d. Alberto Sartori

INTRODUZIONE

A. E’ una questione di grande interesse ed attualità e non solo per il credente, essa assume in sé anche una dimensione sociale se si pensa quanto sia difficile pensare ad una pace autentica tra gli uomini senza che vi sia stata prima una vera conciliazione tra le religioni.

B. E’ una questione relativamente nuova dovuta al fenomeno della mobilità umana e dei flussi migratori, allo sviluppo dei mass-media che avvicina le culture, al nostro andare verso una società multirazziale, etc.

C. E’ una questione da chiarire per evitare il rischio di essere attratti da una religiosità nuova e composita frutto di una sintesi sincretistica che tutto accoglie senza distinguere e separare, una sorta di New Age.

D. E’ una questione che ormai tocca da vicino ogni cristiano chiamato a rendere conto della speranza che è in lui (cfr. 1Pt 3, 15).

Essa si presenta come una sfida per il cristiano sotto un duplice aspetto: il primo è quello di motivare l’assolutezza della religione cristiana, il secondo è quello di precisare il valore delle altre religioni all’interno di una teologia cristiana.

1. LA RIVELAZIONE BIBLICA

1.1. L’ANTICO TESTAMENTO: PARTICOLARISMO ED UNIVERSALISMO

A) Tutta la realtà esistente è opera dell'azione creatrice di Dio, è questo il primo dato che emerge evidente fin dai primi capitoli della Bibbia, ne consegue che ogni uomo è coinvolto, in linea di principio, dal suo amore. Inoltre tutto il creato, in quanto opera del Creatore, nasce e si qualifica quale evento di autocomunicazione di Dio.

B) L’alleanza stipulata con Noè dopo il diluvio universale riguarda ogni uomo, è un'alleanza cosmica, il segno di un'amicizia stabilita dal Dio di Israele con tutte le nazioni. Tutta l'umanità è così chiamata a riconoscere e ad adorare l'unico vero Dio, benché Noè non abbia qui parte attiva e non si arrivi alla stipulazione di un patto. In altre parole essa esprime il fatto che tutti i popoli stanno sotto il potere salvifico di Dio e che nessuno ha mai vissuto, sia pure per qualche tempo, al di fuori della storia della salvezza.

Troviamo confermata tale universalità da alcuni episodi biblici nei quali dei pagani rendono culto a Dio. Questi riferimenti sono preziosi in quanto ci segnalano come l'Antico Testamento riconosca, sia pure dopo una lunga ed elaborata riflessione, che Jahvè è l'unico vero Dio, dunque il Dio di tutti gli uomini, non solo di Israele. Ne deriva che tutti gli uomini sono chiamati a riconoscerlo, a proclamarlo e a servirlo.

E' in particolare con il Deutero-Isaia che questo dato si evidenzia ancora di più. Spetterà al Servo di Jahvè il compito di far trionfare l'ordine e la giustizia di Dio, ma non solo in Israele La sua parola è "spada affilata" e "freccia appuntita", essa raggiunge anche le isole più lontane, più ancora il servo sarà "luce delle nazioni perché porti la salvezza fino alle estremità della terra".

Quindi, in questa prospettiva, l’Antico Testamento afferma che si arriverà a formare un popolo restaurato, dal culto rinnovato, che offrirà un'offerta pura e perpetua. Questo popolo, che giungerà a comprendere genti di tutte le nazioni, si orienterà verso un unico culto offerto a Dio, al Dio di tutti gli uomini.

C) A ben vedere, però, nell'Antico Testamento vi è una tensione nel considerare la presenza di tradizioni religiose diverse da quella di Israele. Da un lato, in positivo, si riconosce una religiosità universale, espressione, sia pure incompleta, della presenza dell'Assoluto, dall'altro lato i culti pagani, antagonisti al culto ebraico, sono drasticamente e duramente condannati. In 1Re 5, 9-14, si ammette l'esistenza di una saggezza anche al di fuori di Israele, ad essa, però, Salomone fu superiore.

Vi sono molti testi nei quali la Bibbia condanna le altre religioni, i loro culti, le loro pratiche ritenute aberranti. L'Antico Testamento offre in effetti una valutazione sostanzialmente negativa di esse.

D) Nella prospettiva dell’Antico Testamento l'azione di Dio in favore di Israele è ordinata alla salvezza di tutto il genere umano. Alla fine tutti i popoli abbandoneranno i loro idoli per diventare il solo popolo di Dio.

Per concludere il dato biblico dell'Antico Testamento prepara le affermazioni circa la volontà salvifica universale di Dio presenti nel Nuovo Testamento. L'unità di popoli radunati nella medesima fede trova dunque l'unica possibile realizzazione nella chiesa e grazie alla fede cristiana.

1.2. Il NUOVO TESTAMENTO: DIO VUOLE CHE TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVI E SOLO IN CRISTO VI E’ LA SALVEZZA

A) Per il teologo cristiano il dato fondamentale che risulta evidente dalla rivelazione biblica neo-testamentaria consiste nella centralità della vicenda di Gesù Cristo per la salvezza dell'umanità.

Solo la singolarità di Gesù, la sua unicità di essere vero uomo e vero Dio rendono possibile l'annuncio di una salvezza che ha portata universale. Ora, in Cristo, ogni persona può accedere a Dio e la strada da lui tracciata, nel suo destino di morte e resurrezione, può essere percorsa da ogni uomo.

Si forma così un nuovo popolo, la chiesa. Di essa tutta l'umanità è chiamata a far parte; è escluso solo chi si autoesclude. Dunque per volontà del Signore, la chiesa è destinata a coinvolgere tutte le genti.

B) In riferimento al rapporto tra il cristianesimo e il mondo pagano, troviamo in Paolo e anche in Giovanni, un'attenzione volta a rispondere all'esigenza di porre in dialogo l'evento Cristo con altre tradizioni filosofiche o religiose. Egli viene così presentato come "la sapienza eterna di Dio preesistente, per mezzo del quale tutto è stato fatto e nel quale tutto sussiste e che si è fatto per noi giustizia, santificazione e redenzione; come il Logos che è la via e la luce di tutti e che ha posto la sua dimora in mezzo a noi; come l'unico e universale mediatore che ci fa partecipare alla sua pienezza; come il principio e la fine; come l'agnello immolato fin dall'origine del mondo; come il principe dei re della terra". Questa impostazione, che mette bene a tema la dimensione universale della salvezza portata da Cristo, sarebbe nata quale approfondimento cristologico a partire dalla particolare realtà pluriculturale e multireligiosa di Efeso e dintorni.

Se l'economia salvifica è dunque universale, essa resta però sempre cristocentrica e al di fuori del cristianesimo c'è solo perdizione. Pietro nella sua prima lettera intende affermare il valore redentivo universale della morte di Cristo anche quando afferma che Gesù "andò ad annunciare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione"

C) Resta poi il problema di quanti non hanno potuto ascoltare la predicazione di Gesù e della chiesa ai quali pure è rivolto l'invito alla conversione e l'offerta di salvezza in quanto "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità", ma subito dopo si afferma che "uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù" Se dunque la salvezza è universale, essa deve comunque passare sempre attraverso la fede in Cristo Gesù, l'unico salvatore. "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".

D) Dall'accoglienza di Cristo nasce la chiesa. Gesù ha chiamato i dodici, li ha fatti suoi rappresentanti. Chi ascolta la loro predicazione e conseguentemente entra a far parte della loro comunità, la chiesa, ottiene la salvezza. In questo senso la chiesa è anche l'approdo di un movimento di conversione che riguarda tutta l'umanità, la quale è destinata un giorno ad entrare e farvi parte. Si può così affermare che solo all'interno della chiesa vi può essere salvezza, nel senso che l'unica autentica salvezza è quella annunciata da essa, in quanto solo essa, corpo di Cristo, è in grado di assicurare il legame con il Salvatore e a ciò, nella predicazione e attraverso i sacramenti, è stata deputata da lui.

E) Dai dati del Nuovo Testamento emerge, nel complesso, una visione non sempre negativa del mondo pagano.

2. UNA PRIMA RIFLESSIONE TEOLOGICA

Il cristianesimo agli inizi della sua storia si è propagato in un mondo pagano. Da subito è nata dunque l’esigenza di valutare una religiosità spesso tanto diversa, nella quale però era anche possibile trovare elementi validi che il cristiano poteva condividere.

Il valore universale della salvezza portata da Cristo doveva inoltre necessariamente mettere a tema la questione del rapporto tra il cristianesimo e le altre tradizioni religiose, il mondo pagano da una parte e il mondo giudaico dall'altra. Fu la grande questione che coinvolse soprattutto i Padri della chiesa attorno al II-III secolo.

2.1. LA DOTTRINA DEI "SEMI DEL VERBO"

L'opera di questi autori rispecchia e descrive dunque l'incontro del cristianesimo con il mondo pagano e il mondo giudaico. Nei loro testi si manifestano due posizioni distinte: la prima coglie una continuità tra la cultura filosofica e religiosa dell'umanità e il cristianesimo, l'altra sottolinea l'elemento di novità e di distacco portata dal cristianesimo e mantiene un giudizio negativo su quanto l'uomo ha inteso credere prima di esso.

A) Gli esponenti più significativi della prima posizione furono Giustino e Clemente Alessandrino i quali elaborarono per primi la teoria dei "semi del Verbo".

In tal modo essi hanno cercato di recuperare culture e filosofie apparentemente non integrati nel disegno salvifico. Gli apologisti, infatti, condannarono le concezioni religiose pagane come false ma riconobbero, anche se non tutti, nelle culture filosofico-religiose dell'antichità, soprattutto nel platonismo, qualche valore.

Giustino è, in questo senso, il primo autore ecclesiastico che abbia tentato di gettare un ponte tra il cristianesimo e la cultura pagana. Per lui il Logos divino apparve pienamente in Cristo, ma una sua semenza fu sparsa in tutta l'umanità tanto da essere presente nella ragione di ogni uomo ed essersi manifestata non solo nei profeti dell'Antico Testamento, ma anche nei filosofi pagani i quali comunque hanno ripreso verità già presenti nell'Antico Testamento. Ne consegue che anche ai pagani è aperto l'accesso alla verità, anzi, di fronte al ripudio di Israele c'è la loro elezione. Quindi i pagani partecipano al Verbo divino medianti i semi deposti in essi, mentre i cristiani hanno ricevuto il Logos in persona.

Di Eusebio di Cesarea è poi la dottrina della preparatio evangelica che è il titolo di una sua opera apologetica nella quale difende la religione cristiana contro i pagani, confuta il politeismo e dimostra la superiorità della religione ebraica la quale servì da preparazione all'accoglienza del vangelo.

B) Vi sono comunque autori che ritengono negativa la speculazione religiosa e filosofica non cristiana: essa è causa di vizi e fonte di errori dei quali si sono macchiati i pagani. In questo senso troviamo in essi un rifiuto, un'assenza di dialogo e, conseguentemente, una decisa convinzione a non considerare quanto la cultura filosofica e religiosa pagana ha potuto produrre: in essa non vi può essere nulla di buono per raggiungere la conoscenza della verità e la salvezza.

2.2. L’ASSIOMA "EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS"

La successiva riflessione mise a tema l’aspetto ecclesiologico della fede cristiana, la necessità della chiesa e dell’appartenenza ad essa attraverso il battesimo, per raggiungere la salvezza che Cristo ha donato. Tale convinzione si espresse con il noto assioma: "Extra ecclesiam nulla salus". Questa affermazione richiede un'ermeneutica in quanto può dare, e di fatto ha dato, adito a dei fraintendimenti.

2.2.1. L'interpretazione rigorista e le successive posizioni del magistero della chiesa

L'interpretazione rigorista dell'assioma si ebbe a partire dall'opera di Fulgenzio da Ruspe (467-532), un discepolo di Agostino. Nel De fide ad Petrum, una raccolta di regole per la vita cristiana, egli afferma: "Tieni con assoluta certezza e non dubitare mai che non solo tutti i pagani, ma anche tutti i giudei, gli eretici e gli scismatici che concludono la vita presente al di fuori della chiesa, andranno nel fuoco eterno preparato per i suoi diavoli e per i suoi angeli". E' comunque necessario notare come anche qui vi sia un contesto parenetico, una sorta di appello a non smarrire la vera fede rivolto al credente. Non è cioè messa direttamente a tema la questione della salvezza di quanti non sono incorporati alla chiesa.

Al tempo stesso troviamo anche degli interventi del magistero tendenti ad affermare la volontà salvifica universale di Dio in quanto Cristo ha offerto il sacrificio di sè per la salvezza di tutti gli uomini. Il primo riguarda la condanna del presbitero Lucido avvenuta ad Arles nel 473. Lucido, esasperando l'Agostino della polemica anti-pelagiana, sosteneva una predestinazione alla salvezza e una predestinazione alla dannazione da parte di Dio. Il secondo condanna al concilio di Quiercy dell'853 l'analoga tesi della doppia predestinazione sostenuta dal monaco di Orbais, Gottescalco che contestava la volontà salvifica universale di Dio.

Durante il periodo della scolastica si cercò di stabilire quale fosse il minimo necessario del credere per ottenere la salvezza sulla scorta di Eb. 11, 6.

Più rigorista sembra invece essere la successiva linea del magistero che, segnata com'era dalla necessità di impedire le divisioni all'interno della chiesa, ribadisce sostanzialmente il principio della necessità dell'appartenenza alla chiesa cattolica per ottenere la salvezza.

Tra le varie affermazioni rigoriste del magistero, la più decisa si trova all'interno del Decreto per i giacobiti contenuto nella bolla "Cantate Domino" del 4 febbraio 1442 dove viene esplicitamente ripresa la posizione di Fulgenzio da Ruspe. Va notato anche qui come l'intento sia di affermare che l'unica chiesa possibile è quella cattolica romana. La bolla viene stesa, infatti, durante il concilio di Firenze che proseguiva il sospeso concilio di Basilea del 1439 che era il concilio di unione con le chiese orientali. La necessità poi di affermare che la vera chiesa in cui trovare salvezza è quella guidata dal legittimo successore di Pietro, motiva ulteriormente la ripresa rigorista del nostro assioma.

