Dignitatis Humanae

Dichiarazione sulla Libertà Religiosa

 

Nella formulazione della dichiarazione del Concilio, s'intende per libertà religiosa il rifiuto di qualsiasi costrizione umana in ciò che concerne l'atteggiamento dell'uomo nei suoi rapporti con Dio. Da questo punto di vista, ogni malinteso dev'essere assolutamente dissipato. La libertà religiosa riguarda l'uomo in quanto essere vivente nella società. Egli deve godere l'immunità sociale e civile in materia religiosa. Ma questa libertà religiosa C occorre dirlo? C non dispensa nessuno dall'adempiere i propri doveri morali verso Dio: ricerca libera della verità, fedeltà alla verità scoperta, adesione alla verità rivelata da Cristo e alla sua Chiesa per quanto un esame sincero ce le fa conoscere, obbedienza agli imperativi della coscienza. Nessuno di questi doveri è messo in causa dalla libertà religiosa, la quale dà all'uomo il diritto di non essere oggetto di costrizione da parte di un'istanza umana: individuo, raggruppamenti sociali, poteri pubblici.

Altro punto che deve richiamare l'attenzione è che, secondo i termini della Dichiarazione, la libertà religiosa costituisce un diritto della persona umana. Non è davvero per opportunismo o solamente per le esigenze attuali del bene comune, che il Concilio rivendica questa libertà, la quale si basa sulla dignità della persona umana, la cui responsabilità nella ricerca del vero, costituisce un diritto e comporta dei doveri. Dio chiede all'uomo un libero assenso e una risposta fondata su una convinzione personale.

La dichiarazione Dignitatis Humanae si compone di un proemio e di due capitoli ed è articolata secondo il seguente, sommario schema:

 

Nel nostro tempo gli uomini si fanno sempre più consapevoli della propria dignità ed esigono di esercitare la propria responsabile libertà, al di fuori d'ogni mezzo coercitivo.

Essi postulano pure una delimitazione della pubblica podestà, soprattutto per quanto riguarda i valori spirituali e religiosi.

Il Concilio, riflettendo su questo atteggiamento, rimedita altresì la tradizione della Chiesa per trarne nuovi elementi, in armonia con quelli già posseduti. Dio ha rivelato agli uomini la via della salvezza. L'unica vera religione si trova nella Chiesa cattolica. Tutti gli esseri umani sono tenuti ad aderire alla verità a mano a mano che la conoscono.

Questo dovere vincola la coscienza, e la verità si impone in virtù della sua intrinseca forza.

Oggetto e fondamento della libertà

Gli esseri umani hanno diritto alla libertà religiosa nel senso che debbono essere immuni da ogni coercizione, affinché nessuno sia forzato ad agire contro coscienza, né impedito di agire in conformità ad essa.

Questo diritto si fonda sulla dignità della persona e deve essere riconosciuto dall'autorità civile.

L'uomo coglie gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza che è tenuto a seguire fedelmente. L'esercizio della religione consiste in atti interni volontari e liberi che la natura sociale dell'uomo esige abbiano manifestazioni comunitarie. Negare il libero esercizio della religione è ingiuria all'uomo e a Dio.

La libertà religiosa compete ai singoli e anche alle comunità. Queste comunità, a meno che non turbino l'ordine pubblico, hanno il diritto di non essere impedite nell'esercizio della loro fede, nella predicazione, e in tutto quanto attiene all'espressione e alla realizzazione del loro credo.

I genitori hanno il diritto di educare i figli secondo la propria persuasione religiosa, di scegliere le scuole e gli altri mezzi educativi che rispondano alla loro fede.

E' dovere di ogni podestà civile tutelare i diritti dell'uomo; pertanto tutelare la libertà religiosa è un dovere della società. Alla società civile è illecito imporre la professione o la negazione di qualsivoglia credo religioso, come attuare discriminazioni, tra i cittadini, motivate da ragioni di fede.

Ogni diritto è limitato dal riguardo dovuto al diritto altrui; e compete all'autorità civile proteggere i cittadini da disordini che si potrebbero suscitare sotto pretesto della libertà religiosa. La società civile dovrà tuttavia adempiere a questo suo dovere con discrezione e non in modo arbitrario e partigiano, ma seguendo norme giuridiche conformi all'obiettivo ordine morale.

La dottrina della libertà religiosa affonda le sue radici nella Rivelazione

La Rivelazione fa conoscere la dignità della persona umana, mostra il rispetto di Cristo per l'umana libertà. Su questi fondamenti si basa la dottrina della dichiarazione Dignitatis Humanae, che è, altresì, in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede.

E' elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e affermato costantemente dai Padri, il concetto che gli uomini sono tenuti a rispondere a Dio liberamente e che nessuno può essere obbligato ad abbracciare la fede contro la sua volontà. A Dio è dovuto un ossequio ragionevole e libero; perciò è rispondente alla natura della fede l'esclusione di ogni forma coercitiva, da parte degli uomini.

Perfino di fronte a Dio gli uomini sono tenuti in coscienza, ma non coartati a seguirlo. Dio ha rispetto per la dignità dell'uomo; e ciò è apparso soprattutto nel Cristo che ha invitato, persuaso, ma mai costretto. Egli riconobbe la podestà, civile ma ammonì a rispettare i superiori diritti di Dio. Parimenti gli Apostoli predicarono al di fuori da ogni coercizione, avendo riguardo anche per coloro che erano nell'errore mostrando come *ognuno di noi renderà conto di sé a Dio+ (Rm 14,12). Essi hanno riconosciuto l'autorità civile, ma non hanno esitato a contrastarla perché *è necessario obbedire a Dio prima che agli uomini+ (Atti 5,29). Così hanno fatto i martiri.

La Chiesa, per il bene proprio e della stessa società civile, deve essere libera; la libertà è fondamentale nelle sue relazioni con le podestà pubbliche. La Chiesa afferma la sua libertà: 1) perché è, fondata da Cristo da cui ha ricevuto il mandato di predicare; 2) perché è una comunità di esseri umani che hanno diritto di vivere secondo i precetti della fede. Se vige il rispetto per la libertà religiosa, questa libertà le sarà riconosciuta. Vi è quindi concordia tra libertà della Chiesa e libertà religiosa.

Mentre la Chiesa è tenuta a predicare il Vangelo, i cristiani sono tenuti ad ascoltarla e seguirla nonché ad adoperarsi, a loro volta, a diffondere e difendere la verità.

La libertà religiosa è aspirazione dell'uomo d'oggi, sancita nella maggior parte delle costituzioni e dichiarata in documenti internazionali. Non mancano tuttavia regimi che comprimono tale libertà. Il Sacro Sinodo invita tutti a considerare quanto essa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione.

Il processo di unificazione della famiglia umana esige che la libertà religiosa sia giuridicamente tutelata e che siano osservati i diritti e i doveri supremi ideali esseri umani.

La dichiarazione Dignitatis Humanae fu approvata da 2384 Padri il 7 dicembre 1965 con 2308 voti favorevoli, 70 voti contrari e 6 voti nulli.

 

 

 

 

Dignitatis humanae personae

A colloquio con s.e. mons. Clemente Riva

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Paolo VI, nell'udienza del 7 dicembre 1965 concessa alle 90 missioni straordinarie inviate da vari paesi e organizzazioni internazionali per assistere alle cerimonie conclusive del Concilio ecumenico Vaticano II, dopo aver sottolineato l'importanza della Dichiarazione conciliare relativa ai rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, ha un lungo accenno alla Dichiarazione sulla libertà religiosa, approvata solennemente dal Concilio nella mattinata dello stesso giorno.

