Ad Gentes divinitus

Decreto su l'Attività Missionaria della Chiesa

 

La vigilia dell'Immacolata 1965, penultimo giorno del Concilio Ecumenico Vaticano II si è votato il decreto *De activitate Missionali Ecclesiae+.

La data è degna di particolare rilievo: per la prima volta, nella storia dei Concili, appariva il tema delle Missioni.

Certamente lo Schema delle Missioni è stato tra i più elaborati, dibattuti ed appassionanti del Concilio. Le 177 proposte da cui prese l'avvio lo schema sulle missioni, mostrano non solo quanto il problema fosse vivamente sentito nei suoi differenti aspetti, ma anche com esso fosse considerato con una notevole apertura di mente.

Vi si auspicava, anzitutto, l'approfondimento dello sviluppo più ampio e più maturo da imprimere alla collaborazione di tutta la Chiesa; si chiedava che il missionario venisse scelto e formato con miglior cura e che la sua figura venisse ridimensionata in considerazione dello sviluppo dei paesi ai quali è destinato. Si avanzavano proposte sul rinnovamento della catechesi, sull'incremento da dare alle scuole, sulla valorizzazione sincera e cordiale delle diverse culture con speciale riferimento alla liturgia; si auspicava una più stretta collaborazione tra le diocesi e i territori di missione, fino all'invio di sacerdoti diocesani in aiuto dell'opera di evangelizzazione.

Come detto, l'iter del Decreto fu assai laborioso. Ma si parlò - e per la prima volta uffiucialmente - dell'attività missionaria della Chiesa in un Concilio.

Nel Concilio Vaticano I era stato previsto e preparato uno studio sul tema delle Missioni, ma non si andò al di là delle buone intenzioni, certamente per ragioni storiche e di opportunità da esse derivanti.

Successivamente, ma in modo prevalente col secolo nuovo, le Missioni ebbero uno sviluppo grandioso. Specialmente Benedetto XV e poi, in maniera vigorosa il Papa delle Missioni, Pio XI, e Pio XII e Giovanni XXIII, che fu uno dei pionieri della Cooperazione Missionaria, si occuparono dei problemi missionari, che si imposero all'attenzione universale e accesero tra i fedeli un ardente spirito apostolico.

Dal 1926, con la consacrazione dei primi Vescovi scelti tra il Clero nativo delle terre missionarie, si iniziò l'inarrestabile movimento per l'istituzione della Gerarchia che dalla Cina, al Giappone, all'India, al Viet-Nam, all'Indonesia, all'Africa, fece assumere alla Chiesa un aspetto nuovo. Le Missioni, pur nulla perdendo del toro aspetto eroico, assumevano una organicità, una metodologia, nuovi aspetti giuridici, stabilità e concretezza mai precedentemente riscontrati.

La Missiologia si inseriva negli studi ecclesiastici con sempre più scientifica forza, e passava dalla teoria alla pratica pastorale.

La Chiesa missionaria si era fatta adulta; ai Missionari si aggiungevano, in schiere sempre più folte, i Sacerdoti nativi e tra di essi, in numero crescente, si sceglievano i Vescovi.

La grata sorpresa del Concilio Ecumenico Vaticano II fu il vedere, tra i Padri, I'imponente numero di Vescovi Cinesi, Indiani, Africani, Giapponesi, Indonesiani, Vietnamiti. Tra i Cardinali c'erano figli dell'India, del Giappone, della Cina, dell'Africa.

Era evidente che il tema delle Missioni doveva essere trattato in modo rispondente alle esigenze di tanti popoli e di tanti Pastori.

Doveva avere solide basi dottrinali, essere in armonia con i documenti conciliari già emanati, specialmente con la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium.

Doveva avere la grandiosità solenne che rese memorande le Encicliche missionarie, alle quali va riconosciuto il merito di aver dato una coscienza missionaria a tutta la cristianità.

Doveva chiarire, con formula inequivocabile, il genuino significato del termine *Missione+ che, negli anni più recenti, per l'accettazione di slogans, indubbiamente seducenti, ma alquanto imprecisi ed equivoci, come Comunità missionaria, tutto il mondo è missione, Cooperazione missionaria, in senso generico, avevano fatto perdere il fondamentale valore della parola missione. Missione è il portare il Vangelo nei Paesi dove il Vangelo non è conosciuto, non per inerzia o per negligenza, ma per assoluta carenza di annunciatori in paesi immensi, come l'Africa, la Cina, l'India, il Giappone.

In questi continenti, i cristiani e i cattolici sono tuttora una minoranza.

Nei Paesi di vecchia tradizione cristiana, certo ci sono miscredenti o addirittura infedeli, ma vi è una notevole differenza specifica tra la colpa di questi e lo stato di quelli. Certamente la scristianizzazione esige rimedi adeguati ma non impoverendo di forza ideale il lavoro specificatamente missionario.

Purtroppo, il numero dei cristiani che hanno compreso il valore di quell'appello è ancora inadeguato. Non tutti i battezzati hanno una coscienza missionaria, e il contributo di preghiere e di mezzi che tra di essi è raccolto è paurosamente, non solo inferiore al bisogno, ma rivelatore di assenze e diserzioni che hanno tutto l'aspetto di colpa.

Scorrendo le statistiche redatte da chi ha la responsabilità della Cooperazione missionaria si fanno amarissime constatazioni.

Quanto siamo lontani dai risultati ai quali pure giungono molte Comunità protestanti!

E spesso, invece di cercare di ottenere la universalità dei consensi e delle contribuzioni, organicamente realizzate, quasi come una volontaria imposta di tutti i cattolici versata alla Chiesa che sa quali siano i bisogni e le loro urgenze, dove è possibile attuare una strategia missionaria intelligente e realizzatrice, non pochi si lasciano guidare da sentimentalismi e particolarità, da cui consegue che una missione, o una persona, o un ente ha abbondanza di aiuti, altri, magari contigui, versano in una deplorevole indigenza.

Sono le conseguenze di una frammentazione della organizzazione missionaria che segue non il concetto cattolico della universalità, ma interessi particolari, dove più riesce chi più è abile e fortunato o ha maggiori possibilità di propaganda.

Naturalmente è saggia cosa apportare modifiche e completamenti, aggiornamenti suggeriti dalle moderne esperienze sociali, scientifiche, e il Decreto sull'Attività Missionaria ne ha tenuto ben conto, ma non allontanandosi dalle idee maestre.

Queste idee, che la quasi assoluta unanimità dei Padri ha chiaramente dimostrato di volere mantenere sono contenute nei sei capitoli del Decreto Conciliare *Ad Gentes+.

Il primo espone i principi fondamentali tratti dalla dottrina della Chiesa; il secondo chiarisce il valore e il significato genuino dell'opera missionaria delta Chiesa; il terzo tratta delle Chiese particolari sorte nelle terre di Missione; il quarto si rivolge ai missionari e alla loro migliore formazione; il quinto tratta dell'ordinamento dell'attività missionaria della Chiesa; il sesto della cooperazione missionaria di tutto il popolo di Dio, dai Vescovi, responsabili collegialmente della evangelizzazione del mondo, alle Diocesi; alle parrocchie, al Clero, agli Istituti Religiosi, alle Associazioni varie di azione cattolica, ai laici.