Vi è poi un'altra considerazione da fare e che è sullo sfondo di tutte le prese di posizione rigoriste del magistero, il fatto cioè che a quel tempo vi fosse la convinzione che in tutto il mondo fosse ormai diffuso il messaggio del vangelo. La conseguenza era evidente: chi non accettava di entrare nella chiesa non lo faceva per ignoranza, ma per esplicito rifiuto a farlo e a credere in Cristo.

2.2.2. Il concilio di Trento e le posizioni successive

L'intento di Trento era quello di evitare una certa concezione individualistica della grazia presente nel contesto della riforma protestante. Per ricevere il dono del perdono, per poter ottenere la salvezza, per poter entrare nel Regno di Dio, è necessario ricevere i sacramenti amministrati grazie alla mediazione della chiesa. La necessità di inculcare nei cristiani con chiarezza questo concetto spiega il rigorismo delle affermazioni. "Non è però lecito ritenere che il concilio accentui talmente l'uso dei sacramenti fino a fare della chiesa la donatrice esclusiva della remissione o ad affermare che Dio avrebbe legato la virtù della propria grazia esclusivamente ai sacramenti. Con ciò esso si porrebbe in contrasto con Tommaso, cosa che non risulta affatto".

Una attenzione tutta nuova che combinava la fedeltà alla chiesa con la convinzione di una rivelazione universale che tocca trasversalmente tutta l'umanità, fin dai suoi esordi, si andò poi sviluppando nel periodo dell'Umanesimo grazie all'opera di Nicolò Cusano, Marsilio Ficino e soprattutto Giovanni Pico della Mirandola. Lo stesso neoplatonismo, la filosofia di questo periodo, ben si prestava, grazie al concetto platonico di partecipazione, ad una visione tollerante delle varie tradizioni religiose.

Intanto con la scoperta di nuovi mondi, di enormi territori dove portare il messaggio del vangelo, di milioni di persone che erano ancora all'oscuro del messaggio di Cristo, crolla l'antica immagine di un mondo ormai completamente cristianizzato e si pone in termini nuovi la questione della salvezza dei non cristiani.

Francisco de Suarez (1548-1617) considerava i nuovi popoli scoperti segnati anch'essi dalla grazia di Dio. "Tale grazia operante al di fuori della chiesa in ordine alla chiesa edifica su tradizioni religiose e morali che "per loro natura" sono buone e gradite a Dio, doni della creazione che non contrastano con la fede cristiana e rappresentano una potentia oboedientialis, una potenzialità finalizzata ad aderire alla rivelazione di Cristo. La grazia comunicata attraverso la missione non incontra perciò uomini del tutto privi di grazia. Essa purifica ciò che è già stato donato e gli permette di pervenire a se stesso in forma cristiana".

In epoca moderna si contrappongono così nella teologia cattolica due posizioni: la prima mantiene la posizione rigorista della tradizione precedente riaffermando la necessità assoluta dell'appartenenza alla chiesa in senso stretto per ottenere la salvezza ed è rappresentata dai giansenisti; la seconda è più possibilista e mette in rilievo soprattutto il principio della volontà salvifica universale di Dio ed è rappresentata dai gesuiti, forti, tra l'altro, della loro esperienza missionaria.

Dopo Trento la distinzione tra l'appartenenza alla chiesa in re o in voto fu funzionale al mantenimento sia del principio della volontà salvifica universale di Dio, sia di quello della necessità di appartenenza alla chiesa.

La teologia cattolica, però, in reazione alla riforma protestante, pose l'accento sulla necessità di una appartenenza visibile alla chiesa che si concretizzava nella fede, nella ricezione dei sacramenti, nell'obbedienza al papa.

2.2.3. La condanna dell'indifferentismo e del razionalismo

La sempre maggiore conoscenza della vastità del fenomeno religioso finì per porre il cristianesimo a fianco delle altre religioni.

Naturalmente il rischio del relativismo e dell'indifferentismo era a questo punto assai forte e contro di esso intervenne il magistero della chiesa cattolica. Da qui un certo ritorno alla posizione rigorista che si può cogliere con chiarezza prima nella condanna di Felicité de Lamennais ad opera di papa Gregorio XVI, poi dagli interventi papa Pio IX e infine nello schema preparatorio De ecclesia del Concilio Vaticano I.

Nell'enciclica Mystici corporis di papa Pio XII del 29 giugno 1943 viene messa a tema ancora una volta la questione dell'appartenenza alla chiesa che si realizza visibilmente solo grazie al battesimo, alla professione della vera fede e alla comunione ecclesiale. Centrale è qui l'affermazione che la chiesa corpo di Cristo si identifica con la chiesa cattolica romana. Quanti le sono ancora estranei, possono però essere ordinati ad essa, sia pure per un inconsapevole desiderio o voto e solo così poter sperare nella salvezza.

Infine un ulteriore pronunciamento magisteriale fu provocato dall'insegnamento di alcuni teologi americani che interpretavano l'assioma Extra ecclesiam nulla salus in senso rigorista, concedendo la salvezza solo ai battezzati cattolici e a quei catecumeni che avessero esplicitamente chiesto di entrare nella chiesa cattolica. Il vescovo di Boston, Mons. Cushing, chiese l'intervento del Sant' Ufficio, la cui risposta, pur riaffermando la dignità dogmatica dell'assioma, ne condannò l'interpretazione rigorista riprendendo le tesi dell'ignoranza invincibile e del voto implicito (Cfr. DS, 3866-3873. Tra questi il gesuita P. Leonard Feeney, non accettò le indicazioni del magistero e subì la scomunica il 4 febbraio 1953).

3. IL CONCILIO VATICANO II E IL MAGISTERO POST-CONCILIARE

Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam Suam del 6 agosto 1964 così si esprimeva: "Non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane; vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell'ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo laddove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato".

La dichiarazione Nostra Aetate è il testo nel quale si è affrontato direttamente il rapporto della chiesa cattolica con le altre tradizioni religiose, essa però, essendo anche uno degli ultimi documenti conciliari, può essere compresa solo rifacendoci ai vari interventi inerenti al tema che si trovano qua e là negli altri testi approvati dai padri.

Prima di tutto va detto che il Concilio non usa più l'espressione extra ecclesiam nulla salus, pur confermandone il contenuto quando afferma che la chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza.

Ma forse la novità più significativa sta nell'aver superato l'ecclesiologia esclusiva della Mystici corporis. Papa Pio XII aveva in essa sostenuto che la chiesa voluta da Cristo si identifica con la chiesa cattolica e solo con essa. Il Concilio ha qui una posizione più sfumata quando sostiene che la chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica.

Perciò l'essenzialità della chiesa in merito alla salvezza viene accompagnata nella dottrina conciliare dalla consapevolezza di diversi livelli di appartenenza ad essa, con la precisazione che man mano gli uomini vengono a conoscenza di questa verità, sono tenuti ad aderirvi per potersi salvare.

A partire dalla consapevolezza che "lo spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato", il Concilio riconosce elementi di verità e grazia presenti in tradizioni, riti, culture, iniziative religiose diverse dal cristianesimo. Essi vanno valorizzati, purificati ed elevati per quegli elementi di verità che portano in sé.

Resta il fatto che per il concilio la chiesa cattolica è l'unica via ordinaria di salvezza data da Dio, le altre religioni, pur buone, in quanto contengono i germi del Verbo, necessitano di essere portate a compimento. Da qui la spinta missionaria della chiesa, ma anche l'apertura al dialogo.

3.1. LA DICHIARAZIONE NOSTRA AETATE

La novità di questo testo sta nel fatto che non viene presa in considerazione la condizione dei singoli e le loro possibilità di salvezza, bensì direttamente le altre tradizioni religiose che ricevono una valutazione.

Fin dall'antichità ogni popolo ha intuito la presenza di una forza arcana sottesa agli avvenimenti della vita, spesso ha riconosciuto in essa la Divinità, il Dio creatore ed ha cercato di dare un senso religioso alla propria esistenza.

Con il progresso della cultura si sono venute formando le religioni quale tentativo umano di penetrare la verità nascosta delle cose, il senso dell'esistenza, il destino ultimo di ogni uomo. Ciò fu fatto attraverso i miti e la filosofia, proponendo una vita ascetica e una profonda meditazione come nell'induismo. Il buddismo ha poi giustamente riconosciuto la povertà di questo mondo mutevole e insufficiente per la piena realizzazione dell'uomo cercando vie di purificazione e di distacco da ciò che è solo provvisorio e illusorio. Ugualmente tutte le altre religioni sono un tentativo, sono vie per rispondere alla sete di assoluto e di senso presente nel cuore inquieto dell'uomo di ogni tempo.

La chiesa è però consapevole di dover annunciare colui che è "via, verità e vita" esortando al dialogo e alla collaborazione riconoscendo i valori morali, spirituali e socio-culturali presenti nei seguaci delle altre religioni.

Una particolare attenzione viene poi dedicata dal documento ai musulmani e agli ebrei.

Il testo termina con un richiamo alla paternità universale di Dio creatore e alla conseguente necessità per gli uomini di riconoscersi tutti come fratelli superando ogni discriminazione "per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione".

Poiché viene dunque ammessa la presenza di una verità nelle religioni non cristiane, si pone la questione se esse possano considerarsi autenticamente vie di salvezza. Il Concilio non arriva ad affermare tanto, esso riprende l'antica dottrina dei semi del Verbo per affermare che in tutte le religioni si possono trovare elementi buoni che sono però tali solo in quanto riflettono la luce del Verbo.

E' indubbio che questa dichiarazione ha gettato le basi per il dialogo interreligioso Tutto il linguaggio della dichiarazione tende a superare gli antichi contrasti in favore di una nuova comprensione, rispetto, stima reciproca. Pur in questo panorama di accoglienza e valorizzazione, la chiesa resta comunque sempre chiamata ad annunciare il Cristo in cui crede che solo è fonte di salvezza, ma senza le imposizioni di un tempo. Ormai l'evangelizzazione e il dialogo dovranno andare, quindi, sempre uniti.

3.2. IL MAGISTERO DELLA CHIESA DOPO IL VATICANO II

Papa Paolo VI il 19 maggio 1964 istituiva il Segretariato per i non cristiani quale segno di attenzione, studio e dialogo con gli esponenti delle altre religioni

Un segno significativo di ciò è poi rappresentato dallo spazio e dalle riflessioni svolte sull'argomento in occasione del sinodo dei vescovi a proposito dell'evangelizzazione del mondo (1974).

Così il tema fu trattato da papa Paolo VI nell'esortazione apostolica post-sinodale Evangelii Nuntiandi. Sulla scia del Vaticano II si riprende la dottrina patristica dei semi del Verbo e della preparazione evangelica, appoggiando così la teoria del compimento, la linea-Daniélou, per la quale il cristianesimo compie quanto di buono l'uomo è riuscito a realizzare nella storia andando alla ricerca di Dio.

Nel documento L'atteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci delle altre religioni del Segretariato per i non cristiani (4 settembre 1984), si afferma il dovere missionario della chiesa la quale si fa tramite dell'amore di Dio, accanto alla necessità di stringere rapporti umani e di ascoltare quanto di buono possono donarci i credenti in altre religioni che hanno in sè dei doni dati loro da Dio. Viene ripresa poi la dottrina del Concilio più volte citata, si propone infine un concetto allargato di evangelizzazione che dovrà comprendere anche il dialogo quale dimensione intrinseca dell'evangelizzazione stessa.

Papa Giovanni Paolo II più volte nei suoi documenti e nei suoi discorsi è intervenuto sulla questione in esame, specialmente durante quei viaggi apostolici che in varie occasioni l'hanno visto visitare nazioni nelle quali il cristianesimo è ancora una minoranza.

L'attenzione del papa alla valorizzazione di tutte le tradizioni religiose per quanti di buono contengono in sè ha trovato il suo vertice nell'incontro di preghiera per la pace tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986 cui hanno partecipato 32 organizzazioni cristiane, 2 ebraiche e 26 non cristiane.

Il sette dicembre 1990 papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Redemptoris Missio sulla permanente validità del mandato missionario della chiesa. E' un testo importante perché inevitabilmente tocca anche alcuni aspetti legati al rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni. Le affermazioni di principio ricalcano la dottrina tradizionale.

La chiesa è la prima beneficiaria della salvezza, essa è il sacramento universale di salvezza e ad essa in vario modo appartengono o sono ordinati tutti gli uomini, universalmente chiamati a salvezza da parte di Dio. La chiesa è strumento di redenzione per tutti. Ciò significa che per quanti non sono cristiani perché non hanno ancora avuto la possibilità concreta di ricevere l'annuncio del vangelo, "la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore ed ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette ad ognuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione". Viene dunque ribadita la centralità di Gesù Cristo quale causa di salvezza anche per quanti non lo conoscono e il ruolo fondamentale della chiesa alla quale spetta come dovere il servizio al Regno nell'annuncio, nel fondare nuove comunità, nel farle crescere nella fede, diffondendo così nel mondo i valori evangelici.

Nel richiamare poi l'opera e l'azione dello Spirito Santo, il protagonista di tutta la missione ecclesiale, il papa non manca di sottolineare che egli agisce anche al di fuori della chiesa, soffia dove e quando vuole per il bene dell'umanità. Di fatto è proprio l'azione previa dello Spirito che costituisce una sorta di preparazione tale da rendere poi più facile l'opera del missionario.

In definitiva, pur affermando la validità di quanto di buono è possibile cogliere nelle tradizioni religiose diverse da quella cristiana, in questo testo del magistero viene ribadita con forza ed autorità la necessità dell'opera missionaria da attuarsi in tutte le sue forme, attraverso l'annuncio, la promozione umana, il dialogo sincero ed efficace.

4. MODELLI DI TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI

4.1. CRISTIANESIMO COME COMPIMENTO: JEAN DANIELOU

4.1.1 Le religioni: uno sforzo umano per arrivare a Dio

La ricerca di Daniélou parte da un dato di fatto: la presenza di un atteggiamento religioso come realtà universalmente presente nella storia degli uomini. Le religioni che si sono via via formate, infatti, rispondono alla intuizione profonda della esistenza di Dio.

