ORIGENE

Omelia prima

 

La creazione

1. In principio Dio fece il cielo e la terra (Gen 1,1). Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti, Cristo Gesù, il primogenito di tutta la creazione (cfr 1 Tim 4,10; Col 1,15)? In questo principio, dunque, cioè nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra, come dice anche l'evangelista Giovanni all'inizio del suo Vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto (Gv 1, 1-3). Dunque qui non parla di un qualche principio temporale, ma dice che nel principio, cioè nel Salvatore, sono stati fatti il cielo e la terra, e tutte le cose che sono state create.

La terra poi era invisibile e informe, e le tenebre erano sopra l'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque (Gen 1,2). La terra era invisibile e informe prima che Dio dicesse: Sia la luce, e prima che dividesse la luce dalle tenebre, come mostra la successione del discorso. Poiché in quel che segue comanda che sia il firmamento e lo chiama cielo, quando giungeremo a quel punto diremo la ragione della differenza fra cielo e firmamento, e perché anche il firmamento sia stato chiamato cielo.

Ora poi dice: Le tenebre erano sopra l'abisso (Gen 1,2). Qual è l'abisso? Certamente quello nel quale staranno il diavolo e i suoi angeli (cfr Ap 9,11; 11,7; 20,3; 2 Pt 2,4; Giuda, 6). E questo è indicato in maniera molto evidente anche nel Vangelo, quando si dice del Salvatore: I demoni che scacciava lo pregavano che non comandasse loro di andare nell'abisso (Lc 8,31).

Per questo dunque Dio dissolse le tenebre, come dice la Scrittura: E Dio disse: Sia la luce; e la luce fu. E Dio vide che la luce era buona, e Dio divise la luce dalle tenebre, e Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina, un giorno (Gen 1, 3-5). Secondo la lettera, Dio chiama la luce giorno, e le tenebre notte. Ma secondo l'intelligenza spirituale, vediamo che cosa significhi il fatto che, quando in quell'inizio, di cui abbiamo detto sopra, Dio fece il cielo e la terra e disse anche che fosse la luce, e divise la luce dalle tenebre, e chiamò la luce giorno e le tenebre notte, e disse che fu sera e fu mattina, non disse giorno primo, ma disse: Un giorno. Il tempo, poiché non c'era ancora prima che fosse il mondo, incomincia a essere dai giorni che seguono. Infatti il secondo, il terzo, il quarto giorno, e tutti gli altri, cominciano a designare il tempo.

 

E Dio fece il firmamento

2. E Dio disse: Sia il firmamento in mezzo all'acqua, e divida acqua da acqua. E cosi fu; e Dio fece il firmamento (Gen 1, 6-7). Mentre già prima Dio aveva fatto il cielo, ora fa il firmamento. Infatti fece prima il cielo, di cui dice: Il cielo è mio trono (Is 66,1); poi fa il firmamento, cioè il cielo corporeo. Poiché ogni corpo è indubbiamente solido e consistente, ed è questo che divide l'acqua che è sopra il cielo dall'acqua che è sotto il cielo. Infatti, poiché tutte le cose che Dio avrebbe fatto constavano di spirito e corpo, per questo motivo si dice che in principio, e prima di tutte le cose, è stato fatto il cielo, cioè ogni sostanza spirituale, sopra la quale Dio riposa come su un trono regale. Questo cielo, poi, cioè il firmamento, è corporeo. Perciò, mentre quel primo cielo, che abbiamo detto spirituale, è la nostra anima, la quale anch'essa è spirito, cioè il nostro uomo spirituale, che vede e riconosce chiaramente Dio, questo cielo corporeo, che è chiamato firmamento, è il nostro uomo esteriore, che vede corporalmente. Come dunque il firmamento è stato chiamato cielo, poiché divide le acque che sono sopra di esso da quelle che sono sotto, così anche l'uomo, che è stato posto nel corpo, qualora sappia dividere e discernere quali sono le acque superiori, sopra il firmamento, e quali quelle sotto il firmamento, anch'egli potrà chiamarsi cielo, cioè uomo celeste, secondo la parola dell'apostolo Paolo che dice: La nostra vita è nei cieli (Fil 3, 20). Ecco dunque qual è il contenuto di queste parole della Scrittura: E Dio fece il firmamento, e divise le acque che sono sopra il firmamento da quelle che sono sotto il firmamento. E Dio chiamò il firmamento cielo, e Dio vide che era buono, e fu sera e fu mattina, secondo giorno (Gen 1, 7-8).

Ciascuno dì voi si sforzi dunque di imparare a dividere l'acqua che è sopra da quella che è sotto; affinché, conseguendo l'intelligenza dell'acqua spirituale e la partecipazione a quell'acqua che è sopra il firmamento, tragga fuori dal suo ventre fiumi di acqua viva zampillante per la vita eterna (cfr Gv 7,38; 4,14): nettamente segregato e separato dall'acqua che è sotto, cioè dall'acqua dell'abisso, nella quale si dice che sono le tenebre, nella quale abitano il principe di questo mondo, il dragone nemico e i suoi angeli, come sopra è stato indicato (cfr 1 Cor 2,6.8; Ef 2,2; Ap 20,2). E' dunque partecipando di quell'acqua superiore, della quale si dice che è sopra i cieli, che ogni fedele diventa celeste: quando cioè abbia il suo spirito nelle cose alte ed eccelse, non avendo pensieri terreni, ma interamente celesti, cercando le cose dell'alto, dove è il Cristo alla destra del Padre (Col 3,1). Allora, anch'egli sarà da Dio ritenuto degno di quella lode che qui è scritta: E Dio vide che ciò era buono. Infine, anche le cose che sono descritte nel seguito del discorso riguardo al terzo giorno, devono intendersi secondo la medesima interpretazione. Dice infatti: E Dio disse: Si raduni l'acqua che è sotto il cielo in una massa unica, ed appaia l'asciutto. E cosi fu (Gen 1,9).