E' un documento completo, ricco, che racchiude nei suoi 42 paragrafi tutta l'ansia evangelica, il sospiro di Cristo, la volontà della Chiesa a che il Regno di Dio si estenda su tutta la terra e raggiunga ogni uomo, dovunque.

E' luce, è forza, è grazia, è carità che lo Spirito Santo vuol infondere nei nostri cuori perché tutti siamo degni della nostra grandezza cristiana, dell'attesa delle genti, della nostra vita comunitaria, senza diserzioni, senza deviamenti, senza stanchezze, per la pace, per il progresso, per la salvezza dell'umanità.

Il Decreto Ad Gentes fu votato da 2399 Padri il 7 dicembre 1965 e approvato con 2394 voti a favore e 5 i voti contrari.

 

 

 

Ad Gentes

A colloquio con P. Jesus Lopez Gay s.j.

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Ad Gentes: così è conosciuto e citato il decreto del Concilio Vaticano II sull'attività missionaria della Chiesa. Nel decreto, è stato creato un vocabolario per indicare da un lato, in generale, tutta la missione che la Chiesa ha ricevuto da Cristo: *missione della Chiesa+; e dall'altro le missioni o *attività missionaria della Chiesa+ , ossia la funzione specifica esercitata verso i gruppi non cristiani, *le genti+ (AG 6: ).

Le genti sono quei popoli dove ancora non è arrivato l'annunzio dell'Evangelo o dove la Chiesa non trova ancora la sua presenza in una forma piena e sufficiente. È stato forse il documento del Concilio che più ha sofferto (fino a sette redazioni) e, allo stesso tempo, ha ottenuto nell'ultima votazione il numero più alto di voti favorevoli. La sua ricchezza teologica e pastorale è ammirevole. Vengono ricuperati alcuni temi messi in discusslone negli anni precedenti come il tema della Chiesa-salvezza, l'attualità del mandato missionario di Cristo ecc..; sono integrati i frutti delle scuole di missiologia nate nella Chiesa a partire dal 1910, per esempio in Germania con la teoria della conversione come fine primario della missione, o quella belga e francese, dal 1920 in poi, che insisteva tanto nella impiantazione della Chiesa come obiettivo dell'attività missionaria, o quella nata in Spagna, che spiegava questa stessa attività alla luce della dottrina del corpo mistico di Cristo (AG 6). Raccoglie i frutti di un'ecclesiologia rinnovata nello stesso Concilio. Appoiono nuovi temi cari agli ortodossi e altre denominazioni cristiane, come la relazione dello Spirito Santo e la missione, (AG 4 e 13: l'escatologia e la missione (AG 9 e 11) ecc. È sensibile ai bisogni del nostro tempo, parlando per esempio della funzione e responsabilità dei laici nella missione.

Il nostro decreto, dunque, ha segnalato una nuova strada per la riflessione missionaria. Proprio per tutto questo è stato molto ben accolto, non soltanto dai cattolici ma anche da altri cristiani, come si è potuto sentire nell'adunanza ufficiale del Consiglio mondiale per le chiese (WCC) a Ginevra, nel 1966.

Alla commissione preparatoria del Concilio arrivarono molte proposizioni relative al tema missionario, cioè sulla teologia missionaria e la formazione dei missionari. E la commissione preparatoria per le missioni abbozzò il primo schema, diviso in sette brevi sezioni. Nel 1962, la commissione preparatoria centrale ordinò l'unificazione di tutto questo materiale con un ordine più logico: ne scaturì così il secondo schema.

All'inizio del 1963 molti Padri chiesero una nuova elaborazione, meno giuridica e più teologica, dello schema sulla missione; ne venne fuori il terzo schema, ma non tutti erano contenti, e alla fine di quello stesso anno si ebbe la quarta redazione, divisa in sei capitoli oltre a un proemio e un'esortazione finale. Ci si trovò dinanzi, allora, a un testo molto ben riuscito, ma a causa di alcuni avvenimenti, come la premura di concludere il Concilio e l'idea che molti punti missiologici fossero già stati trattati nella costituzione sulla Chiesa e in altri documenti, si richiese la riduzione del testo a tredici brevi proposizioni. Il documento così sintetizzato (soltanto 6 pagine per un totale di 200 righe) fu stampato e distribuito ai Padri conciliari e inviato alle diocesi di tutto il mondo. Questo schema, il quinto, fu ritoccato in alcuni punti, dopodiché arrivò all'aula per essere discusso alla presenza del Papa, nel novembre del 1964. Ma la reazione dei Padri fu negativa: 1.601 di essi votarono contro il testo, e soltanto 311 a favore, e molti per rispetto al Papa. Lo schema fu rigettato. Nel gennaio del 1965 venne preparata una nuova redazione, la settima, che offrì una base solida, utilizzata per la discussione finale nell'aula conciliare, dall'8 al 13 ottobre.

Il 7 dicembre 1965 finalmente ottenne 2.394 voti favorevoli e soltanto 5 non placet; divenendo così il documento che ha ottenuto la più cospicua votazione favorevole di tutto il Concilio Vaticano II.

Possiamo accostare, anche se brevemente il contenuto e divisione del decreto?

Dopo un breve preambolo, il capitolo I spiega i fondamenti teologici, la natura e il fine proprio della missione (AG 2-9). Il capitolo II descrive le fasi pratiche di questo lavoro autenticamente missionario: la testimonianza, l'annunzio, la formazione della comunità (AG 10-18). Il capitolo III, uno dei più originali, vuole descrivere in cosa consiste una Chiesa particolare, insistendo sulla responsabilità dei laici e nell'apertura missionaria di ogni Chiesa particolare (AG 19-22). Il capitolo IV presenta gli agenti della missione, in concreto quelli segnati da una vocazione speciale; tratta sulla spiritualità missionaria e della formazione dei missionari (AG 23-27). Il capitolo V è più concreto e si limita all'organizzazione dell'attività missionaria; troviamo elementi molto interessanti sulla funzione della Congregazione per la propagazione della fede e delle Conferenze episcopali (AG 28-34). Il capitolo Vl, sulla cooperazione missionaria, si ricollega con il capitolo V, divenendo uno strumento necessario nel momento di affrontare il tema delle missioni (nn. 35-41). Il decreto si conclude con una riflessione sul gravissimo dovere di estendere ovunque il Regno di Dio (AG 42).

Lo stile è deduttivo. Si parte dai principi teologici, in concreto da una lettura della Sacra Scrittura, che vengono applicati alla prassi missionaria. Il decreto insiste sul carattere spirituale e soprannaturale dell'attività missionaria. Viene superata qualsiasi forma di paternalismo, per presentare la Chiesa come *comunione+, una comunione che forma la stessa Chiesa particolare, in comunione nella fede, nel culto e nella carità; e una comunione *inter-ecclesiale+, dove tutte le chiese particolari sono aperte ai bisogni delle altre. Il documento non si pone come un punto di arrivo della riflessione teologica, ma come base di partenza per una ultetriore riflessione, come abbiamo contemplato in questi anni. Il suo influsso sulla Redemptoris Missio C come potremo vedere in seguito C è chiaro; non pochi punti dell'Ad Gentes vengono qui sviluppati.