E' dunque un fatto che "le religioni non cristiane hanno potuto conoscere quello che la ragione umana, abbandonata a se stessa, può raggiungere, cioè l'esterno di Dio, la sua esistenza e le sue perfezioni quali si manifestano attraverso la sua azione nel mondo. Ma v'è qualcosa che mai nessuna ragione al mondo ha potuto penetrare, è il mistero della vita intima di Dio, la profondità trinitaria assolutamente inaccessibile all'uomo e che solo il Figlio di Dio ha potuto rivelare. E' la parola di Giovanni: "Nessuno ha mai visto Dio. Ma il Figlio unico che è nel seno del Padre, lui solo ce lo ha fatto conoscere" (Gv 1, 18)"

Il cristianesimo, per Daniélou, non disprezza la ricerca religiosa umana, anzi la valorizza e la fa propria elevandola ad un piano e ad un livello più alto, di perfezione. Ne consegue che "devenir chrétien n'est pas changer de religion, mais passer du plan de la religion à celui de la vérité. Et chaque race le fait à sa manière".

4.1.2 La rivelazione di Dio e la storia delle alleanze

In termini più analitici, Daniélou distingue e parla di una rivelazione cosmica primordiale alla quale corrisponde una alleanza cosmica, della rivelazione al popolo ebreo alla quale corrisponde l'alleanza stretta da Jahvè con Abramo e con Mosè e della rivelazione cristiana alla quale corrisponde la nuova e definitiva alleanza.

Dio si rivela prima di tutto nel cosmo, vi è una rivelazione cosmica testimoniata dalla Bibbia in Gn. 1-11, la creazione è, infatti, una ierofania. La prima alleanza è quella con Noè di Gn. 9,9: è l'alleanza cosmica che riguarda l'intera umanità.

4.1.3. La religiosità umana è una preparazione

Di fronte alla rivelazione cosmica si pone il problema di come innestare la rivelazione ebraica prima e quella cristiana poi. Daniélou è molto chiaro su questo punto. Tutta la religiosità umana, anche nella complessità e diversità delle sue espressioni, è come una lunga preparazione all'accoglienza della verità espressa nella rivelazione cristiana. Infatti "il cristianesimo conclude e completa le verità imperfette che sussistono nelle religioni pagane con la saggezza cristiana". La fede dei popoli pagani non dovrà dunque essere rinnegata, ma solo purificata ed elevata: "Come gli ebrei convertiti vedevano a giusto titolo nel cristianesimo non la distruzione, ma il compimento della loro fede, così questi pagani avranno coscienza, aderendo al Cristo, di non rinnegare il meglio di sè, ma anzi, di trovarne la esecuzione. Ciò vale a dire che per essi vi erano nella tradizione pagana, in cui erano stati educati, degli autentici valori religiosi. Questi valori essi li scoprivano soprattutto presso i filosofi".

A monte di tutto questo vi sarebbe appunto l'alleanza cosmica che, comunque, è sempre un'offerta gratuita di grazia e non semplicemente frutto del ragionare buono degli uomini che colgono semplicemente l'esistenza del creatore a partire dalle creature.

L’atto di fede è sempre necessario per la salvezza dell’uomo, in quanto ne configura la libera e responsabile scelta. L’oggetto dell’atto di fede non può però essere, allo stato attuale delle cose, uguale per tutti: "per il cristiano esso è fede nella perfetta alleanza conclusa da Dio in Gesù Cristo con la natura umana. Per i giudei che non hanno potuto conoscere Gesù Cristo, esso è fede nell'alleanza conclusa da Jahvè con Abramo e Mosè. Per il pagano che non ha potuto conoscere Gesù Cristo e nemmeno Abramo, esso è fede nell'alleanza conclusa da Dio con le nazioni".

4.1.4. Una salvezza universale

Questa convinzione, la convinzione cioè che anche nel mondo pagano vi possano essere uomini salvati trova, secondo Daniélou, conferma nella Bibbia. Nel testo sacro, infatti vi sono personaggi giudicati giusti e non appartenenti nè al popolo ebreo, nè a quello cristiano. Sono dunque i rappresentanti, i credenti nella religione cosmica, dei quali gli autori sacri assicurano la salvezza. Essi sono per Daniélou: Abele, Enoch, Daniele, Noè, Giobbe, Melchisedech, Lot e la regina di Saba.

La lettura cristiana di tutta questa religiosità buona si precisa come una preparazione ad accogliere la rivelazione di Gesù Cristo.

"La missione del Logos nell'Antico Testamento non è, in realtà, che la preparazione d'una terza missione, la vera missione: la venuta di Cristo nella carne". Fino ad allora tutto era stata una preparazione a questo momento, ora veniamo introdotti nell'intimità di Dio, Cristo "ci rende capaci di partecipare alla sua filiazione. Egli fa di noi dei figli adottivi di Dio e, ciò facendo, ci introduce nella famiglia di Dio, nella famiglia divina". Questi passaggi sono funzionali alla pedagogia divina con la quale "il Verbo prepara a mano a mano l'umanità a ricevere in pienezza il messaggio che egli è venuto a portarci".

Ancora oggi vi sono popoli che si trovano allo stadio della rivelazione primitiva. Per cui, per esempio, è possibile dire che l'Islam sia un cristianesimo incompleto. Sarà perciò necessario "sviluppare più profondamente il bisogno religioso e a forza di svilupparlo nelle anime, si farà ad esse sentire la necessità di superare l'Islam. Se un musulmano andasse all'estremo delle esigenze della sua anima, arriverebbe a Cristo, perchè scoprirebbe che vi sono delle insufficienze e delle lacune nel suo spirito".

Di fatto "il cristianesimo, nel corso del suo sviluppo, continua ad incarnarsi nelle civiltà e nei popoli con cui successivamente si incontra". Ciò significa amare il luogo di incarnazione e significa anche spoliazione e umiliazione, proprio come fu per Gesù. Ma grazie all'incarnazione Cristo ha poi potuto eseguire la glorificazione e così il cristianesimo trascende ogni cultura e la porta alla glorificazione e alla trasfigurazione.

4.1.5. Per una valutazione: cristianesimo come compimento

Spetta a Daniélou il merito di avere per primo cercato di impostare una riflessione coerente sulla realtà delle religioni non cristiane senza demonizzarle, cercando anzi di recuperare e valorizzare tutti quegli elementi positivi che si possono cogliere in esse.

Il pregio di Daniélou è quello di aver trovato una via di mezzo tra le due posizioni estreme in questo campo, diffuse soprattutto nel mondo del protestantesimo e cioè il pessimismo della teologia dialettica e il relativismo della teologia liberale.

La ricerca di Daniélou ha poi il merito di aver ripreso gli studi biblico patristici, nei quali era maestro, in favore di una più completa e attenta visione del problema che lo portò sì a negare un valore delle religioni per affermare però dei valori nelle religioni.

Le religioni non cristiane, così come esse si autocomprendono, non possono essere infatti autosufficienti in quanto non hanno in sè, in una forma esplicita e perfetta, quel principio che porta alla salvezza: Gesù Cristo; eppure esse contengono effettivamente valori molto importanti che si devono condividere.

Le religioni non cristiane esprimono il desiderio dell'uomo di conoscere e di raggiungere Dio. Poiché questo desiderio è buono, esse sono buone, al punto che la rivelazione cristiana non le distrugge, ma dà loro compimento. E tutto questo per quanto esse siano realmente segnate, come ogni realtà umana, dall'ambiguità dovuta al peccato.

Se le religioni esprimono la rivelazione cosmica di Dio, il quale fin dai primordi dell'umanità si manifesta attraverso il ciclo della natura e la voce della coscienza, esse sono però superate da quando è entrata nella storia l'economia ebraico-cristiana della salvezza. Si coglie così una separazione netta tra l'alleanza cosmica, quella biblica (ebraico-musulmana) e quella cristiana; saremmo di fronte a tipi di economie che si succedono eliminandosi a vicenda.

Ma è possibile sollevare un rilievo critico proprio su questo punto. L'unità del piano di salvezza di Dio, infatti, chiede continuamente un riferimento a Cristo, non importa a quale patto storico categoriale si voglia far riferimento, nè quale alleanza si intenda, giustamente, valorizzare. Mancando questo riferimento, anche se solo nascosto o implicito, non vi può essere salvezza.

Conseguentemente l'alleanza cosmica è valida solo in quanto in essa è presente, implicitamente, un riferimento a Cristo.

Alleanza cosmica, ebraica, cristiana sono momenti che non vanno intesi come staccati ed indipendenti, ma come sviluppo e completamente di ciò che in embrione vi è sempre stato fin dall’inizio poichè ogni uomo è creato in Cristo.

4.2. KARL RAHNER: IL CRISTIANESIMO ANONIMO

Karl Rahner è uno degli autori che più ha caratterizzato il dibattito in campo cattolico sul nostro argomento.

Il punto di partenza fondamentale nel confronto con le altre religioni è l'affermazione che il cristianesimo è la religione assoluta che ha origine da una libera auto-rivelazione di Dio che si comunica all'uomo. Ne consegue che esso è l'unica religione che può dirsi vera e legittima in senso pieno.

Ma poiché il cristianesimo ha avuto il suo inizio storico in un momento ben preciso della storia, esso non è sempre stato l'unica via di salvezza per gli uomini. Dunque ci si può oggi legittimamente domandare se l'inizio temporale della sua assolutezza, cioè della sua necessità in merito alla salvezza, che si può fissare nell'età apostolica, valga per tutti gli uomini a partire dal medesimo momento, quello della prima diffusione del cristianesimo dopo il giorno di Pentecoste, o non debba iniziare in tempi successivi per culture e ambienti storici diversi in quanto l'evangelizzazione delle nazioni è avvenuta in momenti spesso assai distanti tra loro.

Rahner propende per la seconda posizione.

Questa prospettiva consente di guardare con occhi diversi il fenomeno del paganesimo. Esso non va inteso allora come un rifiuto del cristianesimo, ma come "mancanza di una sufficiente presa di contatto sul piano storico col cristianesimo". Questa valutazione positiva delle religioni non cristiane ha un terminus ad quem, cioè il momento in cui il cristianesimo si fa proposta precisa. Quando ciò concretamente accada, se dal giorno di Pentecoste per tutti gli uomini o in tempi diversi, è questione aperta. Si è visto, però, come Rahner sia favorevole alla tesi di una diversità di tempi che dunque valorizza ancor oggi la presenza delle religioni non cristiane.

In questa situazione è evidente che "anche nelle religioni non cristiane si possono ammettere a priori e in via generica dei momenti, delle sostanziose tracce di grazia soprannaturale". Del resto ciò è richiesto soprattutto dalla volontà salvifica universale di Dio che è un contenuto di fede per il cristiano.

Prima della diffusione del cristianesimo in una determinata regione, le religioni sono dunque legittime e, nella provvidenza di Dio, hanno un significato positivo, esse sono un mezzo che mettono in contatto con Dio e fanno parte del suo disegno salvifico. Era infatti impossibile per l'uomo entrare in contatto con Dio, intessere una relazione con lui solo nel suo personale privato, perché questo richiede sempre una espressione sociale quale si manifesta, appunto, nel variegato mondo delle religioni.

Dunque la religione che una persona vive nella sua cultura, nel suo tempo, fra la sua gente, è legittima per chi vi è interessato e coinvolto anche se questo naturalmente non comporta che sia legittimo ogni elemento che la costituisce. Ma poiché non vi è salvezza senza la fede in Cristo, ogni uomo può essere considerato un cristiano, sia pure anonimo.

Tutto ciò ha inoltre un fondamento anche nell’antropologia rahneriana. Secondo il teologo tedesco sarebbe infatti insita nella natura umana una apertura alla rivelazione, un riferirsi a Cristo, che Rahner chiama esistenziale soprannaturale, esso ha portata universale e riguarda ogni uomo.

La novità che il cristianesimo ha rivelato sta nel fatto che "in Cristo e nella sua chiesa, la trascendenza dell'uomo non risulta aperta all'immediato contatto di Dio solo nel profondo della coscienza, in virtù del fattore esistenziale soprannaturale, ma anche per azione diretta della storia e della parola esplicita". Prima della venuta di Cristo c'era una storia della salvezza presente ovunque. Essa è sempre effetto di quella grazia che nel cristianesimo ha poi trovato una sua concretizzazione storica. Questa grazia fa della storia dell'umanità una storia della salvezza che converge in Cristo e nella chiesa che sono come la sua piena manifestazione storica e quando tutta la storia della salvezza sarà storia del cristianesimo e della chiesa, allora tutto sarà concluso.

Dunque "la fede in Cristo è necessaria in se stessa ed è incondizionatamente richiesta: non solo come condizione, ma come unica via transitabile. Sì, perché la salvezza dell'uomo non è altro che la pienezza, la maturità e lo stadio finale appunto di questo inizio, il quale perciò non può venir sostituito da null'altro. In questo senso, fuori dalla chiesa effettivamente non c'è salvezza, come diceva l'antica formula teologica". Eppure "l'alleanza di pace stipulata con Noè dopo il diluvio non è mai stata revocata, anzi, il Figlio stesso di Dio l'ha voluta suggellare con l'incontestabile autorità del suo amore offertosi in sacrificio, che tutti abbraccia".. Ciò significa che tutti gli uomini devono avere una possibilità concreta di appartenere alla chiesa e che dunque vi sono gradi diversi di appartenenza ad essa. Allora anche un pagano che appartiene alla chiesa anonimamente può morire in stato di grazia, la quale è pur sempre quella meritata da Cristo. Ma essere cristiano non è legato in modo automatico all'essere uomo, poiché la grazia viene sì donata, ma chiede di essere accolta. Va aggiunto però che questa accoglienza è resa possibile dalla capacità propria dell'uomo di essere aperto all'essere infinito, cioè a Dio per cui l'uomo, creato da Dio, è naturalmente portato ad attendere ed accogliere una ulteriore rivelazione che non può essere mai, comunque, un diritto.