Sforziamoci dunque di raccogliere l'acqua che è sotto il cielo e di rigettarla da noi, affinché, fatto questo, appaia l'asciutto, che sono le nostre opere compiute nella carne: in modo che gli uomini, vedendo le nostre opere buone, glorifichino il nostro Padre che è nei cieli (Mt 5,16). Giacché, se non separeremo da noi queste acque che sono sotto il cielo, cioè i peccati e i vizi del nostro corpo, il nostro asciutto non potrà apparire, né avere fiducia di accedere alla luce. Chiunque infatti opera il male odia la luce, e non viene alla luce [...], in modo che in essa si manifestino le sue opere, e si veda se sono state compiute in Dio (Cfr. Gv. 3, 20-21, 1, 5.9-11). E questa fiducia non ci sarà data, se non rigettando e separando da noi, come acque, i vizi del corpo, che sono la materia dei peccati. Fatto ciò, il nostro asciutto non rimarrà asciutto, come si mostra da quel che segue. Dice infatti: E si radunò l'acqua che è sotto il cielo nei suoi ammassi, ed apparve l'asciutto. E Dio chiamò l'asciutto terra, e gli ammassi delle acque chiamò mari (Gen 1,9-10). Come dunque questo asciutto, dopo aver separato da sé l'acqua, nel modo che abbiamo detto sopra, non rimase più asciutto, ma viene chiamato terra, così anche i nostri corpi, se si farà tale separazione, non rimarranno asciutto, ma si chiameranno terra, perché potranno ormai portare frutto per Dio. Giacché in principio Dio fece il cielo e la terra, e poi il firmamento e l'asciutto; e chiamò il firmamento cielo, dandogli il nome di quel cielo che aveva creato prima, e l'asciutto lo chiamò terra, per il fatto che gli dava la facoltà di portare frutti. Se dunque qualcuno, per sua colpa, rimane ancora arido, e non porta alcun frutto, ma spine e triboli, come se portasse esca per il fuoco, anch'egli, secondo quel che produce, diventa esca per il fuoco (cfr Gen. 3, 18; Eb. 6, 8; Is. 9, 18); ma se, con il suo zelo e diligenza, avendo separato da sé le acque dell'abisso, che sono i pensieri dei demoni, si è mostrato terra fruttifera, deve sperare cose simili: di essere anch'egli introdotto da Dio nella terra stillante latte e miele (cfr. Es. 3, 8; 33, 3).

 

La terra che produce i frutti

3. Consideriamo poi da quel che segue quali siano i frutti che Dio comanda di produrre a quella terra, cui egli stesso ha fatto grazia del nome. Dice: E Dio vide che ciò era buono, e Dio disse: Produca la terra erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro somiglianza sopra la terra. E cosi fu (Gen 1, 10-11).

Secondo la lettera sono manifesti i frutti che produce la terra, non l'asciutto; ma nuovamente rapportiamolo anche a noi. Se già siamo divenuti terra, se non siamo più asciutto, rendiamo a Dio frutti abbondanti e svariati, per avere anche noi la benedizione dal Padre che dice: Ecco l'odore del figlio mio è come l'odore di un campo rigoglioso, che il Signore ha benedetto (Gen 27,27), e si compia in noi quel che dice l'Apostolo: La terra che spesso riceve la pioggia che cade su di lei, e genera erba utile a quelli che la coltivano, riceverà benedizioni da Dio; ma quella che produce spine e triboli, è riprovata, prossima alla maledizione, e finirà nel fuoco (Eb 6, 7-8).

 

I semi in noi stessi

4. E la terra produsse erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme in loro fa frutto, secondo la sua specie, sopra la terra. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, terzo giorno (Gen 1, 12-13). Non solo comanda alla terra di produrre erba da fieno, ma anche seme, affinché sempre possa portare frutto; e non solo comanda alberi da frutto, ma anche che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro specie, cioè tali che sempre possano portare frutto dai semi che hanno in sé. Anche noi, dunque, dobbiamo così sia portare frutto che averne i semi in noi stessi, cioè contenere nel nostro cuore i semi di tutte le opere buone e di tutte le virtù, affinché, avendoli ben fissi nelle nostre anime, da essi ormai compiamo secondo giustizia ogni atto che ci si presenti. Questi infatti sono i frutti di quel seme, i nostri atti, che promanano dal buon tesoro del nostro cuore (cfr Lc 6,45). Se ascoltiamo sì la parola, e dall'ascolto subito la nostra terra produce l'erba, ma quest'erba, prima di giungere alla maturazione e al frutto, si dissecca, la nostra terra sarà chiamata sassosa; se invece le parole dette si radicano più profondamente nel nostro cuore, in modo da portare frutto di opere e da avere in sé i semi di quelle future, allora veramente la terra di ciascuno di noi porta frutto secondo il suo potere: quale il cento, quale il sessanta, quale il trenta per uno (cfr Mt 13, 20-23). Ma ci pare giusto e necessario dare anche l'ammonimento che il nostro frutto non abbia in alcuna parte zizzania, cioè loglio, che non sia lungo la via (cfr Lc 8,5), ma sia seminato nella via stessa, in quella che dice: Io sono la via (Gv 14,6), affinché gli uccelli del cielo (cfr Mt 13,4; Lc 8,5) non divorino i nostri frutti né la nostra vigna. Se poi qualcuno di noi avrà meritato di essere vigna, veda di non produrre spine invece di uva (cfr Is 5,6); perché altrimenti non sarà più potata, né zappata, e non sarà dato alle nubi il comando di far piovere sopra di lei, ma al contrario sarà lasciata abbandonata, cosi che crescano sopra di essa le spine (cfr Is 5, 1-7).

