Il progetto ateistico

di costruzione dello stato assoluto

 

La prospettiva della rivoluzione francese, come si è visto, è stata chiara: completa laicizzazione della vita personale, culturale e sociale; tale progetto si diffuse gradualmente in tutta Europa determinandone il clima culturale. Giovanni Paolo II ha definito gli ultimi secoli un "impegno per una formulazione teorica dell'ateismo, per la sua dimostrazione presuntamente scientifica, per la sua verifica pratica e sociale".

Quando si procede nell'analisi storica è necessario cercare l'elemento portante di un dato fenomeno. Il filo conduttore di molti fenomeni determinanti il XIX e il XX secolo, a prima vista così diversi e addirittura in contrapposizione, è proprio il tentativo di creare una società senza Dio. Una società autosufficiente nella quale l'uomo trovi la sua definitiva espressione. Se si riesce a costruire sulla terra una società che, essendo programmaticamente e violentemente senza Dio, assicura la piena espressione della vita umana, si dimostra che l'uomo basta a se stesso e non ha bisogno di Dio. Avendo sostituito ad una concezione della vita personale come appartenenza una concezione intesa come potere, si deve dimostrare che l'uomo è autosufficiente. Ciò è possibile solo coinvolgendo gli uomini nella costruzione di un progetto che si pretenda definitivo. La condizione per tale costruzione è l'eliminazione del passato, e quindi la lotta alla Chiesa che lo incarna.

Si tratta di un attacco alla tradizione come forma della società, del tentativo di inaridirla nella sua capacità educativa, formativa ed esemplare.

Il progetto di costruire una società senza Dio in cui l'uomo possa celebrare il suo potere (conoscitivo e pratico) conduce allo Stato assoluto. Tale affermazione è radicalmente in alternativa all'interpretazione dominante, ma è facilmente sostenibile. Se la concezione della vita politica e la struttura regolativa che ne deriva (quel che si chiama Stato) non prevedono nessuna norma superiore da cui possano essere giudicate, esse sono assolute. Sono esse a fondare il valore della persona e della storia. Non interessa, a questo livello, la modalità con cui viene esercitato il potere; il problema è la sostanza dello Stato, che si concepisce originariamente come assoluto, cioè sciolto da qualsiasi condizionamento.

Pio IX, nel suo primo durissimo impatto con il liberalismo, cioè con questo progetto di secolarizzazione ateistica, ne formulò l'aspetto determinante, condannando il principio comune alla posizione liberale e, in seguito, alla posizione delle ideologie totalitarie del '900 (che sono, in tal senso, in nesso profondo con il liberalismo): "Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto che non ammette confini" (proposizione XXXIX del Sillabo). E la definizione dell'assolutismo. Sempre nel Sillabo Pio IX condanna altre due affermazioni che costituiscono altrettanti capisaldi dell'ideologia liberale: "La Chiesa non è una vera e perfetta società, completamente libera, né ha diritti suoi propri e permanenti, a lei conferiti dal suo Divino Fondatore; ma spetta alla civile potestà definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitare i medesimi diritti" (proposizione XIX); "L'ecclesiastica potestà non deve esercitare la propria autorità senza il permesso e il consenso del governo civile" (proposizione XX).

Lo Stato concepito come sostanza dell'umanità, sia sul piano personale che sul piano sociale, è una alternativa alla religione; anzi è la religione dei nuovi tempi, il fattore coagulante e totalizzante, la ragione adeguata della vita dei singoli e dei popoli.

 

Le premesse dello statalismo

Si possono individuare tre tappe che hanno preparato nei secoli questo progetto: il pensiero politico rinascimentale, il protestantesimo, l'empirismo.

1. Secondo la concezione della vita politica come emerge nel Rinascimento italiano e in particolare nel pensiero di Niccolò Machiavelli, lo Stato non è più inteso come struttura di servizio al bene comune ma come opera d'arte dell'individuo, il "principe". Si vuol creare uno Stato che garantisca un ordine definitivo retto dal sovrano secondo le linee "provvidenziali" del suo destino e della sua missione. Il principe si considera, e viene considerato dalla collettività, come il forgiatore del destino della società politica, secondo direttive proprie scaturenti dal suo animo, frutto della sua virtù, proiezione politica della sua personalità. Non esiste norma che possa giudicare ciò che il Principe crea, assecondando una funzione che egli ritiene provvidenziale e che nessuno ha il diritto di giudicare. Il culto della personalità dei capi delle ideologie del XX secolo trova qui il suo fondamento. Data la sua particolare responsabilità, il principe non è più soggetto alle norme della moralità comune: "Uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo Stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbi uno animo disposto a volgersi secondo gli eventi della fortuna e le variazioni delle cose li comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato". (Niccolò Machiavelli, Il principe, cap. XVIII). Il principe non vive secondo la logica dell'uomo comune ma secondo la ragione dello Stato.