4.2.1. Cristianesimo anonimo e compito missionario della chiesa

E' il titolo di una saggio specifico di Rahner il quale vede bene come la sua posizione possa essere fraintesa con il rischio di delegittimare l'attività missionaria della chiesa. Se, infatti, i pagani sono toccati dalla grazia di Cristo al punto da poter essere chiamati cristiani, sia pure anonimi, si potrebbe concludere con l'inutilità di un'opera evangelizzatrice da parte della chiesa, conclusione che qui Rahner con decisione rifiuta. In realtà le cose stanno proprio all'opposto in quanto:

1. La predicazione missionaria ha successo solo se si presuppone il cristianesimo anonimo, quale esistenziale perenne dell'uomo. La grazia della fede diventa attuale ed efficace grazie alla predicazione, ma questo in quanto essa era presente da sempre.

2. Il cristianesimo anonimo reclama quello esplicito.

Quindi possiamo dire che "la grazia tende alla propria oggettivazione nella predicazione della fede e la precede come condizione della sua possibilità", il fatto che essa sia presente non significa che non debba essere predicata, anzi, esige la predicazione. Così il cristianesimo anonimo reclama quello esplicito.

Diversamente da un tempo, infatti, oggi non si può spiegare la necessità della missione con il bisogno di salvare uomini altrimenti perduti e destinati alla dannazione, ma con il carattere incarnatorio della grazia che si vuole manifestare in forma esplicita per essere accolta dagli uomini.

4.2.2. Ateismo e cristianesimo implicito

Secondo Rahner la tesi del cristianesimo anonimo può essere applicata anche nel caso dell’ateismo incolpevole: "quanto si afferma delle religioni politeistiche nei paesi di missione può essere considerato valido anche per l'ateismo inteso come il risultato di una diversa situazione storica e sociologica.

Per sostenere questa posizione Rahner si rifà alla dottrina del Vaticano II.

1. "Dopo il Vaticano II è impossibile affermare che qualsiasi ateismo positivo nell'uomo concreto e singolo sia il risultato e l'espressione di una sua colpa personale".

2. "Anche un ateo non è escluso dalla possibilità di raggiungere la salvezza, premesso che egli, con il suo ateismo, non abbia agito contro la sua coscienza morale".

Si tratta di definire in che cosa possa consistere la fede dell'ateo che gli merita salvezza, poiché una qualche professione di fede è sempre necessaria. Ora, chi ritiene fondamentale una esigenza etica assoluta da seguire, attraverso i dettami della propria coscienza, pur implicitamente, coglie Dio come fondamento. Inoltre "l'ateismo incolpevole non annulla nell'uomo qualsiasi concreto rapporto fondamentale con Dio e precisamente il rapporto costituito dall'orientamento trascendentale, necessario, di sempre, dell'uomo verso Dio".

4.2.3. Per una valutazione: l'uomo è aperto alla rivelazione

Secondo Rahner è un dato evidente oggi che in questa società, caratterizzata dal pluralismo culturale e religioso, l'uomo moderno fatichi a recepire i dati della fede e a comprenderli quando questi gli giungano così come sono, immutati nei secoli. Ne consegue la necessità di un nuovo metodo in teologia che, partendo dall'antropologia, dunque dal basso, cerchi di trasmettere in termini significativi, la verità cristiana.

Per Rahner l'a-priori, ciò che costituisce l’uomo in quanto tale, ha come dimensione sua propria l'apertura alla trascendenza Questo aspetto è stato da lui definito "esistenziale soprannaturale", una dimensione dell'essere data dal creatore che si può già chiamare grazia in quanto dono gratuito di Dio che coinvolge ogni uomo anche al di là della sua consapevolezza. Poiché poi la grazia che salva fa parte di quel disegno di salvezza che ha in Gesù Cristo la sua dimensione storica e categoriale, ecco che si può parlare del cristianesimo anonimo come di una dimensione costitutiva l’essere umano.

Non esiste un uomo naturale. Esso è costituito fin dalle sue origini per accogliere la rivelazione. Ciò ha evidenti conseguenze per la teologia. Si potrà parlare, infatti, di una rivelazione esplicita e di una implicita, di una rivelazione categoriale e di una trascendentale. Mentre alla prima l'uomo dà il suo assenso attraverso un pubblico atto di fede, quanto alla seconda sarà sufficiente un atteggiamento di vita che esprima un sì dato alla propria esistenza, dunque una accettazione della propria realtà e della propria natura. Segno sufficiente di ciò è l’agire secondo coscienza.

In questo modo Rahner ha cercato di portare a livello speculativo in una teoria completa e coerente, ancorché aperta a nuovi contributi ed approfondimenti, il dato evidente del senso religioso dell'uomo, l'intenzionalità profonda della sua religiosità che sta alla base di tutte le religioni. Questo è un aspetto positivo della ricerca.

Sembra poi legittimo ipotizzare un segno di salvezza presente nell'uomo fin dalla sua creazione, come anche una sua preparazione ad un livello profondo ad accogliere la rivelazione.

Venendo più specificamente alla tesi del cristianesimo anonimo, la prima riserva riguarda la terminologia usata da Rahner. Il termine cristianesimo anonimo, infatti, sembra svalutare eccessivamente le religioni non cristiane togliendo loro qualsiasi specificità. Più consono potrebbe essere, casomai, parlare di cristiani anonimi che vivono la loro fede -che non per loro colpa è ancora cristianamente implicita- attraverso le altre religioni. Esse, in tal modo, potrebbero mantenere un proprio valore. In secondo luogo il cristianesimo anonimo potrebbe svalutare lo stesso cristianesimo esplicito finendo per ridurlo ad una sorta di umanesimo costantemente diffuso se pur con espressioni tanto diverse, quelle dategli dalle religioni.

Henri de Lubac che pure afferma la possibilità di salvezza di chi non è battezzato e ammette la possibilità di un agire dello Spirito al di fuori della chiesa, nega che da ciò si possa dedurre "che esiste un cristianesimo anonimo sparso dappertutto nell'umanità o, come si dice ancora, un cristianesimo implicito e che il solo compito della predicazione apostolica sarebbe quello di farlo passare, immutato in se stesso, allo stato esplicito, come se la rivelazione dovuta a Gesù Cristo non fosse altro che la messa a fuoco di ciò che già trovavano esistente da sempre".

Secondo il teologo francese l'a-priori di un cristianesimo anonimo, rischierebbe di supportare l'equivalenza pratica delle religioni, tesi in sè inaccettabile. In questa prospettiva, poi, viene sminuita tutta la novità sconvolgente dell'evento Cristo e del messaggio di salvezza del suo vangelo.

E' questa una teoria, inoltre, che potrebbe rendere difficile il dialogo, oggi così importante e continuamente richiamato, quale aspetto irrinunciabile anche di una attività missionaria. Certamente l'impostazione rahneriana non sfugge all'impressione di voler annettere indebitamente a sè prospettive religiose anche assai distanti dal cristianesimo e presta il fianco alla critica di un atteggiamento "coloniale" della chiesa proprio dei tempi passati. Essa dunque non potrà essere presa in considerazione nel rapporto con altri credenti che, a loro volta, potrebbero chiamare i cristiani musulmani anonimi o induisti anonimi.

Se però con quel termine, all'interno della chiesa, si vuole esprimere la reale possibilità di salvezza data ad ogni uomo anche se non battezzato e, corrispondentemente, la reale predisposizione di ogni uomo ad essere raggiunto dalla salvezza, allora esso potrebbe essere valido e mantenuto.

La riserva più significativa resta comunque quella di quanti hanno visto nella impostazione di Rhaner un pericolo circa il ruolo della chiesa per la salvezza ed una svalutazione del comando dato da Cristo ad essa per la missione. Rahner stesso era consapevole di questo e a tale obiezione ha risposto con i suoi scritti. E' vero che egli ha affermato che la differenza implicito/esplicito non è semplicemente di conoscenza, ma riguarda i mezzi efficaci di salvezza, per cui il cristiano esplicito ha, nel concreto, più possibilità di salvarsi in quanto "è" di più; cionondimeno nella sua dottrina così professata può restare l'impressione dell'ambiguità di un livellamento che rende male la pienezza del cristianesimo.

Infine la tesi di Rahner è stata particolarmente criticata da von Balthasar che non ha nascosto varie riserve oltre a quelle già accennate. Ne ricordiamo due.

La prima prende in considerazione il fatto che Rahner appoggia la sua tesi sull'identificazione dell'amore del prossimo con l'amore di Dio secondo quanto dicono i vangeli sinottici. Ciò gli consente di dedurre che ogni amore del prossimo è un a-tematico amore per Dio, anche sulla base del discorso escatologico di Matteo. Per von Balthasar, invece, il modello dell’amore del cristiano è Cristo stesso e lui si deve seguire per rispondere all’imperativo etico.

In secondo luogo von Balthasar critica l’impostazione rahneriana in quanto non metterebbe sufficientemente a tema una theologia crucis; inoltre non sottolineare il tema della croce significa poi limitare la gravità del peccato compiuto dall'uomo.

4.3. HANS KÜNG: PER UNA PACE UNIVERSALE

La produzione teologica di Hans Küng, nato in Svizzera nel 1928, soprattutto in questi ultimi anni, ha una forte connotazione ecumenica. Dopo le note vicende legate ad alcuni aspetti del suo insegnamento e conclusesi con l'allontanamento dalla cattedra di teologia all'università di Tubinga, il teologo svizzero è passato ad insegnare teologia ecumenica ed ancora di più, quindi, ha avuto modo di confrontarsi con la realtà delle religioni non cristiane di fronte alle quali il teologo deve poter dire una parola per interpretare, sempre alla luce della Parola, il senso e il significato di questa presenza.

Così in questi ultimi anni la sua attenzione è andata via via spostandosi sul tema, appunto, del rapporto tra le grandi religioni e il cristianesimo con una forte connotazione etica e pacifista. Il suo tentativo di trovare dei punti di contatto che consentano un dialogo proficuo tra le religioni, nasce anche dalla convinzione che non sarà possibile ottenere una pace significativa tra le nazioni se non vi sarà prima una pace religiosa se cioè, non si supereranno i reciprochi contrasti e le reciproche diffidenze.

Le religioni cercano di dare una risposta a quelli che da sempre sono i grandi interrogativi esistenziali dell'uomo. Nel loro tracciare una via pratica per la salvezza, esse hanno dei denominatori comuni nel campo dell'etica, compresa la regola aurea che dice di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.

Dunque, con il cristianesimo, anche le altre religioni sono consapevoli del bisogno di redenzione dell'uomo che vive in una condizione spesso miserevole, che soffre e che muore. Esse parlano di una divinità che è buona e misericordiosa, vicina ed anche lontana, ma che comunque si manifesta. Come il cristianesimo, tutte le religioni hanno dei profeti e in fin dei conti ogni credente cerca la stessa cosa attraverso la propria religione.

E' comune al cristianesimo, all'ebraismo e all'islam la fede nel Dio unico e creatore, la visione della storia orientata verso un fine, la predicazione profetica, un ethos fondamentale concretamente basato sui dieci comandamenti. "Ebraismo, cristianesimo ed islamismo formano insieme il movimento monoteistico mondiale, eticamente orientato". Ma "anche le religioni di origine cinese e indiana conoscono e riconoscono qualcosa di ultimo, di supremo o di profondissimo che determina ogni realtà, sia che si tratti di una Persona che governa o inabita, sia che si tratti di un principio superiore o onnipervasivo". Nell'induismo, Krishna è una delle molte incarnazioni di Dio, di Vishnu, ed ha trasmesso il suo messaggio attraverso la Bhagavad-Gita. "Quindi anche per gli indù l'unico Dio, in un tempo determinato, si è rivelato in un luogo determinato". E ancora si potrebbe continuare.

In vista di un fruttoso dialogo è comunque necessario avere un atteggiamento di ascolto sincero e di apertura verso l'altro senza l'arroganza di chi vuole imporre la propria posizione. Non si presterebbe, in questo senso, la tesi del cristianesimo anonimo di K. Rahner, con il quale Küng dissente e tantomeno la posizione della teologia protestante soprattutto di Barth, Bonhoeffer e Gogarten che riduce le religioni non cristiane a teologia naturale, dunque ad un orgoglioso peccato di arroganza dell'uomo.

"Poiché gli uomini possono ottenere la salvezza anche da altre religioni, queste si possono fondatamente definire vie di salvezza. Il problema della salvezza non rende tuttavia superfluo quello della verità". I non cristiani vengono infatti salvati nonostante gli errori e le aberrazioni presenti nelle loro religioni, per il cristiano esse possono avere elementi di verità, ma non posseggono la verità.

Sì dunque per un cristiano ad un dialogo con gli uomini delle altre religioni, ad una collaborazione, ad un'apertura che non rinnega la propria fede e non distrugge ciò che c'è di valido negli altri.

4.3.1. Per un dialogo costruttivo

Il tema del dialogo torna giustamente molte volte nelle opere di Küng, esso sembra essere un elemento irrinunciabile per la ricerca teologica oggi, ma anche per il vivere sociale dell'uomo sempre più indirizzato verso una società multi-razziale. Su questo punto c'è molta chiarezza. Meno chiaro sembra essere invece il ruolo che il cristiano deve avere a questo tavolo. Più volte, infatti, Küng sottolinea la pari dignità necessaria tra i partecipanti, pena il fallimento del dialogo stesso, per cui "qui non deve venir difeso nè un punto di vista esclusivo che condanna globalmente le religioni non cristiane e la loro verità, nè un punto di vista superiore, che vede a priori la propria religione come la migliore. Un tale punto di vista conduce soltanto alla facile apologetica, all'incapacità di apprendere e alla prepotenza, a quel dogmatismo, insomma, che presume a priori di possedere la piena verità, ma che proprio per questo non la trova".

"Abbiamo bisogno di un dialogo condotto nella reciproca responsabilità e nella coscienza che nessuno di noi possiede la verità piena, ma tutti siamo in cammino verso la verità sempre più grande".