 

 

Ad Gentes è ricco di valenze e valori teologici di notevole spessore e portate...

Anzi tutto si cercano le sorgenti profonde della missione della Chiesa e, più in concreto, della sua attività missionaria. Le missioni si contemplano alla luce della vita trinitaria, come un prolungamento delle divine comunicazioni. Nella Trinità il Padre è l'inesauribile *sorgente d'amore+, il principio di tutta la vita divina, non procede e neppure può essere inviato. Dalla carità di Dio Padre nasce il disegno di salvare tutti gli uomini, e da questa stessa carità proviene la missione del suo Figlio e dello Spirito. In questa carità del Padre dobbiamo trovare l'origine della missione della Chiesa. Il Padre vuol salvare tutti e per questo ha fatto della Chiesa la comunione dei salvati, perché *piacque a Dio di chiamare gli uomini... non solo ad uno ad uno, senza alcuna mutua connessione, ma di riunirli in un popolo+ (AG 2). Dalla sorgente d'amore del Padre procede il Figlio e la missione del Figlio in questo mondo. È una missione nuova e definitiva. Il Padre non salverà gli uomini agendo nei loro cuori o nelle loro religioni in una forma quasi segreta, benché queste abbiano un valore *pedagogico e di preparazione all'Evangelo+; il Padre ha deciso inviare il suo proprio Figlio, l'unico che può stabilire la pace e riconciliazione universale, tra Dio e gli uomini e tra gli uomini stessi (AG 3). Viene sottolineata la novità e la necessità di Cristo nel piano della salvezza. E come inviato *definitivo+ non possiamo aspettare nessun altro salvatore: l'origine missionaria propria della Chiesa e la sua natura salvifica derivano da questa missione del Figlio. Il discorso dedicato allo Spirito Santo è profondo. Dopo aver presentato la funzione dello Spirito Santo nella storia della salvezza, si ricorda un principio fondamentale: Cristo prima di immolare la sua vita e tornare al Padre *ordinò (nel testo originale, disposuit) il suo ministero apostolico e promise l'invio dello Spirito Santo, in modo che insieme [i missionari e lo Spirito] collaborassero dovunque e sempre nella realizzazione dell'opera della salvezza+ (AG 4). La salvezza *sempre e dovunque+ è il frutto di una stretta collaborazione, quella dello Spirito e del missionario. Il missionario è anche agente della salvezza, ma subordinato allo Spirito di Gesù che rimane l'Agente principale e insostituibile. Per questo motivo, ricorda il decreto citando un testo paolino, i missionari *sono cooperatori+ di Dio (AG 15), che possiamo spiegare come *cooperatori dello Spirito+. La teologia dello Spirito viene spiegata ancora in molti altri passi del decreto ArI Gentes. La Chiesa è missionaria sotto l'influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo (AG 5). *Lo Spirito Santo, ... mediante il seme della Parola e la predicazione dell'Evangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l'adesione ciella fede+ (AG 15); c'è bisogno di annunciare Cristo, solo cosl *i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, credendo liberamente si convertiranno al Signore+ (AG 13). La vocazione missionaria è una grazia speciale, frutto del lavoro dello *Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene [delle anime]+ (AG 23) ecc.

Questa contemplazione della missione alla luce del profondo mistero trinitario è stata certamente un fatto nuovo nella teologia della missione. La teologia scolastica aveva spiegato molto bene le *missioni trinitarie+, quella del Figlio e dello Spirito e il loro rapporto con le *processioni divine+, ma mancava una teologia della missione della Chiesa, e anche una spiegazione del dinamismo della sua attività missionaria, alla luce del mistero trinitario.

La novità risiedeva principalmente nello studio della missione della Chiesa e del suo rapporto con la sorgente di ogni missione che è il Padre, e la relazione profonda tra la missione dello Spirito, sempre nuova e attuale, e quella della Chiesa, unita al lavoro dello Spirito di Cristo. Lo Spirito che oggi attua ovunque è lo Spirito che consacrò e attuò in Cristo, e da Cristo noi lo riceviamo. (Questa teologia verrà sviluppata più tardi nel n. 75 dell'Evangelii Nuntiandi, e in tutto il cap. III della Redemptoris Missio). Finora la missione della Chiesa era stata contemplata, quasi esclusivamente, alla luce della missione del Figlio.

Nel decreto Ad Gen tes viene stabilita la tesi: *la Chiesa è per natura sua missionaria+ (AG 2). Che significa questa affermazione così profonda e ricca? Perché la Chiesa è missionaria?

Il nostro decreto offre diversi argomenti che arricchiscono il concetto della missionarietà della Chiesa. Innanzi tutto, per la sua relazione con la missione di Cristo e dello Spirito: è missionaria *in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa deriva la propria origine+ (AG 2), *sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo... sempre sotto l'influsso dello Spirito Santo+ (AG 5). È inviata alle genti *per essere universale sacramento di salvezza+ (AG 1). Questa formula, tratta dalla costituzione Lumen Gentium significa che la Chiesa è *in Cristo segno e strumento di salvezza+ (LG 1): porta i sacramenti di salvezza, e fra le genti *con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la santissima eucaristia, rende presente Cristo, autore della salvezza+ (AG 9). La Chiesa è missionaria e si deve fare presente nel mondo intero perché porta a Cristo unico *salvatore e mediatore della salvezza+, e gli uomini trovano Cristo con la fede, mediante la predicazione della Chiesa e attraverso il battesimo: *Cristo stesso infatti, "ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha confermato simultaneamente la necessità della Chiesa"+ (AG 7). La Chiesa è missionaria perché risponde alle esigenze più profonde della sua cattolicità (AG 1 e 9). E finalmente è missionaria perché ha ricevuto un *mandato esplicito di Cristo+ (AG 5).

La radice, dunque, della missionarietà della Chiesa viene spiegata con molti argomenti. Un altro aspetto *ecclesiologico+ molto importante del decreto appare essere la presentazione del fine proprio dell'attività missionaria.

