Apostolicam Actuositatem

Decreto sull'Apostolato dei Laici

 

Se si domandasse a tutti i Vescovi, agli ecelesiastici e ai laici che con titoli diversi hanno collaborato nella preparazione del Decreto *De apostolatu laicorum+, quali idee maestre hanno ispirato i lavori della loro Commissione, essi risponderebbero, che furono due: da una parte, raccogliere gli orientamenti e utilizzare gli insegnamenti provenienti da quarant'anni di esperienza, durante i quali, rispondendo all'appello dei Papi e dei Vescovi, l'apostolato dei laici si è organizzato e sviluppato in tutto il mondo; dall'altra, necessità di mettere in luce, per renderne più convinti tutti i battezzati, che l'apostolato è un dovere derivante dall'essenza stessa della professione cristiana.

Due prospettive molto semplici, che, tuttavia, aprivano un campo immenso di studio e di lavoro alla Commissione Preparatoria prima, alla Conciliare poi.

Le abitudini di una vita cristiana passivamente tradizionale avevano sopito, in molti cattolici, la coscienza delle proprie responsabilità nella Chiesa. Risalendo, perciò, ai fondamenti stessi della vocazione cristiana, alla luce dei grandi insegnamenti della Costituzione *De Ecelesia+, era possibile risvegliare e riscuotere quella coscienza, così come delineare la fisionomia dei veri apostoli, quali la Chiesa spera di vedere sorgere sempre più numerosi.

Nell'intento di riassume e presentare, ovviamente per sommi capi, il Decreto Apostoicam Actuositatem si può articolare il seguente schema:

Il Decreto conciliare trova il suo incipit definendo la natura e l'indole dell'apostolato dei laici offrendo, poi, delle direttive per il suo esercizio.

L'apostolato dei laici è reso oggi necessario soprattutto in vista dell'accresciuta autonomia di molti settori della vita umana che ha talvolta portato con sé un certo distacco dall'ordine etico e religioso; questo apostolato, in tutti i tempi necessario, oggi riveste carattere di urgenza anche [non solo!] la scarsità del clero, a volte impedito nell'esercizio del proprio ministero.

Apostolato e spiritualità dei laici

La vocazione cristiana è vocazione all'apostolato che la Chiesa esercita con tutti i suoi membri. E' nel mondo che i laici sono chiamati a esercitare il loro apostolato. Nell'unione con Cristo capo, i laici sviluppano la loro spiritualità valendosi degli aiuti spirituali comuni a tutti i fedeli. Questa loro spiritualità deve inoltre caratterizzarsi nello stato del matrimonio, della famiglia, del celibato, della professione in cui ciascuno si trova e deve fare gran conto della competenza del senso civico e delle virtù sociali.

L'apostolato della Chiesa e di tutti i suoi membri è diretto, innanzitutto, a manifestare il messaggio di Cristo e a comunicare la sua grazia.

Ma il compito specifico del laico è nell'animazione dell'ordine temporale. Nel corso della storia l'uso dei beni temporali è stato viziato da gravi errori e anche oggi non pochi pongono una eccessiva fiducia nel progresso e inclinano verso un'idolatria delle cose temporali.

Compito dei laici è operare direttamente sull'ordine temporale rendendolo conforme ai principi della vita cristiana; in questo quadro, va ricordata l'importanza dell'azione sociale dei cristiani.

Gli ambienti dell'apostolato dei laici

Il laico è chiamato a partecipare alla vita e all'azione della Chiesa a livello parrocchiale, diocesano, nazionale ed internazionale, facendo proprio anche l'impegno missionario.

L'apostolato nel proprio ambiente sociale è compito proprio del laico che lo adempirà: a) con la coerenza della vita ai principi della fede; b) con la carità fraterna che lo rende partecipe della situazione, del lavoro e delle aspirazioni dei fratelli; c) con la consapevolezza della parte che ha nell'edificazione dell'ordine sociale.

Nell'ordine nazionale ed internazionale i laici cattolici sono invitati ad adoperarsi per il bene comune, nell'amore della patria e nel fedele adempimento dei doveri civili, cooperarando con tutti gli uomini di buona volontà per il conseguimento del bene comune.

L'apostolato associato e individuale

I laici possono esercitare l'apostolato sia singolarmente che uniti in comunità od associazioni. Tutti i laici sono chiamati all'apostolato personale, tra le cui forme va ricordata la testimonianza della vita, la parola, la consapevolezza di collaborare con Dio nell'edificazione dell'ordine temporale. Questo apostolato personale è particolarmente importante là dove la libertà della Chiesa è gravemente impedita o dove i cattolici sono pochi e dispersi.

Di grande importanza è l'apostolato associato sia nella comunita della Chiesa sia nei vari ambienti in cui esso solo è in grado di raggiungere pienamente tutte le finalità dell'apostolato odierno.

Molteplici sono le forme dell'apostolato associato. Tra queste vanno segnalate quelle che rafforzano una più intima unità tra la fede e la vita, ed anche le organizzazioni internazionali.

I laici, salve le dovute relazioni con l'autorità ecclesiastica, possono creare associazioni ed aggregarsi a quelle già esistenti; tuttavia devono cercare di evitare le dispersioni e le interferenze.

Il Concilio raccomanda quei tipi di associazioni, i cui caratteri peculiari sono: a) il fine apostolico della Chiesa (evangelizzazione e santificazione); b) assunzione, da parte dei laici, di responsabilità proprie, in comunione con la Gerarchia; c) lavoro unito in un corpo organico, d) superiore direzione della Gerarchia che può sancire tale cooperazione anche con un * mandato + esplicito.

Rapporti con la Gerarchia

L'apostolato dei laici ammette vari tipi di rapporto con la Gerarchia, a seconda delle forme e dell'oggetto dell'apostolato stesso. Vi sono forme, create dalla libera volontà dei fedeli e che possono, in talune circostanze, meglio assolvere al loro compito, ma nessuno deve presumere di rivendicare la definizione di cattolica senza il consenso della Gerarchia.

Il clero è ivitato ad avere gran cura dei laici e del loro lavoro apostolico e specie i sacerdoti delegati alla loro assistenza debbono adoperarsi per essi, con ogni cura.

Nelle diocesi e nelle parrocchie, è fatto voto che vi siano dei consigli ai quali possono collaborare clero, religiosi e laici.

Formazione all'apostolato

Nell'apostolato c'è bisogno di una specifica formazione sia riguardo al progresso interiore del laico, sia riguardo al mutare delle circostanze in cui la sua azione si svolge. Il laico deve essere formato, a una pienezza umana, secondo il genio e la condizione di ciascuno. Oltre alla formazione morale e dottrinale occorre dare una formazione alla convivenza e al dialogo, una formazione alla fermezza di giudizio tenendo sempre conto dell'integrità della persona umana, nella sua armonia.

Le varie forme di apostolato esigono una particolare formazione: a) per quanto concerne l'evangelizzazione i laici dovranno essere soprattutto preparati circa quei punti della dottrina messi in discussione dal materialismo; b) per quanto concerne l'ordine temporale dovranno essere educati sul significato e valore dei beni temporali e sulla dottrina morale e sociale della Chiesa; c) per quanto concerne infine le opere di carità dovranno essere educati, fin dalla fanciullezza, a condividere e soccorrere le necessità dei fratelli.

Il Concilio esorta tutti i laici a rispondere generosamente alla voce di Cristo e all'impulso dello Spirito.

Il Decreto Apostolicam Actuositatem fu approvato da 2342 Padri il 18 novembre 1965 con 2340 voti a favore e 2 voti contrari.

 

 

Eredi e testimoni dell'Apostolato dei Laici

nella Chiesa e nel mondo.

