Il Concilio Ecumenico

Vaticano II

11 ottobre 1962 - 8 dicembre 1965

 

Con la cerimonia solenne e grandiosa dell'8 dicembre 1965 si è concluso uno dei più importanti avvenimenti del nostro secolo.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II era stato aperto preso il sepolcro di Pietro l'11 ottobre 1962, nel giorno in cui - allora - il calendario faceva memoria della divina maternità di Maria. Si inaugurò dopo tre anni di preparazione e di preghiera. Infatti il 17 maggio 1959, festa di Pentecoste, venne costituita dal Papa Giovanni XXIII la Commissione ante-preparatoria, presieduta dal cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato.

In una allocuzione radiofonica del 27 aprile 1959 il Papa invitò i cattolici dell'orbe a pregare a fare penitenza per il buon esito del Concilio.

Il secondo periodo della preparazione del Vaticano II ebbe inizio il 5 giugno 1960, ancora festa di Pentecoste. con la promulgazione del motu proprio Superno Dei nutu. Sulla base dei dati, forniti dalla precedente consultazione occorreva procedere alla redazione degli schemi per gli argomenti che il Papa intendeva sottoporre al Concilio.

L'11 aprile 1961 nella Lettera apostolica Celebrandi Concilii Oecumenici, Papa Giovanni XXIII raccomanda ancora preghiere per il Concilio. Il 25 dicembre 1961, con la Costituzione Apostolica Humanae Salutis, Papa Roncalli indice il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il 6 gennaio 1962 il Papa indirizza i sacerdoti di tutto il mondo l'Esortazione apostolica Sacrae Laudis, invitandoli a celebrare la Liturgia delle Ore [allora Ufficio Divino] per il buon esito dell'Assise conciliare.

Il 2 febbraio 1962, nel motu proprio Consilium, stabilisce che il Concilio inizi l'11 ottobre 1962. E finalmente, il 28 aprile 1962, con la Lettera Apostolica Oecumenicum Concilium, raccomanda la recita del Rosario per il buon inizio del Concilio.

Sono queste, all'apparenza, solo sterili date, che segnano in qualche modo la cronaca della fase preparatoria della grande Assise Ecumenica, ma che denotano l'ordine profondamente soprannaturale e spirituale dell'evento. Chi dovesse ignorare questa realtà, invisibile ma essenziale, finirebbe con il fare solo una lettura orizzontale, senza quell'intima ed efficace tessitura soprannaturale che viene soltanto da Dio e che è opera dello Spirito Santo, che è l'anima della Chiesa. Si finirebbe, davvero, di perdere il vero e reale senso del Vaticano II, il quale - più che appartenere alla storia della Religione - appartiene alla teologia della storia.

Tutto ciò è presente nella mente e nel cuore del Papa, che ancora l'1 e il 2 luglio 1962 invia, rispettivamente, una Lettera ai Vescovi e ai Fedeli di tutto il mondo per invitare tutti alla preghiera e alla penitenza e una lettera alle Religiose per impegnarle nella preghiera per il buon esito del Concilio. Inoltre, l'11 settembre 1962 Papa Roncalli rivolge l'ultimo radiomessaggio Ecclesia Christi gentium a tutti i fedeli, a un mese dall'inizio del Concilio.

Come non ricordare, infine, quel 4 ottobre 1962, allorquando Giovanni XXIII si fa pellegrino - in treno - al santuario della Madonna di Loreto e ad Assisi per chiedere speciali benedizioni sull'imminente Assise?

 

Lo svolgimento dei lavori del Vaticano II rappresenta un successo unico riguardo a una influenza più estesa della Chiesa Cattolica Romana e riguardo alla sua posizione resa senza dubbio più eminente nel mondo.

Mai un'assemblea ecclesiastica C soprattutto di una tale importanza numerica ancora mai vista (2.540 membri, rispetto ai 750 del Vaticano I e ai 258 del Concilio di Trento) C ha dato prova di una tale autocritica, mai si è dedicata a un tale sforzo di riorganizzazione. I lavori del Concilio, la proclamazione ufficiale fatta dal Papa delle decisioni conciliari, votate tutte con una quasi unanimità, costituiscono oramai l'insegnamento ufficiale e rinnovato della Chiesa Cattolica.

Allorché Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, preannunciò la grande Assemblea C fu, com'è noto, nei primi mesi del suo pontificato C l'impressione nel mondo fu grande e profonda: un carisma di profezia, fu scritto.

In realtà pochi erano quelli che comprendevano il significato vero e profondo della decisione storica del Papa. Ma l'emozione che l'annuncio suscitò fu la conferma delle attese e delle speranze, spesso indistinte ma universali, che v'erano nell'umanità per l'azione della Chiesa, quelle medesime speranze che il Papa, nel suo anelito pastorale, aveva già intuito e che gli avevano ispirato, in definitiva, la risoluzione di convocare i Vescovi del mondo cattolico.

Qualcosa di simile era già accaduto poco meno di un secolo prima ai tempi del Vaticano I.

Il primo annuncio del XX Concilio ecumenico fu dato da Pio IX il 29 giugno 1867, in occasione del centenario di San Pietro: il potere temporale era stato già gravemente menomato e quanto ne restava appariva seriamente scosso. Parve, specialmente in Italia, che il Papa tentasse di mobilitare il mondo cattolico a difesa dello Stato romano; vivaci reazioni si ebbero al parlamento di Firenze. Nel mondo cattolico si manifestarono apprensioni e timori che nel sinodo imminente si confermasse e prendesse forma dogmatica la supremazia del Papa a detrimento non solo dell'autorità dei vescovi, ma della stessa autonomia degli Stati. La preoccupazione politica fece velo alla retta comprensione del grande evento.

