IL DECRETO "PRESBYTERORUM ORDINIS"
DEL CONCILIO VATICANO II
di Damaskinos Papandreou
La presentazione conciliare della missione attuale dei presbiteri nel culto e l'opera spirituale tutta intera della Chiesa mostrò la perennità della tradizione apostolica nell'organizzazione e nella vita della Chiesa.
Tanto la struttura quanto il testo del decreto illustrano chiaramente come il concilio Vaticano II non si accontentò di imporre sistematicamente l'insegnamento tradizionale sulla missione del presbiterato nell'opera spirituale della Chiesa, ma provò a chiarire questa missione alla luce della tradizione apostolica, così come si era manifestata attraverso il tempo nella coscienza della Chiesa e come è descritta nelle ricerche teologiche attuali.
Nei tempi apostolici e nel primo periodo postapostolico, i vescovi e i presbiteri vengono presentati nell’esercizio della funzione apostolica dell'épiskopé, tale come è presentata nella lettera dì Clemente dì Roma. L'unità della funzione apostolica dell'épiskopé e la distinzione dei ministeri del sacerdozio erano vissute come una esperienza eucaristica, tanto nella costituzione del corpo ecclesiale quanto nella testimonianza apostolica della fede. La successione apostolica garantiva la legittimità e la perennità di questa esperienza. Non sarebbe concepibile separare questi due elementi fondamentali della tradizione apostolica poiché, come dice Ireneo di Lione, " la nostra comune fede si manifesta nell'eucaristia e l'eucaristia certifica la nostra fede ", cioè la fede apostolica.
Alla luce di questa tradizione, B. Botte concludeva che " episcopato, presbiterato e diaconato non sono tanto funzioni rituali quanto piuttosto degli ordini che, nella loro gerarchia, costituiscono la struttura stessa della Chiesa e devono procurare la crescita e la santificazione dei suoi membri". Queste conclusioni hanno rinnovato la coscienza ecclesiale sul contenuto della tradizione apostolica quanto al la funzione dei presbiteri. La tradizione canonica del primo millennio, senza limitare la funzione dei presbiteri, insisteva sui limiti della tradizione episcopocentrica per interpretare la successione apostolica esclusivamente come successione di ordine. Ma il concilio di Trento, che pone come base del lavoro di riforma il rafforzamento dell'esperienza sacramentale della Chiesa, non si diffuse nel rivalutare il rapporto fra presbiteri e vescovi secondo i criteri di questa tradizione apostolica.
Il Vaticano II, invece, sviluppò tale insegnamento sull'ordine presbiterale senza avvicinare in modo dicotomico il rapporto fra vescovi e presbiteri nella costituzione e nella vita del corpo ecclesiale locale. L'ecclesiologia del corpo di Cristo rivelò l'unità dei sacramenti nel loro riferimento all'unità del corpo ecclesiale. Ne consegue che la teologia dell'ordine presbiterale, che fonda il decreto del Vaticano II, assume il suo contenuto da una ecclesiologia strutturata, nella quale vengono più sfumate le distinzioni salienti del passato, sia tra vescovi e presbiteri, sia tra esperienza sacramentale e predicazione.
Il punto di vista ortodosso nella valutazione del decreto del Vaticano II sul ministero e la funzione peculiare dei presbiteri nella costituzione e nell'agire del corpo ecclesiale dovrebbe sottolineare le seguenti constatazioni:
1) il concilio Vaticano II ristabilisce con grande sensibilità gli elementi autentici della tradizione apostolica, sia riguardo all'inserimento organico della funzione dei presbiteri nella funzione apostolica dell'épiskopé, sia riguardo all'unità indissolubile della comunione del corpo dei vescovi e dei presbiteri nella costituzione e nel funzionamento del corpo ecclesiale;
2) la partecipazione dei presbiteri alla funzione apostolica dell'episkopè contiene tanto l'economia dei sacramenti quanto la testimonianza apostolica della fede, perché l'eucaristia unisce il mistero di Cristo alla sua incarnazione ininterrotta nella storia della salvezza fino alla fine dei secoli;
3) la sensibilità peculiare del decreto verso la funzione di predicazione dei presbiteri esprime la coscienza della Chiesa, nel flusso dei tempi, circa l'ampiezza della funzione presbiterale, perché da un lato procede dall'incontestabile teologia del corpo di Cristo, dall'altro dall'unità episcopocentrica del sacerdozio, particolarmente sottolineato dal decreto sulla Chiesa De Ecclesia del Vaticano II;
4) il vincolo indissolubile tra esperienza sacramentale e testimonianza della fede, tale come viene presentato dal decreto, libera il ministero dei presbiteri dai limiti dei passato e rivela l’officiante dei sacramenti in quanto collaboratore dei vescovi, nella testimonianza della fede nel confronto con i vicini come con i lontani;
5) l'ordine dei presbiteri, quando dispone delle qualità morali e spirituali necessarie, costituisce non solo una tribuna ecclesiale diretta al fine di evangelizzare il popolo, ma anche un prolungamento liturgico della mensa del Signore nel mondo.