Disse il Papa: *In una Dichiarazione che resterà senza dubbio, anch'essa, come uno dei più grandi documenti di questo Concilio, la Chiesa fa sua l'aspirazione così universalmente sentita oggi alla libertà civile e sociale in materia religiosa. Che nessuno sia costretto a credere: ma che nessuno sia parimenti impedito di credere e professare la sua fede, diritto fondamentale della persona umana, riconosciuta d'altronde oggi, almeno in teoria se non sempre in pratica dalla grande maggioranza delle legislazioni+. (OR 9-10 dicembre 1965)

Ad ogni lettore onesto e leale, che abbia una certa sensibilità civile e religiosa, non sarà difficile constatare e ammettere che il documento della Dichiarazione sulla libertà religiosa costituisce uno dei fatti più caratteristici e caratterizzanti del Concilio Vaticano II. Si tratta di un documento che riguarda non solo i rapporti esterni delle comunità religiose e dei singoli fedeli, ma anche tocca la vita interna religiosa delle comunità e dei fedeli Una lettura attenta del testo nei suoi significativi insegnamenti lo conferma a ogni pagina.

La Dichiarazione sulla libertà religiosa costituisce un contributo dei più seri alla coesistenza, o meglio, alla convivenza degli uomini e dei popoli di questo mondo. Ma rappresenta anche una testimonianza sincera della Chiesa cattolica di coerente esemplarità nell'attuazione di quel mandato divino di annunciare agli uomini il messaggio cristiano di salvezza e di pace su questa terra. Vi è un rispetto dell'uomo, in ogni suo momento, essenziale all'insegnamento evangelico e richiesto profondamente dalla dottrina cristiana.

Uno degli scopi pastorali del Concilio Vaticano II è quello di aiutare e di facilitare l'incontro e il dialogo della Chiesa di Cristo con tutti gli uomini e di tutti gli uomini tra di loro.

La luce e la grazia di Cristo, la comprensione e l'amore tra gli uomini, sono valori necessari e indispensabili per una effettiva e duratura pace nel mondo. Ma il dialogo C che è uno dei modi più caratteristici e onesti di incontro tra persone umane e che la Chiesa non rifiuta, ma l'assume in proprio per manifestare il suo sincero rispetto e servizio al genere umano C esige come sua condizione sostanziale la libertà. Un dialogo in cui gli interlocutori, o un interlocutore, non fossero liberi non sarebbe vero e autentico dialogo.

Il dialogo esprime in un modo molto efficace e nobile il miglior tipo di rapporto di incontro e di confronto tra persone e gruppi nel nostro mondo contemporaneo. Il dialogo nella sua accezione più esatta significa appunto incontro e confronto tra persone che hanno qualche cosa da dire, che hanno una posizione intellettuale o religiosa o sociale da confrontare. Il dialogo non può avvenire, propriamente parlando, tra idee o tra dottrine; non può avvenire neppure tra cose, né tra persone e cose o tra persone e idee; ma tra persone che hanno delle idee e che hanno qualche cosa da dirsi. Il dialogo non deve esser confuso perciò con la contrattazione, perché si contrattano le cose non le persone. Il dialogo non deve esser confuso neppure col compromesso, poiché il compromesso è una posizione equivoca per la persona umana.

Perché possa verificarsi un sincero ed effettivo dialogo occorrono varie condizioni: aver qualche cosa da dire, individuare i mezzi e i modi di comunicazione, scoprire le possibilità di comprensione delle posizioni altrui. Ma la condizione prima e fondamentalissima di ogni dialogo è costituita dalla libertà e dal rispetto reciproco tra gli interlocutori. E trattandosi di dialogo religioso e di incontro tra persone e gruppi di diversa fede e di diverse opinioni, la condizione prima è offerta appunto dalla libertà religiosa.

La Chiesa però assume il dialogo tra i suoi atteggiamenti e comportamenti attuali, non tanto perché esso è una forma moderna e contemporanea di incontrare e di trattare con gli uomini, ma perché, nel prendere sempre più coscienza della sua natura e della sua missione, trova in sé il dialogo come fattore costitutivo della propria realtà e della propria funzione nel mondo.

La Chiesa dialoga evangelizzando; la Chiesa anzi è dialogo, è il dialogo di Dio con l'uomo, che viene salvato ed elevato all'ordine soprannaturale. L'enciclica Ecclesiam suam del Papa Paolo VI lo afferma esplicitamente: *La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio+.

La natura dialogica della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini e di tutti i gruppi di persone esige la libertà religiosa per se stessa e per tutti gli altri. Ogni risposta e colloquio esige rispetto e libertà. Ogni adesione esige scelta e decisione consapevole e responsabile, quindi libera. Ogni potere umano deve garantire il rispetto e la libertà per ogni singolo e per ogni comunità religiosa.

La Dichiarazione sulla libertà religiosa è stata approvata dal Concilio non come suggerimento di opportunità nel mondo contemporaneo, ma come esplicitazione di insegnamenti evangelici, che costituiscono il patrimonio fondamentale del cristianesimo. Così pure la Dichiarazione non vuole essere una parziale rivendicazione della libertà della Chiesa cattolica di credere e di professare la sua fede là dove ne è impedita o perseguitata, ma un riconoscimento leale e universale per ogni persona e per ogni gruppo religioso di aderire e di professare liberamente la propria credenza religiosa, col reciproco rispetto dei diritti essenziali religiosi e umani per ciascuno.

Con questo documento conciliare la Chiesa cattolica ha promosso un bene comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli, per la valorizzazione della coscienza umana nelle sue scelte più alte e delicate e per il ristabilimento o consolidazione della pace umana, che a motivo religioso poteva essere minacciata e turbata in varie parti della terra.

La storia della questione della libertà religiosa non è né breve né semplice. Se la guardiamo nell'ampio orizzonte dei movimenti storici di pensiero e di religiosità relativi a tutta l'umanità, dalla sua origine ai nostri giorni e in ogni parte del mondo, è assai complesso delinearne le linee principali anche per sommi capi.

Esistono studi che hanno affrontato il problema della storia della questione della libertà religiosa in orizzonti più delimitati, come a esempio nella civiltà e cultura occidentale o nella storia del cristianesimo. Gli studiosi, per quanto riguarda la nostra questione particolare, si sono fermati prevalentemente sugli sviluppi della libertà religiosa nel pensiero e nel magistero ecclesiastico dell'Ottocento e del Novecento. E ciò è comprensibile; poiché la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa non poteva non avere un aggancio agli insegnamenti pregressi del magistero ecclesiastico. I Padri conciliari e i teologi perciò nell'approfondire l'argomento e nell'elaborare il Documento conciliare hanno sempre avuto un occhio rivolto a questi ultimi due secoli di storia della Chiesa. E ciò, anche per un altro particolare motivo, che è costituito da alcune prese di posizione del magistero ecclesiastico in cui alcune espressioni possono presentare delle difficoltà.

Lo stesso testo della Dichiarazione conciliare fa un accenno alle vicende storiche della questione sulla libertà religiosa, la quale non sempre da parte dei cristiani è stata vista e praticata nella sua gentuinità e fedeltà agli insegnamenti e allo spirito evangelico.

Precisamente; in poche righe viene presentata la storia della libertà religiosa nella storia della Chiesa: * E quantunque nella vita del Popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi a esso contrari, tuttavia ha sempre perdurato la dottrina della Chiesa che nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede + (n. 12 a).