Quando fu annunciato il Vaticano II le condizioni esterne erano di molto cambiate e nessuno poteva aver motivi o pretesti d'ordine temporale per manifestare preoccupazioni o timori analoghi a quelli del 1867.

Tuttavia - narrano le cronache - non mancarono taluni movimenti e gruppi, espressione di concezioni ateistiche del mondo e della vita, che presentarono il Concilio o come l'effetto di una pressione di base sulla Gerarchia, o come una conseguenza dell'evoluzione storica, che non lasciava immune neppure la Chiesa cattolica. Tali furono le pregiudiziali che ispirarono anche una parte della stampa e dell'opinione pubblica nelle sue valutazioni del Concilio, inducendola a ricercare, nei lavori di preparazione e in quelli dei quattro periodi, quanto poteva sembrar utile a confermare tesi preconcette. In sostanza, la Chiesa venne considerata molto spesso in una dimensione unicamente terrena, storica, a discapito del suo carattere soprannaturale. Derivò da questo atteggiamento la tendenza a sensibilizzare le discussioni e gli atti conciliari più immediatamente collegati alla realtà presente, come lo schema sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e l'altro sulla libertà religiosa o, ancora, talune questioni che più da vicino toccano il senso comune o l'interesse o il costume: ad esempio la limitazione delle nascite, la morale del matrimonio.

Anche il valore di documenti fondamentali non fu sempre compreso.

Così, per esempio, la Costituzione dogmatica *Lumen Gentium+ sulla Chiesa: un documento che, in sé stesso, implica una nuova configurazione dell'Ecclesiologia, quindi della stessa pastorale; forse un tipo nuovo di rapporto col mondo. La stessa Costituzione liturgica fu più considerata sotto l'aspetto delle innovazioni che introduceva che sotto l'altro, sostanziale, della partecipazione consapevole del popolo cristiano, del richiamo catechistico che deriva da una lex orandi più accessibile ed esplicita.

Il presupposto politico, più o meno latente, indusse a guardare alle congregazioni conciliari come ai dibattiti di un parlamento. Se non, come pure è avvenuto, di un'assemblea costituente. I Padri vennero catalogati e divisi in gruppi distinti e contrapposti; si volle identificare una destra e una sinistra, si andò a scrutare tra le pieghe degli interventi, vennero sottolineate interruzioni vere o presunte, si cercò, insomma, un dramma laddove non era che volontà unanime di bene, amore della verità, slancio a Dio. Le diverse posizioni emerse nel Concilio sui problemi volta a volta presi in esame, approfonditi, discussi, erano altrettante facce di uno stesso sentimento: l'assenso o il dissenso, lealmente e francamente manifestati con la parola e col voto, furono testimonianze che, davanti a Dio, avevano lo stesso valore e che alla fine vennero a coincidere, per questo impulso soprannaturale, in una quasi unanimità sui problemi di fondo.

Ma la Provvidenza, che aveva voluto il Concilio, lo condusse a termine - pur nel travaglio di discussioni spesso assai vivaci e contrastanti idee e opinioni - nel modo più felice. Le diversità hanno giovato all'unità, perché unità e differenze vengono da Dio. La molteplicità delle culture, delle ideologie, delle opinioni, delle correnti di progresso [non si dimentichi mai che hanno lavorato insieme 2540 Padri provenienti da tutto il mondo!] hanno - alla fine - costruito una mirabile osmosi e una stupenda e sorprendente coralità. Giovanni XXIII - ricorda il segretario generale del Concilio, mons. Pericle Felici - aveva detto con voce ferma e con lo sguardo proteso verso l'avvenire: *Il Concilio riuscirà!+ E il Concilio è riuscito.

Ora il Concilio continua. Sì il Concilio continua perché esso è stato ed è una pietra miliare nella storia della Chiesa e nella teologia della storia. Nessuno storico, degno di questo nome potrà mai ignorarlo.

In realtà il Concilio continua la sua opera di rinnovamento e di riforma. Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni fanno parte del patrimonio della Chiesa.

La Chiesa è uscita dal Concilio con un volto più giovane e un passo più spedito. La ricerca di una autenticità cristiana, che è stata la continua preoccupazione pastorale ed ecumenica dei Padri conciliari, ha offerto alla Chiesa un nuovo splendore. Essa si rivolge - soprattutto da allora - al mondo più libera, più ricca interiormente, più conforme ai suoi valori istituzionali.

Decreti come quelli sulla libertà religiosa e sull'ecumenismo rivelano una attitudine di aggiornamento pastorale. La Costituzione sulla liturgia, che fu il primo documento che ha trovato immediata e facile applicazione, ha introdotto l'uso della lingua parlata, ha fatto scoprire l'importanza restituita alla liturgia della parola come alimento della vita di fede, la rivalutazione dell'assemblea cristiana come comunità orante presieduta dal sacerdote che la rappresenta e interpreta dinanzi a Dio. Allo stesso modo le Costituzioni sulla Chiesa e sulla Rivelazione, mostrano un approfondimento biblico e teologico.

Sono, queste, applicazioni conciliari oramai visibili a tutti, e che non hanno tardato a recare felici conseguenze nella conoscenza e nella pratica della religione, anche se - come disse il teologo Yves Congar, creato poi cardinale - *i Concili non sviluppano la loro azione che con il tempo. Ci vorranno cinquant'anni per poter cominciare ad apprezzare bene il Vaticano II. E' troppo tardi per gli uomini incalzati come siamo noi, ma è la misura della storia+.

Vi è nella Chiesa una sublimità e una profondità, una latitudine e una longitudine associate insieme, e insieme sempre perenni che i Documenti conciliari hanno messo nella loro concorde evidenza.