Un trentennale itinerario di fedele continuità.

A colloquio con l'Avvocato Guzmán Carriquiry

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Il Concilio Vaticano II, al fine di risvegliare nella coscienza dei Laici battezzati una più chiara consapevolezza del loro posto, dei loro uffici e della loro vocazione nella Chiesa e di promuovere in essi una più viva partecipazione alla missione di salvezza da Cristo comunicata a tutt'intero il Popolo di Dio, ha dedicato due importanti Capitoli, il II e il IV, della Costituzione *De Ecclesia+ ai fedeli Laici o almeno anche a loro; della loro vocazione alla santità e della fisionomia specifica della loro spiritualità tratta pure il capitolo V della medesima Costituzione.

Se è vero che *la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all'apostolato+ e che *tutta l'attività del Corpo Mistico ordinata a rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione+ si chiama *apostolato+, è chiaro che la magna charta del Vaticano II C appunto la Costituzione Lumen Gentium C non poteva illustrare il mistero della Chiesa senza dare largo spazio a ciò che è comune a tutti i membri del Popolo di Dio. E a ciò che è proprio di quei fedeli che, senza appartenere all'ordine sacro né allo stato religioso sancito nella Chiesa, sono stati incorporati a Cristo con il Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, sono partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, e, per la loro parte, compiono nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano (cfr. LG 31).

In realtà i più alti principi per una teologia del Laicato e dell'apostolato laicale sono magnificamente espressi nella Costituzione Lumen Gentium. Il compito, però, di sviluppare quelle grandi e dense enunciazioni di principio, di illustrare la natura, l'indole e la varietà dell'Apostolato dei Laici e di dare direttive pastorali per un più efficace esercizio dell'apostolato stesso, veniva demandato a un altro importante Documento Conciliare: il Decreto sull'Apostolato dei Laici, promulgato il 18 novembre 1965, che, rifacendosi alla dottrina perenne della Chiesa e insieme all'esperienza dei decenni precedenti al Concilio in ordine all'attività dei Laici battezzati nella Chiesa e alla situazione e alle attese del mondo contemporaneo, può considerarsi la consacrazione ufficiale di un profondo e multiforme movimento del laicato cattolico in atto nella Chiesa, la carta costituzionale della presenza e della responsabilità dei Laici nella Chiesa stessa e insieme lo strumento per una forte e disciplinata promozione dell'azione apostolica laicale.

Il rinnovamento della Chiesa coinciderà in larghissima misura con l'attuazione delle linee programmatiche tracciate in questi capitoli della Costituzione *De Ecclesia+ e nel Decreto sull'Apostolato dei Laici.

Abbiamo già detto che il Decreto suppone la Costituzione *De Ecclesia+. In che senso questa opportuna sottolineatura?

Le grandi ricchezze dottrinali sono nella Costituzione. Il Decreto senza la Costituzione sarebbe troppo giuridico-esortativo e, forse, poco teologico. La Costituzione senza il Decreto rimarrebbe forse troppo generica. Insomma i due documenti, di indole differente, sono tra loro complementari. Inoltre, i due Documenti hanno dinnanzi il panorama della Chiesa universale: esigono pertanto ulteriori determinazioni per esprimere più adeguatamente la nostra realtà ecclesiale. Non dispensano quindi di attingere al ricco magistero dei Sommi Pontefici: quelli precedenti al Concilio e C come vedremo C coloro che all'Assise Ecumenica hanno dato esecuzione e compimento.

Il Vaticano II insiste nel presentare l'apostolato come missione di tutto il Popolo di Dio.

E a ragione. Esso deriva direttamente dalla consacrazione operata in noi da Cristo nel Battesimo e dall'inserimento in Cristo realizzato dal carattere battesimale. Consacrazione e rapporto con Cristo sono resi, inoltre, più profondi e più intimi dal carattere della Confermazione.

Va sottolineato, tuttavia, che tra il ministero gerarchico e la funzione laicale nella missione della Chiesa e quindi nell'azione apostolica c'è distinzione di ordine e di grado, ma non separazione, bensì reciproca carità, mutuo servizio e complemento nell'unità della Chiesa.

Si deve pure fare grande attenzione alla molteplicità dei * carismi, anche i più semplici+: i responsabili dell'apostolato li devono vagliare, riconoscere e disciplinare, mai disprezzare e ostacolare.

*Voi ben sapete - ricordava Giovanni Paolo II nel corso del suo primo viaggio apostolico in Messico - come il Concilio Vaticano II abbia fatto sua la grande corrente di promozione del laicato, approfondendone i fondamenti teologici, integrandola e dandole luminoso rilievo nell'ecclesiologia della Lumen Gentium, dando autenticità e impulso all'attiva partecipazione dei laici alla vita e alla missione della Chiesa+.

Sappiamo che questa corrente storica di promozione dei laici - uno dei fatti più importanti del secolo ventesimo ecclesiale - fu originata e si avvalse di successivi impulsi nel processo d'una progressiva maturazione d'una più profonda autocoscienza della Chiesa circa il proprio essere e la propria missione nel nostro tempo. Su questa preparazione, remota e prossima, del Concilio Vaticano II, che affonda le sue radici storiche nella seconda metà del secolo scorso, esiste già un gran numero di ricerche e studi. Nuove esigenze e nuove modalità di partecipazione dei fedeli laici si promuovono allora, in Europa, di fronte al progressivo disgregarsi delle cristianità rurali tradizionali, alla rottura fra il trono e l'altare e alle ostilità e persecuzioni scatenate contro la Chiesa dalle nuove dirigenze politiche e intellettuali secolarizzanti, alle profonde ripercussioni sociali e culturali provocate dall'estendersi del processo della rivoluzione industriale e dal conseguente emergere di nuove società in fase di montante scristianizzazione. I rinnovati studi biblici e patristici di fine secolo, l'intrapreso cammino di rinnovamento ecclesiologico, nuovi carismi e nuove comunità missionarie ad gentes, la rinascita dell'associazionismo cattolico, i movimenti e le esperienze del cattolicesimo sociale, concorsero a scavare alvei e a dare consistenza a questo positivo protagonismo dei fedeli laici.

Si dovette attendere il Concilio Vaticano II perché la Chiesa Cattolica nel suo insieme aspirasse - come ebbe a scrivere Giovanni XXIII nella Costituzione Apostolica Humanae Salutis del 25 dicembre 1961 - a mettere in contatto con le energie vivificatrici e perenni dell'Evangelo il mondo moderno.

Di fatto, nel Vaticano II, con una rinnovata autocoscienza, la Chiesa riconosceva in sé la partecipazione di tutto il Popolo di Dio al dono sacerdotale di Cristo, inserendo il sacramento dell'Ordine - gerarchico e ministeriale a un tempo - nel contesto universale del sacerdozio dei fedeli. Si parlò, allora, di rivoluzione copernicana. Al tempo stesso, questa medesima autocoscienza apriva prospettive nuove alla missione, reinnestando la presenza e il servizio della Chiesa nel mondo, d'una Chiesa che, non certo ripiegata su se stessa, ma avendo piuttosto abbattuto i bastioni, va ad gentes, solidale con *le gioie e le speranze, le tristezze le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono+, pur consapevole che *l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo+ (GS 1, 39).

Non invano il Concilio Vaticano II rappresentava *il fondamento e l'inizio di una gigantesca opera d'evangelizzazione del mondo moderno, che è arrivato a un nuovo crocevia della storia umana, nel quale attendono la Chiesa compiti d'una gravità e ampiezza immense+.