 

I luminari nel firmamento

5. Invero, dopo queste cose, il firmamento può ormai anche essere adornato di luminari. Dice infatti Dio: Ci siano luminari nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e dividano il giorno dalla notte (Gen 1,14). Come in questo firmamento, che già era stato chiamato cielo, Dio comanda che ci siano luminari, per dividere il giorno dalla notte, cosi può accadere anche a noi, se solo ci sforziamo di essere chiamati e di diventare cielo: avremo dei luminari in noi, che ci illumineranno: Cristo e la sua Chiesa. Egli infatti è la luce del mondo (Gv 8,12), che illumina anche la Chiesa della sua luce. Come infatti della luna si dice che riceve la luce dal sole, cosi che mediante essa anche la notte può essere illuminata, allo stesso modo la Chiesa, ricevuta la luce di Cristo, illumina tutti coloro che si trovano nella notte dell'ignoranza. Se uno ottiene di diventare figlio di Dio (cfr Rm 8,14), cosi da camminare nel giorno, in santità (Rm 13,13), da figlio del giorno e figlio della luce ( 1 Ts 5,5), questi è illuminato dal Cristo stesso, come il giorno dal sole.

 

I giorni e gli anni

6. E siano come segni per i tempi, i giorni e gli anni; e risplendano nel firmamento del cielo, per far luce sopra la terra. E cosi fu (Gen 1, 14-15). Come questi luminari visibili del cielo sono stati posti come segni per i tempi, i giorni e gli anni, per far luce dal firmamento del cielo a quanti sono sopra la terra, allo stesso modo Cristo, illuminando la sua Chiesa, dà dei segni, mediante i suoi precetti, affinché chi riceve il segno sappia come sfuggire all'ira che sta per venire (1 Ts 1,10; cfr Mt 3,7; Lc 3,7), cosi che quel giorno non lo incolga come il ladro ( 1 Ts 5,4), ma piuttosto possa giungere all'anno gradito al Signore (Is 61,2). Cristo dunque è la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9); illuminata dalla sua luce, la Chiesa diventa essa stessa luce del mondo, illuminando coloro che sono nelle tenebre (cfr Rm 2,19), come attesta il Cristo stesso ai suoi discepoli, dicendo: voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Questo mostra che Cristo è luce degli apostoli, gli apostoli luce del mondo; giacché essi, non aventi macchia o ruga o alcunché di simile, sono la vera Chiesa, come dice anche l'Apostolo: affinché egli presenti a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia o ruga o alcunché di simile ( Ef 5,27).

 

Il luminare maggiore e minore

7. E Dio fece i due grandi luminari, il luminare maggiore a governo del giorno, e il luminare minore a governo della notte, e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e reggano il giorno e la notte, e dividano la luce

dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, quarto giorno ( Gen 1, 16-19). Come si dice del sole e della luna che sono i grandi luminari nel firmamento del cielo, cosi anche in noi il Cristo e la Chiesa. Ma poiché Dio ha posto nel firmamento anche le stelle, vediamo quali siano le stelle anche in noi, cioè nel cielo del nostro cuore. Mosè è in noi una stella che fa luce e ci illumina con i suoi atti; e Abrahamo, Isacco, Giacobbe, Isaia, Geremia, Ezechiele, David, Daniele e tutti coloro dei quali la Sacra Scrittura dà testimonianza che piacquero a Dio. Come infatti una stella differisce dall'altra nella gloria cosi anche ogni santo diffonde in noi la sua luce, secondo la sua grandezza; e come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, cosi Cristo e la Chiesa illuminano le nostre anime. Tuttavia siamo così illuminati se non siamo ciechi nell'anima: infatti, come chi è cieco negli occhi del corpo non può ricevere la luce del sole e della luna, per quanto ne sia illuminato; così anche Cristo concede la sua luce alle nostre anime, ma allora soltanto ci illuminerà, se in nessun modo lo impedisce la cecità dell'anima. Posto che questo accada, occorre in primo luogo che quelli che sono ciechi seguano il Cristo, dicendo ed esclamando: Figlio di David, abbi pietà di noi (Mt 9,27), affinché, ricevendo da lui anche la vista, possano in seguito essere irraggiati dallo splendore della sua luce.

In verità, non tutti quelli che vedono sono illuminati dal Cristo in egual maniera, ma ciascuno lo è secondo la misura con cui è capace di ricevere la forza della luce. E come gli occhi del nostro corpo non sono illuminati dal sole in egual maniera, ma, quanto più uno sarà salito in alto e avrà contemplato il suo sorgere dalla visuale di un osservatorio più elevato, tanto più riceverà del suo splendore e calore; così anche la nostra anima, quanto più in alto e in maniera sublime si sarà avvicinata al Cristo, e si sarà esposta più da vicino allo splendore della sua luce, con tanto più grande magnificenza e chiarezza sarà irraggiata dalla sua luce, come dice egli stesso per mezzo del Profeta: Avvicinatevi a me, e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore (Zc 1,3); e dice ancora: Io sono un Dio che si avvicina, non un Dio da lontano (Ger 23,23).