I missionari hanno il compito di andare nel mondo per predicarvi l'Evangelo e impiantarvi la Chiesa: *fine proprio di questa attività missionaria è l'evangelizzazione e l'impiantazione della Chiesa nei popoli e gruppi, in cui ancora non ha messo radici+ (AG 6); l'evangelizzazione ha una funzione di fine mediato, ossia imparare la Chiesa mediante l'evangelizzazione. L'evangelizzazione viene concepita come l'annuncio della Parola di Dio, è il *seme+ che, caduto in terra, fruttificherà nell'ora della formazione della Chiesa. *Impiantare+ non significa *trapiantare+ le chiese di antica cristianità, perché *l'opera di impianto della Chiesa in un determinato raggruppamento umano raggiunge una mèta precisa, allorché la comunità dei fedeli inserita ormai nella vita sociale e in qualche modo adeguata alla civiltà locale, gode di una certa stabilità+ (AG 19). Le Chiese impiantate vengono chiamate *Chiese nuove+, *Chiese novelle+, *Chiese particolari+, *Chiese locali+ (AG 6.18.19.90); una volta si parlava di impiantare *chiese indigene+ (AG 6), ma questo non significa formare Chiese indipendenti, perché il nostro decreto parla spesso della *comunione+: le nuove Chiese devono essere in unità di pensieri e di vita con la Chiesa universale. E intima resti la comunione delle nuove Chiese con tutta quanta la Chiesa (cf. AG 19 e 6). Quello che oggi chiamiamo *inculturazione+ o fisionomia culturale delle nuove chiese, viene molto ben spiegato nel decreto: *indubbiamente, come si verifica nell'economia dell'incarnazione, le giovani chiese... hanno la capacità meravigliosa di assumere tutte le ricchezze delle nazioni, che a Cristo sono state assegnate in eredità+, ricavando dai popoli le tradizioni, il sapere, la cultura, l'arte e tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana (AG 22 e 19). E in modo particolare i *laici+ sono chiamati a questa opera di adattamento e inculturazione (AG 15). Per l'impiantazione o formazione di una Chiesa è essenziale la creazione del clero locale, che deve avere una profonda formazione dottrinale e spirituale (AG 16). E la vita religiosa, anche quella contemplativa, deve essere promossa fin dal periodo iniziale dell'impiantazione della Chiesa, e ogni istituto lavorerà per vivere e manifestare il proprio carisma secondo il genio e la natura di ciascuna nazione, e molte ricchezze spirituali di questi popoli, anteriori alla predicazione dell'Evangelo, possono essere utilizzate per la vita religiosa cristiana (AG 18).

Nel decreto conciliare non mancano altri aspetti *ecclesiologici+. Ma chi sono i resposabili dell'attività missionaria? Nella Chiesa tutti devono sentirsi responsabili dell'attività missionaria.

Questa insistenza sull'obbligo missionario di tutti, e in concreto dei *laici+, diventa anche una delle novità del decreto conciliare. *Tutti i battezzati sono chiamati a... rendere... testimonianza a Cristo..., di fronte alle genti+ (AG 6); *i cristiani, avendo dei doni differenti, devono collaborare alla causa dell'Evangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero+ (AG 28). *Tutti i fedeli, come membra di Cristo vivente, a cui sono stati incorporati e assimilati mediante il battesimo, la confermazione e l'eucaristia, hanno l'obbligo di cooperare all'espansione e alla dilatazione del suo corpo+ (AG 36), e tutto il n. 41 tratta del dovere missionario dei laici; queste idee preparano la dottrina della futura esortazione apostolica Christifideles laici, del 1988). Le comunità cristiane, le antiche (AG 37), come le nuove (AG 15) in quanto comunità sono anche chiamate al lavoro missionario: questa idea ci porta alla dottrina della nuova enciclica missionaria, Redemploris Missio (cf. RM 85). Il dovere missionario ricade principalmente sui vescovi, come capi delle comunità ecclesiali e come membri del corpo episcopale: *Tutti i vescovi, in quanto membri del corpo episcopale che succede al collegio apostolico, sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo. Il comando di Cristo di predicare l'Evangelo ad ogni creatura riguarda innanzi tutto e immediatamente loro, con Pietro e sotto Pietro+ (AG 38). Le conferenze episcopali vengono chiamate in causa affinché régolino tutte le questioni che si riferiscono alla cooperazione missionaria. Il decreto insiste anche sul dovere missionario dei sacerdoti (AG 39) e degli istituti religiosi (AG 40). In questo contesto non possiamo tralasciare alcune pagine del decreto di profonda riflessione sugli istituti che lavorano nelle missioni, ossia, sugli istituti che hanno come vocazione specifica l'attività missionaria (AG 27). Questo aspetto della responsabilità missionaria è stato in seguito trascurato dai documenti postconciliari, e dobbiamo aspettare l'ultima enciclica missionaria C appunto Redemptoris Missio C perché venga ricuperato (cf. RM 65-66).

Un altro valore sottolineato nel decreto Ad Gentes, è quello kerigmatico, la necessità e il primato dell'annuncio. Innanzi tutto annuncia il mistero di Cristo che tutti gli uomini aspettano e di cui hanno bisogno. Afferma il nostro Documento: *Per il fatto stesso che annuncia il Cristo, la Chiesa rivela agli uomini la genuina verità intorno alla loro condizione e alla loro integrale vocazione,... il Cristo stesso è la verità e la via che la predicazione evangelica svela a tutti+ (AG 8).

L'annuncio non soltanto svela la verità intorno all'uomo, ma principalmente rivela il mistero di Cristo, che, accettato, diventa la via della salvezza. *Dovunque Dio apre una porta della Parola per parlare del mistero del Cristo, a tutti gli uomini con franchezza e con fermezza deve essere annunziato il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo, affiché i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, credendo si convertano al Signore+ (AG 13). Molti testi biblici spiegano l'espressione *con franchezza e con fermezza+ C che traducono il termine greco parrhêsía C così frequentemente usato nel Nuovo Testamento. Il kerygma o primo annuncio di Cristo porta alla *conversione+ (AG 13), che, oltre l'accettazione della persona di Cristo, esige un progressivo cambiamento di mentalità e di costume. Così il neofita entra nel catecumenato, al quale il nostro decreto dedica un intero paragrafo (AG 14).

Il catecumenato non è solo un insegnamento di verità dogmatiche e di norme morali, ma diventa un'autentica iniziazione, ossia un addestramento preparatorio alla nuova vita cristiana, che si concluderà con i sacramenti dell'iniziazione cristiana.

ll tema del catecumenato è affrontato molto bene nel decreto conciliare. L'ultima parte sull'organizzazione dell'attività missionaria ha carattere meno teologico ma più giuridico e pratico. Dopo una lunga discussione nell'aula, si arrivò a questa conclusione: *Per tutte le missioni e per tutta l'attività missionaria uno soltanto deve essere il dicastero competente, ossia quello di "Propaganda Fide", cui spetta regolare e coordinare, in tutto quanto il mondo, sia l'opera missionaria sia la cooperazione missionaria+ (AG 29). Questo dicastero viene presentato non soltanto come uno strumento di amministrazione, ma come un organo di *direzione dinamica, che faccia uso dei metodi scientifici e dei mezzi adatti alle condizioni del nostro tempo+ (AG 29). Per raggiungere i suoi obiettivi, la Congregazione ha a sua disposizione le grandi Opere missionarie pontificie.

Come si vede da questa presentazione, il decreto conciliare ha trattato tutti i temi relativi all'attività missionaria della Chiesa, incominciando con una teologia profonda della missione e arrivando ai problemi più pratici e concreti.

Nel corso della presentaziuone di Ad Gentes, è stato fatto C e ripetutamente C riferimento all'Enciclica del Papa Giovanni paolo II Redemptoris Missio. Vogliamo addentrarci in quest'atto del Magostero del Papa?