Vi è grande delicatezza e precisione di distinzioni in questo piccolo brano, ma anche un addolorato rincrescimento che deriva dalla coscienza che non sempre i cristiani hanno rispettato la coscienza altrui; e ciò in contrasto col Vangelo e con la vera dottrina della Chiesa, la quale ha sempre sostenuto: *nessuno sia costretto contro voglia ad abbracciare la fede cattolica+. Non si può negare che determinati atteggiamenti e fatti storici nei confronti di eretici siano stati difformi dalla dottrina della Chiesa e del Vangelo. E bisogna riconoscere che anche talune teorizzazioni di intolleranza o anche di un certo tipo di tolleranza abbiano rispecchiato o favorito quelle intemperanze che mancavano di rispetto alla persona dei dissidenti o che erano indirizzate contro la vita stessa dei non ortodossi.

Dall'Archivio del Concilio si evince che Mons. De Smedt C nell'ultima relazione letta in Concilio prima della votazione sullo schema definitivamente sistemato della libertà religiosa C osservava che la Dichiarazione conciliare toccava molti e gravi problemi non solo per la storia del passato della Chiesa, ma anche per la sua presente vita.

La Dichiarazione, infatti, ha avuto quale obiettivo quello di stabilire rapporti più ordinati e coordinati tra la Chiesa di Cristo e la società umana. Non solo: ma di favorire, altresì, quell'immenso bene che è la pace sociale nella convivenza umana, già così fortemente minacciato da reali e continuamente sovrastanti pericoli di guerre e di disastri catastrofici per il genere umano. La Chiesa è stata costituita come seme di pace nel mondo. Ed è costitutivo della sua missione operare per la pace e la concordia tra gli uomini, specialmente in campo religioso nei rapporti tra persone e comunità che professano una fede.

La Dichiarazione sulla libertà religiosa, osservava ancora il Relatore, avrebbe apportare nel mondo moderno un grande progresso di vera libertà e di bene anche per la stessa Chiesa di Gesù Cristo. La Chiesa di Cristo oggi più che mai sente il valore e il bisogno della libertà. Paolo VI, e già altri Pontefici prima di lui, l'ha solennemente proclamato: *Quale che sia in effetti il giudizio che si può portare sulle situazioni storiche che si sono verificate nel passato per certune nazioni, la Chiesa non domanda oggi per essa null'altro che la libertà d'annunciare il Vangelo. Il suo dinamismo interno, per cui l'origine non è in essa ma al di sopra di essa, la pone in condizione d'assolvere la sua missione presso gli uomini, purché glie se ne lasci il modo+. (OR 9-10.XII.1965

La libertà religiosa, oltre dal bene della Chiesa di Cristo, è postulata dalla dignità profonda della persona umana, dal bene comune della convivenza umana e dalla natura stessa della verità, che non può non imporsi alla coscienza se non in forza della stessa verità e degli argomenti che alla accettazione della verità convincono e persuadono.

Si comprende allora in un senso più pieno la frase di mons. De Smedt che disse, sempre nell'occasione sopra citata: la Dichiarazione sulla libertà religiosa è carica di una immensa speranza. La Chiesa ha preso una chiara posizione, con semplicità, umiltà e fermezza, di fronte al mondo e a tutto il genere umano, in una questione di fondamentale importanza, poiché l'aspetto religioso della vita rappresenta il punto più elevato e più delicato dell'individuo e dei rapporti sociali. Dichiarazione significa appunto affermazione, riconoscimento, proposizione, presa di posizione, affinché tutti, persone singole e comunità, si comportino con immenso rispetto e con una effettiva garanzia dei diritti essenziali di vivere e di professare liberamente la propria fede e le proprie convinzioni religiose per ognuno.

La Dichiarazione non si allontana dalla tradizione precedente della Chiesa e afferma chiaramente tutti i principi e le verità rivelate e naturali. Nei secoli precedenti questo aspetto della verità e della dottrina cristiana era stato grandemente sviluppato e predicato. Più di recente invece l'insegnamento della Chiesa e gli sforzi degli studiosi e dei teologi cristiani si sono impegnati altrettanto fortemente nell'approfondire e nello sviluppare la dottrina cattolica intorno alla persona umana, alla salvaguardia dei suoi diritti fondamentali, alla tutela e garanzia delle sue attività, alla promozione della sua crescita globale, spirituale e temporale, culturale e vitale.

Tra la salvaguardia e la proposizione dei principi e lo sviluppo e salvaguardia della persona umana non v'è contraddizione, anzi si può e si deve dire che vi è una profonda composizione e un rapporto di reciproco sostegno. Purtroppo la debolezza umana non sempre si è attenuta a questa concordia e mutuo aiuto.

Infatti, scrive Rosmini in una pagina di grande efficacia, * dell'apologetica e della polemica si è abusato, egli è troppo vero: talora si confuse la causa dei principi colla causa degli uomini, e si infierì contro di questi per lo zelo, qualche volta col solo pretesto di salvar quelli. Ciò fu sovente uno sbaglio lacrimevole, sovente un'inescusabile tristezza: e solo confessandolo nel modo più solenne, l'umanità laverà da sé quella macchia, ed eviterà il pericolo d'insozzarsene nuovamente. La causa dei principi e quella degli uomini sono diverse. Ciò che importa non dimenticare giammai, si è che non siamo noi giudici dei nostri fratelli: che questi non debbono esser meno l'oggetto della nostra affezione e della nostra carità, per andar essi orbati della luce del vero... Bisogna tirare una linea, anzi un gran muro di separazione fra l'errore e l'errante, impugnando quello, e questo rispettando e amando+. (Apologetica, Milano 1840, Prefazione) .

Non possiamo qui non riandare col pensiero all'enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, là dove distingue mirabilmente l'errore dall'errante.

Valorizzando la persona non si diminuisce la causa della verità, poiché è una grande verità che la persona umana abbia un altissimo valore, in quanto risplende in lei l'immagine e la luce del Verbo divino, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Così parimenti riconoscendo e promuovendo i diritti fondamentali della persona umana non vengono declassati i diritti oggettivi fondamentali, poiché costituisce uno dei principali diritti oggettivi inviolabili e inalienabili quello di riconoscere e di trattare sempre e ovunque la persona umana come avente ragione di fine e non mai di mezzo.

L'espressione *libertà religiosa+, sia nel titolo che nel testo del documento, è stata assunta per il fatto che, oggi, anche molte legislazioni positive civili e il linguaggio comune usano normalmente tale espressione per indicare la garanzia giuridica a tutte le persone e le comunità religiose di credere, di vivere e di professare anche esteriormente la propria fede.

Del resto in questi anni C e soprattutto con il servizio di supremo pastore della Chiesa di Giovanni Paolo II C il termine *libertà religiosa+ è entrato prepotentemente e con audacia nel linguaggio ufficiale della Chiesa, in luogo del termine *tolleranza+. Prima ancora della approvazione e della promulgazione della Dichiarazione conciliare, Paolo VI la usò nell'aprile del 1964: *La Chiesa, voi lo sapete, si preoccupa anche d'un problema un po' differente, ma che non è senza affinità con l'oggetto presente delle vostre ricerche: quello della libertà religiosa. Si tratta di una questione in cui l'importanza e l'ampiezza sono tali che il Concilio ecumenico l'ha fatta propria. Si può legittimamente attendere su questo punto la promulgazione d'un testo che sarà di grande portata non solamente per la Chiesa, ma per tutti coloro, e sono innumerevoli, che saranno coinvolti da una dichiarazione autorevole in questa materia+. (OR 18 aprile 1964).

Il sottotitolo della Dichiarazione sulla libertà religiosa dice: Il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa. Questo sottotitolo, che valore e che funzione ha rispetto al titolo "La libertà religiosa", e anche rispetto al testo del documento conciliare?