Tuttavia non ci accostiamo a lui tutti allo stesso modo, ma ciascuno secondo la propria capacità (Mt 25,15). Infatti, o ci accostiamo a lui con le folle, ed egli ci ristora mediante le parabole, semplicemente perché non veniamo meno per via per i molti digiuni (cfr Mt 13,34; 15,32; Mc 8,3), ovvero sediamo ai suoi piedi sempre e incessantemente, liberi solo per ascoltare la sua parola, in nulla inquietandoci per un servizio molteplice, ma scegliendo la parte migliore, che non ci sarà tolta (cfr Lc 10, 39-42).

Certamente, coloro che cosi accedono a lui, ottengono molto di più della sua luce. Se, come gli apostoli, non ci allontaniamo da lui in nulla, ma restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (Lc 22,28), allora, in segreto, egli ci spiega e chiarisce le cose che ha detto alle folle, e ci illumina molto più chiaramente (Mc 4,34).

Se poi uno è tale da potere anche salire con lui sul monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cfr Mt 17,1-8 e par.), questi sarà illuminato non solo dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre suo.

 

Rettili e volatili

8. E Dio disse: Producano le acque rettili di anime vive, e volatili volanti sopra la terra, lungo il firmamento del cielo. E cosi fu (Gen 1,20). Secondo la lettera, per il comando di Dio sono prodotti dalle acque rettili e volatili, e impariamo da chi sono state fatte le cose che vediamo; ma consideriamo come queste stesse cose avvengano nel firmamento del nostro cielo, cioè nella solidità della nostra anima e del nostro cuore. Ritengo che, se la nostra anima sarà illuminata dal nostro sole, il Cristo, in seguito verrà il comando dì produrre dalle acque che sono in lei rettili e volatili volanti, cioè di far emergere in piena luce i pensieri buoni e i pensieri cattivi, affinché vi sia il discernimento fra quelli buoni e quelli cattivi, che, entrambi, procedono dal cuore (cfr Gv 3, 20-21; Ef 5,13; Mc 7, 20-23).

Infatti dal nostro cuore emergono, come da acque, pensieri buoni e cattivi. Ma noi, per la parola e il comando di Dio, portiamoli, gli uni e gli altri, al cospetto e al giudizio di Dio, affinché, illuminati da lui, possiamo discernere il bene dal male, cioè separiamo da noi le cose che strisciano sulla terra e arrecano sollecitudini terrene; ma le cose migliori, cioè i volatili, lasciamoli volare non solo sopra la terra, ma anche lungo il firmamento del cielo; e questo, affinché consideriamo a fondo in noi il significato e la natura delle cose terrene e di quelle celesti, e possiamo anche comprendere quali, fra i rettili, siano in noi nocivi.

Se abbiamo guardato una donna con concupiscenza (Mt 5,28), ciò è in noi un rettile velenoso; ma se in noi ci sono sensi casti, anche se la padrona egiziana si innamora di noi, diventiamo uccelli e, lasciando in sua mano le vesti di Egitto, voleremo via dalle insidie oscene (Gen 39,7 ss.).

Se in noi c'è un istinto che ci eccita al furto, è un rettile pessimo; ma se c'è la inclinazione, pur avendo solo due monetine, a offrirle nel tesoro di Dio (Lc 21,2) per avere misericordia, questa inclinazione è uccello che non pensa per nulla alle cose terrene, ma tende, col volo, al firmamento del cielo.

Se ci viene un pensiero che ci persuade che non dobbiamo sopportare i tormenti del martirio, è un rettile velenoso; ma se ci sale [in cuore] il pensiero e la volontà di combattere per la verità fino alla morte, questo è uccello che si stacca dalla terra al cielo.

Allo stesso modo, anche riguardo alle altre specie di peccati o virtù, dobbiamo provare e discernere quali siano i rettili e quali i volatili che si comanda alle nostre acque di produrre per il discernimento al cospetto di Dio.

 

Cetacei ed animali

9. E Dio fece i grandi cetacei, e ogni anima di animali che strisciano, che le acque fecero uscire secondo la loro specie, e ogni volatile pennuto secondo la sua specie (Gen 1,21).

Pure riguardo a queste cose, dobbiamo fare la stessa considerazione espressa riguardo alle cose precedenti, che dobbiamo produrre anche grandi cetacei e animali che si muovono secondo la loro specie. Ritengo che in questi grandi cetacei siano indicati i pensieri empi e i sentimenti scellerati contro Dio. E nondimeno tutte queste cose si devono produrre al cospetto di Dio, e porre davanti a lui, per dividere e separare il bene dal male, affinché ogni cosa riceva dal Signore il suo posto, come si mostra nel seguito del discorso.

 

Crescete e moltiplicatevi

10. E Dio vide che erano cose buone, e le benedì dicendo: crescete e moltiplicatevi, e riempite le acque che sono nel mare, e si moltiplichino i volatili sopra la terra. E fu sera e fu mattina, quinto giorno (Gen 1, 21-23). Comanda dunque che i grandi cetacei e ogni animale che ha vita e si muove, che le acque produssero, dimorino nel mare, dove abita anche quel dragone, che Dio ha plasmato perché ci si diverta (Sal 104[103], 26).

Comanda poi che si moltiplichino gli uccelli sopra la terra, che un tempo fu l'asciutto, ma ormai è chiamata terra, come sopra abbiamo spiegato.

Ma uno potrebbe chiedere come mai i grandi cetacei e i rettili siano interpretati in male, e i volatili in bene, dal momento che di tutti è stato detto: E Dio vide che erano cose buone. Proprio le cose che si oppongono ai santi sono bene per loro, perché, una volta che le hanno vinte, essi diventano più gloriosi presso Dio. Così, quando il diavolo chiese che gli fosse dato potere contro Giobbe, attaccando battaglia da nemico, questo gli fu motivo di duplice gloria dopo la vittoria; lo mostra il fatto che ricevette al doppio i beni che aveva perduto nel presente, per riceverli senza dubbio allo stesso modo anche in cielo (Gb 1,9 s.; 42,10).