Pensando al periodo postconciliare, alla Chiesa rinnovata, ci soccorre l'immagine del Signore viandante sulla strada che da Gerusalemme porta a Emmaus. La Chiesa è anch'essa pellegrina incontro ai dubbi e ai turbamenti dell'uomo contemporaneo. La Costituzione pastorale sulla presenza della Chiesa nel mondo d'oggi appare come un dialogo dell'eterno con il tempo e del tempo con l'eterno; apre la possibilità di incontri, di collaborazioni che possano portare alla Salvezza della quale la Chiesa è custode e missionaria.

All'interno stesso della cristianità vie di comprensione sono dischiuse nella ricerca ansiosa di una reintegrazione nell'unità della fede. Questa disposizione della Chiesa verso l'unità nella valutazione di elementi complementari nella problematica dei suoi teologi per un positivo aggiornamento pastorale, di elementi comuni religiosi nella sua ansia ecumenica, di elementi comuni naturali nel suo apostolato missionario tra i non cristiani, e infine sollecitudine verso i non credenti, è senza dubbio l'aspetto conciliare che ha incontrato maggior rispondenza nel mondo. Il Vaticano II ha così permesso di scoprire la Chiesa all'interno, nella sua universale maternità. Il Concilio si è rivelato un *atto di amore+ e quindi di fedeltà della Chiesa verso il Cristo e verso il mondo. Non pochi pregiudizi ed equivoci si sono dissolti e ancora si stanno dissolvendo. Il Concilio è stato veramente un dono dello Spirito di verità e di carità, un dono di riconciliazione. E' in atto una distensione degli animi, una attenzione sempre più viva ed aperta alla missione spirituale della Chiesa. Ciò è frutto di una *nuova psicologia+ sollecita a cogliere in tutti un fondo comune dispositivo al messaggio cristiano e alla sua opera salvifica. Con particolare sensibilità sono state seguite le discussioni e quindi i loro risultati circa i termini dialettici che animano i rapporti tra unità e diversità, tradizione e progresso, autorità e libertà, dottrina teologica e linguaggio pastorale. Uguale sensibilità si è avuta nel rilevare il realismo soprannaturale che ha sempre caratterizzato l'ottimismo dei Padri nella ricerca di ciò che unisce piuttosto di quello che può dividere, senza alcuna minorazione della verità divina e con un sincero spirito di incarnazione di ogni legittimo e positivo valore umano. Si è pure compreso lo sforzo del Concilio volto verso ogni genuina riforma nello spogliamento di sovrastrutture, nella eliminazione di elementi accessori in favore dell'essenziale e quindi nella graduale trasformazione e riforma di istituti e organi tradizionali che consentano alla Chiesa di essere riguardata nella sua autentica originalità.

Il riconoscimento di una sana e giusta laicità delle realtà terrestri si unisce all'affermazione dell'apostolato laicale nella identificazione tra vocazione cristiana e vocazione all'apostolato, nell'indicare la secolarità come *indole propria e peculiare+ dei laici e quindi dell'animazione e ordinazione dei valori temporali al Cristo mediante il laicato. Si tratta di una serie di approfondimenti e di integrazioni in una ampia ed ecumenica visione ecclesiologica incentrata sul Cristo: *A Cristo vivo risponda la Chiesa viva. Un simile rinnovamento ci riporta costantemente alla Rivelazione, come all'anagrafe insostituibile d'ogni aggiornamento cristiano, all'esempio del Signore, e quindi ad una prassi liturgica nella quale la Salvezza ha la sua efficace perennità. Il Concilio ci permette di muoverci e respirare in una Chiesa antica e sempre nuova, *semper reformanda+ per una più fedele conformità al Cristo ed un più proficuo apostolato missionario. La Chiesa si è rivolta verso il mondo con ospitalità evangelica, e il mondo ha compreso questa attitudine divina e umana, intenta a offrire un soccorso liberatore e reintegratore alla sua inefficienza morale e religiosa.

Si sono sottolineate e, forse, si sottolineano ancora non poche difficoltà, ma di queste difficoltà la Chiesa è cosciente e provvede mediante organi del suo magistero a una esatta interpretazione sulla natura e sull'estensione degli enunciati conciliari. Vi provvede, per evitare ogni abuso esegetico, per ché ogni decisione sia applicata nel giusto senso e nella giusta misura, in quel senso e in quella misura che risponde al vero pensiero dei Padri. Il Concilio così continua. Continua come una grazia straordinaria concessa da Dio alla sua Chiesa, come un arricchimento del patrimonio della fede nell'aggiornamento ai *segni dei tempi+ che la Chiesa ha la missione di valutare senza tuttavia che ciò significhi abbandono o mutamento alcuno delle realtà divine che la rendono, come il Cristo e con il Cristo, sempre contemporanea: * Sarò con voi, sempre+, simile in questo allo scriba dotto di cui parla il Vangelo che trae de thesauro suo nova et vetera.

Non vi è infatti una Chiesa ante o post conciliare, ma una medesima e identica Chiesa di Cristo in continua riforma, in continuo rinnovamento, sotto la guida di Colui al quale il Signore ha trasmesso la consegna di guidarla, insieme ai vescovi collegialmente uniti, nel suo pellegrinaggio terrestre in tutte le stagioni del tempo, in tutte le forme di vita e di cultura.

Caratteristica del Vaticano II è di essere stato più un rinnovamento di spirito che una formulazione di canoni. I sedici documenti conciliari passeranno alla storia per il fuoco che accendono più che per le poche prescrizioni pratiche che contengono. Si è sprigionato un vento pentecostale che ha spalanca porte e finestre, che ha ravvivato ogni stagnante atmosfera, che ha abbattuto muraglie anguste e angustianti, che ha sospinto la Chiesa verso l'avvenire, incontro a Cristo che ritorna.