Anche se questo, precisa subito Küng, non significa cadere in un relativismo superficiale o in un pluralismo qualunquistico o in un indifferentismo.

Ciò che conta, in questo campo, è che "non si tratta di mettere in atto uno scontro, tanto insensato, quanto sterile, in cui il cristiano pensa, senza successo, di poter dimostrare la superiorità del suo Dio, ma piuttosto di avviarsi ad un incontro autentico e fecondo, capace di stimolare le religioni non cristiane ad esprimere quanto di meglio e di più profondo serbano in se stesse. Riconoscere, onorare, valorizzare le verità delle altre comprensioni di Dio, senza però relativizzare e ridurre a verità universali la fede cristiana nel vero Dio: è questo il modo in cui al reciproco disprezzo potrebbe succedere la stima, alla trascuratezza la comprensione, al proselitismo lo studio e il dialogo".

Una riflessione sistematica sul nostro argomento la possiamo trovare in Teologia in cammino e, soprattutto, in Progetto per un etica mondiale.

4.3.2. I tre principi

Ecco allora la proposta di Küng. Si deve partire da una necessaria autocritica che ogni religione dovrà fare in quanto non tutto in esse è ugualmente vero e buono. Poiché poi ogni religione ha dei propri criteri di verità che non può applicare alle altre religioni, "si pone il problema dei criteri universali del vero e del bene, da applicare analogamente a tutte le religioni".

E' necessario un principio che possa servire come discriminante anche nella verifica all'interno delle pratiche di una religione: esso è l'umano.

Kung si domanda se "non dovrebbe essere possibile, con un appello alla comune umanità di tutti, formulare un criterio di fondo universalmente etico, fondato sull'umano, sull'autenticamente umano, in concreto sulla dignità umana e sui valori fondamentali ad essa connessi". Ecco dunque il primo principio.

Universalmente si può dire che è buono per l'uomo ciò che lo aiuta ad essere veramente uomo.

In effetti oggi in tutte le religioni, sia pure con risultati diversi, troviamo il tentativo di convergere verso la realizzazione e la promozione dell'uomo. E' un orientamento comune quello di impegnarsi per la tutela dei diritti umani, per l'emancipazione della donna, per la realizzazione della giustizia sociale per la lotta contro la guerra. E' questa una conferma che il criterio dell'umano consentirebbe davvero di stabilire ciò che è buono e non buono in una religione.

Il secondo principio afferma che una religione è vera e buona quando si mantiene fedele alle proprie origini e ai testi sacri che la fondano.

Dunque, dal punto di vista etico generale una religione è vera e buona se promuove l'umanità, da un punto di vista religioso generale è buona se è fedele alla propria origine, cioè alla propria essenza, infine, terzo principio, "una religione è vera e buona se e in quanto, nella sua teoria e nella sua prassi permette di riconoscere lo spirito di Gesù Cristo". E' quello che l'autore chiama "criterio specificamente cristiano", criterio da applicare direttamente al cristianesimo per verificare fino a che punto esso è stato realmente cristiano e indirettamente alle altre religioni per verificare in che misura si trovi in esse questo stesso spirito.

Ciò significa, in altre parole, che "l'unica vera religione non esclude affatto la presenza della verità anche in altre religioni, ma può attribuire valore ad altre religioni: vere con riserva. Esse, in quanto non contrastano direttamente con il messaggio cristiano, possono benissimo completare, correggere e approfondire la religione cristiana".

La conclusione di Küng lascia però perplessi, manca un approfondimento sul piano teologico di questo terzo principio, su cosa cioè si debba intendere di preciso con l'affermare la presenza dello spirito di Gesù nelle altre religioni. Su questo punto non c'è molta chiarezza.

Sembra mancare l'affermazione dell'assolutezza del cristianesimo ed è difficile sfuggire alla sensazione che qui la verità sia relativizzata, in altra parte Küng aveva anche affermato che neppure il cristiano possiede il monopolio della verità.

Il cristiano, inoltre, è tale perché crede in Gesù Cristo, mentre "il cristianesimo, in quanto religione è fenomeno storico estremamente ambivalente. E' perciò impossibile definire il cristianesimo come la religione assoluta; in quanto religione anche il cristianesimo si presenta nella storia universale altrettanto relativo quanto le altre religioni".

L'unico assoluto è l'assoluto.

Allora "per me come credente il cristianesimo, in quanto testimonia Dio in Cristo, è certamente la religione vera. Ma nessuna religione possiede la verità intera, Dio solo possiede la verità piena".

4.3.3. Per una valutazione: la pace religiosa e la promozione dell'uomo

Cogliamo un atteggiamento decisamente positivo in Küng verso le religioni non cristiane. Ci si domanda però se, in quanto teologo cristiano ed anche cattolico, Küng non sia andato oltre, finendo per relativizzare l'assolutezza del cristianesimo in nome di una apertura ed un dialogo in vista del quale ogni invitato dovrebbe lasciare le proprie certezze per porsi in sincero ascolto dell'altro senza alcuna imposizione e senza un atteggiamento prevaricatore.

Il criterio dell'umano ha certamente il pregio di garantire un minimo comune denominatore valido per ogni espressione religiosa. Questa intuizione va sicuramente valorizzata e presa in considerazione, ma solo per ciò che essa è, solo in quanto indica che anche le religioni più diverse in realtà hanno davanti un obiettivo comune, quello di realizzare l'uomo, per cui è buono ciò che rende l'uomo più uomo.

Non manca poi una visione eccessivamente ottimistica della natura umana nell'assunzione del criterio di fedeltà alla propria tradizione religiosa quale segno di verità e di autenticità. Non tutto, infatti, si può accettare di riti e prassi che nei secoli hanno caratterizzato la pratica religiosa. Ci si può facilmente domandare, ad esempio, se certe usanze siano state e siano effettivamente in favore della realizzazione dell'uomo come vuole il primo principio.

Problematico diventa andare oltre questa posizione in quanto il vero dialogo non deve nascere dalla rinuncia alle proprie convinzioni, posizione questa che invece Küng sembra sostenere quando afferma che la normatività di un sistema di pensiero, di una teologia, di una rivelazione è tale solo all'interno della propria religione.

Lo stesso Küng sembra cerchi di recuperare l’aspetto universale del cristianesimo quando poi propone come criterio di verità di una religione la possibilità di riconoscere in essa la presenza dello Spirito di Gesù Cristo che dunque sarebbe sotteso ad ogni espressione religiosa umana. Ma, in tal modo, si ha l'impressione che solo alla fine Küng cerchi di recuperare la dimensione cristiana del proprio essere teologo e credente dopo averla relativizzata in favore di un dialogo alla pari.

4.4. PAUL KNITTER: DAL CRISTOCENTRISMO AL TEOCENTRISMO

Il teologo americano cattolico, discepolo di Rahner, Paul Knitter rappresenta qui una serie di autori che, in favore di un dialogo più autentico con gli esponenti delle altre religioni, hanno cercato di andare oltre la posizione oggi più comune in ambito cattolico per la quale le religioni non cristiane possono essere intese quali vie straordinarie di salvezza in quanto anch’esse, sia pure per vie misteriose e in una forma non completa, trasmettono la grazia di Cristo. Questa tesi, infatti, a loro parere, pecca ancora di autoritarismo cristiano e male si adatta per un genuino confronto con le altre tradizioni religiose oggi praticate nel mondo.

Il mondo pluralista in cui viviamo, chiede di abbandonare la ricerca di una verità assoluta, monolitica, in grado di affermarsi con autorità fagocitando tutto, in favore di un pluralismo unitivo in cui le diversità non vengano soppresse, ma valorizzate. Così "i molti sono chiamati ad essere uno, ma un uno che non divora i molti e l'uno è costituito da ognuno dei molti che porta il suo distinto contributo agli altri e così al tutto".

Knitter propone di applicare questo principio del pluralismo unitivo al campo delle religioni, rifacendosi all’opera di due altri teologi: John Hick e Raimundo Panikkar.

4.4.1. La proposta di Knitter: una cristologia teocentrica

"Il modello cattolico propone una unicità inclusiva di Gesù; l'azione rivelante e salvante di Dio in Gesù include tutte le altre religioni, o sotto forma di una presenza anonima e cosmica all'interno di esse o come loro compimento finale".

Per Knitter Gesù è sì unico, ma la caratteristica della sua unicità è di porsi in relazione con altri personaggi religiosi unici, la sua è dunque una "unicità relazionale".

Ciò porta alla necessità di interpretare in maniera nuova le affermazioni cristologiche del Nuovo Testamento. Per comprendere il dato biblico, infatti, non basta riferirsi al suo contesto storico, ma bisogna anche sempre rifarsi all'orizzonte di esperienza e di significato del lettore che cambia continuamente nel corso della storia. La novità oggi consiste nella consapevolezza della relatività di tutte le culture e di tutte le acquisizioni storiche nonché del pluralismo in campo religioso: è questo il nuovo orizzonte di cui si dovrà tener conto nell'interpretazione dei testi. La conseguenza è che le affermazioni di assolutezza di Cristo che si trovano nel Nuovo Testamento, non fanno parte del contenuto fondamentale di esso, ma sono dovute al condizionamento storico e culturale del tempo.

Il contenuto centrale della predicazione di Gesù fu, infatti, l'annuncio del Regno di Dio, Gesù era al servizio di Dio per l'annuncio del suo Regno, dunque il messaggio di Gesù era teocentrico: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà ". Il messaggio del Nuovo Testamento è invece cristocentrico, in esso finì che "il proclamatore divenne il proclamato".

Invece "il cristocentrismo del Nuovo Testamento, correttamente interpretato, tiene fede al teocentrismo originario di Gesù. Gesù non prende mai il posto di Dio. Anche nei tre testi in cui è proclamato Dio o divino (Gv. 1,1; 20, 28; Eb. 1, 8-9) viene salvaguardata un'evidente subordinazione. Persino Paolo, pur insistendo sul suo cristocentrismo radicale, ricorda alla sua comunità: "voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1Cor. 3, 23). La sua visione finale è che "Dio sia tutto in tutti" (1Cor. 15, 28). Il Nuovo Testamento conserva un equilibrio delicato, a volte difficile, tra cristocentrismo e teocentrismo".

Prima di tutto è naturale che l'esperienza travolgente avuta dai primi cristiani li portasse ad interpretare la vicenda di Gesù come un qualcosa di definitivo ed esclusivo. Nella cultura classicista del tempo, infatti, la verità era intesa come unica, immutabile e normativa. La cultura storica di oggi e l'esperienza del pluralismo consente invece di pensare alla verità di Gesù senza escludere altre verità. Anche la mentalità escatologico-apocalittica portava ad interpretare l'esperienza di Gesù come un qualcosa di definitivo, a partire da questa impostazione non potevano esserci certo altre rivelazioni. La chiesa inizialmente era in condizione di minoranza, con il pericolo di essere soppressa, per cui, con un "linguaggio della sopravvivenza" proclamarono Gesù come unico e solo salvatore.

Un linguaggio esclusivista ha poi sempre origine dall'entusiasmo dei credenti. Così fu per i primi cristiani, esso è il linguaggio dell'amore. Nel linguaggio esclusivista noi troviamo l'intento di far prendere sul serio il messaggio di Gesù e la necessità di legarsi completamente a lui.

Ora invece possiamo bene affermare che "per considerarsi vera religione il cristianesimo non deve considerarsi religione assoluta".

Knitter interpreta l’incarnazione del Verbo come un mito, senza con ciò negarne la verità storica, ne nega invece l’unicità: nella storia vi sarebbero state altre incarnazioni, testimoniate dalle varie religioni.

Resta da chiarire il significato della resurrezione di Gesù, in quanto, effettivamente, essa sembra comportare una unicità esclusiva di Cristo. Knitter ritiene che le testimonianze della resurrezione siano mitiche, tentativi di illustrare ciò che accadde. La conclusione è che solo nella conversione e nella fede dei credenti possiamo cogliere il segno di tale realtà.

In realtà l'esperienza di conversione e di fede è stata provocata nella storia degli uomini anche da altre figure religiose dopo la loro morte, p.es. Budda. E i buddisti sentono la presenza di Budda, ma non parlano di resurrezione in quanto la resurrezione non era modello interpretativo nella loro cultura reincarnazionista. "Quanto accadde ai primi cristiani e a Gesù dopo la sua morte potrebbe essere accaduto ad altri credenti e ai loro salvatori. La resurrezione di Gesù, in tutto il suo mistero e potenza autentici, non implica necessariamente un unico e solo".

In questa prospettiva è evidente che per il cristiano la fede porta a confessare la convinzione che Gesù è il rivelatore e il salvatore, ma non comporta necessariamente, che lui solo possa svolgere questa ruolo nella storia degli uomini.

4.4.2. In favore di un dialogo vero

Il dialogo è possibile oggi solo basandosi sul fatto che "la nostra coscienza storica contemporanea ha riconosciuto la natura progressiva e pluralista della verità". Una cosa per essere vera non ha bisogno di essere assoluta.

In tal modo si può effettivamente procedere verso un pluralismo unitivo delle religioni. In questa prospettiva le differenze tra le religioni non sono contraddizioni, ma sono il segno di una complementarietà. E mentre si scopre la personalità di Dio, ci si rende conto che Dio è sempre al di là di ogni scoperta.

Ne deriva la necessità di cambiare i fini della missione cristiana, che consiste non tanto nel salvare gli uomini con il battesimo, quanto nel promuovere il regno, la giustizia e l'amore. Per promuovere il regno tutti i popoli dovrebbero conoscere Cristo, ma anche Budda, Maometto, Krishna, etc. L'annuncio del vangelo, tra l'altro staccato da una impostazione europea-occidentale, dovrebbe rendere i cristiani migliori cristiani e i buddisti migliori buddisti.

Conseguentemente non si può oggi fare teologia a partire da una sola tradizione religiosa. Si deve essere sì radicati nella fede di una religione, ma aperti. C'è bisogno, insomma di una teologia globale o mondiale. Ora ormai ogni religione potrà comprendersi solo entrando in relazione con le altre religioni e il teologo cristiano, riflettendo sui grandi temi che gli si pongono innanzi, dovrà conoscere le risposte che ad essi danno gli esponenti delle altre religioni e viceversa.