Questa Enciclica fu pubblicata il 7 dicembre 1990 nel XXV anniversario del Decreto conciliare Ad Gentes, per rispondere alle molte richieste di un documento di questo genere, ossia, sull'attualità e urgenza della attività missionaria della Chiesa (RM 2), dissipare dubbi e ambiguità circa la missione ad gentes, *a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche, alcuni si chiedono: E ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana?... Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?+ (RM 4). Allo stesso tempo, il Papa constata il fatto storico, reale, della missione della Chiesa, che nonostante sia universale per natura e per il mandato di Cristo stesso, *è ancora ben lontana dal suo compimento. A1 termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi+ (RM 1). Contemplando il mondo universo, l'Asia passa a un primo piano: più del 60% della popolazione mondiale vive in quelle regioni, ed C eccettuando le Filippine C appena il 59% è cattolico; in molti paesi asiatici con un alto livello demografico, i cristiani non arrivano al 1% (come Nepal, Bangladesh, Tailandia, Giappone...). Per questo motivo, la nostra Enciclica sottolinea che è *nel continente asiatico, in particolare, verso cui dovrebbe orientarsi principalmente la missione ad gentes+ (RM 37 e 40). Le situazioni attuali del mondo offrono una grande opportunità alla missione universale: il crollo di ideologie e di sistemi politici oppressivi, l'apertura delle frontiere, il formarsi di un mondo più unito grazie all'incremento delle comunicazioni, una ricerca della verità su Dio, sull'uomo e sul significato della vita: più che mai il mondo sembra aperto alla Chiesa (RM 3.37.38). E da parte sua, la Chiesa può presentarsi al mondo non cristiano in una forma più evangelica, senza l'aiuto del conquistatore o del colono; va a questi paesi con spirito di rispetto e di servizio. Nell'Enciclica, il Papa vuole *assicurare i non cristiani e, in particolare, le autorità dei paesi verso cui si rivolge l'attività missionaria, che questa ha come unico fine: servire l'uomo rivelandogli l'amore di Dio, che si è manifestato in Gesù Cristo. Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo Evangelo nulla toglie alla libertà dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di buono in ogni religione+ (RM 2-3). L'Enciclica scoprendo nelle situazioni attuali del mondo, alla vigilia del terzo millennio, una grande opportunità per portare l'Evangelo a tutti, vuol incoraggiare la Chiesa a fare uno sforzo autenticamente missionario (RM 86 e 92).

Un primo problema che affronta l'Enciclica è quello della terminologia: si puo parlare ancora delle missioni ad gentes? Le missioni hanno ancora una connotazione geografica? Non sarà meglio utilizzare il termine *evangelizzazione+ per quello che finora veniva chiamata *attività missionaria+?

Infatti, il Congresso internazionale del WCC, celebrato in Messico, nel 1983, si incentrò sul tema: *Mission in Six-Continents>~, volendo spiegare come la *missione+ è oggi presente in tutti i paesi, e non possiamo parlare di una attività specificamente missionaria; nella stessa linea, l'Assemblea del Sedos (1989) che intendeva sostituire il termine missione con quello di *evangelizzazione+. La nostra Enciclica difende l'esistenza di un'attività specificamente missionaria, che si sviluppa tra i non cristiani, e ha come fine la loro conversione a Cristo e la formazione di una nuova Chiesa; un'attività distinta dall'attività pastorale tra i cristiani, e dalla nuova evangelizzazione che intende rinnovare la fede nelle Chiese cristiane: è vero che tutte queste tre attivita procedono da un'unica missione della Chiesa, e le differenze nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge, e dai fini cui tende. Cristo inviò i suoi Apostoli, *tale missione è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma all'interno di essa si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è l'attività missionaria, che chiamiamo "missione ad gentes" (RM 31), *Alcuni pertanto si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che un'unica missione, dappertutto eguale...+, e dopo aver indicato alcune esitazioni nell'uso della terminologia, conclude: *occorre, però, guardarsi dal rischio di livellare situazioni molto diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari ad gentes. Dire che tutta la Chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i "missionari ad gentes e a vita" per vocazione specifica+ (RM 32). Come nel Vaticano II, la nostra Enciclica riconosce che *la dimensione territoriale della missione ad gentes, [è] anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici di azione+ (RM 37). Tutto un numero è dedicato a quello che è specifico della missione ad gentes (RM 34).

La parte teologica è senza dubbio la più importante della nostra Enciclica, e dalla teologia, la cristologia. Tutto il capitolo I è dedicato a *Gesù Cristo unico Salvatore+. Nell'evento della Redenzione di Cristo si trova l'unica salvezza e la salvezza di tutti. Questa è una verità di fede, e per questo motivo *soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione+ (RM 4).

Non si può parlare della missione, del mandato missionario, della salvezza, se non alla luce della fede. I missionari, incominciando con gli Apostoli, vivevano e lavoravano di accordo con l'esigenza di questo fatto: Cristo è l'unico Salvatore. Dinanzi al sinedrio che rappresentava l'autorità suprema del giudaismo, Pietro presentò Gesù il Nazareno, aggiungendo: *In nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro Nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati+ (At 4,12), e S. Paolo ricorda che *Uno solo è Dio e uno solo il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'Uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti+ (Tm 2,5-7), testi ricordati nell'Enciclica (RM 5). Cristo è l'unico salvatore e allo stesso tempo la sua Salvezza è per tutti. *Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio [in questo consiste la salvezza] se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo nel cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso+ (RM 5). Si tratta del disegno salvifico stabilito da Dio. Non possiamo introdurre la teologia del *Verbo+ (o dei semi del Verbo) come principio di salvezza, staccandola dalla mediazione unica e universale di Gesù Cristo: *è contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo... Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile+ (RM 6). Lo stesso Spirito che sparge i semi del Verbo, presenti nelle culture e religioni, *li prepara a maturare in Cristo+ (RM 28), dobbiamo vedere nel concetto dei *semi del Verbo+ come una vera *preparazione evangelica+ con un chiaro riferimento a Cristo, Verbo fatto carne (RM 29).

L'Enciclica riconosce la possibilità di salvezza nelle religioni non cristiane per tutti quelli che non hanno ricevuto l'annuncio dell'Evangelo, ma esplica come *se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari+ (RM 5).

Nel contesto della soteriologia è venuto fuori il tema dello Spirito Santo che opera dove vuole e come vuole. E dinanzi alla umanità che ignora Cristo, non mancano autori che lo costituiscono principio della salvezza universale. Ma il Papa sottolinea che lo Spirito che oggi opera nel mondo è lo Spirito di Gesù, lo stesso che operò nell'incarnazione, nella morte e risurrezione di Gesù, *non è, dunque, alternativo a Cristo+ (RM 29). Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nelle religioni del mondo è sempre orientato verso Cristo. *La salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia... Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione+ (RM 10). Soltanto c'è una grazia salvifica, quella di Cristo, frutto della sua redenzione, ma questa grazia può essere comunicata a tutti gli uomini dallo Spirito. Senza Cristo e la sua Redenzione, non si concepisce l'opera dello Spirito Santo. Alla luce del Mistero cristologico, viene illuminata la funzione dello Spirito nella missione e nella storia della salvezza.