Tre Papi: un Concilio

Giovanni XXIII

E' stato Giovanni XXIII a sprigionarlo: Papa Roncalli volle che il Concilio fosse una nuova Pentecoste e fu per il mondo intero una sorpresa grande e consolatrice. Lui, che dagli intenti umani, era già stato denominato il Papa di passaggio, disse e fece cose sconvolgenti che diedero inizio a un'epoca nuova, e le disse e le fece con sorriso bonario, con gesto semplice e confidente, ma deciso, perché fiducioso nella Provvidenza divina.

Lo scrisse Papa Giovanni nella Costituzione apostolica Humanae Salutis, con la quale venne indetto il Concilio Ecumenico Vaticano II: *Fin da quando salimmo al supremo pontificato, nonostante la nostra indegnità e per un tratto della divina Provvidenza, sentimmo subito urgente il dovere di chiamare a raccolta i nostri figli, per dare alla Chiesa la possibilità di contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi dell'età moderna. Per questo motivo, accogliendo come venuta dall'alto una voce intima nel nostro spirito, abbiamo ritenuto essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e al mondo il dono di un nuovo Concilio Ecumenico in aggiunta e in continuazione della serie dei venti grandi Concili, riusciti lungo i secoli una vera provvidenza celeste a incremento di grazia e di progresso cristiano.... Il prossimo Concilio C si legge ancora nella Costituzione C si riunisce felicemente e in un momento in cui la Chiesa avverte più vivo il desiderio di fortificare la sua fede e di rimirarsi nella propria stupenda unità; come pure più urgente il dovere di dare maggiore efficienza alla sua sana vitalità e di promuovere la santificazione dei suoi membri, la diffusione della verità rivelata, il consolidamento delle sue strutture. Sarà questa una dimostrazione della Chiesa, sempre vivente e sempre giovane, che sente il ritmo del tempo, che in ogni secolo si orna di nuovo splendore, irraggia nuove luci, attua nuove conquiste, pur restando sempre identica a se stessa, fedele all'immagine divina impressa sul suo volto dallo Sposo, che l'ama e la protegge: Cristo Gesù+.

E nel discorso di apertura del Concilio, Papa Roncalli C dopo aver preso le distanze dai *profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo+ C delineò le finalità dell'Assise ecumenica:

C che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace;

C che tale dottrina sia trasmessa pura e integra, senza attenuazioni o travisamenti;

C che questa dottrina certa e immutabile sia fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo;

C mostrare la validità della dottrina della Chiesa piuttosto che rinnovare condanne, preferendo usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità;

C promuovere l'unità nella famiglia cristiana e umana innalzando la fiaccola della verità religiosa. In tal modo la Chiesa è chiamata a mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà anche verso i figli da lei separati.

Papa Giovanni visse e morì per il Concilio. Sul letto della sua agonia egli offrì la vita per il buon esito dell'Assise ecumenica. In una lettera indirizzata al medesimo mons. Felici alla fine di maggio del 1963 (il Papa morì il 3 giugno) egli scriveva: *soprattutto adesso lavoro per il Concilio+.

Seguì da vicino i lavori per mezzo delle telecamere a circuito chiuso; intervenne con la sua autorità a dirimere alcune questioni sorte agli albori del Concilio. Ma il suo merito più grande fu quello di aver dato al Vaticano II una grande respiro, un immenso soffio di vita. Egli parlò coraggiosamente di aggiornamento della Chiesa. Aggiornamento che si nutre della autentica dottrina di Cristo, rispettando e obbedendo alla volontà del suo Signore, infiammandosi della Sua vera carità.

L'illimitata fiducia di Giovanni XIII in Dio e nei Suoi mirabili disegni lo ha sorretto nel convincimento di far entrare la Chiesa nella storia e nella società del XX secolo come un giardino che non cessa di fiorire. Egli ha voluto aprire le finestre della chiesa sul mondo e renderla come fontana del villaggio, a cui tutti potessero dissetarsi.

 

Paolo VI

Paolo VI - per usare una bella espressione di Ilario di Poitiers - è stato per il Concilio e lo fu nella sua immediata attuazione veramente pilota et nauta provvidenziale. Egli raccolse l'eredità grande e difficile con animo trepidante, come confessò pubblicamente, e ne fece il programma di tutto il suo pontificato.

Eletto alla Cattedra di Pietro il 21 giugno 1963, il giorno seguente, nel primo radiomessaggio all'Orbe, manifestò la sua volontà di continuare il Concilio. Sulle orme di Giovanni XXIII, scandì il periodo delle sessioni conciliari con provvide esortazioni alla preghiera per il buon esito del Vaticano II. Lo fece il 30 aprile 1964 con la Lettera apostolica Spiritus Paracliti, per indire una speciale novena allo Spirito Santo per il terzo periodo conciliare. Così il 1 settembre 1964. Il 29 maggio 1965 scrisse la Lettera Mense Maio per raccomandare speciali preghiere, durante il mese dedicato alla Madonna, per il Concilio. Infine, il 4 novembre 1965 inviò ai fedeli tutti una Esortazione Apostolica per chiedere preghiere e penitenza per la prossima conclusione dell'Assise ecumenica.

Il 29 settembre 1963 prendeva il timone della navigazione del Concilio con l'apertura del secondo periodo. Navigazione non certo facile, ma il nuovo Papa conosceva bene le diverse istanze e tendenze che si manifestavano in seno alla grande Assemblea. Papa Roncalli lo aveva voluto accanto a sé, durante la prima sessione, come collaboratore e confidente privilegiato.

Papa Montini con la sua penetrazione sagace e lungimirante, con le sue decisioni meditate e sofferte, con la sua guida delicata e ferma, raccolse lo spirito rinnovatore di Giovanni, lo inalveò e orientò verso mete concrete.