Knitter è solo disposto ad assegnare all’evento storico di Gesù Cristo in qualcosa che supera tutti gli altri eventi, senza però specificare ulteriormente tale aspetto.

Il successivo sviluppo di questa posizione ha portato l'autore ad un ulteriore "mutamento di paradigma" passando dal teocentrismo, che si adatterebbe bene solo alle religioni che credono ad un Dio personale, ad una sorta di soteriocentrismo che pone al centro la tematica della salvezza, per giungere poi al regnocentrismo. E' questa una ulteriore elaborazione che riprende temi della teologia della liberazione e che cerca di porre al centro la questione della prassi.

La promozione del regno e della sua sotería può oggi essere considerata, secondo Knitter, come il punto di convergenza reale ed effettivo di tutta la religiosità dell'uomo.

4.4.3. Per una valutazione: il pluralismo religioso

La posizione di Knitter, teologo cattolico americano, assieme a quella simile dell'anglicano John Hick, nell'ambito della teologia delle religioni, è certamente la più distante dalla tradizione ecclesiale e la più nuova dal punto di vista di una elaborazione dottrinale.

Non c'è dubbio che il pluralismo attuale, la migliore conoscenza, il superamento di gravi e sciocchi pregiudizi abbia di molto cambiato l'atteggiamento della chiesa verso i credenti non cristiani e viceversa. La possibilità di una storia della salvezza generale che risponde alla volontà salvifica di Dio e che coinvolge ogni uomo sulla terra è ipotesi oggi comunemente accettata nell'ambito della teologia cattolica. All'interno di questa prospettiva, però, il ruolo che vi giocano le varie religioni non può essere messo sullo stesso piano, mentre sembra essere questa la posizione dell'autore ora in considerazione. Sostituendo il cristocentrismo con un generico teocentrismo si svaluta il cristianesimo riducendolo, di fatto, ad una delle tante espressioni religiose dell'umanità conseguenti ad una determinata rivelazione, quella avvenuta in Gesù Cristo.

Ma questa rivelazione perde il suo carattere di assolutezza nel momento in cui viene paragonata ad altre rivelazioni avvenute nella storia dell'umanità e posta sullo stesso piano.

In realtà, per un teologo cristiano, non si vede come sia possibile staccare il teocentrismo dal cristocentrismo, quasi che discorso su Dio e discorso su Cristo siano in alternativa.

Allo stesso tempo la separazione tra la chiesa e il Regno di Dio, il proporre un regnocentrismo che vada oltre il riferimento ecclesiale, non è accettabile per un teologo cristiano: non si può separare il Regno da Cristo e dalla chiesa, in quanto il Regno di Dio si identifica con Gesù Cristo. Ne consegue che l'ipotesi di parlare del Regno di Dio senza un preciso riferimento a Cristo e alla chiesa non è fondata sulla rivelazione cristiana.

La radicalità della proposta, il cui effetto dirompente non sfugge nemmeno ai suoi propositori, viene motivata dall'imperativo del dialogo, della concordia e finalmente della pace, meta fondamentale da realizzare insieme. Ma già a questo livello si possono fare delle obiezioni. Solo in apparenza, infatti, questa impostazione potrebbe favorire un dialogo costruttivo in quanto essa finisce per svilire le varie tradizioni religiose facendo perdere ad ognuna di esse, dunque non solo al cristianesimo, la propria identità e rendendole infine incapaci di un vero dialogo costruttivo tra di loro.

La posizione di Knitter, inoltre, non ha agganci nè con la tradizione ecclesiale, nè con la tradizione biblica e soprattutto con le affermazioni cristologiche del Nuovo Testamento che, al contrario, ribadiscono con chiarezza l'unicità e la singolarità di Gesù Cristo a partire dall'evento fondamentale della resurrezione.

Discutibile è poi il concetto pluralistico di verità applicato alla tematica religiosa e fatto proprio da Knitter, per il quale la stessa verità religiosa non può essere raggiunta, ma solo avvicinata da più parti possibili e in modo pluralista, grazie al contributo di più apporti. E' evidente che a nessuno è dato di poter esaurire la conoscenza di Dio, l'uomo però conosce nella verità ciò che Dio ha voluto rivelare di sè e questa conoscenza è vera e certa.

Allo stesso tempo la relativizzazione della resurrezione di Gesù che nella prospettiva di Knitter è solo un fatto, per quanto grande e straordinario, finalizzato alla conversione, ne svuota tutta la portata di unicità potendo mettersi a fianco di altri grandi gesti compiuti, per esempio, dai fondatori delle altre religioni allo stesso scopo e con la stessa efficacia di conversione.

Mentre invece la fede della chiesa, tutto il suo essere, tutta la sua storia, nascono da questo evento: Gesù Cristo è risorto!

Se non si prende sul serio un tale avvenimento in tutta la portata di novità che lo caratterizza ed anche nel cambiamento di prospettive che esso comporta per la vita degli uomini, aprendo concretamente possibilità di salvezza e di vita eterna, non ci si può dire ancora cristiani.

E' troppo poco terminare la trattazione della questione affermando una certa superiorità del cristianesimo come un qualcosa che supera gli altri eventi di rivelazione dopo averne scardinato le basi e messo in discussione gli aspetti principali.

4.5. JACQUES DUPUIS: LE RELIGIONI MEDIANO LA SALVEZZA DI CRISTO

Dupuis è un gesuita belga nato nel 1923 che dal 1938 al 1984 è vissuto in India dove per venticinque anni ha insegnato teologia sistematica. Dal 1984 insegna presso l'Università Gregoriana a Roma. I suoi interessi vanno dalla cristologia alla teologia delle religioni e della missione. Dirige la rivista Gregorianum ed è consultore presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. La sua esperienza in India lo ha portato ad interessarsi molto al problema del rapporto tra il cristianesimo e le altre tradizioni religiose, soprattutto l'Induismo. Nell'opera Gesù Cristo incontro alle religioni egli ha riepilogato la sua posizione ponendosi in dialogo ed esponendo la varie correnti teologiche che oggi dibattono l'argomento.

Recentemente è uscito un nuovo volume nel quale il teologo belga ha proposto il frutto delle sue ultime ricerche: Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso . In questo testo Dupuis tenta, con significative, ma anche discutibili novità, una sua teologia cristiana del pluralismo religioso.

Egli è convinto che vi sia un solo Dio, un solo Cristo, ma percorsi diversi sia pur convergenti. Ritiene in tal modo di poter combinare il teocentrismo con un cristocentrismo correttamente inteso.

Un teocentrismo cristocentrico accomunerebbe le religioni per un comune riferimento a Dio e per il necessario riferimento a Cristo.

Dio e Cristo non possono infatti essere separati, la cristologia è cristologia trinitaria, perciò Cristo è egli stesso orientato al Padre, porta al Padre agendo universalmente non solo nella dimensione storica conseguente all’incarnazione e alla mascita della chiesa, bensì anche grazie all’agire universale del Verbo e dello Spirito che è Spirito di Cristo.

Un solo Dio: è il Dio-Trinità che Gesù ci ha rivelato.

Un solo Cristo: è il Cristo storico, uomo-Dio, massima manifestazione del divino nell’umanità, ma "all’interno della molteplice modalità dell’autorivelazione e dell’automanifestazione divina per mezzo del Verbo e dello Spirito"

Percorsi convergenti: sono le religioni che conducono alla stessa meta testimonianza dell’opera del Verbo e dello Spirito.

Si afferma in tal modo "il carattere fondatore dell’evento-Cristo quale garanzia della multiforme automanifestazione, autorivelazione e dono di sé di Dio all’umanità, in un’economia della salvezza attraverso la quale i diversi percorsi tendono a convergere gli uni verso gli altri nell’assoluto Mistero divino che costituisce il fine ultimo di tutti".

Conseguentemente la storia della salvezza non inizia con Abramo, ma con Adamo, sulla base di 1Tm 2,4.

Secondo Dupuis, Danielou e von Balthasar hanno ridotto troppo il valore dell’alleanza cosmica. Per loro essa è solo pre-istoria della salvezza in quanto risposta umana ad una rivelazione di Dio povera (quella cosmologica), mentre invece si dovrebbe parlare di rivelazione solo dove ci sia l’intervento personale di Dio, dunque da Abramo, e non da Adamo.

Dupuis rifiuta questa impostazione e, sulla linea di Rahner, pensa alle religioni come a delle espressioni storiche, volute da Dio, della storia generale della salvezza.

Inoltre se cristocentrismo non è cristomonismo e comprende l’agire del Verbo e dello Spirito (che è sempre Spirito di Cristo) oltre il cristianesimo, allora è cristocentrica anche la storia generale della salvezza.

Sul tema dell’alleanza si può anche pensare ad una sola alleanza offerta ad Adamo di cui le altre (Noè, Abramo, Cristo) sono segno e rinnovo, in una continuità che ha al vertice la nuova ed eterna alleanza. Perciò l’alleanza cristiana non ha eliminato le precedenti, la nuova alleanza (Cristo) ha svelato la prima (Israele), non soppresso.

In tal modo si evita anche l’impressione che vi siano vie parallele di salvezza (tante aquante sono le religioni), il che negherebbe l’unità del piano divino, così "la salvezza giunge agli ebrei attraverso l’alleanza conclusa da Dio con Israele e recata a perfezione in Gesù Cristo" .

4.5.1. Parola di Dio, unica ed universale

Eb 1, 1-2: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte…"

Dupuis afferma che vi è una universalità della rivelazione di Dio nella storia dell’umanità e che dunque ogni uomo ha la possibilità di incontrarsi con il Divino, sia pure in forme e modalità totalmente differenti. Questo parlare di Dio avviene però sempre nel Verbo e attraverso lo Spirito. Se il vertice di ciò avviene attraverso il "Verbo incarnato", va anche detto che prima avveniva attraverso il "Verbo da incarnarsi" ed avviene anche dopo per chi non ha conosciuto il cristianesimo.

Si può allora parlare di carisma profetico anche al di fuori di Israele, del resto la Bibbia stessa lo ammette, si pensi a Balaam (Nm 22-24). Si potrebbe allora perfino parlare anche di Maometto profeta, sia pure annunciatore di una rivelazione imperfetta e incompleta, ma non per questo falsa.

Si può dunque pensare ad una rivelazione nella storia progressiva e differenziata ed anche ad un concetto analogico di ispirazione, che in tal modo potrebbe essere esteso anche ai testi sacri delle altre religioni, nella consapevolezza che in essi, diversamente dalla Bibbia, vi sono però anche elementi umani, poveri, errati.

Pur con questi limiti secondo Dupuis, i libri sacri delle religioni si possono chiamare anch’essi Sacre Scritture.

Ciò che è comunque necessario affermare è l’assoluta superiorità e perfezione della rivelazione di Gesù Cristo.

4.5.2. Volti del mistero divino

La tesi dei pluralisti (Knitter, Hick…) vede in Dio la Realtà ultima inconoscibile e nel Dio dei rivelatori (Cristo, Budda, Maometto) la sua espressione fenomenica.

Il cristiano non può accettare tale posizione, per lui la Realtà ultima è conoscibile ed è il Dio-Trinità personale annunciato da Gesù.

Sulla dottrina cristiana, però Dupuis afferma essere normativo il dato biblico e invece oggetto di possibili ulteriori chiarificazioni il dato dogmatico sancito dalla tradizione. In questo senso qui ci potrebbe essere un possibile continuo sviluppo dogmatico in nome della sempre da affermare relatività della nostra conoscenza di Dio.

Si potrebbe allora esprimere la dottrina trinitaria in modo tale da essere assimilata anche al di fuori della tradizione cristiana?

Questo è uno dei filoni di ricerca attuale, soprattutto nell’ambito della mistica orientale dove si possono trovare analogie interessanti e suggestive con il tema cristiano della filiazione divina.

In conclusione "le tradizioni religiose del mondo trasmettono differenti intuizioni del mistero della Realtà ultima. Per quanto incomplete, queste intuizioni attestano una multiforme automanifestazione di Dio agli esseri umani in differenti comunità di fede. Esse sono volti incompleti del Mistero Divino variamente sperimentato, che devono trovare compimento in colui che è il volto umano di Dio".

4.5.3. Gesù Cristo: uno e universale

Per i pluralisti ogni conoscenza umana dell’Assoluto è relativa in quanto legata alla storia, l’insistenza su Cristo della chiesa primitiva fuorviava il messaggio, Cristo era incentrato su Dio, la chiesa si incentrò invece su Cristo. Per aprirsi al pluralismo è necessario relativizzare Cristo.

Dupuis propone invece di aprirsi al pluralismo senza con ciò relativizzare Cristo, anzi, mantenendone con forza tutta l’universalità, ma non l’assolutezza che andrebbe attribuita solo a Dio.

Unicità e universalità di Cristo non sono allora né relative, né assolute, ma costitutive di tutta la religiosità umana, ciò non comporterebbe la condanna delle figure salvifiche presenti nelle altre religioni.

Assoluto non è Cristo, assoluto è l’Assoluto, Dupuis chiede una nuova ermeneutica del Nuovo Testamento, una "interpretazione nel contesto" (che oggi è quello pluralistico) che ci consenta di comprendere un "surplus di significato biblico" rimasto ancora nascosto.

È vero che Gesù Cristo è via, verità e vita, ma è vero che il Verbo è anche la luce che illumina ogni uomo.

Ma l’universalità dell’azione del Verbo, deve essere legata alla particolarità del Figlio incarnato e tuttavia l’evento Cristo non esaurisce la potenza salvifica di Dio, dopo l’incarnazione il Logos e lo Spirito continuano infatti ad operare nell’umanità come facevano prima dell’incarnazione, anche se non in una economia parallela perché questa azione è pur sempre espressione della volontà di Dio che sta a monte di tutto e garantisce l’unità di fondo.