Si trattava di tornare alle fonti per riproporre la radicalità e il fascino della presenza di Gesù Cristo in mezzo agli uomini, e di farlo per mezzo d'una rinnovata autocoscienza e autorealizzazione della Chiesa, ringiovanita dalla santità nel suo slancio missionario verso tutti coloro che non credono o non vivono più la fede ricevuta con il Battesimo, raggiungendo e convertendo C con la potenza dell'Evangelo di Cristo C la coscienza personale e altresì collettiva degli uomini, le attività in cui sono coinvolti, e i loro ambienti di vita. Nessun battezzato potrebbe restare estraneo e ozioso di fronte a questa ineludibile responsabilità. Dei laici, il Concilio sottolineerà che *le condizioni odierne richiedono che il loro apostolato sia assolutamente più intenso e più esteso+ (AA 1).

Si profila allora quell'autocoscienza conciliare riguardo ai fedeli laici, che Giovanni Paolo II sintetizzerà luminosamente commemorando il ventesimo anniversario del Decreto Apostolicam Actuositatem evidenziandovi il *pieno riconoscimento della dignità e responsabilità dei laici in quanto christifideles, in quanto incorporati a Cristo, ossia in quanto membra vive del suo Corpo, partecipanti di questo mistero di comunione in virtù dei sacramenti del battesimo e della cresima e del conseguente sacerdozio comune e universale di tutti i cristiani... chiamati a vivere, a testimoniare e condividere la potenza della Redenzione di Cristo - chiave e pienezza del senso dell'umana esistenza - in seno a tutte le comunità ecclesiali e in tutti gli spazi dell'umana convivenza: nella famiglia, nel lavoro, nella nazione, nell'ordine internazionale+. Queste dignità, corresponsabilità e partecipazione dei fedeli laici, alla luce delle inseparabili dimensioni di mistero, comunione e missione della Chiesa, sono riprese e uniformate, approfondite e sviluppate dell'Esortazione postsinodale Christifideles Laici.

Oggi può considerarsi superata quella condizione di minorità in cui restavano reclusi i fedeli laici, come se si trattasse da una parte d'una capitis diminutio rispetto al clero, per cui i laici sarebbero destinatari e clienti massivi della azione pastorale, niente più d'una forza ausiliaria, così come, d'altra parte, rispetto ai religiosi, da considerarsi cristiani di seconda classe, guardati con sufficiente indulgenza per le loro commistioni e debolezze mondane. Donde il predominare d'una loro configurazione puramente "negativa", in quanto essi non appartengono né allo stato clericale né a quello religioso, per cui i fedeli più praticanti e devoti tendevano ad assimilarsi, come ideale, sia ai preti sia ai religiosi.

La teologia del laicato C che fu in auge nei decenni del 1940, del 1950 e del 1960, con non pochi influssi sull'elaborazione dei testi del Concilio Vaticano II, la cui opera più completa e nota fu quella di Yves Congar C mirò a fondare lo specifico del laico in relazione a quello del sacerdote e del religioso. Si cercava allora di evidenziare, mettere a fuoco a forti tinte, situare al centro della vita e dell'attenzione ecclesiali, l'identità del laico. Accentuandosi il valore della differenza, della diversità, della specificità, furono tempi di ricerca e accentuazione d'una spiritualità laicale, d'un impegno laicale, di esaltazione d'una laicità nel mondo. In quell'ora dei laici resero un prezioso servizio C questo sì C di riconoscimento e di pieno ingresso di settori laicali emergenti nella scena ecclesiale. Ciò diede un colpo d'ali alla consapevolezza della dignità dei laici e alla rivendicazione e all'esercizio delle loro responsabilità nella Chiesa. L'affermazione dell'autonomia dei laici, dei loro stili e campi specifici, si librava ancora sul tangibile campo d'una reazione di resistenza e sospetto alle pretese d'una Chiesa clericale. Senonché codesta identità specifica, non poteva definirsi che per via di contrapposizione. Non per caso l'immagine d'una comunione ecclesiale offuscata e disarticolata in segmenti di tipo quasi corporativo C clero, religiosi e laici C in lotta per una rigida e gelosa delimitazione di sfere d'azione, per un'affermazione e una ridistribuzione dei loro rispettivi diritti, poteri e funzioni, arrivò a predominare nei comportamenti di non pochi agenti pastorali. I rapporti e gli atteggiamenti fra clero e laicato costituirono un campo tematico oltremodo tensionale, soprattutto negli anni Sessanta: un interminabile e svariatissimo zibaldone d'aneddotica ecclesiastica. Furono altresì frequenti le contrapposizioni schematiche e disgregatrici fra una Chiesa-Popolo di Dio e una Chiesa-Gerarchia, fra una Chiesa-comunità e una Chiesa-istituzione.

Al tempo stesso, una siffatta definizione per opposizione, o perfino per contrapposizione, finiva con lo sfumare la coscienza della comune radicale identità e uguale dignità di tutti i fedeli cristiani, basata su fondamenta qualitativamente assai più rilevanti dei motivi di distinzione, a volte - per di più - accozzati tra di loro secondo criteri diversi.

Per tutto questo fu ben compresa come cosa necessaria e opportuna in sintonia con la sostanza degli insegnamenti conciliari al riguardo, che l'Esortazione Apostolica Christifideles Laici, a vent'anni dal Vaticano II, volle conferire alla vocazione, alla dignità e alla responsabilità dei laici nella loro condizione di Christifideles. Si parla non già soltanto di laici - un termine che dice poco e risulta culturalmente ambiguo - bensì di fedeli laici, cristiani laici, cioè Christifideles laici. E' ben di più d'una semplice questione nominalistica. Il sostantivo è fedeli, christifideles, nel quale il cointeso en Christò paolino esprime il segno essenziale e distintivo dell'esistenza ecclesiale del cristiano, previo, e più radicale, originario e decisivo di qualsiasi distinzione fra gli stati di vita. L'essere in Cristo, ossia il vivere la sequela di Cristo con la sua intrinseca dimensione missionaria, appartiene - in sé e per sé - a tutti i fedeli: pastori, religiosi, laici. La figura del cristiano laico, dunque, ha la sua qualificazione immediata non in rapporto al sacerdote o al religioso, bensì nel riferimento diretto a Gesù Cristo. Questo riferimento reca in se stesso una determinazione positiva fondamentale, che nessuna considerazione ulteriore dovrebbe occultare o ignorare. Esso si realizza nell'incorporazione dei fedeli a Cristo, rigenerati alla vita dei figli di Dio, uniti a Gesù Cristo al suo Corpo che è la Chiesa, unti nello Spirito Santo e costituiti in templi spirituali. *L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana - afferma Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici - è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda 'fisionomia', che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici+ (9).

In Cristo Gesù, morto e risorto, il battezzato è una creatura nuova ( Gal 6,15; 2 Cor 5,17): uomini nuovi e donne nuove, rivestiti, purificati e vivificati in Cristo. Da tale grazia battesimale in-corporati a Cristo, i fedeli laici sono, a loro modo, partecipi del di Lui triplice ufficio sacerdotale o cultuale, profetico o di testimonianza e annuncio, regale o di signoria di se stessi e del mondo al servizio del Regno di Dio.

Il titolo, quindi, dell'Esortazione Apostolica postsinodale, Christifideles Laici, è tutto un riconoscimento, è titolo d'identità e dignità; ma, al tempo stesso, è anche una sorta d'interpellanza, un appello a ravvivare questa vocazione fondamentale, un programma di vita.

Difatti, si avverte la necessità - in modo del tutto speciale ai nostri giorni, con i forti accenti del pontificato di Giovanni Paolo II - di ricentrare con più vigore ed entusiasmo l'attenzione, la parola e la prassi della Chiesa, in quanto l'esistenza cristiana ha di più radicale e identificante, di più essenziale e insostituibile. E che non può consistere in nient'altro che nello stesso annuncio pronunciato da Pietro sotto l'impeto della Pentecoste. *Gesù di Nazaret..., voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato... e noi tutti ne siamo testimoni... Pentitevi dunque e cambiate vita+ (cfr. At 2,22-33; 3,12-22). Oggi, con la stessa forza, la stessa novità, lo stesso realismo di duemila anni fa.