Il pensiero di Paolo VI sul Concilio fu chiaro fin dall'inizio. Egli volle che la Chiesa ridiventasse ciò che veramente è: Lumen Gentium, per mostrarsi, nuova e rinnovata, al mondo contemporaneo: Gaudium et spes. E se la costituzione Dei Verbum è il documento fontale del Concilio, Lumen Gentium apre la riflessione sulla Chiesa che confluisce in una osmosi senza pari in Gaudium et Spes.

La Chiesa - negli intendimenti di Papa Montini - doveva avere chiara consapevolezza di incarnare il carme della carità (cf 1 Cor 13); doveva nutrire fiducia nell'uomo, amore per l'uomo per amare Dio. Egli disse: *Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo moderno. Riprovati sì gli errori, perché ciò esige la carità non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto e amore. Invece di deprimenti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo; i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati; i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette+.

Paolo VI aveva assunto il servizio di pastore universale in tempo di migrazione: Una Chiesa coinvolta nell'esodo di tutta l'umanità con tutte impazienze, i rimpianti, le tentazioni di mettersi a correre e quelle di tornare indietro. Era la sorte di Mosè: annunciare la meta, indicare i sacrifici da compiere per raggiungerla, già sapendo che i suoi occhi non l'avrebbero veduta.

Il periodo post-conciliare del latte e del miele tentava molte impazienze; forse anche quella di Paolo VI: arrivare con i primi, guidare i pionieri e tornare indietro a descrivere agli insicuri o ai renitenti il latte e il miele, come fecero gli esploratori inviati da Mosè. Ma lui non poteva; non doveva; e non lo fece. Egli era Mosè: doveva stare in mezzo ai suoi, tenerli uniti e farli procedere insieme, senza perderne alcuno lungo la via.

Sapeva che tanti gruppi, guidati da tante presunte guide, erano e sarebbero stati disorientati. La compattezza della Chiesa sembrava finita; erano in molti a rimpiangere le cipolle e i cocomeri d'Egitto. Paolo VI parlò, persuase, incoraggiò, spinse, trattenne; come Mosè spiegò gli statuti di Dio e le sue leggi.

I tempi non erano facili. Le contestazioni perduravano e spesso erano giustificate nel nome di un mal compreso e interpretato spirito conciliare. In molte comunità ecclesiali, alcuni supponevano che certe verità della fede fossero destinate a un graduale disuso . E del resto le parole e soprattutto i silenzi diedero, appunto, questa impressione; qualcuno parlò di teologia abbandonata. Il Papa parlò dell'ambiguità, della reticenza, di alterazioni dell'integrità del messaggio. Disse che qualcuno sceglie premeditatamente *nel tesoro delle verità rivelate, quelle che fanno più comodo+. Invocò *l'assoluto rispetto dell'integrità del messaggio+, assicurando che - con chiarezza definitiva - che *su questo punto la Chiesa è gelosa, è severa, è esigente, è dogmatica+.

Disse ancora: *Il magistero della Chiesa, anche a costo di sopportare le conseguenze negative dell'impopolare involucro della sua dottrina, non transige. Non può fare altrimenti! Si pensava - disse - a una fioritura della Chiesa dopo il Concilio e ora siamo in un'ora, si direbbe, perfino di autodemolizione. Ma - continuò - il cristiano conosce la gioia che sgorga dalla prova+.

Nel Giovedì santo del 2 aprile 1969, in San Giovanni in Laterano, parlando ai sacerdoti affermò: *Un fermento praticamente scismatico divide la Chiesa, la suddivide, la spezza in gruppi più che altro gelosi d'arbitraria e, in fondo, egoistica autonomia mascherata di pluralismo cristiano o di libertà di coscienza. Noi parliamo di Chiesa cattolica: ma possiamo dire a noi stessi ch'essa, nei suoi membri, nelle sue istituzioni, nella sua operosità è davvero animata da quel sincero spirito di carità e di unione, che la rende degna di celebrare, senza ipocrisie e senza consuetudinaria insensibilità la nostra santissima messa quotidiana?+

Il discorso destò molta impressione. Per la prima volta, dopo molti secoli, un Pontefice romano parlava apertamente di scisma e non più per denunciare pericoli e minacce contro la Chiesa, ma per segnalare i mali della Chiesa.

Papa Montini fu - del periodo post-conciliare - quasi un cronista puntuale, ricorrendo perfino al linguaggio corrente per invitare tutti a capire. Nella complessità del momento drammatico e stupendo - come disse - Paolo VI non cessò di illustrare il panorama generale della Chiesa in quell'ora *del mondo tanto agitato spiritualmente fino a insinuare il timore di grandi e rovinosi rivolgimenti+.

Giovanni Battista Montini aveva scelto fin dall'inizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa universale di difendere il deposito della fede, anche se da sempre aveva messo in conto che un prezzo l'avrebbe dovuto pagare. Per lui l'unità della fede fu tema dominante: *su questa esigenza non possiamo transigere+.

E il 30 giugno 1968, sul sagrato della Basilica di S. Pietro proclamó, quello che poi sarebbe stato ricordato come Il Credo di Paolo VI.

La professione di fede del Papa fu rigorosamente conforme alla dottrina sempre insegnata, immutata e immutabile; tutta conciliare, anche perché il Vaticano II nulla aveva innovato in materia.

Allora il Credo di Paolo VI divise la comunità ecclesiale. Qualcuno lo ritenne un "reperto d'antiquariato"; qualcun'altro vi ravvisò la mancanza di coraggio di dire di più in ordine alla fede. Ma Paolo VI non era mai stato così libero come in quei giorni. Non fu mai così totalmente Papa, né così maestro, come in quella scelta: spiacere a tutti per non mentire a nessuno.

