la finalità del decreto è che " il ministero dei presbiteri nelle attuali circostanze pastorali e umane, spesso radicalmente nuove, possa trovare sostegno più valido ", e certamente una delle circostanze che hanno cambiato di più è quella che riguarda la dimensione culturale.

2. Servizio pastorale, perché il decreto al n. 3 ricorda che i presbiteri " non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente ". Certamente, essere estranei alla vita e all'ambiente significa essere estranei alla cultura degli uomini che i presbiteri devono servire.

3. Inserimento nel " mondo ", secondo la fondamentale distinzione giovannea di non essere " del " bensì di essere " nel " mondo. Perciò il decreto, allo stesso n. 3, dice: " Allo stesso tempo i presbiteri sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini ". Tale vivere non può essere altro che la doverosa immersione nella cultura concreta lì dove i presbiteri esercitano il loro specifico ministero.

4. Conoscenza pastorale, sulla linea dello stesso pensiero giovanneo, per cui il n. 3 avverte che i presbiteri, " sono tenuti... a conoscere bene - come buoni pastori - le proprie pecorelle " . Ciò sarà impossibile se non conosceranno pure la cultura nella quale vivono le pecorelle.

5. Fraternità, giacché sempre il n. 3 del decreto afferma che i presbiteri " vivono in mezzo agli altri uomini come fratelli ". Il che richiede che essi conoscano la cultura delle proprie pecorelle, la vivano e la condividano.

Alcune implicazioni pastorali

Il decreto Presbyterorum Ordinis prevede l'inculturazione o la consiglia o, ancora, stabilisce degli atteggiamenti sacerdotali che comportano implicite dimensioni di inculturazione della fede. Passiamo in rassegna alcuni esempi:

l. Il presbitero, secondo il n. 4 del decreto, deve applicare la parola di Dio " alle circostanze concrete della vita ", le quali, logicamente, sono anche di ordine culturale. La verità " perenne " del vangelo, quindi, deve " adeguarsi " alla situazione del gruppo umano che l'accoglie, e il presbitero deve adempiere tale funzione ermeneutica.

2. Lo stesso n. 4 afferma che il presbitero, nel suo ministero, deve procedere a seconda delle " diverse necessità degli ascoltatori", e ciò si deve intendere quasi come una funzione di inculturazione della fede a favore dei soggetti della predicazione.

3. Al n. 6 del decreto, quando si parla dei presbiteri come rettori del popolo di Dio, si dispone che essi educhino gli uomini " alla maturità cristiana ". Tale maturità passa sempre tramite l'esperienza vissuta in una determinata cultura.

4. Ancora al n. 6, si insiste su ciò che, in seguito, verrà chiamato opzione preferenziale per i poveri e i deboli, i quali vanno amati e rispettati effettivamente e vanno rispettati nella loro cultura.

5. Al medesimo n. 6 si chiede ai presbiteri di formare un'autentica comunità cristiana. Ciò sarà possibile solo nella misura in cui si tiene conto della dimensione culturale, base della convivenza comunitaria.

6. Sempre al n. 6, quando il decreto parla del lavoro vocazionale del presbitero, si insiste perché egli conosca e attiri i possibili candidati, i quali non saranno conosciuti né ammirati, se non si rispetta la loro cultura; è da essa che dovranno essere presi per il servizio dei fratelli.

7. Il n. 12 tratta del tema della santità sacerdotale ma questa non si attua astrattamente. Un sacerdote santo lo è in una determinata cultura, nella quale rende testimonianza al Signore.

Alcune norme sull'inculturzione

Il decreto Presbyterorum Ordinis presenta alcune norme al riguardo dell'inculturazione. Tra esse se ne possono sottolineare tre. Vediamo:

1. Al secondo comma del n. 19, dedicato alla scienza pastorale nella quale va formato il presbitero, si parla della necessità di essere esperto nella " cultura " umana, termine che, interpretato nel senso della costituzione pastorale Gaudium et Spes, è ricco di contenuto.

2. Il n. 10, comma terzo, determina che " i presbiteri non devono essere mandati soli in una nuova regione, soprattutto quando non ne conoscono ancora bene la lingua e le usanze: è meglio che vadano a gruppi di almeno due o tre, come i discepoli dei Signore " (cf Lc 10, 1). Nell'andare a gruppi si favorisce l'aiuto vicendevole per la doverosa opera di inculturazione.

3. Agli stessi numero e comma, il decreto dispone che i presbiteri che si recano in un determinato luogo debbano conoscere non solo la lingua, " ma anche gli speciali caratteri psicologici e sociali di quel popolo al cui servizio essi umilmente desiderano mettersi ". Ciò non è altro che la chiara manifestazione dell'obbligo di inculturazione del pastore, come conditio sine qua non per un'autentica evangelizzazione.

Queste tre grandi norme sono sufficienti per poter affermare che il decreto Presbyterorum Ordinis chiede che il sacerdote venga educato in seno alla propria cultura, e cioè, che inculturi la propria fede, e si immerga nella cultura del luogo dove è stato inviato.