E' una questione che merita d'essere almeno accennata, per dissipare alcune eventuali difficoltà e obiezioni tendenti a diminuire la grandiosa portata della Dichiarazione. Se infatti venisse inteso in senso restrittivo, potrebbe gettare una luce diversa da quella che emana dal testo e potrebbe autorizzare determinazioni e precisazioni anguste che bloccherebbero la carica di grande speranza del documento. Se d'altra parte venisse inteso in senso troppo generale, si rischierebbe di cadere nel pericolo di evanescente e astratto genericismo misticheggiante e pietistico.

Nel textus prior e nel textus emendatus del 1964, della terza sessione conciliare, il sottotitolo non aveva le parole *sociale e civile+. Si diceva: *De libertate religiosa seu de iure personae et communitatum ad libertatem in re religiosa+. Negli emendamenti scritti, consegnati subito dopo la terza sessione, alcuni Padri avevano suggerito di inserire la parola *civile+ con questa formulazione: La libertà civile religiosa, ossia il diritto civile della persona e delle comunità alla libertà in materia religiosa. Il textus reemendatus non ha accolto il suggerimento. La ragione è piuttosto evidente. Si sarebbe favorito infatti il pericolo di affermare che il diritto alla libertà religiosa, essendo fondato nel diritto positivo civile, era lasciato all'arbitrio della volontà dello Stato; mentre la Dichiarazione vuole impegnare lo Stato a riconoscere un diritto anteriore e superiore al diritto positivo civile.

Si notava tuttavia una certa insoddisfazione in alcuni Padri rispetto al titolo. La discussione in Concilio del testo riemendato, avvenuta nei primi otto giorni della quarta sessione, aveva riproposto diversi suggerimenti sul titolo. E il textus recognitus, modificato dopo la discussione, porta come titolo questa formulazione: Della libertà religiosa; e come sottotitolo: Del diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa; formulazione che è poi rimasta anche nel textus denuo recognitus e nel testo definitivamente approvato e promulgato dal Concilio.

L'aggiunta alla libertà dei termini specifici di sociale e civile, in quella collocazione propria dell'ultima formulazione testuale, quali precisazioni suppone?

Richiama alcune precisazioni:

1. il diritto alla libertà religiosa è della persona e delle comunità religiose, ossia è fondato nella persona umana e non nel diritto positivo civile;

2. la libertà a cui si riferisce particolarmente la Dichiarazione non è tanto il rapporto dell'uomo con la verità e con Dio, quanto tra le persone e le comunità nella società umana e civile;

3. non si tratta neppure dei rapporti tra i fedeli e l'autorità della Chiesa, ma dei rapporti degli uomini coi singoli uomini, coi gruppi sociali, col potere civile;

4. il testo e il contesto postulano una tutela e un rispetto tali, per cui l'ordinamento giuridico civile deve garantire che gli uomini non siano impediti, quando ricercano e professano la verità con una libertà responsabile, in materia religiosa;

5. il sottotitolo manifesta una reale preoccupazione del Concilio di esigere serie ed effettive garanzie da parte delle potestà civili e di individui e gruppi in materia religiosa, specialmente di fronte agli ostacoli, alle offese, alle violenze, alle persecuzioni ed eliminazioni della fede e della sua professione esterna; ma il sottotitolo, se getta una luce evidente nell'interpretazione del documento conciliare, deve essere anche visto in rapporto con quello che in realtà dice il testo nel suo contenuto dottrinale e pastorale.

Vi è allora una luce reciproca del sottotitolo nell'interpretazione del testo e del testo nella comprensione del titolo e del sottotitolo. In tal modo si avrà una visione più completa e globale della Dichiarazione religiosa, secondo cui viene affermato e richiesto l'impegno di un riconoscimento e di una garanzia giuridica sociale e civile di credere e di professare la propria fede religiosa, ma nello stesso tempo vengono affermati determinati principi fondamentali e valori pre-giuridici, umani e religiosi, che offrono un'ampiezza enorme di riflessioni, di studio, di ulteriore approfondimento e progresso dottrinale, di applicazioni e di determinazioni che superano la stretta sfera del diritto positivo civile e dei rapporti di garanzia e di tutela da parte dei poteri civili.

Del resto basta una lettura attenta del testo del documento per accorgersi di un contenuto ricchissimo, che si estende ad altri aspetti e rapporti della vita religiosa degli individui e delle comunità, oltre l'aspetto giuridico sociale e civile.

La struttura e l'ordine dello schema, gli argomenti trattati, i titoli dei singoli paragrafi, i principi e i richiami alla Sacra Scrittura, all'esempio di Cristo, degli Apostoli, alla tradizione della Chiesa, alla sua dottrina permanente C nonostante periodi critici della sua storia C alla libertà dell'atto di fede, alla risposta responsabile e libera al messaggio cristiano, al valore della coscienza e delle sue scelte, alla buona fede e alla certezza della coscienza nella vita morale, all'intrinseca esigenza costitutiva della ragione umana nella ricerca della verità e nello stabilire una coerenza tra pensiero e condotta, sono tutti elementi di grande pregnanza dottrinale, spirituale e pastorale che il Concilio ha voluto proporre come insegnamento solenne. Che tutto questo sia stato affermato per giustificare e documentare e fondare l'esigenza di richiedere ai poteri civili la garanzia giuridica della libertà delle persone e delle comunità in materia religiosa è esattissimo. Ma è anche altrettanto esatto ritenere che si tratta di veri fondamenti, di vere documentazioni, di vere giustificazioni, ossia di vera dottrina fondata sulla rivelazione divina e sulle riflessioni umane relative all'oggetto della Dichiarazione, da cui emerge ancor più solidamente una consistente richiesta di garanzia giuridica di quei valori religiosi e umani che devono essere riconosciuti e rispettati. Se il Concilio avesse avuto l'intenzione esclusiva di fermarsi a trattare e dichiarare la necessità della garanzia di diritto positivo civile poteva benissimo limitare il suo intento e la sua esposizione a questo argomento particolare e determinato. Viceversa ha voluto dire anche qualche cosa di più. E di questo qualche cosa di più bisogna tener conto nella comprensione più piena e più esatta della Dichiarazione.

Pur tuttavia, non le sembra che a proposito di libertà religiosa vi siano posizioni diversificate nel far lettura dello statuto epistemologico del concetto di libertà religiosa?

E' vero: per quanto riguarda il problema della libertà religiosa abbiamo diverse posizioni, sia storicamente verificatesi, sia come possibilità eventuali e pensabili.

Vi è una prima posizione che potremmo definire di negazione della libertà religiosa, o perché viene impedita e perseguitata ogni forma di religione, o perché viene imposta violentemente una determinata religione. Ma ovunque si manifestano la costrizione e la violenza sull'uomo ad aderire a una religione o a rifiutare una posizione religiosa, lì si verificano anche un affronto e una mutilazione della persona umana.

Vi è poi la posizione della tolleranza religiosa, secondo cui la verità e l'errore non possono avere gli stessi diritti. Tuttavia per evitare mali maggiori o in vista di un bene superiore per la convivenza sociale, si tollera che altre posizioni e gruppi di persone abbiano un'esistenza e un limitato diritto di esercizio condizionato della loro vita religiosa. E dove fosse possibile esercitare sul potere civile una pressione, lo si obbligherebbe a preferire e a conferire posizioni privilegiate, più o meno esclusive, in favore della religione vera.