Fu così anche quando scrisse l'Humanae vitae; quando parlò degli angeli e del diavolo, quando pubblicò l'Enciclica sul celibato ecclesiastico. Il Papa medievale - si disse - proprio perché aveva detto anche quelle cose.

Ma colpì il suo messaggio controcorrente, la sua sfida rischiosa; e la sua era stata rischiosissima, unica in un tempo di dimissioni generali dal rigore, dal difficile, dallo spiacevole.

Oggi condividono questo pensiero anche uomini e donne che allora non gli sono stati vicini. Non già che tutti condividessero; ma Paolo VI fu uomo di coraggio e di verità che non aveva mai adulato, mai illuso. Uno che aveva detto parole scomode e per qualcuno impossibili, ma mai piccole, mediocri, furbe.

Oggi sono in molti a parlare del carisma della profezia di Paolo VI, del soffio della sua grandezza.

Lo affermò lo stesso Karol Wojtyla, divenuto Giovanni Paolo II. Nella sua prima Lettera Enciclica Redemptor Hominis non esitò a scrivere: *Ho potuto osservare io stesso da vicino l'attività di Paolo VI. Fui sempre stupito dalla sua profonda saggezza dal suo coraggio, come anche dalla sua costanza e pazienza nel difficile periodo postconciliare del suo pontificato. Come timoniere della Chiesa, barca di Pietro, egli sapeva conservare una tranquillità e un equilibrio provvidenziale anche nei momenti più critici, quando sembrava che essa fosse scossa dal di dentro, sempre mantenendo una incrollabile speranza nella sua compattezza+

 

Giovanni Paolo II

Il cardinale Karol Wojty"a fu eletto successore dell'apostolo Pietro il 16 ottobre 1978 e assunse il nome di Giovanni Paolo II.

Che dire di questo pontificato, di questo Papa e il Concilio? Certamente occorrerebbe un'opera apposita, uno specifico volume per dar conto, in maniera adeguata, dell'azione di Giovanni Paolo II a favore dell'attuazione del Concilio. Tutto il suo ministero di supremo pastore della Chiesa universale è una sinfonia al Concilio e del Concilio.

Nell'economia di questo lavoro, il riferimento non può che essere assai parziale e riduttivo; e ce ne dispiace.

Desideriamo qui richiamare solo alcuni atti solenni di magistero per dire tutta la sollecitudine di Papa Wojty"a per il Concilio.

Il giorno successivo, all'inizio del suo ministero di pastore universale della Chiesa, nel primo radiomessaggio all'Orbe, il pontefice disse: *Vogliamo, pertanto, enucleare, alcune direttrici che riteniamo di preminente rilievo e, perché tali, avranno da parte nostra - come proponiamo e speriamo con l'aiuto del Signore - non soltanto attenzione e consenso, ma anche un coerente impulso, perché trovino riscontro nella realtà ecclesiale. Anzitutto, desideriamo insistere sulla permanente importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare a esso la dovuta esecuzione. Non è forse il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa e anche culturale del mondo? Ma esso, come non è solo racchiuso nei documenti, così non è concluso nelle applicazioni, che si sono avute in questi anni cosiddetti del post-Concilio. Consideriamo, perciò un compito primario quello di promuovere con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato, per rendere esplicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni e in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze, ciò che in esso è implicito. Occorre, insomma, far maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i Padri dell'assise ecumenica, nutriti della parola di Dio, gettarono sul buon terreno, cioè i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali+.

 

* Il Sinodo Straordinario dei Vescovi nel XXE dalla conclusione del Concilio.

Giovanni Paolo II fu fedele a questo impegno solennemente assunto all'inizio del suo ministero petrino. Oltre ai numerosi pronunciamenti e interventi magisteriali in questo campo pastorale, il 25 gennaio 1985 nella stessa Basilica di San Paolo fuori le Mira, dove i cardinali, attoniti avevano udito il proposito di Giovanni XXIII di convocar un Concilio, Papa Wojty"a - a vent'anni dalla conclusione del Vaticano II - indisse un Sinodo straordinario. L'annunzio giunse, ancora una volta, improvviso, ma non cadde in un ambiente impreparato.

L'intento - disse il Papa- non è solo quello di *commemorare il Concilio Vaticano II a vent'anni di distanza dalla sua chiusura, ma anche e soprattutto:

- rivivere in qualche modo quell'atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale...

- scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l'applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari

- favorire l'ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze.+

Per il Papa Giovanni Paolo il Vaticano II fu e resta l'avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa contemporanea: fondamentale per le ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo al fine della evangelizzazione e del dialogo con tutti gli uomini di retta coscienza; costante punto di riferimento per il ministero di supremo pastore della Chiesa universale.

Nell'omelia della Messa di inaugurazione del Sinodo straordinario, ai Vescovi e al popolo presenti ripeté: *Cammineremo insieme con il Concilio per rivivere il clima spirituale di quel grande avvenimento ecclesiale e per promuovere alla luce dei fondamentali documenti allora emanati e dall'esperienza maturata nei successivi vent'anni, la piena fioritura dei germi di vita nuova suscitati dallo Spirito Santo nell'Assise ecumenica, per la maggior gloria di Dio e per l'avvento del suo Regno+.