4.5.4. Vie di salvezza

L’unicità di Cristo è allora costitutiva (cioè l’unico Cristo è tale da essere il significato ultimo di ogni espressione religiosa di salvezza) e relazionale (cioè inserita nel disegno complessivo di Dio per l’umanità, il suo relazionarsi con ogni uomo). Vi è dunque relazione tra la via Gesù e le vie delle religioni (espressione del relazionarsi del Verbo) che ora sono qui considerate non come frutto della ricerca umana del divino, ma come intervento di Dio, volute da Dio nel suo piano di salvezza. Esse sono "mediazioni partecipate" dell’unica salvezza di Cristo.

"Da parte nostra la locuzione varie vie verso una meta comune viene usata nella convinzione che la meta ultima voluta da Dio per ogni vita umana sia l’unione personale con lui come si è rivelato in Gesù Cristo".

Però il documento "Cristianesimo e religioni" della Commissione Teologica Internazionale (1996) è cauto nel riconoscere una funzione salvifica alle altre religioni anche se afferma che non si possa escludere una certa funzione salvifica presente in esse (nn. 84 e 96).

Secondo Dupuis l’azione salvifica di Dio non prescinde mai dall’evento Cristo, ma non è vincolata dall’evento storico di Gesù. Se inoltre si parla di bontà soggettiva della fede religiosa sincera dei non cristiani si deve anche parlare bene della loro religione in quanto non si possono separare i due momenti dell’atto religioso, quello soggettivo e quello oggettivo.

Perciò ogni esperienza di Dio è un incontro con Dio in Gesù Cristo e questo vale anche per i non cristiani, in forza dell’azione universale del Logos e dello Spirito. I frutti dello Spirito sono il segno dell’efficacia della sua azione e si trovano anche al di fuori del cristianesimo, così anche l’amore per il prossimo, etc. Da questo punto di vista possiamo perfino affermare che cristianesimo e religioni si completano nelle loro ricchezze.

In conclusione "è legittimo parlare di manifestazioni diverse del Verbo nella storia. Il Verbo che "illumina ogni uomo" (Gv 1,9) è la fonte dell’illuminazione di Budda; il medesimo Verbo si è fatto carne in Gesù Cristo (Gv 1,14). Non tutte le manifestazioni del Verbo hanno però lo stesso significato. L’incarnazione, paragonata all’illuminazione, ha una densità storica tutta sua".

"La salvezza è all’opera ovunque; ma nella figura concreta del Cristo crocifisso la si vede compiuta, Gesù Cristo è dunque l’unico Salvatore non in quanto unica manifestazione del Verbo di Dio, che è Dio stesso: e nemmeno nel senso che in lui la rivelazione di Dio sia completa ed esaustiva, il che non è e non può essere; ma relativamente al processo universale della rivelazione divina che ha luogo per mezzo di manifestazioni concrete, limitate".

4.5.5. Il Regno di Dio, le religioni, la chiesa

In passato la chiesa veniva identificata con il Regno di Dio, con il corpo mistico di Cristo (così la Mystici corporis di Pio XII del 1943), perciò apparteneva al Regno solo chi apparteneva alla chiesa.

Su questo punto risulta più sfumato il Vaticano II in LG 8 ("questa chiesa sussiste nella chiesa cattolica"). Si è poi soliti distinguere tra Regno di Dio presente nella storia e Regno nella realtà escatologica che è altra cosa. La nascita della chiesa coincide in effetti con l’avvento del Regno in Gesù Cristo, ma di questo Regno la chiesa costituisce solo germe ed inizio.

Tuttavia l’impostazione di LG tende ancora ad identificare chiesa e Regno di Dio e così poi anche la Commissione Teologica Internazionale in "Temi scelti di ecclesiologia" (1985).

La Redemptoris missio fa invece pensare ad una impostazione più larga in cui il Regno di Dio va oltre la chiesa ed abbraccia tutto il genere umano, dove agisce lo Spirito. Questa enciclica "è il primo documento del magistero romano a distinguere chiaramente, pur tenendoli uniti, la chiesa e il Regno di Dio nel loro pellegrinaggio lungo la storia: il Regno presente nel mondo è una realtà più ampia delle chiesa; esso si estende al di là dei confini di quest’ultima ed include – anche se in modi che possono essere differenti - non soltanto i membri della chiesa, ma anche gli altri".

L’agire stesso di Gesù anche per degli stranieri, come in alcuni suoi miracoli, indica che il Regno va oltre la chiesa e che la signoria di Cristo risorto si estende al mondo intero.

Si può così adottare un sistema regnocentrico, ma senza che esso possa essere staccato dal cristocentrismo, dato che non si può separare il Regno di Dio dal Gesù storico che l’ha instaurato e dal Cristo Signore che lo domina.

Allora, pur con tutte le differenze, cristiani e non cristiani collaborano per l’edificazione del Regno che riguarda già fin d’ora tutta l’umanità.

A più riprese il Vaticano II afferma la necessità della chiesa per la salvezza degli uomini (LG 1, 9, 14, 48; UR 3), ma senza dimenticare che per tutti c’è almeno una ordinazione ad essa. La chiesa mantiene allora un ruolo nella salvezza di ogni uomo, (RM 10).

Eppure per il non cristiano vi è anche una "mediazione suppletiva" (oltre quella, misteriosa nella modalità, della chiesa) operata dalla sua tradizione religiosa. In pratica per lui la chiesa non opererebbe come cause efficiente, ma solo come causa finale.

La chiesa non opera dunque una mediazione salvifica causale per i non cristiani, perciò si appartiene al Regno di Dio anche senza appartenere formalmente alla chiesa.

4.5.6. Il dialogo tra le fede: prassi e teologia

Il dialogo è parte integrante oggi dell’azione evangelizzatrice della chiesa, ma esso non mira alla conversione, anche se resta sempre valido l’appello al battesimo.

Il dialogo aiuta la comprensione ed anche la purificazione dei dialoganti. Non si fa dialogo se si è assolutisti, perciò per il cristiano la pienezza di rivelazione in Cristo non sarà quantitativa, ma qualitativa, cioè di intensità, forza, valore, ma non tale da essere imposta a tutti, nel senso di una professione di fede esplicita, per la salvezza degli uomini (sarebbe un assolutismo quantitativo).

4.5.7. Conclusione

La ricchezza di Dio è sovrabbondante, essa va oltre il cristianesimo, oltre la chiesa, l’incarnazione non cancella l’azione universale del Verbo e dello Spirito che continuano ancor oggi.

L’evento Cristo è costitutivo della salvezza dell’umanità, Cristo è in relazione con tutte le altre manifestazioni del divino nell’umanità, perciò "nell’intera storia dei rapporti di Dio con l’umanità si trovano più verità e grazia di quante non siano disponibili semplicemente nella tradizione cristiana".

Tra cristianesimo e altre religioni vi è allora un rapporto di complementarietà e di convergenza, un arricchimento vicendevole destinato a compiersi come un movimento progressivo ed inarrestabile. Si tratta della meravigliosa convergenza di cui parlava Teilhard de Chardin che si realizzerà alla fine dei tempi.

4.5.8. Per una valutazione

Pur riconoscendo il valore e la suggestione del testo, Inos Biffi ha recentemente presentato gravi riserve sulle tesi di Dupuis: "Le affermazioni fondamentali che guidano tutto il volume e lo concludono, ci sembrano inaccettabili non solo dal punto di vista teologico, ma anche dal profilo della fede cristiana".

In particolare tutto il libro ruota attorno una affermazione di effettiva novità, quella per la quale, cioè, il pluralismo non è semplicemente una realtà di fatto, de facto, con la quale dover fare i conti, bensì una realtà di diritto, de iure, fondata sul dono sovrabbondante e universale dell’amore di Dio che salva. In questo modo si rischia però di sminuire l’opera di evangelizzazione e il comando di Gesù di andare a battezzare

L’incarnazione, in quanto evento storico, non può allora essere un qualcosa di assoluto e va inserita all’interno delle tante altre manifestazioni divine fatte all’umanità, espressione dell’azione del Verbo e dello Spirito guidata dal Padre.

Per sostenere la sua posizione, Dupuis afferma la necessità di una ermeneutica tale da poter rileggere i testi del Nuovo Testamento alla luce del contesto odierno pluralistico, ma è proprio questo un punto assai delicato, tanto più che anche i pluralisti sostengono questa posizione per giungere poi a tesi inaccettabili.

Il punto più problematico resta quello del rapporto Cristo-salvezza. Nella sua ipotesi Dupuis "lascerebbe uno spazio non coincidente con quello di Gesù Cristo in cui oltre o accanto a lui, il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo operano la salvezza in figure e tradizioni non cristiane. La ragione di questo spazio non occupato da Cristo sarebbe i limite storico dell’umanità di Gesù".

Il Nuovo Testamento afferma invece costantemente che non vi è salvezza che non passi per Gesù Cristo, il Verbo incarnato, il Figlio di Dio! E Gesù nei vangeli afferma chiaramente tale autocoscienza.

Da questa convinzione centrale, secondo Biffi, si deve partire per fare una teologia cristiana delle religioni, solo Gesù è il Salvatore, Gesù, cioè Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza.

Meno critico ci sembra il giudizio di Piero Stefani con la riserva per il ripetuto uso della formula "disegno/progetto" di Dio che consegna un’immagine progettuale di Dio poco conforme al racconto biblico, dove si parla piuttosto di "vie" di Dio.

L’estensione del Regno oltre la chiesa, presta poi il fianco alla critica di non mantenere a sufficienza lo iato tra storia ed escatologia nel senso che il realizzarsi pieno del Regno avverrà solo alla fine dei tempi.

Il riferimento conclusivo e un po’ improvviso alla prospettiva di Teilhard de Chardin non si concilierebbe inoltre, secondo Stefani, con le concezioni di temporalità presenti in altre esperienze religiose.

Andrea Toniolo, rileva la mancanza di un rilievo critico del rapporto tra Cristo e le religioni, cristianesimo compreso, manca, nell’opera di Dupuis, una elaborazione del nesso tra salvezza e verità, e la questione salvifica non può essere disgiunta da quella della verità.

Infine il dialogo non può essere solo comprensione e conoscenza reciproca, ma anche un procedere verso la verità.

Risulta problematica la tesi, non a caso sostenuta dai pluralisti, ma anche da Geffré e Schillebeeckx, secondo la quale il Gesù della storia non esaurisce la divinità del Verbo, in quanto "nella forma visibile concreta dell’umanità di Gesù e della sua storia è racchiusa e realizzata l’universalità del Verbo. Gesù Cristo è l’icona del Verbo; nel frammento della sua storia vi è il tutto. L’universalità allora non è a prescindere dal Verbo incarnato, ma proprio in esso…. La teoria della presenza del Verbo non può essere pensata indipendentemente dalla persona di Gesù Cristo e dalla prospettiva della redenzione." Sulla linea conciliare, infatti, l’umanità di Gesù lo pone formalmente in relazione salvifica con ogni uomo di ogni tempo. Tuttavia, contestando Panikkar, Dupuis non arriva mai ad affermare che Cristo sia un mito universale sganciato dal Gesù della storia, ma piuttosto il mistero dell’incarnazione fà di Gesù Cristo il sacramento universale dell’incontro dell’uomo con Dio, "costitutivo" della salvezza di tutti gli uomini. La modalità attraverso la quale ciò avviene recupera, secondo Dupuis, il ruolo delle religioni, anche se poi resta il problema della diversità tra cristianesimo e altre religioni, problema che porta con sé quello del senso della missione cristiana.

Dupuis pensa, ranherianamente, ad un maggior realismo sacramentale e ad una più chiara, sicura, completa sacramentalità nel cristianesimo. Ma tutto questo rende sufficientemente la differenza?

Vi è poi il tema della verità. Rispondendo a Dupuis su questo punto, e nella sostanza concordando, prima di tutto va tenuto bene in considerazione la teologia della creazione e quindi il formale riferimento a Cristo di ogni uomo, dunque la sostanziale bontà di fondo della ricerca religiosa. In secondo luogo va detto che la verità non è mai totalmente comprensibile e viene sempre espressa in un linguaggio che è condizionato dalla cultura nella quale è collocato. È possibile perciò pensare ad espressioni diverse della stessa verità dove la diversità non sta nel contenuto, bensì nella sua espressione culturale.

Dunque "ciascuna religione dovrebbe professare sia la propria pretesa che la propria distanza dalla verità… la teologia cristiana riconosce la natura escatologica della verità di cui è custode e al servizio, con cui confessa anche la provvisorietà di ogni affermazione dogmatica".

Giuseppe De Rosa, dopo aver tratteggiato con precisione il percorso del testo, benché sia "assai difficile coglierlo in tutta la sua complessità e in tutte le sue sfaccettature", mette in rilievo, in positivo, oltre al fatto di valorizzare le altre religioni, il successo del tentativo di Dupuis di superare il pluralismo teocentrista di Knitter, Hick e altri, pur mantenendo il teocentrismo che non viene più visto a scapito del cristocentrismo.

Resta tuttavia l’ambiguità tra un ripetutamente affermato primato di Cristo in merito alla salvezza e un negargli il titolo di Salvatore assoluto in favore di quello, più debole, di Salvatore universale. Allo stesso tempo si afferma che la rivelazione di Gesù non è assoluta, ma relativa a causa della sua umanità.

In realtà, critica De Rosa, l’assolutezza di Cristo deriva dal fatto che egli è il Verbo incarnato, cioè il Dio fatto uomo, e non sembra proprio che il fatto oggettivo della debolezza umana assunta possa relativizzare la verità dell’essere pienamente Dio di Cristo.

Perciò per De Rosa non vi sono altri salvatori, Cristo è il Salvatore assoluto e dopo l’incarnazione non vi sono altre rivelazioni, la rivelazione di Cristo è, cioè, assoluta e definitiva e questo in nome della fedeltà ai testi del Nuovo Testamento. Dopo l’incarnazione non si può staccare l’azione del Verbo e dello Spirito da quella di Gesù, del Cristo risorto, perciò il loro agire universale è l’agire di Gesù, è un salvare in Gesù, solo così si mantiene il dato unitario del piano di salvezza al quale pure Dupuis intende fare riferimento (non esistono salvezze parallele).

