Bioetica: ma cos'è?

di Antonio Autiero e Lucia Galvagni

 

La bioetica nasce come disciplina, o quantomeno come sensibilità e coscienza verso la necessità di un nuovo sapere, tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70. Il termine, che rimanda alla duplice componente della vita (bios) e dell'etica (ethos), è stato coniato nel 1971 dal cancerologo americano van R.Potter (Bioethics: Bridge to the Future) per indicare un nuovo ambito intellettuale per l'approccio alle questioni scientifiche, una sorta di "ponte" tra la cultura scientifica e quella umanistica. A quasi trent'anni dalla propria origine, la bioetica si costituisce e struttura in modo sempre più variegato e complesso.

Essa è stata definita come "lo studio sistematico delle dimensioni morali - comprendenti visione morale, decisione, condotta, politiche - delle scienze della vita e della cura della salute, attraverso una varietà di metodologie in un contesto interdisciplinare" (W.T.Reich, Encyclopedia of Bioethics, 1995) o, più ampiamente, come "l'etica in quanto particolarmente relativa ai fenomeni della vita organica, del corpo, della generazione, dello sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia e della morte. Non è una disciplina autonoma e indipendente: ricomprende problematiche legate al progresso della conoscenza e delle tecniche biologiche, ma un adeguato approfondimento riporta alle questioni e agli atteggiamenti etici fondamentali concernenti l'uomo in quanto anima e corpo, spirito e materia, organismo capace di azioni e interazioni significanti e simboliche eccedenti il campo d'indagine della biologia." (U.Scarpelli, La bioetica. Alla ricerca dei principi, in Bioetica laica).

Diversi sono i fattori che hanno contribuito a dare origine, sviluppare e diffondere questa disciplina. L'ampliamento delle conoscenze e dei poteri in ambito scientifico e tecnologico ha portato alla formulazione di problemi morali nuovi derivanti da fatti nuovi: quanto è tecnicamente possibile, è eticamente lecito? Quest'interrogativo sprona a pensare, a riflettere su quanto accade, sia a livello personale, come singoli individui, sia a livello comunitario, perchè in qualche modo è qui in gioco il destino dell'uomo. Una caratteristica del tutto nuova delle moderne possibilità applicative della scienza, infatti, sta nell'irreversibilità delle conseguenze, per l'impatto sul futuro dell'uomo e del cosmo che esse potrebbero avere. E' pertanto doveroso considerare non solo la dimensione del presente, ma anche quella futura, per preservare e garantire la vita delle generazioni che verranno.

L'attenzione ai diritti degli individui ha condotto al progressivo tramonto del tradizionale modello di cura centrato sul paternalismo medico, in base al quale il paziente demandava in toto la gestione della propria situazione di malattia e delle decisioni inerenti ad essa al medico.

Inoltre il crescente pluralismo delle società odierne non permette di individuare un'unica opzione morale, valida indistintamente e a priori, bensì richiede di sviluppare un'attitudine al confronto, al dialogo e al rispetto delle diverse posizioni, senza per questo rinunciare alla promozione dei valori fondamentali per l'uomo.

La bioetica si caratterizza così come un sapere interdisciplinare che, a partire dai dati della biologia e della medicina, ne analizza le componenti etiche e le eventuali implicazioni giuridiche per cercare di costruire un consenso rispetto alle situazioni ed ai nodi problematici di tali pratiche e di tali conoscenze.

Essa si trova ad affrontare "questioni quotidiane" e "questioni di frontiera" (G.Berlinguer), dalle problematiche dell'attività medico-sanitaria di ogni giorno alle questioni di portata ed impatto più generali e vasti. Del resto è fondamentale che anche i problemi specifici vengano considerati entro un contesto globale, proprio per non perdere di vista l'interrelazione tra queste due dimensioni ed il loro reciproco apporto: le singole questioni rimandano infatti, da ultimo, alle grandi tematiche del senso della conoscenza, della sofferenza, della salute e della sanità, della dignità della persona umana, che, in quanto tali, appartengono all'universo simbolico ed antropologico.

Le questioni di cui la bioetica si occupa spaziano dal dominio strettamente sanitario a quello ambientale: dalla riflessione inerente al rapporto di cura, al significato di salute e malattia, alle questioni di inizio vita (statuto dell'embrione umano, procreazione medicalmente assistita...) e fine vita (definizione di morte, eutanasia, cure palliative, suicidio assistito...), alle tematiche inerenti alla sperimentazione sull'uomo, all' "ingegneria genetica" (test e analisi genetiche, terapie geniche, biotecnologie...), ai trapianti, per ampliare poi la prospettiva sino alle problematiche di etica ambientale ed animale (la cosiddetta "eco-etica").

In particolare per quanto riguarda la sua applicazione in medicina, vi è stato un riferimento ed un recupero forte della tradizionale etica medica, a partire dalla quale si sono individuati 4 principi, riconosciuti come finalità implicite di questa pratica, cui fare riferimento in senso regolativo. Essi sono:

- il principio di autonomia, con il quale si riconosce e si afferma il dovere di rispettare l'individuo nella sua autonomia, il suo diritto ad avere delle opinioni, a compiere delle scelte e ad agire in base a valori e convinzioni personali, nonchè il dovere di promuovere l'autonomia dei diversi soggetti coinvolti nel processo di cura;

- il principio di non-maleficenza, con il quale si riprende il tradizionale principio ippocratico del primum non nocere e si afferma il dovere di non provocare intenzionalmente un danno;

- il principio di beneficità, che si struttura come versione positiva del principio di non-maleficenza, ed è inteso alla prevenzione o rimozione di un danno ed alla promozione del bene del paziente;

- il principio di giustizia, che sottolinea l'esigenza di equità e giustizia della pratica medica e sanitaria e introduce la dimensione socio-economica e politica tra i fattori determinanti questo settore.

In Europa si è giunti a stipulare una convenzione, la cosiddetta Convenzione di bioetica, adottata dal Consiglio d'Europa nel settembre 1996, nell'ottica di salvaguardare e promuovere i diritti dell'uomo rispetto alle applicazioni della biologia e della medicina, le sue libertà fondamentali e la sua dignità, nonchè di finalizzare i progressi di questi settori a beneficio delle generazioni presenti e future, di cooperare a livello internazionale in merito e di promuovere un dibattito pubblico. Si sono riconosciuti alcuni principi di base, che affermano la centralità della persona nella sua dignità ed identità, la preminenza dell'interesse e del bene del singolo su quello della società e della scienza, il diritto ad un accesso equo alle cure sanitarie, la necessità di un consenso libero ed informato agli interventi sanitari, con un'attenzione particolare ai soggetti più vulnerabili, il diritto al rispetto della vita privata e delle informazioni sanitarie, la tutela da ogni forma di discriminazione a causa del patrimonio genetico, inteso invece come risorsa e bene della persona, la garanzia di protezione dell'essere umano nella ricerca scientifica, l'indisponibilità del corpo umano altrui o di sue parti, vietando in particolare ogni forma di profitto che se ne possa ricavare.

La bioetica sembra così invitare l'uomo a rapportarsi con un atteggiamento di "responsabilità" di fronte al fenomeno della vita. La situazione del presente profila un orizzonte di sfide e di impegni per l'uomo, che può, anzi deve, giocare ancora un ruolo di attore responsabile in tale contesto. Ecco allora che la biomedicina diventa "uno dei domini privilegiati dell'azione umana contemporanea entro cui effettuare la promozione della capacità etica dell'uomo " (B.Cadorè).