Il Seicento definirà la "ragion di Stato" come la suprema norma del comportamento sociale. Il Rinascimento, concependo la politica come l'opera d'arte volontaristica del singolo principe, le conferisce il massimo di soggettività. Se uno sente di avere questa funzione nella storia, deve poterla attuare utilizzando la realtà sociale per tale creazione. La dimensione politica incomincia ad ergersi come dimensione totalmente autonoma, senza più nessun riferimento con la dimensione religiosa dell'esistenza.

2. Il secondo fattore che prepara l'assolutismo moderno e contemporaneo è il protestantesimo. Descrivendo la riforma protestante si è già detto che essa fu connivente con l'assolutismo e il capitalismo pur non incrementandoli positivamente. Il protestantesimo ritiene infatti che l'esperienza religiosa della persona non abbia un valore culturale, non possa entrare nella vicenda storica giudicandola. Si tratta di una riduzione, in senso individualistico e soggettivo, del cristianesimo. Il protestantesimo come si è visto, ha una visione pessimistica dell'uomo. Tuttavia alcuni uomini, nonostante questa negatività originale, sono predestinati alla salvezza per una libera e arbitraria scelta di Dio. Lo Stato è l'insieme delle condizioni che rendono possibile per la maggioranza degli uomini, che non sono certo eroi, l'esistenza di un'ordinata e piena vita spirituale. Lo Stato assicura la pace, svolge una funzione ordinativa, pone le condizioni pratiche perché le persone - vivendo in pace - possano attendere ciascuna al proprio culto. Tale vita interiore non viene intesa soltanto nel senso strettamente religioso, ma in un più ampio significato spirituale. Il potere del principe trova così un fondamento nuovo: non costituisce solo un freno ai malvagi ed un'effettiva tutela dell'ordine, ma è anche il principale fattore di incremento e di sviluppo della vita umana individuale e collettiva proprio nella sua esplicazione più alta: quella della vita spirituale, morale, intellettuale. Allo Stato si chiede di difendere la religione come esperienza individuale.

Il pessimismo luterano, per cui l'uomo è una realtà che deve essere continuamente guidata, ordinata, corretta nei suoi errori, fa sì che lo Stato diventi l'elemento fondamentale di pacificazione.

Questo pessimismo di tipo protestante raggiunge il vertice, sia a livello di formulazione teorica che di indicazioni pratiche, nel pensiero di Thomas Hobbes: siccome l'uomo, per natura, ha possesso su tutto, e questo determina naturalmente una situazione di tensione, di guerra da parte di ognuno contro tutti, occorre che lo Stato si assuma la somma dei diritti degli individui, per garantire la pace. Ciò significa che la struttura dello Stato è assolutamente oggettiva: al di fuori di essa c'è soltanto una coscienza personale (nel senso di "privata").

3. Il volontarismo ottimistico rinascimentale e il pessimismo protestante si sintetizzano nell'idea di una scienza e di una tecnologia della politica. Si tenta un'analisi scientifica dell'uomo, ridotto al solo aspetto biologico-materiale, e del suo comportamento, i cui criteri vengono individuati in leggi di carattere fisico o psicologico.

Il grande tentativo dell'empirismo inglese è, appunto, di ridurre la morale a psicologia, così che si possa attuare una vera scienza della politica. Individuate le leggi del comportamento umano personale e sociale, bisogna creare una società in cui esse vengano verificate. Chi è contro queste leggi, pertanto, è contro la scienza, contro il progresso, contro la giustizia e quindi contro la collettività. Nei suoi confronti lo Stato deve usare il massimo della capacità repressiva, perché eliminare il nemico della società scientifica è eliminare la tentazione del regresso. Tale intervento statale si è attuato attraverso il principio protestante, del "cuius regio, eius et religio", con cui vien posto fine alle guerre di religione nel trattato di Westfalia (1648). La religione è parte della vita politica: se sono nato in una certa regione e il mio principe è protestante, io debbo essere protestante, almeno a livello pubblico.

La religione intesa come origine di turbamento sistematico della vita è in perfetta sintonia con l'affermazione, espressa oggi dalla mentalità comune laicista attraverso i mezzi di comunicazione sociale, che la religione è fonte di fanatismo. Anche oggi si sostiene che solo lo Stato può impedire questo fanatismo attraverso una uniformizzazione della vita.

Il discredito verso la religione motivato dalle guerre di religione è un punto fondamentale dell'Illuminismo e costituisce il grande criterio dell'Enciclopedia, in cui la storia della cultura umana viene descritta secondo la tesi che il passato è negativo perché in esso prevale la religiosità e il moderno è positivo perché in esso sta prevalendo la ragione.