La forza e la novità di questo annuncio si coniuga con una rinnovata modalità pedagogica: il Papa ci porta a confrontarci con Cristo in quanto presenza che irrompe nella nostra vita con un impatto sempre originario e decisivo, giacché corrispondente ai più profondi bisogni e desideri di senso e di pienezza della vita, di verità e di felicità, aneliti insopprimibili che palpitano nel cuore d'ogni uomo. E' perciò solo rivivendo - nell'esperienza tanto personale quanto comunitaria - lo stupore e il fascino di questa presenza che si rivelano e sprigionano energie di comunione di verità, di missione e di solidarietà fra gli uomini. Oggi che *la fede non è più un patrimonio comune né un tranquillo possesso, bensì un seme insidiato e spesso screditato+ (Giovanni Paolo II, 4 maggio 1992), urge più che mai che tutti i fedeli, tutta la Chiesa, si orientino con *l'unico orientamento dello spirito, l'unico indirizzo dell'intelletto, della volontà e del cuore... verso Cristo+ (Redemptor Hominis, 7).

Tutto si gioca, dunque, su quel "vieni e seguimi" che, attraverso le varie circostanze della vita, di cui la Provvidenza si serve per attrarre il nostro cuore; Cristo continua a proporre la sua sequela e l'identificazione con il Santo per eccellenza.

Sembra del tutto evidente che, a vent'anni dalla solenne chiusura del Concilio Vaticano II e dall'inizio della sua attuazione, la Chiesa avverta particolarmente la necessità di questo ri-centramento, di questa rifondazione d'una esperienza di fede di tutti i christifideles in rapporto a quella vocazione universale alla santità, che corrisponde al disegno originario dello stesso Concilio viene illustrata peculiarmente nel capitolo V della Costituzione Lumen Gentium.

Ma, perché questo rinnovato accento? Perché i tanto frequenti accenni catechetici di Giovanni Paolo II alla santità? Perché tanta assiduità nel celebrare ed evidenziare la memoria dei grandi testimoni di santità, presentati come paradigmi pedagogici delle possibilità concrete e mature che il cristiano ha di realizzarsi?

Forse perché nella prima fase del post-concilio le energie scatenate, liberatesi di camicie troppo strette, finirono col concentrarsi in dibattiti sull'interpretazione del Concilio, in polemiche ecclesiastiche, in esperimenti di riforma di strutture ecclesiali o di creazione di nuove, in continue corvées di pianificazione e programmazione, col rischio della burocratizzazione prodotto dallo spropositato e troppo fiducioso moltiplicarsi di comitati, consigli, segretariati, sedute e riunioni d'ogni genere.

In tutto questo erano in gioco cose importanti, senza dubbio. Ma forse, quelle energie non erano sufficientemente radicate, sostenute, alimentate in quella fonte da cui scaturisce davvero la dynamis dell'autentico rinnovamento della Chiesa. A nulla valgono programmi e strutture se il sale diventa insipido. Sono solo strumenti al servizio di qualcosa d'assai più grande e profondo. *La Chiesa oggi - ripete Giovanni Paolo II - necessita non tanto di riformatori, quanto di santi+

Poiché *i santi sono i più autentici riformatori+ ed evangelizzatori. Non caricature meramente devozionali, ma testimoni di grande umanità, uomini nuovi nel cammino di crescita verso la piena statura rivelata da Cristo, l'uomo perfetto!

Il Papa lo diceva nella giornata commemorativa del ventesimo anniversario del decreto conciliare sull'apostolato dei laici, affermando: *Oggi la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità fra i christifideles, giacché è dalla santità che nasce ogni autentico rinnovamento della Chiesa, ogni arricchimento dell'intelligenza della fede e della sequela cristiana, ogni feconda riatualizzazione vitale del cristianesimo a favore delle necessità degli uomini e d'una rinnovata forma di presenza nel cuore dell'esistenza umana+. (18 novembre 1985).

*Non abbiate paura d'essere santi+, diceva ancora il Papa alle centinaia di migliaia di giovani riuniti a Santiago de Compostela (14 agosto 1989). E' solo nella santità - in quanto sequela di Cristo, per cui si arriva a proclamare: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" - che si sostiene e s'irradia la partecipazione dei fedeli laici alla comunione e alla missione della Chiesa. E' la santità della Chiesa - nella perfezione della carità - il segreto sorgivo e la misura infallibile della sua laboriosa attività apostolica e del suo slancio missionario.

Ebbene, la grandezza e sublimità di questa vocazione - di chiamati e destinati alla "perfetta unione con Cristo" - si vive nella pungente consapevolezza dei propri limiti, delle fragilità e miserie umane, nell'esperienza del peccato. Per questo essa richiede, con l'aiuto della grazia, un processo di continua conversione di vita.

Il Concilio Vaticano II ha additato con particolare vigore il divorzio tra la fede che si professa e la vita quotidiana, tra le occupazioni professionali e sociali e la vita religiosa, come uno *tra i più gravi errori del nostro tempo+ (GS 43).

Qui si ravvisa quella rottura tra evangelo e cultura, in cui Paolo VI additava *senza dubbio il dramma della nostra epoca+ (EN 20). L'Esortazione Apostolica Christifideles Laici riprende questo pensiero additando la tendenza alle "due vite parallele", frammentate, parzializzate (n. 59). All'opposto, occorre andar oltre ogni ritualismo, moralismo e spiritualismo - nei quali la fede non arriva a interpellare né a convertire la vita del battezzato - per promuovere una più compiuta interiorizzazione e appropriazione personale dell'annuncio evangelico, in modo che la fede aumenti e sia sempre di più il senso e l'esperienza fondante di tutto lo spessore e l'orizzonte dell'esistenza.

Nella pedagogia del disegno conciliare tutti i christifideles sono specialmente chiamati a prender coscienza del proprio battesimo e della novità di vita che esso comporta, in quanto germe fecondo, perché questo fruttifichi e Cristo si manifesti nel volto di ciascun battezzato. Occorre, quindi, suscitare nei fedeli una formazione della coscienza, di quegli atteggiamenti e comportamenti che siano coerenti con la fede ricevuta; ossia che diano forma soggettiva, nell'esistenza cristiana, agli insegnamenti oggettivi della Chiesa. Mentre, per un verso, appare di capitale importanza che la formazione dei fedeli sia in grado d'incorporare fedelmente, integralmente e organicamente la verità della fede e della dottrina cattolica ricevute dalla Rivelazione e dalla tradizione ecclesiale - e compendiate in quel prezioso strumento che è il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica - per un altro tutto questo deve suscitare uno sviluppo della sensibilità e della mentalità cristiane, perché si crei nei fedeli una sorta di abitudine che li metta in grado di reagire di fronte a tutti gli eventi e le situazioni della vita con criteri di giudizio e modalità di comportamento informati dalla fede. *Questa realtà obiettiva del mistero della Redenzione - affermò il Papa annunciando l'Anno Giubilare straordinario il 23 dicembre 1982 - deve tramutarsi in realtà soggettiva, propria di ciascuno dei credenti, per conseguire la sua efficacia concreta, nelle condizioni storiche dell'uomo che vive, che soffre e che lavora in questa fase del secondo millennio dopo Cristo+. E non si tratta d'un mero sforzo, sempre fragile, di coerenza morale. Sono l'incontrare Gesù Cristo e il seguirlo, a trasfigurare la vita dell'uomo. Nulla di questo può risultargli estraneo. Su tutto dovrà imprimere la sua "forma": sullo studio e sul lavoro, sugli affetti, sulla vita matrimoniale e familiare, sull'uso del tempo libero e del denaro, sul modo di analizzare la realtà, sulle opzioni politiche. Così la fede si verifica e cresce in quanto certezza sperimentata nella vita, e non ridotta a discorso astratto e formale. La testimonianza profetica dei christifideles è questo far evidente, sperimentabile, incontrabile, la presenza di Cristo misericordiosa, redentiva, tanto nell'esistenza personale quanto nella sociale. E nel dimostrare che Cristo rivela realmente il mistero dell'uomo, conferisce un senso radicale e unitario alla totalità dell'esperienza umana, è risposta e cammino di pienezza per le esigenze e gli aneliti umani alla dignità e alla verità, alla bellezza e alla felicità, alla pace e alla giustizia.