La tolleranza, nella sua accezione pura e semplice, ha un sapore di compromesso. Per determinati motivi di ordine esterno si tollera che esistano posizioni errate e dannose. Una coerenza logica interna a una visione di affermazione dei diritti della verità e dei non diritti dell'errore e dei gruppi che errano, porterebbe al fanatismo religioso e alle guerre di religione. Ma questo provocherebbe un grave male sociale. E allora si tollerano gli aderenti a false religioni.

Ma le persone non si tollerano; si rispettano!

Tollerare le persone implica un senso di disprezzo di fondo verso coloro che possono anche trovarsi in posizioni errate. E il disprezzare la persona umana è un gravissimo male morale, perché significa disprezzare Dio stesso, che ha creato le persone a sua immagine e somiglianza, e in cui risplende sempre il raggio del Verbo divino anche quando sbagliano. Quindi per mantenersi nell'ordine morale del riconoscimento pratico di ogni essere nella sua dignità e realtà, non v'è posto che per un profondo rispetto verso ogni uomo e verso ogni gruppo di uomini.

Ma l'atteggiamento della tolleranza si può riferire alle idee e alle dottrine?

In senso approssimativo, lo si potrebbe anche riferire; ma in senso stretto e proprio non si tollerano neppure le idee. Le idee, le dottrine, le posizioni religiose si accettano o non si accettano, secondo il criterio o il metodo critico di una giustificazione di verità e di ragioni che convincono la coscienza umana. E' inesatto dire che le idee si tollerano. Le idee si comprendono, si chiariscono, si valutano e si approfondiscono, e se sono vere o se persuadono si accettano, altrimenti si respingono. Diversa invece è la posizione di fronte a persone che hanno idee o dottrine che sono false o che tali le giudichiamo. Le persone si rispettano sempre, e con loro si discute e si dialoga, si confrontano le idee, si illuminano e si convincono fraternamente, ma sempre con uno stile umano e cristiano, con uno spirito rispettoso ed evangelico. Sarebbe un assurdo logico C scriveva Rosmini C usare la costrizione e la violenza per fare aderire qualcuno alla propria posizione, *perché a ottenere il fine dell'adesione dell'animo altrui a una credenza, si adopera un mezzo incompetente e sproporzionato: l'intelletto si convince colla sola ragione: l'animo si piega con la sola persuasione; la forza fisica non captiva che il corpo+. (A Rosmini, Filosofia del Diritto, I, 166)

Non si dimentichi l'effato agostiniano: *Gli errori siano condannati, gli erranti siano amati+.

Quando poi si parla di *diritto alla libertà religiosa+ ci si riferisce a un rapporto inter-soggettivo. Si può parlare di diritto, in senso vero e proprio, solo là dove vi sono persone, tra persona e persona, tra persone e gruppi di persone.

Le cose e le idee non hanno diritti. Perciò non è esatto né corretto parlare dei diritti della verità o dei diritti dell'errore. La verità e l'errore, le dottrine e le idee, non hanno diritti, così come non hanno doveri. Le teorie, le dottrine, le fedi religiose, sono per il bene e il fine della persona, in funzione della vita umana e dei suoi destini, non sono dei fini. Solo la persona umana ha ragione di fine, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, in qualsiasi situazione, e merita il massimo rispetto, anche se nell'interpretazione della verità, a cui ogni intelligenza tende costitutivamente, può errare.

È vero che la parola tolleranza può anche esser presa con rispetto della persona, ma allora è altro dal significato proprio di tollerare; allora è rispetto, riconoscimento della dignità di ogni uomo.

Vi è poi una terza posizione della situazione religiosa ed è quella della libertà religiosa, secondo cui viene garantito a tutti giuridicamente il diritto di vivere, di operare e di professare la propria religione, in un piano di effettiva parità giuridica. Naturalmente non bisogna dimenticare che l'ordinamento e la parità giuridica alle diverse persone o comunità religiose non sono elargite dallo Stato per benevolenza, o per arbitrio proprio, ma dovute e riconosciute come valori pre-statuali, che i poteri pubblici sono tenuti a riconoscere e a tutelare, trattandosi di diritti fondamentali della persona umana.

Vi è, infine, una quarta posizione, quella suggerita dalla Dichiarazione conciliare, che consiste in un rispetto positivo ed efficace di tutti i cittadini nei loro diritti religiosi.

Infatti; ed è la posizione, per cui lo Stato potrebbe offrire una reale facilitazione a tutti nell'esercizio della propria religione, promovendo aiuti e iniziative in favore di tutte le religioni, senza entrare nel merito della verità o falsità della religione professata dalle persone. Come si favoriscono iniziative culturali, artistiche, sportive da parte dello Stato, in quanto sono un bene per tutta la comunità civile, così si promuoverebbero iniziative che faciliterebbero la vita o lo sviluppo della cultura religiosa come uno dei beni più alti della comunità umana. Tale rispetto e tale promozione di vita e di cultura religiosa non dovrebbero in alcun caso nuocere o diminuire la parità di diritto e di fatto di tutti i cittadini nella loro credenza e professione religiosa; poiché la garanzia di tale libertà religiosa per tutti è un impegno grave, trattandosi di una delle più significative libertà della persona e della società.

Non si può negare che il progresso dalla tolleranza alla libertà religiosa e al rispetto garantito per tutti dal diritto positivo civile in materia religiosa costituisce un enorme passo culturale, giuridico, di civiltà e di costume della società, sia come comunità di persone sia come organismo statuale che esercita debitamente il suo potere.

Eccellenza, vogliamo ora cercare di contestualizzare nelle circostanze attuali la questione della libertà religiosa?

La Religione è un fatto troppo importante perché l'uomo e la società possano ignorarne la rilevanza non solo interiore, ma anche esteriore e sociale della vita umana. La persona umana, nella sua unità costitutiva, non è una realtà puramente privata. E' un individuo, la persona, che ha una dignità da riconoscersi da parte di tutti. Per questo la Dichiarazione Dignitatis Humanae Personae C lo ricordiamo ancora C *dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si riconosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società+ (n. 2)

La libertà religiosa è senza dubbio la più esigente e la più delicata delle libertà umane. Lo stesso Benedetto Croce C nei suoi Discorsi Parlamentari C affermava che la libertà stessa *non è cosa tra le cose, ma per noi è un principio religioso+. E diverse pagine prima dichiarava: *Il principio della libertà bisogna accettarlo integralmente, se si vuole che riesca davvero giovevole alla umana società+.

Ora la libertà umana presuppone la natura umana, con tutti i suoi aspetti, le sue componenti, le sue potenzialità e le sue capacità: come intelligenza, volontà, ragione, coscienza, libertà e responsabilità. La persona e la natura umana allora ci si presentano come una grande complessità, che poi è una ricchezza di tutti questi doni creaturali donati da Dio all'uomo. Vi è una molteplicità nell'uomo, che infine si riduce ad un principio unico, il principio personale.

Queste potenze o capacità, non sono tabulue rasae vuote e indifferenti, in questo caso sarebbero solo delle possibilità non delle potenzialità e capacità attive. Vorrei ricordare un esempio. L'uomo viene creato da Dio con l'intelligenza, ma non vuota, bensì illuminata da quella "luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo" (Gv. 1,9). Questa luce è il raggio del Verbo, il lume di ragione, il divino nell'uomo, l'immagine di Dio in ogni persona. Questa luce è presente nell'uomo e attualizza l'intelligenza illuminando tutte le sue successive conoscenze che l'uomo acquisterà. Questa luce è ancora la base, la potenzialità su cui si collocherà poi la persona del Verbo, innestandoci a sé e ponendoci nell'ordine soprannaturale. Ma ogni persona, già come persona umana, ha il divino in sé, l'immagine del Verbo. Da questa presenza del divino ogni persona ha una altissima dignità, tanto che un versetto del libro della Sapienza dice che Dio stesso: "Et cum magna reverentia disponis nos (XII, 18).