Tutto il capitolo III è dedicato allo Spirito come protagonista della missione. La sua opera rifulge eminentemente nella missione ad gentes, come appare nel Nuovo Testamento. L'invio degli Apostoli fino agli estremi confini della terra, è invio nello Spirito.

Lo Spirito a partire dalla Pentecoste *spinge+ (termine ripetuto costantemente in questo capitolo) la Chiesa verso i pagani, *è lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale+ (RM 25). In concreto, lo Spirito spinge alla proclamazione della Parola facendo degli Apostoli dei profeti e dei testimoni, *infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità di testimoniare Gesù con "franchezza"... annunziano Gesù e invitano a convertirsi, cioè ad accogliere Gesù+ (RM 24); l'annuncio sotto la spinta dello Spirito va accompagnato da quell'atteggiamento missionario, descritto con *la parola parrhesia, che significa parlare con franchezza e coraggio+ (RM 45), termine biblico, proprio della predicazione missionaria del Nuovo Testamento.

Nella missiologia contemporanea entrò il tema del Regno di Dio, piuttosto come un'ideologia, che voleva sostituire il contenuto dell'Evangelo di Cristo, limitandosi a presentare alcuni valori antropocentrici e sociali, e interpretare il Regno nel senso riduttivo del termine come una realtà secolarizzata.

In questa ideologia la Chiesa non trova un posto chiaro. E la nostra Enciclica affronta nel capitolo II la teologia del *Regno di Dio+. Il Regno di Dio è inseparabile da Cristo, il Regno che Gesù inaugura con la sua predicazione e le sue opere, è l'autentico Regno di Dio. *Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una Persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret, immagine del Dio invisibile+ (RM 18). I valori del Regno, benché raggiungano il mondo nel quale viviamo e i problemi umani, come la libertà e la promozione, hanno essenzialmente una dimensione spirituale: Gesù, predicando il Regno, invitava alla conversione interiore, alla fede, al perdono mutuo.

Nel contesto del Regno si studiano i rapporti tra Chiesa e Regno (RM 17-20). Non si può disgiungere il regno dalla Chiesa. La Chiesa non è fine a se stessa, *essendo ordinata al Regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento+ (RM 18); è a servizio del Regno.

Ma nella storia della salvezza e delle missioni che portano questa salvezza al mondo intero, la Chiesa ha *un ruolo specifico e necessario+ che Cristo le ha conferito. E rimane come *la via ordinaria della salvezza stabilita da Dio e dallo stesso Cristo+ (RM 9.18.55).

Nell'ambito di questo orizzonte ecclesiologico sono profondi e bellissimi i numeri dedicati alla responsabilità missionaria di tutte le Chiese, antiche e giovani, e di tutti nella Chiesa, indicando l'importanza degli istituti specificamente missionari ad gentes (RM 65), importanza dimenticata nei documenti post-conciliari (come nell'Evangelii Nuntiandi). *Esorto tutte le Chiese e i Pastori, i sacerdoti, i religiosi, i fedeli, ad aprirsi all'universalità della Chiesa, evitando ogni forma di particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza+ (RM 85).

Qual è il fondamento e i motivi della missione ad gentes?

Innanzitutto il mandato missionario di Cristo, oggi ancora attuale per tutti i cristiani: *La Chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle genti+ (RM 62). In questo stesso numero si indica un nuovo titolo della missionarietà della Chiesa: *è per natura sua missionaria+, è stata fondata da Cristo per portare la salvezza a tutti gli uomini: *Alle sue origini, dunque, la missione è vista come un impegno comunitario e una responsabilità della Chiesa locale, che ha bisogno appunto di "missionari" per spingersi verso nuove frontiere+ (RM 27); *cooperare alla missione vuol dire: tutte le Chiese particolari, giovani e antiche, sono chiamate a dare e ricevere per la missione universale+ (RM 85). La Chiesa è anche missionaria perché mossa e spinta dallo Spirito Santo, come abbiamo visto (c. III), e questa spinta non è qualcosa di esterno, ma lo Spirito che agisce come anima della Chiesa e in ognuno dei battezzati che si lascia plasmare interiormente da lui; lo Spirito trasforma tutti *in testimoni coraggiosi del Cristo e annunciatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli per le vie ardue e nuove della missione+ (RM 87).

La nostra Enciclica aggiunge un nuovo argomento in favore della missionarietà della Chiesa, il *diritto+ che tutti i popoli hanno di sentire il messaggio salvifico.

Non possiamo dimenticare *che ogni persona ha il diritto di udire la "Buona Novella" di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: "Se tu conoscessi il dono di Dio", e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: "Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete"+ (RM 46).

La nostra Enciclica, seguendo la dottrina conciliare, presenta come fine della missione, prima di tutto, la conversione individuale, personale, a Cristo; e in un secondo momento, la formazione di una Chiesa particolare.

La conversione significa accettare Cristo con la fede, e porta con sé un cambiamento nella vita. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo insostituibile *perché introduce "nel Mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui", e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele+ (RM 44). *L'annunzio della Parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e "confessarlo"... La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale... Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare i suoi discepoli+ (RM 46). La conversione, che si opera nel cuore si manifesta nell'accettazione dei segni sacramentali C e il primo di tutti è il battesimo C porta della Chiesa; la conversione ha delle esigenze nella vita. *Gli Apostoli... invitavano tutti a cambiare la vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo... La conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte le genti e a battezzarle... Tutto questo va ricordato, perché non pochi, proprio dove si svolge la missione ad gentes, tendono a scindere la conversione a Cristo dal battesimo, giudicandolo come non necessario+ (RM 47, in questo si spiega la teologia del battesimo). Inoltre, il fine ultimo dell'attività missionaria è la formazione, fondazione, impiantazione, di una Chiesa particolare. La conversione e il battesimo *richiedono la formazione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del disegno di Dio... La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare Chiese fino alla loro completa maturazione. È, questa, una mèta centrale e qualificante dell'attività missionaria+ (RM 48).

Questa fase della storia ecclesiale, detta *plantatio Ecclesiae+, non soltanto è ancora incompleta, ma in molti spazi umani e geografici deve ancora iniziare.

Il mezzo principale per portare avanti la missione ad gentes, è, senza dubbio, la *proclamazione della Parola+, come viene ripetuto costantemente nella nostra Enciclica. Proclamazione accompagnata dalla testimonianza di vita, e che ha come oggetto l'annunzio del Mistero di Cristo: *esso è sempre "Buona Novella". La Chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare, con la croce e la Risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini+ (RM 11). *L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la Chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo+ (RM 44). I1 primo annunzio o kérygma, ossia la proclamazione dell'evento di Gesù, è stato sempre insostituibile dal tempo degli Apostoli e della Chiesa primitiva (RM 16 e 24). Annunzio proclamato sempre con *audacia+ o parrhesía (termine greco ricordato in RM 45). I1 dialogo non è fine della missione, ma elemento integrante che si concretizza in un atteggiamento o spiritualità nel momento di portare avanti la missione. Il fondamento principale di questo atteggiamento di rispetto e di stima dinanzi agli uomini, le culture e religioni è la presenza dello Spirito in loro (RM 29 e 56). I1 dialogo non nasce da una tattica o da interesse, ma da questa coscienza soprannaturale che lo Spirito guida la missione della Chiesa.