E nella vibrante omelia conclusiva dell'Assemblea sinodale, domenica 8 dicembre 1985, a vent'anni esatti dalla fine del Concilio Giovanni Paolo II disse, tra l'altro: *Uscendo dal Sinodo desideriamo intensificare gli sforzi pastorali perché il Concilio Ecumenico Vaticano II sia più ampiamente e profondamente conosciuto...; usciamo dal Sinodo con l'intenso desiderio di diffondere sempre più nell'organismo ecclesiale il clima di quella nuova Pentecoste che ci animò durante la celebrazione del Concilio....; uscendo dal Sinodo desideriamo offrire all'intera umanità, con rinnovata forza di persuasione, l'annuncio di fede, speranza e carità che la Chiesa trae dalla sua perenne giovinezza, nella luce di Cristo vivo, che è "via verità e vita" per l'uomo del nostro tempo e di tutti i tempi.... Alla fine del secondo Millennio dopo Cristo, la Chiesa desidera ardentemente una cosa sola: essere la stessa Chiesa che è nata dallo Spirito Santo... essere la Chiesa nel mondo contemporaneo+ per *servire, in modo che la vita umana sulla terra sia sempre più degna dell'uomo. Tuttavia essa è consapevole, forse come non mai, che può compiere questo ministero solamente nella misura in cui è Cristo, sacramento dell'intima unione con Dio, e per questo fatto anche sacramento dell'unità di tutto il genere umano+.

 

* Il Catechismo della Chiesa Cattolica

L'opera di Giovanni Paolo II, che più ha coronato l'attuazione del Concilio è stato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Al Vaticano II il Papa ne ha fatto esplicito riferimento nella Costituzione Apostolica Fidei Depositum, con la quale egli ha promulgato il Catechismo (cfr. 1).

Dopo aver sintetizzato lo spirito che mosse Giovanni XXIII a convocare il Concilio e averne - una volta ancora - esaltato la grazia speciale che il Paraclito aveva riservato alla sua Chiesa, grazia di *rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, che è stato lo scopo stesso del Concilio+, il Papa disse che occorreva rifarsi in maniera sistematica a questa sorgente.

Infatti, continua il Papa nella Costituzione Fidei Depositum, *Dopo il rinnovamento della Liturgia e la nuova codificazione del Diritto canonico della Chiesa latina e dei canoni delle Chiese orientali cattoliche, il Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell'opera di rinnovamento dell'intera vita ecclesiale, voluta e iniziata dal Concilio Vaticano II+. (FD 1)

Il popolo fedele e tutti gli uomini di buona volontà che con amore e intelletto aperto accosteranno le pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica potranno immediatamente e facilmente constatare i numerosi riferimenti e le esaurienti citazioni dei documenti del Vaticano II riportati nel Catechismo. E facendo riferimento all'Assemblea sinodale dei Vescovi celebrata a vent'anni dalla chiusura del Concilio, durante la quale i Padri avevano espresso il desiderio che venisse composto un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, il Papa poté dire: *ho fatto mio questo desiderio ritenendolo pienamente rispondente a un vero bisogno della chiesa universale e delle Chiese particolari+ (FD 1)

* Il Codice di Diritto Canonico

Di somma importanza è stato il Concilio in ordine alla revisione del Codice di Diritto Canonico. Giovanni Paolo II ne dispose la pubblicazione il 25 gennaio 1983 con la Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges. In essa il Papa scrive del carattere di complementarità del Codice in relazione all'insegnamento del Concilio.

*Ne risulta - afferma il Papa - che ciò che costituisce la novità fondamentale del Concilio Vaticano II, in linea di continuità con la tradizione legislativa della Chiesa, per quanto riguarda specialmente l'ecclesiologia, costituisce altresì la novità del nuovo Codice+.

E Giovanni Paolo II, nella stessa Costituzione, non esita a sottolineare che *Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Chiesa, specialmente come vien proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere e, in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè l'ecclesiologia conciliare ... Si potrebbe anzi affermare che... quel carattere di complementarità che il Codice presenta in relazione all'insegnamento del Concilio Vaticano II, con particolare riguardo alle due Costituzioni, dogmatica Lumen gentium e pastorale Gaudium et spes+ proviene dalla stessa immagine della Chiesa, a cui il Codice deve sempre riferirsi come a esempio primario.

* Codice dei canoni delle Chiese orientali

Il Codex canonum Ecclesiarum orientalium fu promulgato dal papa Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990. Esso segna il coronamento di un complesso, lungo e paziente lavoro, che C iniziato nel 1929 C è stato ripreso con rinnovata impostazione nel 1974, alla luce del magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II. I criteri che hanno guidato la composizione del Codice dei canoni delle Chiese orientali possono essere sintetizzati nel seguente schema, da cui si può rilevare quanta parte abbia avuto l'ispirazione costante al Vaticano II:

C un unico codice per tutte le Chiese orientali corrispondente alle odierne circostanze della vita;

C un Codice deve essere davvero orientale, cioè conforme alle richieste del Concilio Vaticano II sull'osservanza delle proprie discipline orientali in quanto si raccomandano per venerata antichità, sono maggiormente corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro anime.

C un Codice pienamente adatto alla particolare funzione affidata dal Concilio Vaticano II alle Chiese orientali cattoliche, deve favorire l'unità di tutti i cristiani, specialmente degli orientali, secondo i principi del Decreto del Concilio sull'ecumenismo.

 

* Il XXX anniversario del Concilio.

Un'ultima annotazione, a proposito del pontificato di Papa Wojty"a. In occasione del XXX anniversario della conclusione del Concilio, il Sommo Pontefice - nel corso dell'Angelus domenicale - illustrò con sobrie, ma incisive e illuminate parole, a uno a uno, tutti i Documenti dell'Assise ecumenica.

Nell'economia di questo studio, sia consentito riferire almeno il primo Angelus C quello di domenica 15 ottobre 1995 C con il quale il Papa Giovanni Paolo avviò la riflessione in parola.

*Trent'anni fa, l'8 dicembre 1965, si concludeva il Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo aveva inaugurato tre anni prima, proprio l'11 ottobre, il coraggio mite, lungimirante e perseverante del Pontefice Giovanni XXIII. Lo portarono a compimento la grande mente e il grande cuore di Paolo VI. Mentre ci incamminiamo verso il Giubileo dell'anno 2000, non possiamo non tornare a tale avvenimento che costituisce una pietra miliare, un evento provvidenziale nella storia della Chiesa contemporanea (TMA 18).