La dignità della persona, fondata sul divino nell'uomo, costituisce il primato della persona su tutte le cose e su tutte le istituzioni umane. Per questo possiamo dire che la persona ha sempre e ovunque ragione di fine e mai di mezzo: quindi la persona, non solo ha dei valori nel suo interno, ma è essa stessa un inviolabile valore, da cui dipendono vari valori. Sono le persone, e le comunità formate da persone, che sono portatrici di valori, di diritti e di doveri.

Se ammettiamo un fattore divino nell'uomo, questo fattore divino costituisce la base della religiosità naturale. Tale religiosità troverà espressioni diverse e varie o accoglierà realtà religiose trascendenti e rivelate. In ogni uomo vi è un'esigenza, che richiede una risposta. L'homo sapiens è anche homo religiosus. Quasi più nessuno afferma che l'homo religiosus sia homo alienatus. Nell'avvertire e nel vivere questa esigenza religiosa la coscienza si esprime con tutta la sua capacità e con tutta la sua libertà. Anche nell'accogliere i dati rivelati la coscienza esercita la sua libertà personale. La stessa dichiarazione sulla Libertà Religiosa lo afferma *Gli imperativi della legge divina l 'uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza; la quale è tenuto a seguire fedelmente per raggiungere il suo fine che è Dio" (n. 3). E ricorda l'esempio degli Apostoli che "avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come *ognuno di noi renderà conto di sé a Dio" (Rm 14,12) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla sua coscienza+ (n. 11). Nessuno può sostituirsi alla coscienza personale. Naturalmente si pone il dovere di ciascuno di formare la propria coscienza, specie in rapporto libertà religiosa. La formazione della coscienza esige la ricerca della verità *una ricerca condotta liberamente con l'aiuto del magistero istituzionalizzato, per mezzo della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta, e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale+ (n. 3).

La libertà religiosa personale è un bene, é un valore, è un diritto, ma è anche una dovere morale, perché rientra nel dovere di crescita e di sviluppo del proprio essere umano, il quale si realizza nell'esercizio di scelte effettive ed efficaci. La libertà non è solo possibilità astratta, ma è una potenza e una capacità, e in quanto tale ha un impulso intrinseco che tende a realizzarsi. E la realizzazione di se stessa, ossia della coscienza, è un dovere morale.

Il diritto alla libertà religiosa è fondato nella coscienza, sulla ragione,

nella persona. Si dice che la persona è la fonte del diritto anzi, di più, ancora. Antonio Rosmini C nella sua opera Filosofia del diritto C scrive che: "la persona è il diritto sussistente e sostanziale". Perciò il diritto alla libertà religiosa è la stessa persona che esercita il diritto di scegliere e di rifiutare una fede o un credo.

Si porrebbe qui la questione del diritto della verità e del non diritto dell'errore, in relazione alla libertà religiosa. Ma così posta la questione è posta male. Il diritto, ogni diritto, è un rapporto interpersonale. Si può parlare di diritti solo in rapporto alla persona, tra le persone. Il diritto è la facoltà, l'attività di fare o di non fare, di accogliere o di rifiutare, il che esige sempre un soggetto reale. In materia religiosa la persona ha diritto alla propria dignità, alle propria scelte e alle proprie responsabilità. Ogni persona esige non solo tolleranza, ma rispetto e riconoscimento della propria dignità e delle proprie manifestazioni di pensiero, di attività e di iniziative. Tutto ciò si esprime meglio con il termine di libertà religiosa. Circa invece l'accoglimento o rifiuto di idee, di dottrine, di verità, qui siamo nel ambito logico, non giuridico, nell'ambito conoscitivo. Io posso aderire o respingere con la mia ragione una dottrina o una verità, ma ciò non costituisce un diritto in senso proprio, se non in rapporto ad altre persone.

Nel primo paragrafo della Dichiarazione viene posta una questione importate. E' stata richiamata da Mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione, a nome di più di cento vescovi. Si trattava di presentare un fondamento, non solo giuridico morale e soggettivo della libertà religiosa, bensì un fondamento ontologico. Questo fondamento è stato recepito dal testo conciliare così: *Il sacro Concilio professa pure che questi doveri (di ricercare e aderire alla verità) attingono e vincolano la coscienza degli uomini e che la verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore" (n. 1). La verità, anche quella che ritengo verità, ha una forza tale e un'esigenza tale perché è verità. E devo accoglierla per nessun'altra motivazione che quella di essere verità. Non per motivi di convenienza, non per motivi di utilità, non per motivi di interesse. Solo l'unico motivo d'essere verità spinge ad accoglierla.

L'approfondimento della libertà religiosa ci porta a distinguere tra libertà religiosa e libertà di coscienza. La libertà di coscienza abbraccia tutti gli aspetti della vita umana; in questa vi è compresa anche la libertà religiosa. La libertà di coscienza non esclude la ricerca della verità religiosa, anzi la esige.

Vi sono vari mezzi per la ricerca della verità; uno dei più fondamentali è il Dialogo. In un documento della Santa Sede intitolato "Dialogo e annuncio" si approfondisce la natura del Dialogo e si indicano alcuni caratteri ed esigenze del Dialogo, che sono "apertura alla verità, equilibrio e convinzione religiosa". Come la coscienza, anche il Dialogo ha diversi aspetti: vi è il dialogo filosofico, religioso, scientifico, sociale e politico. E tutti favoriscono la ricerca della verità. Per quanto riguarda il dialogo religioso, Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam Suam elenca vari tipi di dialogo religioso: quello dell'uomo con Dio, il dialogo interreligioso, il dialogo ecumenico e il dialogo interno alla Chiesa.

La libertà religiosa viene specificata stupendamente da Paolo VI in un Discorso, pronunciato in un momento critico per la dichiarazione sulla Libertà Religiosa. Egli volle rassicurare coloro che temevano della sopravvivenza del documento conciliare. Egli invece li tranquillizzò. Era il 28 giugno 1965 pochi mesi prima della conclusione del Concilio. Diceva: *Nella prossima sessione sentirete riassumere gran parte di questa capitale dottrina in due famose proposizioni: rispetto alla fede, che nessuno sia impedito! che nessuno sia costretto. Nemo impediatur! Nemo cogatur! E il 13 settembre 1965 lo stesso Paolo VI affermò che la Chiesa lungo i secoli aveva ragione di intervenire per difendere la Verità. Ecco le sue parole: *Identico è il motivo della resistenza della Chiesa di allora e di oggi: difendere la Verità, e insieme il sacro diritto di ogni uomo a una sua propria responsabile libertà, soprattutto nel campo fondamentale della coscienza e della religione+.

L'esercizio delle libertà religiosa poi esige uno spazio sociale nella comunità civile. Le persone nella loro unità tra interiorità e apertura sociale, sono chiamate a formare delle aggregazioni. La prima delle quali è la famiglia, poi vi sono comunità religiose e inoltre altri tipi di associazioni, quante sono le chiamate del Signore o della libera volontà degli uomini ad associarsi.

E' logico che se la libertà religiosa è un diritto fondamentale della singola persona, sarà un diritto fondamentale anche per le persone associate. Quindi si deve parlare di libertà religiosa per le varie comunità religiose e umane: ad esempio per la famiglia e per le varie Chiese e Confessioni religiose.

Vi sono alcuni punti caratteristici che meritano d'essere segnalati dovendo sottolineare l'apporto della ragione per libertà religiosa?

Il potere civile ha qualche rapporto con la libertà religiosa?