Dice l'Apostolo: Nessuno riceve la corona, se non chi ha lottato secondo le regole (2 Tm 2,5). Invero, come ci sarebbe lotta, se non ci fosse chi resiste? Non si riconoscerebbe quanto sia grande la bellezza e lo splendore della luce, se non l'interrompesse l'oscurità della notte. Come si loda la castità degli uni, se non perché si condanna l'impudicizia di altri? Come si esalterebbero gli uomini forti, se non ci fossero dei deboli e vili? Se prendi qualcosa d'amaro, il dolce attira lodi maggiori; se guardi il nero, ti apparirà più gradevole il chiaro: in breve, dalla considerazione del male, risulta più luminosa la bellezza del bene. Per questo, di tutte queste cose la Scrittura dice: E Dio vide che erano buone.

Perché non è scritto: e Dio disse che erano buone, ma: Dio vide che erano buone? Vide cioè la loro utilità, e il motivo per cui, pur essendo tali di per sé, potevano tuttavia rendere ottimi i buoni. Per questo, dunque, disse: Crescete e moltiplicatevi, e riempite le acque che sono nel mare, e si moltiplichino i volatili sopra la terra, affinché, come sopra abbiamo detto, nel mare ci fossero i grandi cetacei e i rettili, e sopra la terra i volatili.

 

Tutte le cose visibili fatte mediante il Verbo

11 E Dio disse: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e bestie della terra secondo la loro specie. E cosi fu. E Dio fece le bestie della terra secondo la loro specie, e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che erano cose buone (Gen 1, 24-25).

Secondo la lettera non c'è alcun problema: infatti si dice in maniera chiara che sono stati creati da Dio animali, quadrupedi, bestie, serpenti, sopra la terra; ma non è cosa inutile applicare queste cose a quanto abbiamo esposto sopra, secondo l'intelligenza spirituale. Là è stato detto: Producano le acque rettili di anime vive, e volatili volanti sopra la terra, lungo il firmamento del cielo (Gen 1,20); qui dice: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie; quadrupedi e rettili e bestie della terra secondo la loro specie. Riguardo a quel che è prodotto dalle acque, abbiamo detto che è da intendersi come i movimenti e i pensieri della nostra anima, che sono prodotti dal profondo del cuore; ma ora le parole: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie, quadrupedi, rettili, bestie sopra la terra secondo la loro specie, penso indichino le passioni del nostro uomo esteriore, carnale e terreno. Così non ha indicato alcun volatile, parlando di queste cose della carne, ma solo quadrupedi, rettili e bestie della terra; e, secondo quel che dice l'Apostolo, che nella mia carne non dimora il bene (Rm 7,18), e la sapienza della carne è nemica di Dio (Rm 8,7), queste sono le produzioni della terra, cioè della nostra carne, riguardo alle quali insegna ancora l'Apostolo: Mortificate le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, impudicizia, avarizia, idolatria, e le altre cose (Col 3,5).

Mentre dunque erano fatte tutte queste cose visibili, per il comando di Dio, mediante il suo Verbo, e si andava formando questo immenso mondo visibile, si mostrava anche insieme, mediante la figura dell'allegoria, quali cose potevano adornare il mondo più piccolo, cioè l'uomo: allora, ecco, l'uomo stesso è creato, secondo quanto è mostrato in seguito.

 

Facciamo l'uomo

12. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, e abbia il dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali, sulla terra intera, e su tutte le creature che strisciano sopra la terra (Gen 1,26). Secondo quanto abbiamo spiegato sopra consegue che un uomo tale, quale lo abbiamo descritto, vuole esercitare il dominio sulle bestie già menzionate, sugli uccelli, rettili, quadrupedi, e su tutti gli altri; e abbiamo spiegato in qual modo queste cose si devono intendere allegoricamente, quando abbiamo detto che all'acqua, cioè alla sua anima, si comanda di produrre sentimenti spirituali, e alla terra di far scaturire sentimenti carnali, affinché l'anima li domini, e non sia da essi dominata.

Dio infatti vuole che l'uomo, questa grande opera di Dio (Ef 2,10), per il quale anche il mondo intero è stato creato, non solo sia immacolato e immune dalle cose dette sopra, ma anche le domini.

Consideriamo ormai, dai discorsi stessi della Scrittura, quale sia l'uomo.

Tutte le altre creature divengono per un comando di Dio, poiché dice la Scrittura: E Dio disse: Sia il firmamento; e Dio disse: Si raduni l'acqua che è sotto il cielo in una massa unica ed appaia l'asciutto; e Dio disse: Produca la terra erba da fieno (cfr Gen 1,6; 1,9; 1,11); dice cosi anche negli altri casi. Ma vediamo quali sono le cose che ha fatto Dio stesso, e da queste riconosciamo quale sia la grandezza dell'uomo.

In principio Dio fece il cielo e la terra; parimenti:

E fece i due grandi luminari (cfr Gen 1,1; 1,16); e ora di nuovo: Facciamo l'uomo. Solo in questi casi l'opera è attribuita direttamente a Dio, non negli altri; solamente del cielo e della terra, del sole, della luna e delle stelle, e ora dell'uomo, si dice che sono stati fatti da Dio; di tutte le altre cose, che sono state fatte per suo comando. Da ciò dunque considera quanta sia la grandezza dell'uomo, che viene eguagliato a elementi così grandi ed eminenti, che ha la gloria del cielo, per cui anche gli viene promesso il regno dei cieli (cfr Mt 5,3 ss.), che ha anche la gloria della terra, dal momento che spera di entrare in una terra buona, la terra dei vivi, stillante latte e miele (cfr Es 33,3), che ha la gloria del sole e della luna, avendo la promessa di risplendere come il sole nel regno di Dio (Mt 13,43).