E' in una siffatta sintesi di fede professata e vita personale, familiare e sociale, che sono in gioco la realizzazione della vocazione peculiare dei cristiani laici e il loro singolare contributo alla missione della Chiesa intera. Tutto il contrario d'una fede estranea e lontana dalla vita, a mala pena un frammento ogni volta più residuale dell'esperienza umana, sempre più emarginata, ridotta e immiserita sotto le pressioni del processo di secolarizzazione.

E' ben noto con quanto vigore la consapevolezza d'esser Chiesa, d'essere riconosciuti e di riconoscersi membra vive del Corpo di Cristo, d'esser valorizzati nella piena cittadinanza nel Popolo di Dio, abbia suscitato un rinnovato slancio di partecipazione attiva e responsabile dei fedeli laici nella vita e nella missione della Chiesa. Dalla metà del secolo scorso si va svolgendo un profondo processo di rinnovamento ecclesiologico, arricchito di dati biblici e riscoperte patristiche, il quale ha messo in maggior risalto, nell'autocoscienza ecclesiale, i fondamenti trinitari e cristocentrici, la realtà pneumatologica e soteriologica, le dimensioni sacramentali e comunitarie.

Suscitò profonda impressione la vigorosa esclamazione di Pio XII - il Papa della Mystici Corporis - rivolta ai laici: *Siate Chiesa!+. E subito dopo, parlando ai Cardinali, egli ribadiva che i laici *debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere Chiesa+ (20 febbraio 1946). Solo un'ecclesiologia totale - riconosceva poi Yves Congar - *può fondare e animare una teologia e una prassi del laicato+. Questo rinnovamento ecclesiologico si pone nel cuore stesso del Concilio Vaticano II. La riscoperta della Chiesa come sacramento, radicato intimamente nella vita trinitaria, che significa al mondo intero il mistero del disegno salvifico, rivela la natura dinamica del Popolo di Dio, presente nella storia come segno dell'inestinguibile novità del Corpo di Cristo. E' alla luce dell'ecclesiologia conciliare che resta illuminata ed evidenziata l'originale dignità dei fedeli laici, al punto che il Decreto Ad Gentes arriverà ad affermare: *La Chiesa non è realmente costituita, non vive in maniera piena segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico+ (AG 21). Nel popolo profetico, sacerdotale e regale, che è la Chiesa di Gesù Cristo, *comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione: una sola la salvezza, una sola la speranza, e una unità senza divisione... Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli per l'edificazione del Corpo di Cristo+ (LG 32).

Da questa consapevolezza di comune appartenenza e di uguale dignità proruppero, durante e dopo l'evento conciliare, e ai più diversi livelli, un forte slancio e vigorose correnti di partecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa, dei laici battezzati non già limitati alla fruizione di servizi rituali, sibbene soggetti ecclesiali che, nel battesimo e nella cresima, come pure nella comunione eucaristica, scoprono le esigenze insite nella loro vocazione cristiana e nella loro testimonianza missionaria. Si assiste, quindi, a una presenza attiva e a una crescente assunzione di responsabilità da parte dei fedeli laici nelle più svariate comunità, servizi e istituzioni del Popolo di Dio.

La vita comunitaria ecclesiale si va rinnovando nel tessuto delle parrocchie, referenti visibili, prossimi e immediati, della Chiesa locale, aperte e accoglienti alla diversità delle componenti del Popolo di Dio, congregato nell'unità, fondamentalmente attorno alla Parola di Dio e all'Eucaristia.

Molte di esse si sono evolute verso la realizzazione d'una comunione di comunità, travalicando le forme di massificazione e, al tempo stesso, di disgregazione imperanti nel tessuto sociale. Ciò si manifesta altresì nella promozione pastorale di piccole comunità o comunità ecclesiali di base, che aspirano a realizzare l'archetipo delle comunità primitive, attente ai criteri di discernimento proposti dal Magistero. Prende corpo, del pari, nelle famiglie cristiane che riscoprono la loro vocazione di Chiese domestiche. Si realizza pure nelle comunità che costituiscono parte di associazioni di fedeli o sono suscitate dai carismi e dalle pedagogie di movimenti ecclesiali. Molti fedeli laici sono andati prendendo consapevolezza d'essere incorporati in una Chiesa particolare - porzione del Popolo di Dio affidata al Vescovo, "principio e fondamento visibile" della sua unità - espressione e realizzazione della Chiesa Cattolica, una e unica, universale e primigenia, disseminata e incarnata nei più diversi contesti sociali e culturali di vita dei popoli.

Non per caso noi tutti christifideles siamo oggi invitati a meditare, contemplare e vivere la ricchezza, la grandezza e la bellezza di quel mistero di comunione che è la Chiesa, ad aderire a questa con un rinnovato stupore per il miracolo della sua unità, che è cessazione d'ogni estraneità e nel quale diventiamo segno della Presenza di Cristo. Già l'Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi nel 1985 riprendeva e lumeggiava questa "ecclesiologia di comunione" che percorre come filo conduttore tutta l'Esortazione Apostolica Christifideles Laici ed è illustrata dall'immagine biblica della vite e dei tralci.

Ogni comunità cristiana - famiglia, parrocchia, associazione, movimento ecc. - è chiamata a realizzare, a testimoniare, a comunicare questo mistero di comunione che costituisce la Chiesa. Quanto più lo sperimenta e manifesta, tanto più una comunità cristiana si fa sorprendente per la sua novità di vita, tanto più interpella e attrae, tanto più fa crescere le persone, tanto più palesa vitalità missionaria, tanto più si trasforma in soggetto di solidarietà fra gli uomini.

Di fatto, la gratitudine e la perseverante costanza, l'identità e la crescita della vita cristiana possono sostenersi solo grazie all'incorporazione dei fedeli in queste comunità cristiane vive, nutrite dalla frequente partecipazione all'Eucaristia - fonte e vertice della communio - e al sacramento della Penitenza, illuminata dalla Parola di Dio, interiorizzata nella preghiera, condivisa coi fratelli di fede e guidata dalla paternità e dal magistero dei Pastori. E' questa esperienza concreta di comunione - e non l' isolamento e la diaspora, la partecipazione sporadica a servizi religiosi, il mero richiamarsi generico a qualche punto fermo dottrinale e morale, e ancor meno la sola etichetta tradizionale di "cattolico" - che ingenera e fa crescere quella libertà di figli di Dio nella e con la quale Cristo ci ha liberati, irradiando un'autentica testimonianza cristiana e impedendo a quanti ne godono di restar intrappolati nel conformismo dei modelli di vita dominanti, prigionieri degli idoli del potere, del denaro-consumo, del piacere effimero.