Dalla rivoluzione francese sino alla seconda guerra mondiale, assistiamo ad una dilatazione e ad un'attuazione graduale dell'idea di Stato che abbiamo delineato. Si arriva persino a modificare gli assetti precedenti, ridisegnando le carte geografiche e politiche.

Le rivoluzioni liberali e borghesi nell'Europa continentale, la creazione degli stati nazionali, le loro alleanze e contrapposizioni saranno determinate da questa logica: stabilire un equilibrio di potere all'esterno per consentire, all'interno, la trasformazione sociale, cioè la creazione di Stati assoluti come concezione culturale, al fine di permettere all'Europa laicista di spartirsi il mondo. Si possono indicare alcuni fenomeni esemplificativi di questo progetto.

1. Nel 1806 la deposizione spontanea, ad opera dell'imperatore d'Austria, del titolo di imperatore del Sacro Romano Impero e la sua sostituzione con il titolo di imperatore dell'impero d'Austria (d'Austria e d'Ungheria dal 1856). Porre fine all'idea del Sacro Romano Impero equivaleva a eliminare definitivamente un'immagine della vita politico-statale ultimamente subordinata alla dimensione religiosa.

2. La triplice e progressiva spartizione della Polonia, cioè il tentativo di eliminare una situazione statale particolarmente resistente all'idea di una concezione assolutistica della vita politica. Stati diversissimi, come la Russia fondata su un'autocrazia di tipo bizantino, la cattolica Austria e la protestante Prussia, si accordarono sulla spartizione.

3. La "real-politik" bismarckiana, per cui la politica è una realtà assolutamente autonoma, un materialismo politico, e la logica che la guida è quella del massimo profitto possibile.

4. Lo scollamento sistematico fra gli Stati che si formano e la vita reale dei popoli è un dato costante su cui si soffermano tutte le storiografie, compresa quella entusiasticamente laica e liberale. La classe sociale che, lungo il XIX secolo, guida questo progetto è la classe liberal-borghese, il "terzo stato" della rivoluzione francese, che rappresenta la classe egemone in quanto soggetto della rivoluzione industriale.

Che rapporto c'è fra questo progetto di ateizzazione della vita sociale e le grandi ideologie totalitarie del ventesimo secolo (stalinismo, nazismo, fascismo)? Normalmente la storiografia liberale parla di queste come di aberrazioni, di tradimento rispetto alla sostanza del liberalismo dell'età moderna e contemporanea, cioè la democrazia; ne parla come di fenomeni di conservazione del passato che intralciano il corso della democratizzazione della vita europea.

L'ideologia totalitaria, in realtà, è in perfetta continuità con il progetto sopra descritto perché svolge coerentemente l'analisi scientifica dell'uomo a partire da dati principi, e conduce al massimo di espansione e di concretezza la progettazione della vita sociale. Cambiano (come fra stalinismo e nazismo), i contesti e le sollecitazioni esterne, ma non la logica: la creazione di uno Stato assoluto, in cui la classe o il partito che ha conquistato il potere celebri il suo trionfo, assimilando a sé tutta la società.

 

Caratteristiche dello Stato moderno

Due costanti accompagnano il progetto di Stato moderno nei due ultimi secoli: la separazione della Chiesa dallo Stato e l'identificazione della società con lo Stato.

1. Dalla Costituzione civile del clero e all'aggiornamento dello Statuto albertino ad opera dello Stato unitario italiano nel 1861, è costante l'affermazione che lo Stato e la Chiesa sono separati. È in realtà una ben strana separazione quella secondo cui la Chiesa, per poter esercitare i suoi diritti, deve dipendere dallo Stato, oppure quella secondo cui non è lecito ai vescovi, senza il permesso del governo, promulgare neppure le stesse lettere apostoliche! E una ben strana separazione quella secondo cui si possono istituire delle Chiese nazionali sottratte all'autorità del Pontefice (come si è tentato di realizzare con le dittature del ventesimo secolo)! E una separazione fittizia è quella secondo cui "l'ottimo andamento della società civile richiede che le scuole popolari aperte ai fanciulli di qualsiasi classe del popolo e in generale tutti i pubblici istituti destinati all'insegnamento delle lettere e delle più importanti discipline, nonché a procurare l'educazione della gioventù, debbono essere sottratte con ogni autorità all'influenza moderatrice e all'ingerenza della Chiesa e debbono essere assoggettate al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica, a piacimento dei governanti e a seconda delle comuni opinioni del tempo" (proposizione XLVII del Sillabo). O quella per cui "i re e i principi non solo sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma, di più, nel dirimere questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa" (proposizione LIV del Sillabo).