 

L'uomo immagine di Dio

13. Vedo ancora più eminente nella condizione dell'uomo quel che non trovo detto altrove: E Dio fece l'uomo, lo fece a immagine di Dio (Gen 1,27). Questo non lo troviamo attribuito nè al cielo, nè alla terra, nè al sole, nè alla luna, e quindi questo uomo, che dice fatto a immagine di Dio, non lo intendiamo in quanto corporeo: giacché non la figura del corpo contiene l'immagine di Dio, nè è detto dell'uomo corporeo che è stato fatto, bensì plasmato, come sta scritto in seguito.

Dice infatti: E Dio plasmò l'uomo, cioè lo modellò, dal fango della terra (Gen 2,7); questo poi, che è stato fatto ad immagine di Dio, è il nostro uomo interiore, invisibile, incorporeo, incorruttibile, immortale: in tali aspetti, infatti, si vede più convenientemente l'immagine di Dio.

Se invero qualcuno ritiene che sia stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio questo uomo corporeo, sembra indurre che Dio stesso sia corporeo e di forma umana: concetto di Dio manifestamente empio. Quindi questi uomini carnali, che non hanno l'intelligenza della divinità, se in qualche luogo leggono nelle Scritture, riguardo a Dio, che il cielo è mio trono, e la terra sgabello dei miei piedi (Is 66,1), immaginano che Dio abbia un corpo così grande, da pensarlo assiso in cielo e che arriva coi piedi fino a terra. Hanno questa opinione, perché non hanno orecchie tali da poter degnamente ascoltare, riguardo a Dio, le parole di Dio, che riferisce la Scrittura.

Infatti la parola: Il cielo è mio trono, la si intende degnamente di Dio, quando si sappia che Dio ha riposo e dimora in coloro la cui vita è nei cieli (Fil 3,20); mentre in coloro che ancora conducono una vita terrena, si trova la parte estrema della sua provvidenza, il che è indicato allegoricamente nel nome di piedi. Che se per caso alcuni di questi mostrano zelo e desiderio di diventare celesti per la perfezione della vita e l'elevatezza dell'intelligenza, anch'essi diventano trono di Dio, fatti in anticipo celesti per il servizio e la vita; sono essi che dicono: Ci ha risuscitati con il Cristo, e ci ha fatti consedere nelle sedi celesti (Ef 2,6).

Ma anche quelli, il cui tesoro è nel cielo (Mt 19,21) possono essere detti celesti e trono di Dio, poiché il loro cuore è là dove è il loro tesoro (Lc 12,34); e Dio non solo riposa sopra di loro, ma anche abita in loro.

Se invero uno può diventare tanto grande da poter dire: Cercate la prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13,3), in lui Dio non solo abita, ma si muove.

Per questo tutti i perfetti, fatti celesti, anzi divenuti cieli, narrano la gloria di Dio, come dice il salmo (19[18],2); per questo infine anche gli apostoli, che erano cieli, sono mandati a narrare la gloria di Dio, e ricevono il nome di Boanerges, cioè figli del tuono (Mc 3,17), affinché crediamo che essi sono veramente cieli per il potere dei tuono.

Dunque Dio fece l'uomo, lo fece a immagine di Dio (Gen 1,27). Bisogna che noi vediamo qual è questa immagine di Dio, e ricerchiamo a somiglianza della immagine di chi sia stato fatto l'uomo. Infatti non ha detto: Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma lo fece a immagine di Dio.

Qual è dunque l'altra immagine di Dio, a somiglianza della quale immagine è stato fatto l'uomo, se non il nostro Salvatore? Egli è il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15); di lui è stato scritto che è splendore della luce eterna, e figura chiara della sostanza di Dio (Eb 1,3), lui, che anche dice di sé: Io sono nel Padre e il Padre è in me, e: Chi ha visto me, ha visto anche il Padre (Gv 14,10.9).

Infatti, come chi vede l'immagine di qualcuno, vede colui, del quale è l'immagine, così anche mediante il Verbo di Dio (Gv 1,1), che è l'immagine di Dio, si vede Dio. Così si avvera quel che ha detto: Chi ha visto me, ha visto anche il Padre.

Dunque l'uomo è stato fatto a somiglianza dell'immagine di lui, e per questo il nostro Salvatore, che è l'immagine di Dio, mosso da misericordia per l'uomo, che era stato fatto a somiglianza di lui, vedendo che, deposta la sua immagine, aveva rivestito l'immagine del maligno, mosso da misericordia, assunta l'immagine dell'uomo, venne a lui, come attesta anche l'Apostolo, dicendo: Essendo nella forma di Dio, non considerò rapina l'essere eguale a Dio, ma annientò se stesso, assumendo la forma dello schiavo, e, ritrovato nel sembiante come uomo, umiliò se stesso fino alla morte (Fil 2, 6-8).

Quanti dunque accedono a lui, e si sforzano di diventare partecipi dell'immagine spirituale, mediante il loro progresso, si rinnovano ogni giorno, secondo l'uomo interiore (2 Cor 4,16) a immagine di colui che li ha fatti; cosi da poter diventare conformi al corpo del suo splendore (Fil 3,21), ma ognuno a misura delle proprie forze.