Non possono esservi, dunque, né aspetti, né servizi, né attività ecclesiali, in cui si lasci desiderare questa rinnovata partecipazione dei fedeli laici. E' necessario ridarle slancio nella vita liturgica, nei diversificati impegni di catechesi, nella rivalorizzazione della pietà popolare, nelle opere di carità e di solidarietà, nelle istituzioni scolastiche, nella stampa cattolica ecc. Nessun battezzato può rimanere ozioso nella vigna del Signore! Un richiamo e una valorizzazione particolari si esigono per l'accoglienza, la partecipazione, l'assunzione di maggiori responsabilità delle donne nelle comunità cristiane - c'è tanto da arricchirsi, investendo di più nel "genio femminile"! - dei giovani, speranza della Chiesa! Le comunità cristiane siano infine aperte ai poveri, prediletti dall'amore di Dio, e verso tutti, sempre con una grande misericordia, che è segno della comunità di peccatori che noi siamo: peccatori perdonati e riconciliati dalla grazia del Redemptor Hominis.

Per promuovere, sostenere e arricchire questa partecipazione dei fedeli laici, è sempre necessaria e opportuna una cordiale attenzione al riconoscimento e alla valorizzazione di ognuno, al rispetto reciproco e all'indiscussa complementarità tra le diverse vocazioni specifiche, tra i vari stati di vita, ministeri e funzioni nell'unica compagine ecclesiale.

La comunione e la missione della Chiesa - e quindi d'ogni comunità cristiana! - sarebbero impoverite da ogni forma di appiattimento o, peggio, di confusione: dunque, né secolarizzazione dei chierici, né clericalizzazione dei laici! Nella Chiesa-Comunione - ricorda puntualmente la Christifideles Laici (n. 32) - i vari stati di vita sono talmente correlati fra di loro da esser ordinati gli uni agli altri. E' comune - o meglio, è unico - il loro senso profondo: essere delle modalità, secondo cui vivere l'uguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella perfezione dell'amore. Sono modalità al tempo stesso differenti e complementari, talché ognuna di esse ha una sua propria fisionomia originale e inconfondibile e, a un tempo, è in relazione con tutte le altre e con il servizio che esse rendono. La Chiesa locale cresce quando è terra preparata, feconda per quei semi dello Spirito che chiamano alla dedizione totale al servizio della Chiesa nel sacerdozio ministeriale (ivi compreso il diaconato, che è da riprendere e rilanciare) alla testimonianza dell'Assoluto di Dio nella consacrazione verginale, alla novità di vita cristiana manifestata nel matrimonio, nel lavoro, nella polis, dentro la consistenza e concretezza della secolarità.

Un aspetto particolare, che vale la pena evidenziare nell'ambito di questa pluriforme corrente di partecipazione e corresponsabilità dei laici, risulta dalle forme istituzionali che cercano ancora di condurre più pienamente a effetto l'una e l'altra.

Si tratta, in buona sostanza, di creare o rinnovare strutture di partecipazione, corresponsabilità, coordinamento ecc. Sono numerosi i Sinodi diocesani che hanno potuto contare su di una rilevante rappresentanza laicale. In taluni paesi e diocesi si sono sviluppate realtà di Consulte nazionali e diocesane di laici. Ma il luogo privilegiato, voluto dallo stesso Concilio, è consistito nei Consigli Pastorali - parrocchiali e diocesani - chiamati a *studiare, esaminare tutto ciò che concerne le attività pastorali, e proporre quindi conclusioni pratiche, al fine di promuovere la conformità della vita e dell'azione del popolo di Dio con il Vangelo+ (Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, del 6 agosto 1966). In tali organi si desidera che i fedeli laici partecipino in modo influente all'elaborazione e alla gestione dei programmi pastorali. Trascorsa una fase critica di sperimentazione, si spera che la loro realtà cresca in ampiezza numerica, ma anche e soprattutto in intensità di comunione e servizio.

D'altra parte, si è proceduto altresì a una crescente istituzionalizzazione ministeriale dei servizi prestati da fedeli laici, soprattutto a cominciare dalla riforma degli ordini minori secondo il Motu Proprio Ministeria quaedam del 15 agosto 1972, che sancì i primi ministeri istituiti accessibili ai non ordinati. L'esperienza e la riflessione sulla natura e la diversità di siffatti ministeri non ordinati non faranno altro che intensificarsi in epoca postconciliare. L'Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi mise in risalto l'importanza di questi ministeri in ordine alla plantatio Ecclesiae, alla vita e maturazione della medesima, indicando a mo' d'esempio quelli *di catechisti, di animatori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al servizio della Parola di Dio o all'assistenza dei fratelli bisognosi, quelli infine dei capi di piccole comunità, dei responsabili di movimenti apostolici, o di altri responsabili+ (n. 73). Non manca la generosa disponibilità di tanti fedeli laici, e non mancano neppure i preziosi servizi che essi disimpegnano di fronte alle più disparate necessità delle comunità cristiane. Alcuni di essi richiedono una specifica formazione, un impegno di una certa durata, la consapevolezza dei bisogni e delle necessità della comunità e il mandato da parte dei Pastori.

E' evidente che queste responsabilità sono assunte quale esercizio del sacerdozio universale dei fedeli, vale a dire in ragione delle esigenze intrinseche al battesimo e alla cresima. Lungi dal degenerare in forme di clericalizzazione, essi si risolveranno in un arricchimento della diaconia dell'intero Popolo di Dio, realizzando la diversificazione di ministeri e l'unità della missione.

Nell'illuminante quadro della sua ecclesiologia di comunione e di responsabilità missionaria di tutti e ciascuno dei battezzati, il Concilio Vaticano II mise in rilievo l'importanza delle forme organizzate dell'apostolato secolare come risposta adeguata alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e... al tempo stesso, segno di comunione e unità della Chiesa in Cristo. Raccomandò inoltre che si rafforzi la forma associata e organizzata dell'apostolato e incoraggiò lo sviluppo associativo a livello internazionale, riaffermando in termini espliciti e inequivocabili che "i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni" nella comunione. (cfr. AA 19 ss.; GS 90).

Oggigiorno la Chiesa constata con gratitudine e gioia che ci troviamo a vivere *una nuova stagione associativa dei fedeli laici+ (Christifideles Laici, 29; cfr. 25 ss.). Essa nasce dalla confluenza di apporti diversi: associazioni tradizionali di apostolato laicale - in primo luogo l'Azione Cattolica, nel suo radicamento parrocchiale e diocesano - hanno vissuto un processo di aggiornamento e di rinnovata vitalità; si è andato convalidando un tessuto di organismi di volontariato al servizio di infermi e disabili, dei poveri e degli emarginati, degli anziani, o intesi al recupero dei tossicodipendenti, o perseguenti gli obiettivi di promozione della donna, di difesa della vita, di salvaguardia della natura, di solidarietà fra i popoli, di azione a favore della pace ecc.; sono sorte anche varie altre forme associative, legate al carisma e alle opere di comunità religiose. Ma la novità più sorprendente è stata la vigorosa espansione di quelle denominate movimenti ecclesiali, che palesano una arricchente diversità di carismi, metodi e campi d'azione. E', questo, un segno della libertà di forme, in cui si realizza l'unica Chiesa.

Questa indubbia ricchezza della pluriformità di doni, cammini ed esperienze associative deve coniugarsi nell'unità. Preziose appaiono, quindi, le indicazioni dell'apostolo Paolo circa il discernimento dei carismi riconosciuti come provenienti dall'unico Spirito (1 Cor 12,4ss.), confessanti Gesù come il Signore (1 Cor 12,3) e contribuenti all'utilità della Chiesa in quanto accrescimento del Corpo di Cristo (cfr. 1 Cor 12,7; 12,22-27), nella ricerca del dono della carità e nella salvaguardia del suo primato (1 Cor 13; 2 Cor 6,6; Gal 5,22 ecc.).