Non ha senso allora parlare di rivelazioni e di loro complementarietà.

Manca inoltre nel testo una annotazione degli aspetti negativi presenti nelle altre religioni, doveva poi essere più approfondito il ruolo della chiesa nel processo di salvezza voluto da Dio in favore dell’umanità e infine sembra uscire indebolito, dalla riflessione di Dupuis, il dovere missionario della chiesa, il comando dato da Cristo risorto di annunciare e battezzare.

5. Per una teologia delle religioni

Si può pensare la teologia delle religioni come una teologia del genitivo, essa fa dunque parte di quelle teologie che "si presentano come ripensamento globale della teologia in funzione di un punto particolare, normalmente in dialogo con la cultura e la sensibilità attuale". Suo compito sarà quello di chiarire il senso di una presenza e testimonianza così variegata in campo religioso impostando una theologia religionum che sia una teologia cristiana delle religioni, tale che interpreti il pluralismo religioso alla luce della rivelazione cristiana.

Il fatto religioso non cristiano è un fatto e come tale deve essere interpretato.

5.1. PUNTI FERMI

1. L'assolutezza del cristianesimo. A Gerusalemme, davanti al sinedrio riunito, Pietro, che il giorno prima era stato arrestato con Giovanni, ispirato dallo Spirito Santo, afferma con coraggio parlando di Gesù Cristo morto e risorto: "In nessuna altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati"

Questa assolutezza deriva dal carattere singolare, gratuito ed insuperabile della manifestazione di Dio in Gesù Cristo. Con Gesù la salvezza ha raggiunto la sua fase definitiva. L'evento Cristo è un fatto unico nella storia dell'umanità.

Il cristianesimo, dunque, viene da Dio, il quale si è autocomunicato in Gesù Cristo in una maniera assoluta e definitiva, tanto che ormai non dobbiamo più aspettarci altre rivelazioni.

Le altre religioni si configurano invece come sforzi umani per raggiungere Dio. Esse sono, lungo i secoli, la risposta che l'uomo ha cercato di dare ai grandi interrogativi esistenziali rivolgendosi in diversi modi ad una divinità. L'antropologia teologica coglie questa ripetuta evidenza e vi legge il segno della creaturalità dell'uomo quale conseguenza dell'immagine divina impressa in lui dal creatore.

Le religioni rappresentano dunque l'oggettivazione sociale e strutturale del sentimento religioso innato nell'uomo. Ne deriva che, poiché esso è buono in quanto immesso da Dio, esse sono in sè buone, quali riflesso di quella luce che illumina ogni uomo. Ma in quanto sua espressione, le religioni non cristiane sono comunque segnate dall'ambiguità ed anche dal peccato, realtà questa di ogni, anche sincera, realizzazione umana.

2. La volontà salvifica universale di Dio. A questo proposito già si è visto come il dato biblico nel rivelarci un Dio ricco di misericordia abbia inteso descrivere il mistero del piano di salvezza di Dio come un evento destinato a coinvolgere ogni uomo realizzando il desiderio di Dio il quale "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità".

3. La centralità della mediazione di Cristo nella salvezza. "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti". Gesù Cristo non è uno dei tanti grandi fondatori di religioni dell'umanità, ad essi non può essere paragonato, neppure affermandone una sorta di supremazia di grado. Gesù Cristo non è una delle tante incarnazioni del divino che segnano la storia dell'umanità, in questo caso si porrebbe alla pari di altri come Buddha, Krishna, etc. La fede cristiana si comprende solo a partire dalla singolarità di Gesù che lo caratterizza come l'unica incarnazione del Verbo. L'apice della storia della salvezza, accaduto una volta per tutte, non richiede più altri segni e momenti necessari essendo Cristo definitivo.

4. La necessità della mediazione ecclesiale, cioè la necessità della chiesa per la salvezza degli uomini, dogma sempre affermato lungo la storia.

La salvezza di Cristo giunge agli uomini sempre mediata dalla chiesa data la continuità di missione tra Gesù e la chiesa stessa. Essa è sacramento universale di salvezza. Su come tale mediazione avvenga vi possono essere varie posizioni. Si può, per esempio, partire dall'idea di intercessione per cui la chiesa offre aiuti e preghiere per il bene di tutti, anche dei non cristiani.

Recuperando la categoria della rappresentanza che rientra nella logica del piano di Dio, possiamo poi dire che la necessità della chiesa le deriva dal fatto di rappresentare davanti a Dio tutti gli uomini, compresi i non cristiani, svolgendo nei loro confronti un'azione salvifica anche di espiazione.

Si potrà quindi pensare alla chiesa come ad un segno, un segno grande nella storia voluto dal Signore, il segno storico della presenza di Cristo come di colui che, unico, può salvare l'umanità.

Senza di essa, mancherebbe lo strumento di attuazione storica della volontà divina di salvare. Più ancora, la chiesa è necessaria perché è necessario Cristo. Essa è il segno storico della sua presenza e così offre questo servizio all'umanità.

In sintesi ribadendo la dottrina del Concilio Vaticano II: la chiesa pellegrina è necessaria alla salvezza, essa è universale sacramento di salvezza, comunica agli uomini i frutti della salvezza operata da Cristo, in essa si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza.

Quest'obbligo di appartenere alla chiesa in una forma visibile, è però solo di chi abbia chiara coscienza che ciò sia necessario per salvarsi, gli altri se cercano Dio e si sforzano di compiere la sua volontà, agiscono già sotto la grazia e possono salvarsi anche senza l'adesione formale alla chiesa, ma comunque sempre grazie alla presenza della chiesa che con i suoi riti e culti impetra la salvezza di tutti gli uomini. Eventualmente si potrà notare che vi è una diversa esperienza di salvezza a seconda del livello di appartenenza alla chiesa, oppure che ogni uomo salvato da Dio è misteriosamente aggregato da lui alla chiesa. L'invito a battezzare e all'attività missionaria, resta sempre, dunque, valido, poiché la via normale e ordinaria della salvezza è l'adesione a Cristo nella fede e l'incorporazione alla chiesa mediante il battesimo.

5.2. La salvezza soggettiva dei non cristiani

E' questa una convinzione ormai comunemente accettata. Ogni uomo in quanto creato da Dio ha la possibilità di salvarsi: ciò risponde alla volontà salvifica universale del Signore. Questo avviene comunque per mezzo di Gesù Cristo anche al di là della consapevolezza dell'uomo.

Le vie attraverso le quali il non cristiano ottiene salvezza, i modi cioè attraverso quali egli fa inconsapevolmente propria la grazia offertagli in dono, sono la convinzione dell'esistenza di Dio a partire dalla testimonianza delle opere da lui compiute nella creazione, la legge naturale che egli trova scritta nella propria coscienza, un' adesione di fede minimale che, sulla linea di Eb. 11, 6, consiste nel credere che Dio esiste e che alla fine ricompensa quanti lo cercano.

La salvezza di cui Dio vuole fare dono nella sua bontà per mezzo di Cristo nello Spirito non può infatti conoscere ostacoli dovuti alle concrete situazioni oggettive contingenti. L'unico ostacolo che può fermare la grazia è il rifiuto di essa da parte dell'uomo.

Va aggiunto che queste vie sono in realtà straordinarie mentre la via ordinaria per raggiungere la salvezza è quella dell'adesione personale alla predicazione della chiesa che annuncia Cristo risorto come l'unico salvatore e redentore. La missione non viene dunque annullata dall'affermazione della possibilità di salvezza dei non cristiani, ma ribadita perché non è la stessa cosa appartenere o non appartenere alla chiesa dato che solo in essa possiamo trovare in pienezza i mezzi della salvezza.

5.3. Le religioni non cristiane hanno in sè un valore salvifico ?

Gli uomini si salvano perché Dio comunica loro la grazia di Cristo. La salvezza non può venire da altri, pena la svalutazione del cristianesimo e il suo abbassamento alle altre religioni. In questi termini le altre religioni non possono essere ritenute vie autonome ed autentiche di salvezza in quanto il principio che la garantisce non appartiene a loro.

Per gli uomini non ancora raggiunti dalla predicazione della chiesa, che dunque senza colpa non hanno aderito alla fede cristiana, le religioni che professano mantengono in primo luogo un loro valore originario importante in quanto espressione dell'alleanza tra Dio e Noè. In secondo luogo i gesti religiosi, i riti, le preghiere che in esse vengono svolti, pur essendo segnati dall'ambiguità propria della natura umana, al punto di mantenere o di aver mantenuto pratiche moralmente inaccettabili per il cristiano, non sono inefficaci o senza valore, ma, sia pure in un modo a noi sconosciuto, essendo comunque mossi dallo Spirito di Cristo, sono per loro di fatto causa di salvezza quando sono uniti alle opere buone che i vari codici morali religiosi invitano a compiere.

Il musulmano si salva, quindi, seguendo con sincerità e in coscienza quanto la sua religione prescrive e ciò vale, in linea di massima, per ogni religione. Questa salvezza, però, non deriva da principi intrinseci ad essa, ma sempre e comunque da Cristo il quale può dunque raggiungere il cuore degli uomini servendosi di quanto essi hanno elaborato nei millenni per esprimere la propria fede in un Dio. A questo livello si pone l'assioma extra ecclesiam nulla salus. Se dunque il cristianesimo è la via maestra attraverso la quale la salvezza giunge all'uomo, esso non esclude altre strade che, sia pure in una forma imperfetta, ottengono la salvezza degli uomini.

Va aggiunto, però, che non tutte le religioni si trovano allo stesso livello. I documenti della chiesa, infatti, certamente mettono in primo piano la religione ebraica, a motivo della rivelazione veterotestamentaria, poi la religione musulmana per il riferimento ad Abramo e al monoteismo. Inoltre un conto è il monoteismo e un conto il politeismo, un conto è la religiosità orientale, un conto l'animismo africano, etc.

Comunque in linea di massima è possibile affermare che Dio suscita in mezzo ad ogni popolo messaggeri e profeti attraverso i quali spande i semi del Verbo.

I libri sacri delle religioni hanno consentito e guidato, e guidano tutt’oggi, la vita di fede di milioni di persone e, in questo senso, sono strumenti di grazia e salvezza, anche se non perfetti. Per quanto di buono vi è in essi (non tutto in quei libri è parola di Dio!) si può parlare di rivelazione divina e di ispirazione dello Spirito Santo, ma mai in senso ultimativo e definitivo, dato che la rivelazione definitiva è quella in Cristo Gesù.

La rivelazione di cui si fanno portatrici le religioni non cristiane è allora una sorta di tappa preliminare della storia della salvezza che prepara ad accogliere la parola ultima e definitiva che Dio ha pronunciato in Cristo, qui sta la sua grandezza ed anche il suo limite.

Ma per evitare confusioni o fraintendimenti sarà forse meglio parlare di rivelazione a proposito di Gesù Cristo e di illuminazione o manifestazione circa le altre religioni. Del resto una cosa è la rivelazione storica avvenuta in Gesù Cristo, altra cosa è la luce del Verbo che illumina ogni uomo.

5.4. Per un autentico dialogo

L'importanza del dialogo e del confronto ha come presupposto da parte della chiesa la consapevolezza di non possedere un sapere definitivo sulla realtà di Dio, benché essa sia depositaria della rivelazione assoluta. Ogni conoscenza ha ancora in sé la dimensione della provvisorietà, dunque anche il cristiano sa di poter trarre degli insegnamenti anche da tradizioni religiose molto distanti dalla sua. Il distacco dalla materialità terrena, l'attenzione al mondo spirituale e una esperienza di preghiera che sappia autenticamente coinvolgere la vita quotidiana, propri della religiosità orientale, sono, per esempio, stimoli forti per il cristianesimo occidentale che sta pericolosamente perdendo certi valori.

Perché il dialogo avvenga sono naturalmente necessarie alcune condizioni.

1. L'identità degli interlocutori deve essere mantenuta integralmente e non messa tra parentesi.

2. Il rispetto per l'altro e per le sue posizioni.

3. L'altro deve essere significativo per me.

4. La convinzione che vi sono elementi comuni nella ricerca spirituale e nei valori religiosi di persone di altre tradizioni.

5. La consapevolezza che il messaggio cristiano risponde alla domanda profonda dell'altro.

6. La pazienza nell'ascoltare e nel comprendere.

7. Un confronto che deve vertere anche su questioni di attualità, con problemi esistenziali concreti; infatti vi possono essere varie questioni comuni da trattare, non solo specificamente religiose.

Ma attenzione: il fine del dialogo non potrà mai essere l'accordo per una super religione che assuma in sè gli elementi di ogni singola tradizione in una sorta di grande sincretismo.

Inoltre per il cristiano lo scopo del dialogo non sarà quello di portare alla conversione l'interlocutore, quanto quello di "trasmettere all'altro qualche cosa progressivamente sul piano esistenziale: sia stimolando in lui l'interesse e l'attesa per il messaggio evangelico, sia portandolo ad una vera conoscenza di esso e della chiesa, sia comunicandogli qualche esperienza e la visione cristiana di un problema, sia sviluppando e facendo crescere in lui elementi spirituali che già possiede e condivide con noi".

Il dialogo poi più che a livello di messaggi, avviene a livello di persone e di contenuti, idee, valori, problemi, preoccupazioni e di collaborazione.

Inoltre esso dovrebbe aiutare le religioni a valutare se attraverso di esse si realizza effettivamente l'incontro con il divino. Si tratterà, allora, di riuscire a delineare dei parametri di giudizio che aiutino a verificare se ciò avviene. Ma poiché nessuna religione può qui imporre la propria posizione, sarà necessario un punto di riferimento comune da valorizzare. Oggi la teologia sembra aver trovato questo punto nel riferimento all'umano: una religione è buona se, nel suo contesto culturale, realizza pienamente l'uomo, ma è certo necessario fare ancora altra strada.

Il dialogo infine non si contrappone alla missione ad gentes della chiesa, ma fa parte di essa. Esso dovrà essere realizzato dal cristiano comunque sempre nella convinzione che la chiesa possiede in pienezza i mezzi della salvezza e resta la via ordinaria per ottenerla.

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