Gli apostoli si trasformarono, a somiglianza di lui, fino al punto che egli disse di loro: Vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Gv 20,17). Già egli stesso aveva pregato il Padre per i suoi discepoli, che fosse resa loro la primitiva somiglianza, quando dice: Padre, concedi che, come io e tu siamo uno, così anch'essi siano uno in noi (cfr Gv 17, 21-22).

Dunque guardiamo sempre questa immagine di Dio, per poter essere trasformati a sua somiglianza.

Se infatti l'uomo, fatto a immagine di Dio, guardando - contro natura - l'immagine del diavolo, è diventato per il peccato simile a lui, molto di più, guardando l'immagine di Dio, a somiglianza della quale è stato fatto da Dio, mediante il Verbo e la potenza di lui, riceverà quella forma [di lui], che gli era stata data per natura. E nessuno, vedendo che la sua somiglianza è più col diavolo che con Dio, disperi di potere di nuovo ricuperare la forma dell'immagine di Dio, poiché il Salvatore non è venuto a chiamare a penitenza i giusti, ma i peccatori (Lc 5,32; Mt 9,13). Matteo era pubblicano, e certamente la sua immagine era simile al diavolo, ma, venendo alla immagine di Dio, il Signore e Salvatore nostro, e seguendola, si trasformò a somiglianza della immagine di Dio. Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni, suo fratello, erano pescatori (cfr Mt 4,21.18), e uomini illetterati (Atti 4,13), e certo allora avevano più somiglianza con l'immagine del diavolo, ma, seguendo anch'essi 1'immagine di Dio, divennero simili ad essa, come anche gli altri apostoli. Paolo era persecutore dell'immagine stessa di Dio (1 Tim 1,13); ma appena poté scorgerne la grazia e la bellezza, vedutala, fu trasformato a tal punto a somiglianza di essa, da dire: Cercate la prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13,3).

 

Maschio e femmina li fece

14. Maschio e femmina li fece, e li benedì Dio, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e dominate su di essa (Gen 1,27-28). Sembra conveniente, in questo punto, ricercare, secondo la lettera, come, non essendo ancora stata fatta la donna, la Scrittura dica: Li fece maschio e femmina. Forse, penso io, a motivo della benedizione, con cui li ha benedetti, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, prevenendo quel che sarebbe accaduto, dice: Maschio e femmina li fece, giacché in verità l'uomo non poteva crescere e moltiplicarsi, se non con la donna. Dunque, affinché si credesse che la sua benedizione senza dubbio si sarebbe attuata, dice: Maschio e femmina li fece.

In questo modo l'uomo, vedendo che il crescere e moltiplicarsi conseguiva dal fatto che gli veniva unita la donna, poteva avere una speranza più sicura nella benedizione divina. Infatti, se la Scrittura avesse detto: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e dominate su di essa, non aggiungendo: Maschio e femmina li fece, [l'uomo] sarebbe stato per lo meno incredulo alla benedizione divina, come anche Maria, alla benedizione con cui veniva benedetta dall'angelo dice: Come lo saprò? poiché non conosco uomo (Lc 1,34)

O forse: poiché di tutte le cose fatte da Dio si dice che sono congiunte e unite, come cielo e terra, sole e luna; così dunque, per mostrare come anche l'uomo sia opera di Dio, e sia stato creato con armonia e unione adeguata, dice, prevenendo: Maschio e femmina li fece.

Abbiamo detto ciò riguardo al problema che può essere suscitato dalla lettera.

 

Lo spirito e l'anima dell'uomo

15. Ma vediamo anche secondo l'allegoria come l'uomo sia stato fatto maschio e femmina, a immagine di Dio.

Il nostro uomo interiore consta di spirito e anima: si dice maschio lo spirito, l'anima si può denominare femmina; se essi hanno mutua concordia e consenso, unendosi scambievolmente, crescono e si moltiplicano, e generano figli: i buoni sentimenti, le idee e i pensieri utili, mediante i quali riempiono la terra e la dominano; cioè, assoggettato a sé il sentimento della carne, lo volgono a migliori disposizioni, e lo dominano, s'intende quando in nulla la carne insolentisce contro il volere dello spirito.

Invero, se l'anima, congiunta allo spirito, e, per cosi' dire, a lui coniugalmente unita, ora si volge ai piaceri del corpo e piega il suo sentire ai godimenti carnali, e ora sembra obbedire ai salutari ammonimenti dello spirito, ora cede ai vizi della carne: un'anima siffatta, come contaminata dall'adulterio col corpo, non si può dire che cresca e si moltiplichi legittimamente, poiché la Scrittura designa come imperfetti i figli degli adulteri (cfr Sap 3,16). Infatti un'anima simile, la quale, lasciata da parte l'unione con lo spirito, si prostra tutta al sentire della carne e ai desideri del corpo, come distoltasi da Dio spudoratamente, si sentirà dire che: La faccia ti è diventata faccia di meretrice, senza pudore ti sei resa per tutti (Ger 3,3). Dunque sarà punita come meretrice, e si comanda che i suoi figli siano preparati per il massacro (Is 14,21).

 

I santi e i peccatori

16. E dominate sui pesci del mare, e sui volatili del cielo, e sui giumenti, e su tutti [gli animali] che sono sopra la terra, e sui rettili che strisciano sopra la terra (Gen 1,28).

Abbiamo già interpretato queste cose secondo la lettera, avendo detto che Dio disse: Facciamo l'uomo, e il resto, quando dice: E domini sui pesci del mare e sui volatili del cielo (Gen 1,26), e le altre cose.