Se i Pastori non si arrogano, certo, il monopolio dei carismi, sono però investiti del carisma di discernimento di tutti i carismi nella Chiesa. Esso è proprio del loro ministero di governo pastorale. Tutti i carismi e tutte le esperienze associative che ne scaturiscono danno indubbia prova di autenticità ecclesiale sottoponendosi al discernimento dell'autorità ecclesiastica, chiamata a riconoscerli nella loro conformità alla dottrina e alla disciplina della Chiesa, a incoraggiarli nei loro buoni frutti e, l'occorrenza, correggerli, ad armonizzarli e guidarli per il bene della comunione e della missione della Chiesa intera.

Date la delicatezza e l'attuale complessità di questo compito, emerge oggi la necessità di utilizzare precisi criteri di discernimento e riconoscimento delle associazioni di fedeli.

L'Esortazione Apostolica Christifideles Laici ha enucleato questi cinque criteri fondamentali:

1. Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, dal momento che le associazioni di fedeli sono chiamate a essere strumenti di santità.

2. La responsabilità di confessare la fede cattolica, che fa d'ogni associazione di fedeli un luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.

3. La testimonianza di una comunione salda e convinta con il papa e con il vescovo. L'essere sempre più soggetti d'una nuova evangelizzazione.

4. Il diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società.

5. In ultima istanza, è dai frutti concreti che si riconosce e apprezza l'albero.

E', tuttavia, davvero paradossale che proprio mentre si registra un aumento di partecipazione e responsabilità dei fedeli laici nella vita della Chiesa, si diffonda un vasto e capillare processo di scristianizzazione.

Se negli anni Sessanta il Concilio Vaticano II avvertiva che *moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione+ (GS 7), venti anni dopo l'Esortazione Apostolica Christifideles Laici non ha dato certo spazio a facili ottimismi: *Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti... sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo+. Grandi masse di uomini vivono *come se Dio non esistesse+. Ma anche in altre regioni o nazioni in cui *si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana... questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette+ (n. 34).

*Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa - afferma il Papa nella Lettere Enciclica Redemptoris Missio - è in continuo aumento, anzi dalla fine del concilio è quasi raddoppiato+ (n. 3). Se milioni e milioni di uomini attendono ancora una prima evangelizzazione, è necessaria una nuova evangelizzazione - e di non minore impeto missionario, né d'urgenza, audacia e novità minori - perché rifiorisca la vita cristiana là dove avanza la desertificazione d'una umana convivenza soggetta agli idoli del potere, della ricchezza e dell'edonismo.

Di fronte a sfide tremende, le prime parole di Giovanni Paolo II - *apri te le porte a Cristo... al suo potere di salvezza; aprite le frontiere degli

Stati, i sistemi economici e politici, i vasti campi della cultura, della civilizzazione e dello sviluppo. Non abbiate paura!...+ - erano preludio d'un pontificato missionario. Non era forse questa, la profonda intenzionalità del Concilio Vaticano II, sottolineata da Paolo VI nel discorso inaugurale del quarto periodo di sessioni, allorché egli diceva: *La Chiesa, in questo mondo, non è fine a se stessa; essa è al servizio di tutti gli uomini; essa deve rendere Cristo presente a tutti, individui e popoli, quanto più largamente, quanto più generosamente possibile; questa è la sua missione?+ Occorreva passare da un atteggiamento conservatore a un atteggiamento missionario: abbattere i muri, lasciarsi alle spalle la mentalità di fortezza assediata, superare ambiti e forme istituzionali e culturali che avevano perduto dinamismo missionario effettivo, con il rischio della fossilizzazione. Un nuovo impulso, dunque, ad andare ad gentes, ma non solo verso nuovi territori, bensì verso tutti gli ambienti della convivenza sociale. Dieci anni dopo la conclusione del Concilio, l'Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi confermava e ricentrava questa intenzionalità missionaria con la sua stupenda prospettiva dell'evangelizzazione della cultura e delle culture dell'uomo. Si esige una nuova evangelizzazione: questo ha reiteratamente invocato Giovanni Paolo II. Non, certo, un nuovo Evangelo, bensì la novità inesauribile dell'Evangelo di sempre - nell'insondabile ricchezza di Cristo - testimoniato e annunciato da uomini nuovi e donne nuove, con nuovo ardore, nuovi metodi ed espressioni, per rispondere alle nuove sfide che si delineano nelle più diverse situazioni e culture dell'uomo.

Potrebbe dirsi perfino che in quel suo richiamo illuminante e mobilitante Giovanni Paolo II abbia inteso prolungare e condensare l'attualizzazione del mandato missionario affidato da Cristo alla sua Chiesa, secondo il disegno e l'eredità del Concilio Vaticano II per questa ultima fase del secondo millennio.

E' quasi un'urgenza missionaria, quella di sgrovigliare la vita delle comunità cristiane, di scuoterle da inerzie, letarghi e distrazioni, di esigere un'autenticità d'esperienza cristiana, d'andar oltre la routine ecclesiastica, d'andar incontro a tutte le necessità dell'uomo, d'ascoltare e considerare attentamente le sue richieste di senso e di grandi ideali di vita. E di farlo con quell'inaudita forza di convinzione e quel contagioso entusiasmo che - come affermava il Santo Padre - occorrono per andar incontro all' *uomo che cerca la verità, la giustizia, la felicità, la bellezza, la bontà, senza poterle trovare colle sue proprie forze, e che resta insoddisfatto dinanzi alle proposte offerte dalle ideologie immanentiste e materialiste e pertanto sperimenta l'abisso della disperazione o del tedio, o rimane come paralizzato nello sterile e autodistruttivo piacere dei sensi...+: per questo *uomo, che reca impresso in sé, nella mente e nel cuore, l'immagine di Dio e ha questa sete di assoluto, l'unica risposta è Cristo+ (Giovanni Paolo II, 23 novembre 1982).

Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa, nessun fedele cristiano possono sottrarsi a questo dovere supremo d'annunciare Cristo a tutte le genti, di *dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo+ (Redemptor Hominis, 10). Al tempo stesso tutto questo è supremo servizio per la realizzazione della libertà, della dignità, del destino d'ogni persona umana.

Se la corrente storica di promozione del laicato ebbe originariamente impulso di fronte alle spinte di scristianizzazione in atto nelle antiche cristianità e alle necessità della missione da effettuarsi anche in terre e genti nuove, oggi i fedeli laici restano convocati in prima fila per dar corpo a una nuova fase missionaria della Chiesa, quella di cui è una Charta Magna l'Enciclica Redemptoris Missio. Resta altresì riferita a essi la vigorosa interpretazione contenuta in quell'importante documento di Giovanni Paolo II, allorché vi si afferma che le difficoltà più ardue da superare sono quelle interne al Popolo di Dio, quelle già additate da Paolo VI: *la mancanza di fervore+, che *si manifesta nella stanchezza nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza", come pure ne *le divisioni passate e presenti tra i cristiani, la scristianizzazione di paesi un tempo cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e comunità cristiane, che non seguono nella loro vita il modello di Cristo+ (RM 36).

Protagonisti di nuova evangelizzazione sono soltanto quei fedeli laici che, da persona a persona, d'esperienza in esperienza, comunicano la novità di vita che hanno incontrata e condivisa da quando sono alla sequela di Cristo, come testimoni e araldi della sua presenza salvifica in tutte le situazioni, ambienti e culture umane.

Una nuova evangelizzazione, se autenticamente tale, deve generare nuove forme di vita per l'uomo, nuove esperienze di convivenza sociale, nuove mentalità e strutture di rapporto fra uomini e popoli.