Trattandosi di un diritto fondamentale, il compito della potestà civile è quello di riconoscerla, garantirla e promuoverla. Tuttavia trattandosi dell'esercizio della religione, che *consiste anzitutto in atti interiori volontari e liberi... da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati né proibiti+ (n.3). Ma vi è un'ulteriore ragione che è ricordata nel medesimo numero ed è questa: *gli atti religiosi... trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Perché la potestà civile, il cui fine proprio è attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza, se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi+ (ibid). Da sottolineare che la specificazione del proprium del fine del potere politico è il bene comune temporale. Anche nella Gaudium et Spes quando parla della società civile e dei problemi sociali si usa la formula bene comune. La specificazione di temporale esiste solo qui, nel documento conciliare Dignitatis Humanae Personae.

Ora il principio di libertà religiosa è strettamente connesso con il principio di laicità, per cui lo Stato laico deve garantire e rispettare le manifestazioni di pensiero, di cultura, di religione, anche in pubblico. Vi sono periodi di ritorno come la battaglia per i crocifissi in luoghi pubblici., Negli anni del Concilio qualcuno aveva fatto la proposta di abbattere una croce impiantata su un monte perché violava la libertà religiosa e la laicità E' nota la vicenda del "velo" delle giovani mussulmane nelle scuole francesi, escluse dalla scuole statali. Una laicità che vietasse i segni, i simboli, le manifestazione delle varie culture e religioni, non solo violerebbe la libertà, ma impoverirebbe la stessa società civile.

Il nostro Documento ricorda che, naturalmente, vi sono anche dei "limiti della libertà religiosa" (n.7).

L'esercizio della libertà religiosa è normalmente regolato da *alcune norme+, perché si abbia riguardo ai diritti altrui e ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune, evitando i disordini e gli abusi. Non sempre è facile indicare i criteri, secondo cui elaborare le leggi in proposito. La Dichiarazione conciliare ne indica alcuni: conformità *all'ordine morale obiettivo+, promozione di una *pacifica composizione

a vantaggio di tutti+, una *vera giustizia+ l'*ordine pubblico+. Il testo, consapevole delle difficoltà in proposito, dà un'indicazione generale: *Del resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile e la loro libertà non deve essere limitata se non quando e in quanto è necessario+ (n. 7).

Vi è un altro punto che si riferisce ai Concordati tra Chiesa e Stati.

La discussione si era sviluppata tra coloro che sostenevano la compatibilità di uno stato confessionale (cattolico e anglicano) con il regime di libertà religiosa universale o di coloro che sostenevano l'inopportunità dei concordati, poiché in uno Stato liberale non è necessaria una garanzia concordataria. Ora la soluzione della questione può sembrare un compromesso, ma non lo è, e vedremo. Ecco il testo: *Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad una determinata comunità religiosa una speciale posizione civile, e necessario (necesse est), che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutte le comunità religiose venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa+ (n. 6). La forza dell'espressione necesse est toglie ogni ombra di compromesso. Tanto più che il testo conciliare potenzia ancora di più il significato, aggiungendo che *la potestà civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia, apertamente o in forma occulta, mai lesa, e che non si facciano fra essi discriminazioni " (n. 6). In questi anni i rapporti tra Chiesa e Confessioni religiose e tra Stati si sono risolti con Concordati (che rispettino la libertà religiosa di tutti) o con Intese, o con Accordi, o con Protocolli. Si potrebbe dire che la Dichiarazione conciliare abbia influito benevolmente sui vari rapporti giuridici tra Stati e comunità religiose.

Un'altro punto particolare è quello del rapporto della libertà religiosa con chi è agnostico, irreligioso o ateo. Esiste un rapporto con la libertà religiosa in questi casi?

Qualcuno sosteneva che non si può parlare di libertà religiosa per chi non ha alcuna religione. Ma si può fare anche un altro ragionamento, ossia questo: il documento conciliare si pone come difesa e garanzia della coscienza di ogni persona, anche della coscienza di chi rifiuta la religione o critica correttamente e lealmente le religioni, e si invitano i poteri civili a rispettare la coscienza di chi rifiuta o critica la materia religiosa. Il testo conciliare in proposito scrive che *è illecito alla pubblica potestà di imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia o la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad una comunità religiosa o che vi recedano+ (n. 6). Non si può impedire a qualsiasi persona che faccia ragionamenti o che cerchi ragioni religiose, filosofiche, o di altro genere, per non accettare né aderire ad una religione o credo o fede.

Un'ultimo importante punto riguarda il diritto della famiglia in materia religiosa. Indubbiamente l'autorità civile deve riconoscere una serie di diritti sull'educazione, sulle scelte di scuole e altri mezzi senza oneri ingiusti.

Il tema degli aiuti alle scuole libere non è un fatto secondario, perché in diversi Paesi C come accade in Italia C la scuola diviene un monopolio statale con l'impossibilità per le famiglie non ricche di scegliere la scuola che meglio garantirebbe l'istruzione e l'educazione dei propri figli. Scriveva Antonio Rosmini: *I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere maestri ed educatori di cui si fidano+. [E sarebbe assai interessante qui chiarire e approfondire la distinzione e il concetto tra diritto di natura, diritto di ragione, diritto di persona o, con termini aggettivati, diritto naturale, diritto razionale, diritto personale. L'economia di questo lavoro non lo consente]

Ma torniamo alla nostra riflessione: il monopolio statale dell'istruzione è negazione di libertà: solo l'esistenza della scuola libera garantisce alle famiglie alternative reali sia sul piano dell'indirizzo culturale e dei valori che sul piano della qualità e del contenuto dell'insegnamento.

Il monopolio statale dell'istruzione viola le più basilari regole della giustizia sociale: chi iscrive il proprio figlio alla scuola non statale paga due volte, la prima volta con le imposte per un servizio di cui non usufruisce e una seconda volta con la retta da corrispondere alla scuola non statale.

Il monopolio statale dell'istruzione devasta l'efficienza della scuola: la mancanza di competizione tra istituzioni scolastiche comporta, in linea generale, irresponsabilità, inefficienza e aumento dei costi.

Né si dice che la formula della Costituzione italiana "senza oneri per lo Stato" circa le scuole libere risponde a un principio di laicità, poiché ciò che viola la libertà effettiva e la giustizia sociale è la negazione della "legittima sana laicità dello Stato" (cfr. LG 36).

Vi potrebbero C al riguardo C essere vari tipi d'intervento dello Stato?

Certamente sì:

C con dei "buono - scuola" dati agli studenti aventi diritto,

C con il "credito d'imposta" ossia la detrazione dalle tasse di una retta scolastica,

C con sovvenzioni, stipendi dei professori e simili misure.

Ora il problema più delicato riguarda la libertà religiosa nella famiglia dei genitori ai quali il testo riconosce che a essi *compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa" e quella dei figli (n. 5).

Ma qualora i genitori non fossero della stessa religione o fede, il testo non dice quale soluzione prendere. Vi è una lacuna nel n. 5 della nostra Dichiarazione: ossia non solo la libertà religiosa della famiglia, ma nella famiglia. Allora le soluzioni possono trovarsi meglio nell'accordo tra genitori. Se invece non vi fosse accordo, ognuno si ricordi che anche l'altro ha lo stesso diritto. Inoltre al loro diritto-dovere occorre tener presente il diritto-dovere dei figli ad essere educati nella verità e nella moralità. In nessun caso dovrà esser privilegiata una linea agnostica, neutrale o confusa, anche se si ha l'intenzione di rimettere in seguito la soluzione del problema alla libera decisione dei figli, i quali devono conoscere ciò che sceglieranno. Nell'ignoranza e sul nulla non vi è scelta.