Torniamo a Vaticano II. Vent'anni dopo il Concilio, nel 1985, i Padri radunati in un Sinodo straordinario riconobbero che il concilio nella chiesa non era stato accettato bene ovunque. La Relatio finalis del Sinodo segnala delle cause esterne, come l'ambiente secolarizzato, il lavoro di confusione proprio del Maligno, i problemi immediati che emergevano in un mondo conflittuale e che non potevano non richiamare l'attenzione di molti. Indica anche delle cause interne, come una *lettura parziale e soggettiva dei testi+, e una loro *superficiale interpretazione+. Che incidenza ha avuto tutto ciò sul nostro documento e sulla ecclesiologia della missione?

Da parte della chiesa stessa non erano mancate una *timida applicazione del concilio+, e una *presentazione unilaterale+ del concetto di chiesa, come se la chiesa fosse innanzitutto una istituzione o una struttura. Da parte di alcuni teologi si cercò un concetto *nuovo+ di chiesa, staccato dalla Tradizione. A fronte di ciò, i Padri sinodali affermano che la chiesa è sempre la stessa in tutti i concili. Era mancato anche il discernimento tra l'apertura legittima al mondo e l'accettazione della mentalità e dei valori di un mondo secolarizzato. Dopo queste riflessioni, i Padri sinodali concludono che tutto quello che era accaduto negli anni postconciliari non si doveva al concilio.

Una delle prime accuse, fu che la missiologia del Vaticano II risultava una teologia deduttiva, elaborata a partire da tesi dottrinali, e che la missiologia doveva essere una riflessione critica a partire dalla situazione drammatica del mondo di oggi. Questo orientamento si è imposto nella riflessione missiologica postconciliare, in definitiva allorché si è studiato il ruolo della chiesa nelle missioni. La natura della chiesa viene interpretata alla luce delle situazioni del mondo e, in concreto, delle missioni. La chiesa, si afferma, non ha dei concetti a priori o delle strutture fisse, ma cambia secondo i bisogni che trova.

Dopo il Concilio, alcuni teologi hanno voluto cercare nella Sacra Scrittura un fondamento per questo orientamento induttivo dell'ecclesiologia delle missioni.

Alcuni considerano la chiesa alla luce del popolo d'Israele nel deserto, fuori dall'Egitto: esso cammina senza installarsi, senza bagagli e senza la sicurezza di cui godeva prima. Così, la teologia dell'Esodo diventa chiave di lettura e di interpretazione per l'ecclesiologia della missione. Altri autori sottolineano il senso della chiesa missionaria come pellegrina, obbligata a una continua flessibilità: la *missione viene da parte di Dio e va verso persone sconosciute, situazioni nuove. Non può portare con sé C conclude, ad esempio, da ciò J. Comblin C formule fatte, gesti fatti, istituzioni prefabbricate. Con queste tre formule si vogliono eliminare dalla chiesa missionaria un *unico vangelo, una medesima liturgia e le categorie gerarchiche.

Non mancano altri autori che si rivolgono alla Scrittura per trovare, nella concezione missionaria dei Sinottici, un ritorno all'ideologia postesilica del libro di Neemia. Questo libro vuole insistere sul ruolo privilegiato del popolo d'Israele: questo popolo, come Gerusalemme e, nel nostro caso, la chiesa, diventa il centro delle azioni salvifiche di Dio. Ma Dio lavora liberamente nel mondo, superando ogni struttura ecclesiale.

Dobbiamo dire che alcune di queste idee sono autentiche, ma vengono utilizzate in un modo esclusivo. In ciò sta il difetto principale di questa metodologia. La chiesa del Nuovo Testamento, essenzialmente missionaria, è certamente pellegrina e non può installarsi nel mondo, ma, allo stesso tempo, è stata istituita da Cristo come un popolo formato intorno a un Vangelo, guidato dai pastori e costituito dalla vita che procede dai sacramenti.

Prima di continuare con la esposizione dottrinale sull'ecclesiologia della missione, occorrerebbe ricordare un fatto che ha avuto un profondo influsso su di essa. Dal 1955 incominciò l'indipendenza del Terzo Mondo, in concreto dei Paesi africani. Viene spezzato il sistema coloniale. Quali furono le conseguenze?

Fino a quel momento molti missionari erano vissuti in coesistenza con il potere coloniale. Quasi sempre senza abusare di questa posizione. Il rifiuto del colonialismo portò al rifiuto dei missionari stranieri. Ci fu una rivalorizzazione di tutto quello che è proprio: si rivalorizzò la propria cultura, la propria religione. Apparve la tendenza di creare chiese particolari indipendenti e si incominciò a discutere se la presenza dei missionari stranieri non fosse un ostacolo allo sviluppo di un'autentica chiesa particolare. Poco dopo la fine del concilio, un missiologo scriveva: *La maggioranza dei governi dell'Asia e dell'Africa benché riconoscano tutto quello che hanno fatto i missionari nel passato e vedano il loro bisogno per il presente [...], pensano al giorno non lontano in cui i missionari stranieri saranno piuttosto un soprappiù. Tutto ciò non veniva considerato come un problema politico. Diventò di fatto un tema teologico-pastorale la prima volta nel Kenia, nel 1970. Venne presentato dal segretario della chiesa presbiteriana, J. Gatu. Secondo questi, *il problema delle chiese del Terzo Mondo può essere risolto solo se tutti i missionari si allontanano, affinché ci sia un periodo, almeno di cinque anni, per ripensare...+ Si trattava di fare una *pausa+ nell'invio di missionari e di aiuti stranieri. Questa *pausa+ venne chiamata con il termine moratorium. Ci doveva essere soprattutto perché la chiesa potesse scoprire il suo modo di essere africano, e le giovani chiese potessero superare lo stato di dipendenza e la chiesa che inviava aiuti rifletta sulla sua vera funzione.

Posta davanti a questo problema delicato, la gerarchia cattolica non ha accettato il moratorium. Infatti nessuna chiesa particolare che si vada formando, per la preoccupazione di conservare e promuovere la *sua+ particolarità, può dimenticare il suo carattere universale, la sua comunione universale.