Lungi da ogni evanescenza, disaffezione e sradicamento, questa nuova evangelizzazione si realizza muovendo dalla solidarietà cristiana col destino dell'uomo e coll'avvenire delle nazioni. Nulla di quanto è umano può apparire estraneo a questa solidarietà cristiana. L'atteggiamento d'amore per ogni uomo, il condividere la vita d'ogni ambiente umano, il radicamento in ogni cultura, la passione per il destino della propria gente, la solidarietà umana al di là d'ogni frontiera, sono i segni che caratterizzano la presenza cristiana. L'Evangelo accoglie, esprime e potenzia quanto d'autenticamente buono, giusto e vero si vive nell'esperienza umana, mentre respinge ogni schiavitù e oppressione come attentati alla sublime dignità dell'uomo, creato a immagine di Dio e redento dal sangue di Cristo. Esso è forza di libertà e messaggio di liberazione. Una reale trasformazione della vita e della società alla luce di Cristo: questa è l'opera a cui è chiamata la Chiesa.

In tale prospettiva, il contributo dei fedeli laici alla presenza missionaria della Chiesa a servizio della persona e della società è insostituibile quanto preziosa. La loro cristiana novità di vita, infatti, è caratterizzata dall'indole secolare , intesa come modalità di realizzazione e dilatazione nelle *condizioni ordinarie della vita familiare e sociale+ (cfr. LG 31, 35, 36; AA 7; GS 43). Onde secolare vuol dire non certo separato da Cristo, bensì chiamato a ricapitolare in Lui tutte le articolazioni dell'esperienza umana. Né, del pari, vale la contrapposizione tra identità cristiana e laicità, essendo quest'ultima un modo specifico di vivere la comune appartenenza e la comune missione cristiana ed ecclesiale, un modo caratterizzato dall'inserimento nelle realtà terrene. Certo si è che sono stati superati certi schemi grossolani, tendenti ad attribuire al clero l'esclusiva del sacro e ai laici quella della secolarità, giacché oggi la Chiesa è ben consapevole d'esser caratterizzata nella sua totalità da una dimensione secolare: vive nel mondo pur non essendo del mondo, e la sua missione di continuare l'opera redentrice di Cristo, volta alla salvezza degli uomini, comprende al tempo stesso anche la restaurazione delle realtà temporali. Tutti i suoi membri partecipano di questa dimensione secolare, anche se con modalità diverse.

Ma, riaccentuando l'esigenza di rispettare gli insegnamenti conciliari, già Paolo VI, a dieci anni dal Concilio, aveva sentito la necessità di sollecitare l'impegno dei fedeli laici in quella "forma singolare di evangelizzazione" (EN 70), che consiste nell'informare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture in mezzo a cui essi si trovano a vivere.

E', questa, la modalità primordiale che caratterizza la loro testimonianza a Cristo, Signore della storia, e il loro contributo alla dilatazione del suo "regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, d'amore e di pace". *Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita, la più splendida e convincente testimonianza che non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana+ (Christifideles Laici, 34).

L'impulso missionario della Chiesa si espande così "fuori delle mura", là dove le istituzioni e il personale ecclesiastico riescono sempre meno a essere presenti e a conseguire una qualche influenza reale.

Si tratta, dunque, di far tutto il possibile per suscitare e irrobustire tale identità, questa presenza attiva nell'impegno dei fedeli laici nella città secolare, vissuto con quella responsabilità e quella libertà che vengono loro riconosciute. Essi devono crescere in una rinnovata fiducia nel potere costruttivo dell'Evangelo in tutti i campi della vita sociale. La chiave di discernimento e orientamento della loro prassi sociale è stata fornita con estrema chiarezza da Giovanni Paolo II agli esordi del suo ministero di Pastore supremo, per poi esser ripresa e illustrata nell'attuale fase di rilancio della Dottrina sociale della Chiesa: *La Chiesa possiede, grazie al Vangelo, la Verità sull'uomo. Una verità che si trova in un'antropologia che la Chiesa non cessa d'approfondire e comunicare. L'affermazione precipua di tale antropologia è quella dell'uomo immagine di Dio, che non si può ridurre a mera particella della natura o a elemento anonimo della città umana... Questa compiuta verità sull'essere umano costituisce il fondamento della Dottrina sociale della Chiesa, così come è pure la base dell'autentica liberazione+ (7.1.1979).

Tocca particolarmente ai laici portare la testimonianza evangelica, la presenza della Chiesa, l'annuncio e l'esperienza d'una vita nuova e buona, al concreto servizio della carità, nel confronto con le necessità e speranze che emergono nella vita quotidiana dei loro prossimi.

E' così; prima che altrove, nella vita matrimoniale e familiare, nel lavoro e nell'attività professionale, nella scuola, nelle fabbriche, nelle officine e nei campi, nella vita politica e sociale ecc. (cfr. Christifideles Laici, 36-45). Inculturando una fede vivida e condivisa, essi devono manifestare, con le loro opere, che l'Evangelo di Cristo è "forza di libertà e messaggio di liberazione"; è *Buona Notizia circa la dignità della persona umana+ (cfr. Redemptor Hominis, 10-13), a cominciare dal diritto alla vita, dalla libertà religiosa, dalla libertà di creazione e aggregazione sociali. E' carità che sostiene e fa più grande ogni autentica solidarietà fra gli uomini; è preferenziale solidarietà con quanti vivono più acutamente il mistero della Croce, recando nella propria carne le piaghe dell'umanità: gli infermi e gli abbandonati, i poveri e gli oppressi, i disoccupati, i privati della libertà e diritti, quanti soffrono la guerra e la fame ecc. Oggi essi devono dimostrare storicamente che il cristianesimo è la proposta più pienamente umana, più a misura della totalità della vocazione, della esperienza e del destino degli uomini, molto, moltissimo più concretamente di qualsiasi ideologia umana.

La Chiesa, infine, invita a orientare e animare l' impegno sociale dei fedeli laici nella prospettiva d'una civiltà dell'amore. Esso non ha nulla del sentimentalismo irenico né della tranquillizzante fuga nell'utopia.

Le impressionanti trasformazioni che si vanno compiendo verso la fine di questo secolo sono indubbiamente di grande svolta e portata di civiltà. Assistiamo ai balzi qualitativi e accelerati del progresso scientifico e tecnologico, a una rivoluzione delle comunicazioni. Cambiano i sistemi di produzione del lavoro e i punti di riferimento culturale; crollano imperi e si abbandonano utopie e messianismi terreni... Sull'orizzonte della civiltà si stagliano anche le grandi sfide lanciate per la salvaguardia della vera libertà, la ricerca della pace e della giustizia, il rispetto della dignità e di diritti della persona e dei popoli, la costruzione di un habitat naturale e morale che sia degna dimora degli uomini ecc. Orbene, siamo testimoni che Cristo rivela l'insondabile Assoluto di Dio come amore e che egli è la pietra angolare d'ogni civiltà autenticamente umana.

La battaglia si combatte nel cuore di ogni uomo e contrappone la Signoria di Cristo alle potenze di questo mondo. La certezza della vittoria è data dalla potenza della Resurrezione, la disfatta del peccato e della morte - radici d'ogni schiavitù - e della terra nuova nella dimora del Padre, dove non si avranno più fame né sete e dove sarà asciugata ogni lagrima. Saranno capaci i cristiani di vivere e annunciare, qui e ora, questa possente e sicura speranza, per mettersi all'avanguardia nella creazione di nuove esperienze d'umana convivenza - pur sempre fragili, riformabili, migliorabili - nelle quali s'intravveda la liberazione che si avvicina, e i segni emergenti del Regno di Dio?