Nella storia dei Concili, esso riveste una fisionomia del tutto singolare. Nei Concili precedenti, infatti, il tema e l'occasione della celebrazione erano stati dati da particolari problemi dottrinali o pastorali. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto essere un momento di riflessione globale della Chiesa su se stessa e sui suoi rapporti con il mondo. A tale riflessione la spingeva il bisogno di una sempre maggiore fedeltà al suo Signore. Ma l'impulso veniva anche dai grandi cambiamenti del mondo contemporaneo, che come segni dei tempi, esigevano di essere decifrati alla luce della parola di Dio. Fu merito di Giovanni XIII non solo l'aver indetto il Concilio, l'avergli dato il tono della speranza, prendendo le distanze dai profeti di sventura e confermando la propria indomita fiducia nell'azione di Dio.

Grazie al soffio dello Spirito Santo, il Concilio ha messo le basi di una nuova primavera della Chiesa. Esso non ha segnato una rottura con il passato, ma ha saputo valorizzare il patrimonio dell'intera tradizione ecclesiale per orientare i fedeli nella risposta alle sfide della nostra epoca. A distanza di trent'anni, è più che mai necessario tornare a quel momento di grazia. Come ho chiesto nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente (36), tra i punti di irrinunciabile esame di coscienza, che deve coinvolgere tutte le componenti della Chiesa, non può non esserci la domanda: quanto del messaggio conciliare è passato nella vita, nelle istituzioni, nello stile della Chiesa?

Già nel Sinodo dei Vescovi del 1985 fu posto un analogo quesito. Esso resta valido ancor oggi, e obbliga, innanzitutto a rileggere il Concilio, per raccoglierne integralmente le indicazioni e assimilarne lo spirito...

La storia testimonia che i Concili hanno avuto bisogno di tempo per portare i loro frutti. Molto, tuttavia, dipende da noi, con l'aiuto della grazia di Dio.

Maria Santissima, che proprio nel corso dell'Assise conciliare fu proclama dal mio predecessore Paolo VI *Madre della Chiesa+, ci aiuti in questo cammino. Sentiamola tra noi, come gli Apostoli alla vigilia della Pentecoste. Ella ci renda docili allo Spirito di Dio, perché il Terzo Millennio ormai alle porte trovi i credenti più saldi nella fedeltà a Cristo e pienamente dediti alla causa del suo Vangelo+.

 

* * *

Tutto questo fu il Concilio Ecumenico Vaticano II e fu ed è un grande rinnovamento spirituale dovuto all'azione dello Spirito vivificante del vangelo.

Oggi ancora, a trent'anni dalla conclusione dell'Assise ecumenica, ciò che più importa è alimentare e tener desto lo spirito rinnovatore e vivificatore del Concilio. Lo stesso p. Congar scrisse che *il Concilio non può essere un termine finale: è una tappa decisiva, ma che deve conoscere uno sviluppo e un avvenire+.

A nessuno potrà sfuggire che il Vaticano II ha avuto per asse il mistero della Chiesa e ha richiamato ogni cristiano a esserne membro degno, vivo e operante. Perché si avveri la rinascita cristiana, prospettata dai Padri conciliari, è indispensabile che, oltre la Gerarchia cattolica, anche i fedeli, singolarmente o associati in gruppi, prendano parte attiva a una sempre più convinta attuazione dei documenti conciliari. Essi non hanno allargato, come taluni assurdamente aspettavano, la strada della salvezza che il Maestro divino ha dichiarata stretta. Hanno invece dilatato il campo del nostro zelo, del nostro impegno cristiano, delle nostre responsabilità. Hanno dilatato il nostro cuore in proporzione dell'immenso bisogno che il mondo odierno ha del Vangelo; e di riverbero ha aperto il cuore del mondo alla speranza di trovare nella Chiesa, Gerarchia e fedeli, la presenza verace di Colui che ha detto: *Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi+.

 

Fare bilanci è impresa sempre ardua e non spetta a noi - nell'economia di queste pagine - osare una valutazione, perché, ancor più dei precedenti, questo Concilio forma un tutto coi risultati che darà nel futuro. Secondo le stesse dichiarazioni iniziali di Giovanni XXIII che l'ha convocato, esso si propone uno scopo non immediato. Tuttavia il Concilio è riuscito a realizzare in larga misura quella che poteva sembrare una cosa impossibile: il Cattolicesimo rimane il Cattolicesimo secolare anche riguardo a tanti aspetti che restano estranei, ma ciò nonostante ha subito una trasformazione profonda, ed evitando con nuove decisioni ogni irrigidimento ulteriore, ha creato un'eccellente base per sviluppi duraturi e permanenti.

Non è questo il luogo di dimostrare come i vari testi conciliari confermino questo duplice aspetto. Quasi tutti testimoniano sia lo spirito di rinnovamento, sia la volontà di conservare la tradizione: un rinnovamento fedele a Cristo e alla sua Parola.

Infatti, ogni aggiornamento che si adeguasse a volubili esigenze delle situazioni momentanee non sarebbe rinnovamento, ma effimero, se non addirittura vecchio!

I testi non hanno avuto la valenza di definizioni dogmatiche, ma quella di ampi esposti dottrinali con intento pastorale. Il Concilio è stato ed è uno splendido affresco teologico che esige - oggi ancora - di essere osservato, gustato, impresso nel cuore, nell'intelletto e nella volontà, per viverlo con entusiasmo generoso, con amore di figli nei confronti della Chiesa, nostra madre e maestra.