L'espressione "separazione della Chiesa dallo Stato" è soggetta ad un equivoco grave. Fino alla rivoluzione francese non c'è stata nessuna unificazione fra Chiesa e Stato. Vi può essere stata un'unificazione contingente, ma, sul piano della concezione, è sempre valsa la distinzione di papa Gelasio (V secolo) secondo la quale esistono due ordini, quello religioso e quello politico, il primo dei quali esercita una supremazia di carattere morale e spirituale (non di carattere politico).

Secondo questa distinzione, la dimensione religiosa dell'esistenza, cioè la libertà di coscienza, non può essere assoggettata allo Stato, in quanto è più grande di esso; la Chiesa, da parte sua, quando interviene nelle vicende politiche, non lo fa per esprimere valutazioni di carattere politico, bensì per difendere una concezione religiosa e morale che la vita politica ha messo in discussione.

Anche oggi, nella nostra società, quando l'autorità ecclesiale si rivolge ai cattolici per formare la coscienza viene per questo accusata di ingerenza nella vita dello Stato; sopravvive una concezione assolutistica secondo cui lo Stato, in ultima istanza, deve formare le coscienze.

Questa convinzione si cala dentro orientamenti di pensiero che sembrano i più radicalmente diversi, da quello comunista a quello fascista, e ne costituisce, al di là delle differenze, un elemento unitario. Da questo punto di vista essi sono, in sostanza, diverse sfaccettature di un unico fenomeno. La stessa famosa formulazione di Cavour, che non aveva la tempra del dittatore, "Libera Chiesa in libero Stato", indica che la libertà della Chiesa è assicurata dal suo essere "in", "dentro" lo Stato.

2. La seconda costante del progetto di Stato assoluto è l'identificazione della società con lo Stato. La società è una varietà di forme religiose, culturali, razziali, etniche, sociali che si vuole integrare nella struttura statale, cioè nella struttura del potere. All'inizio del Seicento vi fu una polemica fra i sostenitori del diritto consuetudinario e i sostenitori del diritto civile. Il diritto consuetudinario è il diritto, anche non scritto, che, stratificatosi nella vita delle varie società, esprime la modalità con cui le comunità si sono formulate ed hanno vissuto. Lo Stato nazionale prima, e poi gli Stati liberali borghesi, tenteranno di eliminarlo affermando che l'unico diritto è quello civile, imposto dallo Stato centrale. La logica è sempre la stessa: lo Stato finisce per essere non l'insieme delle condizioni che permettono alla varietà delle forme sociali, culturali e politiche di esprimersi, ma una centrale culturale, ideologica e politica. L'immagine di scuola statale che viene comunemente teorizzata è, da questo punto di vita, perfettamente coerente: la scuola deve essere sottratta all'ingerenza dell'autorità della Chiesa, per venire assoggettata al pieno arbitrio dei governanti, a seconda dell'ideologia che domina. Questo è il fondamento dello statalismo scolastico, sia nei paesi liberal-borghesi che in quelli totalitari. La scuola serve ad un'omologazione culturale, a far dimenticare una varietà di forme tradizionali e culturali, per assimilare tutto a un'unica forma: quella dello Stato.

Il progetto di creazione di una società atea, dove lo Stato celebri la sua definitiva sostanza etica e politica, ha anche degli aspetti che inducono positivamente ad una maggiore dinamicità nell'esercizio del potere. Il costituzionalismo, ad esempio, pur non costituendo un'alternativa all'assolutismo, ne rappresenta una possibilità diversa.

Perché in alcune situazioni storiche non si è realizzata pienamente l'identificazione della società con lo Stato? Per l'esistenza di una dimensione religiosa che, sebbene concepita spesso individualisticamente e soggettivamente, ha avuto una fortissima "presa" sulla vita del popolo oppure per la presenza esplicita della tradizione cattolica. Il costituzionalismo, inteso come la costruzione di uno Stato che non coincide con la società, ma che la regola fissando norme di comportamento e di attuazione del potere che favoriscano la libertà della persona e dei gruppi, è possibile solo laddove, in qualche modo, si oppone al progetto ateistico la dimensione religiosa nel suo aspetto sorgivo e nativo (quella dimensione per cui i Padri Pellegrini e i fuoriusciti europei fuggirono dall'Europa protestante o liberal-borghese per fondare un mondo diverso, nella terra che divenne gli Stati Uniti), o laddove la tradizione cattolica si è impegnata al massimo nella resistenza a tale progetto, traendo da se stessa un'immagine veramente democratica della vita sociale.

 

Luigi Negri

Tratto da Tracce