Paolo VI nel Discorso già citato del giugno 1965 alle forme razionali e laiche [Nemo impediatur e Nemo cogatur], vuol far consapevoli che in esse vi sono anche una pregnanza e un richiamo religioso. Scrive che quella *Dottrina si completa con la conoscenza della parola di Cristo di cui stiamo ragionando+ (il tema del Discorso era il commento di un versetto evangelico: Venite a me voi tutti, che siete affaticati e tribolati e io vi conforterò (Mt 11,28). *Esiste una chiamata divina C continuava Papa Montini C esiste una vocazione universale alla salvezza portata da Cristo, esiste un dovere di informare e di informarsi, esiste un ordine d' istruire e di istruirsi, esiste di fronte al problema religioso un somma responsabilità, a cui in una sola maniera si deve e si può rispondere, liberamente, cioè, il che vuol dire per amore, con amore, non per forza. n Cristianesimo è amore. Stupendo e temendo disegno in ordine alla nostra salvezza+!

Questo testo di Paolo VI ci introduce in un secondo momento della nostra riflessione, ossia il rapporto della libertà religiosa con la Rivelazione.

Vi furono delle voci, secondo cui il problema della libertà religiosa dovesse essere trattato richiamandosi solo alla Rivelazione e al Magistero della Chiesa, escludendo ogni discorso razionale e filosofico, che non sono propri della Chiesa istituita da Cristo. La scelta del Concilio viceversa è stata più ampia. Si è aperta alla persona creata a immagine di Dio, con la presenza del divino nella sua coscienza, che comporta la grande dignità della persona umana, che è direttamente ed essenzialmente coinvolta nella questione della libertà religiosa. Anzi è la libertà religiosa della persona, che è l'oggetto della nostra dichiarazione, che dovrà poi essere vista "nella luce della Rivelazione".

Il passaggio dalla prima alla seconda parte della Dichiarazione conciliare è sintetizzato bene dal testo quando *dichiara il che diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento sulla dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli+. E aggiunge che *una tale dottrina sulla libertà religiosa affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più dai cristiani va rispettata con sacro impegno+ (n. 9). Tuttavia nella Rivelazione non vi è un'affermazione esplicita circa il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa. Nonostante ciò vi sono varie motivazioni religiose che fanno ritenere che tale libertà abbia le sue radici nella Rivelazione. Il primo argomento in favore delle libertà religiosa è indicato nella *libertà dell'atto di fede+ (n. 10), poi nel modo di agire di Cristo, e il terzo di come si sono comportati gli Apostoli.

Nella Bibbia vi è un testo che mette il popolo d'Israele di fronte ad una scelta.

Nel libro di Giosuè (24,15) viene presentata al popolo l'alternativa. *Se vi pare giusto servire il Signore, scegliete oggi a chi preferite servire: se agli dei padri vostri di là del fiume, o agli dei degli Amorrei, nella cui terra voi abitate: io e la mia famiglia abbiamo deciso: noi serviremo il Signore+.

Qui vi è un'opzione già nell'Antico Testamento presentata al popolo in tutta libertà. Il popolo risponde che non abbandonerà il Signore. E' un testo che non è ricordato nella nostra Dichiarazione, ma ci sarebbe stato bene, anche se i Padri conciliari hanno ritenuto di non ammetterlo.

San Paolo nella Seconda Corinzi (3,17) afferma: *Là dove è lo spirito ivi è la libertà+. Sarà lo Spirito che convince interiormente ad aderire liberamente all'atto di fede. Già nella Lumen Gentium si affermava che la *dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso o per mera coazione esterna+ (n. 17)

Gesù è mite e umile di cuore, pur essendo Maestro e Signore nostro, *ha invitato i discepoli pazientemente+. I miracoli accompagnavano la sua predicazione per sostenere e confermare la sua dottrina; "ha rimproverato l'incredulità lasciando la punizione a Dio nel giorno del giudizio", non ha permesso che si strappasse la zizzania" in mezzo al buon grano; non spegne il lucignolo fumigante e non rompe la canna incrinata. Riconosce i diritti di Cesare: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio (Mt. 22,21). Qui Gesù pone il fondamento della distinzione tra Chiesa e società politica. E' una novità radicale per quei tempi. Una tale distinzione delle due sovranità mette fine ai poteri coercitivi dei principi nell'ambito religioso.

Soprattutto Gesù offre la sua più grande testimonianza ultimando la sua Rivelazione *compiendo sulla Croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo Regno non si erige con la spada, ma si costruisce ascoltando la Verità e rendendo ad essa testimonianza e cresce in virtù dell'amore, con il quale Cristo, esaltato il Croce, trae a sé gli esseri umani+ (n. 11).

*Gli Apostoli poi istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via+ (n. 11). Lo stesso metodo, la stessa predicazione, la testimonianza, il rispetto dei deboli, anche quando sbagliano sono seguiti dagli stessi apostoli. Non solamente la coscienza erronea invincibile non deve esser violata, ma essa obbliga e chi non la segue cade in peccato (Rm 15,12; 1Cor 8, 9-13). Sarebbe interessante sviluppare la dottrina della coscienza, (ricorrente 30 volte) specie in Paolo.

Anche *la Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli Apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla Rivelazione di Dio la libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato, nel decorso dei secoli, la dottrina ricevuta da Cristo e dagli Apostoli+ (n°12). Indubbiamente la Chiesa ha sempre riconosciuto la libertà dell'atto di fede.

La Dichiarazione poi accenna ad una questione un po' delicata. Si tratta delle violazioni delle libertà religiosa offesa anche da organismi della Chiesa.

Il testo conciliare ne parla, e si esprime così: *E quantunque nella vita del Popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi a esso contrari, tuttavia ha sempre perdurato la dottrina della Chiesa che nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede+ (n.12). Vi sono state guerre di religione, conflitti tra comunità cristiane, condanne e censure, martiri delle varie parti Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente vi ritorna

là dove scrive: *E' vero che un corretto giudizio storico non può prescindere da un'attenta considerazione dei condizionamenti culturali del momento, sotto il cui influsso molti possono aver ritenuto in buona fede che un'autentica testimonianza alla verità comportasse il soffocamento dell'altrui opinione o almeno la sua emarginazione. Molteplici motivi spesso convergevano nel creare premesse di intolleranza, alimentando un'atmosfera passionale alla quale solo grandi spiriti veramente liberi e pieni di Dio riuscivano in qualche modo a sottrarsi. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo all'aureo principio dettato dal Concilio: "La verità non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore"+ (n°35).

Possiamo ritenere che la testimonianza del Nuovo Testamento appare grandemente avanzata per i suoi tempi?

Non si entra nei dettagli, ma non si accontenta di indicare la radice biblica delle libertà religiosa; anzi affronta anche la difficile questione di coloro che esitano nella fede, di coloro che sono nell'errore o la rifiutano. Si rispetta la buona fede delle persone e la loro coscienza certa o errata. I semi gettati dal cristianesimo, nei secoli successivi hanno prodotto nella civiltà occidentale, ma non solo occidentale, una riflessione sempre più esigente dei diritti della libertà umana. La Dichiarazione sulla libertà religiosa ha avuto grandi contrasti, sia durante il Concilio che dopo, perché è un documento di frontiera. Anzi è un documento che consentirà dialoghi ecumenici e inter-religiosi sempre più profondi e sempre più aperti per una convivenza civile e per un progresso sociale tra i diversi popoli C in una parola C per una fraternità di tutte le persone che hanno un unico Padre.