Ma secondo l'allegoria, mi sembra che nei pesci, nei volatili, negli animali e rettili della terra, siano indicate le cose, delle quali non senza motivo abbiamo sopra parlato, cioè, o le cose che procedono dal sentire dell'anima e dalla riflessione del cuore, o quelle che scaturiscono dai desideri del corpo e dai movimenti della carne. Invero i santi, conservando in sé stessi la benedizione di Dio, dominano queste cose, muovendo tutto l'uomo secondo il volere dello spirito; invece i peccatori sono piuttosto dominati da queste stesse cose, che scaturiscono dai vizi della carne e dai piaceri del corpo.

 

Le passioni del corpo

17. E Dio disse: Ecco, vi ho dato ogni erba seminale, che semina il seme che è sopra tutta la terra, e ogni albero che ha in sé frutto di seme seminale: saranno di cibo a voi, a tutte le bestie della terra, a tutti i volatili del cielo, e a tutti i rettili che strisciano sulla terra, che hanno in sé anima di vita (Gen 1, 29-30).

Il contenuto letterale di questo discorso indica chiaramente che in principio fu permesso da Dio che si usassero come cibo erbe, cioè legumi e frutti degli alberi; in seguito, con l'alleanza fatta con Noè dopo il diluvio, è data agli uomini facoltà di cibarsi di carni (cfr Gen 9,3 ss). Ne spiegheremo più rettamente i motivi nei punti propri.

Secondo l'allegoria, peraltro, nell'erba della terra e nei suoi frutti, accordati come cibo agli uomini, possono intendersi le passioni del corpo: a mo' di esempio, l'ira e la concupiscenza sono germi corporali; i frutti, ossia le opere, di tali germi, sono comuni a noi, esseri razionali, e alle bestie della terra.

Infatti, quando ci adiriamo per la giustizia, cioè per castigare chi pecca e correggerlo a salvezza, ci cibiamo di questo frutto della terra, e l'ira del corpo, mediante la quale reprimiamo il peccato, ristabiliamo la giustizia, diviene nostro cibo.

E perché non ti sembri che noi traiamo queste considerazioni dal nostro sentire piuttosto che dall'autorità della divina Scrittura, ritorna al libro dei Numeri, e ricorda quel che fece il sacerdote Finees, il quale, avendo veduto una meretrice della gente di Madian aderire con amplesso impuro a un uomo di Israele, sotto gli occhi di tutti, riempito dall'ira dello zelo divino, afferrata una spada, li trapassò entrambi nel petto (Num 25, 7-8); questo atto gli fu computato da Dio a giustizia, poiché il Signore dice: Finees ha placato il mio furore, e gli sarà computato a giustizia (cfr Num 25, 11-13; Sal 106 [105], 30-31)

Dunque, questo cibo terreno dell'ira, diventa nostro cibo, quando ne usiamo spiritualmente per la giustizia. Se invece si produce l'ira in maniera non spirituale, tale da castigare gli innocenti e da ribollire contro coloro che non peccano in nulla, questo sarà il cibo delle bestie della campagna, dei serpenti della terra e degli uccelli del cielo. Infatti di questi cibi si nutrono anche i demoni, che si pascono delle nostre cattive azioni e le favoriscono.

Dimostrazione di un'opera siffatta è Caino, che, adirato per la gelosia, ingannò il fratello innocente (Gen 4,8).

Similmente dobbiamo pensare anche riguardo alla concupiscenza, e alle singole passioni di tal genere.

Infatti, quando l'anima nostra brama e viene meno per il Dio vivente (Sal 84[83],3), la concupiscenza è nostro cibo; ma quando guardiamo con concupiscenza la donna d'altri, o bramiamo qualcosa del prossimo (cfr Mt 5,28; Es 20,17), la concupiscenza diventa cibo bestiale; può servire di esempio la concupiscenza di Acab e l'azione di Gezabele riguardo alla vigna di Nabot di Iezreel (cfr 1 Re, 21).

Certamente è da considerarsi la prudenza della Sacra Scrittura anche nell'uso delle parole; avendo essa detto, riguardo agli uomini, che Dio disse: Ecco vi ho dato ogni seme seminale, che è sopra la terra, e ogni albero, che è sopra la terra: vi sarà di cibo (Gen 1,29); riguardo alle bestie non ha detto: Diedi loro tutte queste cose in cibo, ma: Sarà loro di cibo (Gen 1,30), affinché, secondo il senso spirituale che abbiamo esposto, si comprenda che queste passioni sono state date da Dio all'uomo, e che tuttavia Dio predice che saranno anche cibo per le bestie della terra.

Dunque la divina Scrittura ha usato una parola prudentissima; essa infatti afferma che Dio dice agli uomini: Vi ho dato queste cose in cibo, ma quando poi passa alle bestie, dice con un significato non più di comando, ma di predizione, che queste cose saranno di cibo anche per le bestie, gli uccelli, i serpenti.

Ma noi, secondo la parola dell'apostolo Paolo, prestiamo attenzione alla lettura, per potere, come egli stesso dice, ricevere il sentimento di Cristo (1 Cor 2,16), e conoscere le cose che ci sono state donate da Dio (1 Cor 2,12), e, delle cose che sono state date a noi per cibo, non facciamo cibo di porci o di cani (cfr Mt 7,6), ma formiamole tali in noi, da essere degni di ricevere, nella dimora del nostro cuore, il Verbo e Figlio di Dio che viene con il Padre suo e vuole abitare presso di noi nello Spirito Santo (Gv 14,23), del quale prima dobbiamo essere tempio per la santità (1 Cor 6,19).

A lui gloria per gli eterni secoli dei secoli. Amen.