Mentre questo tema era oggetto di discussioni, papa Paolo VI offrì nella Evangelii Nuntiandi ottimi elementi di riflessione. Questo tema, inoltre, C come s'è visto C è stato ripreso nell'ultima enciclica missionaria Redemptoris missio. Infatti, nella chiesa cattolica furono determinanti il Sinodo sull'evangelizzazione, del 1974, e l'esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, frutto di quel Sinodo. Nell'aula sinodale si spiegò che per l'evangelizzazione è necessario *l'annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù+ (EN 22); *nata dalla missione+, la chiesa è, a sua volta, inviata da Gesù. *La chiesa resta nel mondo come un segno insieme opaco e luminoso di una nuova presenza di Gesù, della sua dipartita e della sua permanenza. Essa lo prolunga e lo continua. Ed è appunto la sua missione e la sua condizione di evangelizzazione che, anzitutto, è chiamata a continuare+ (EN 15). Il numero seguente spiega come la chiesa è inseparabile da Cristo. Il mandato missionario *non si adempie senza di essa, né, e ancor meno, contro di essa+ (EN 16). Si dice che il lavoro per la liberazione, per la giustizia, non è parte *costitutiva+ dell'evangelizzazione o missione, ma parte *integrante+, anche se fra di loro ci sono dei legami profondi.

Un altro numero s'intitola: *Chiesa tutta intera missionaria+. Dopo aver fatto la domanda: *Chi ha, dunque, la missione di evangelizzare?+, risponde con chiarezza: la chiesa (cf. EN 59). Si riconosce che Dio può salvare sempre per *vie straordinarie+, ma che i *sentieri ordinari della salvezza+ sono l'annunzio del Vangelo e la impiantazione della chiesa. Si afferma che per questa missione dobbiamo mettere in gioco anche la nostra vita (cf. EN 80, ultimo paragrafo).

Possiamo dire di assistere a un risveglio dell'ecclesiologia nella missione?

Direi proprio di sì. In primo luogo, tale risveglio si deve alla rivalutazione di alcune *note essenziali+ della chiesa, che ne illuminano la natura missionaria. Sono *note+ care ai missiologi protestanti, che nel loro approfondimento talora sono stati pionieri. In secondo luogo, questo fenomeno è dovuto ad acquisizioni della teologia contemporanea, che si stanno sempre imponendo.

Nella prima affermazione del decreto Ad Gentes, si dice che la chiesa è missionaria *rispondendo alle esigenze più profonde dalla sua cattolicità+ (AG 1, cf. n. 6). E la Lumen Gentium (n. 13) presenta la cattolicità come qualcosa più qualitativa che quantitativa. *La cattolicità della chiesa si esprime e si attua nella sua missione a tutte le genti. Anzi, essendo un germe a destinazione universale, la chiesa potrà comprendere ed esprimere concretamente la sua natura e la sua cattolicità soltanto nella misura in cui entrerà in contatto e in comunione con l'intera famiglia umana. La missione appare quindi un costitutivo essenziale della chiesa+. Non c'è altra chiesa che la chiesa inviata al mondo intero, e non c'è altra missione che quella della chiesa. La cattolicità prova in maniera evidente che la missione della chiesa non dipende soltanto da un mandato ricevuto all'inizio, ma scaturisce perennemente dalla partecipazione all'amore di Dio, che si comunica nella chiesa per effondersi sull'umanità intera. La missione non è altro che l'attuazione nella storia della cattolicità della chiesa. Come la cattolicità ha una radice nella natura umana e nel cosmo, così anche la missione trova un richiamo nelle situazioni in cui si trova l'umanità di fronte a Dio e alla chiesa. I destinatari della missione sono tutti gli uomini che non sono ancora giunti a un contatto esistenziale con il Vangelo. Non si tratta di una universalità soltanto estensiva, ma anche intensiva, perché la chiesa deve prestare attenzione alle dimensioni native dei suoi interlocutori alla loro situazione esistenziale nel mondo, alla loro cultura. Oggi siamo concordi nel ritenere che una vera e propria comunicazione soprannaturale appartiene agli esistenziali permanenti della natura umana. La missione deve tener conto della fede, della speranza e della carità *incoativa, germinale+ dei destinatari. Se si riconosce al destinatario della missione tutta la dignità di soggetto umano dotato di capacità religiose e inserito in un contesto spirituale portatore di valori; se inoltre C ed è necessario C si rispetta in lui il mistero di un amore divino che lo previene e lo accompagna, il *modo dell'incontro+ e il metodo della missione risultano come trasformati. Il fine della missione viene a identificarsi con gli obiettivi della venuta del Verbo tra gli uomini. Ma, allo stesso tempo, dobbiamo collaborare al disegno di Dio nella storia, che non possiamo interpretare in termini di storia secolare, bensì sulla certezza dell'Eterno nel tempo, dell'Infinito nel finito. *Io sarò con voi fino alla fine dei secoli+.

L'apostolicità nella storia della salvezza, collegando l'Alfa con l'Omega attraverso tutto l'*intervallo+ del tempo fra le due venute del Signore, rende attiva la missione affidata dal Signore ai Dodici.

La chiesa si diffonde con la fondazione di nuove chiese locali, che non esistono come tali se non prendendo dalle chiese apostoliche il *germe della fede, il seme della dottrina+. La loro apostolicità si realizzerà grazie all'impianto di una gerarchia indigena, tramite la successione apostolica. L'apostolicità è all'inizio e alla fine della missione. Ma la missione non è mai finita. Ritroviamo ugualmente il valore escatologico dell'apostolicità: ciò che si fa nell'interim è per la fine, vale per la fine. Bisogna conservare ciò che si è ricevuto da Cristo attraverso gli Apostoli, sino al suo ritorno. Ma *conservare+ non significa seppellire o lasciar sterile. Biblicamente parlando, *conservare+ è fare e realizzare e lavorare.

Questo aspetto dell'apostolicità ci porta all'escatologia. I fautori dell'escatologia attuale vedono già presente nel tempo della chiesa la realtà degli ultimi tempi, e considerano la missione un evento escatologico in cui Cristo chiama le genti e tutti i popoli all'obbedienza della fede, offrendo loro un anticipo del Regno futuro.

Questa posizione ha corretto la prospettiva della scuola esegetica escatologica, che prende in considerazione soltanto il giudizio e la fine del mondo. L'azione di Dio è krisis, cioè giudizio sull'uomo peccatore in questi ultimi tempi: l'uomo deve prendere una decisione che lo liberi dal mondo e dallo stato di caduta in cui si trova, e in cui ci sono anche valori umani, culturali e religiosi. La missione non rappresenta che un'occasione per l'azione decisiva di Dio che chiama alla decisione *demondanizzante+. L'escatologia per noi, e anche per molti protestanti, è l'ultimo orizzonte della storia della salvezza, e la missione si svolge tra un *già+ di salvezza e un *non ancora+ di realizzazione piena. Nella missione della chiesa vediamo l'attività del Cristo glorioso che nel decorso della storia prepara l'umanità alla sua venuta, offrendo a ciascuno, già nella comunità ecclesiale, le ricchezze del Regno futuro. La prospettiva missionaria tende a coincidere il più possibile con il disegno di Dio, che vuol salvare gli uomini con tutti i loro valori culturali e religiosi che in qualche modo hanno la loro origine nell'azione di Dio e dello Spirito. Così, ricapitolando tutto in Cristo, ci moviamo verso quella fine, nella quale Dio proclama la sua Sovranità sul mondo e raccoglie il suo popolo.