Sacrum Ministerium N. 1/98

UNA FINALITA BEN DELIMITATA,

MA CHE VUOLE PROVOCARE

UN NECESSARIO RIPENSAMENTO

 

In Germania l'Istruzione ha suscitato un grande scalpore e reazioni contrastanti. Da una parte c'è stato un secco rifiuto, dall'altra si è cercato di relativizzarla, assicurando che non concerne il proprio ambito di responsabilità, ci sono però anche delle voci avvedute che raccomandano un esame tranquillo che porterà, se necessario, a correggere le tendenze erronee.

ASPETTI FORMALI

Per valutare correttamente l'Istruzione occorre prima di tutto considerare alcuni aspetti formali. L'Istruzione è un testo legislativo e come tale va letta. Dopo una larga introduzione troviamo due parti intitolate: "Principi teologici" e "Disposizioni pratiche". Le critiche diffuse dai mezzi di comunicazione si rivolgono quasi esclusivamente alla seconda parte e recriminando per l'aridità del linguaggio. Al riguardo va segnalato che un testo legislativo non può essere giudicato secondo criteri letterari, ma in primo luogo in base all'esattezza del suo contenuto e alla chiarezza delle sue affermazioni. L'istruzione non è infatti uno scritto teologico e men che meno un testo magisteriale sul ruolo del laico nella Chiesa.

Una "Istruzione", in virtù della sua natura giuridica, è una disposizione amministrativa (cfr. can. 34 CIC). Ciò che la caratterizza è il fatto di non creare nessuna nuova legge, ma di limitarsi a inculcare l'osservanza del diritto vigente. Inoltre non si dirige a tutti coloro che sono soggetti al diritto vigente, ma solo a coloro il cui compito è curare che le leggi vengano rispettate. L'Istruzione che stiamo commentando è diretta in primo luogo, sia per l'attualità che a scopo di prevenzione, a tutti i vescovi diocesani della Chiesa latina (cfr. can. 392 CIC). Spetterà loro un'adeguata trasmissione dei suo contenuto agli interessati.

Il documento porta la data del 15 agosto 1997, ma è stato pubblicato solo il 13 novembre. Nello stesso non si trova nessuna indicazione sulla sua entrata in vigore. Contrariamente a ciò che è stabilito per la promulgazione delle leggi (cfr. can. 8 § 1 CIC), le norme generali non regolano né la promulgazione, né l'eventuale entrata in vigore delle istruzioni. In fondo ciò non è necessario, dato che si tratta solo di ricordare ai destinatari un obbligo già da tempo in vigore. 1 mesi trascorsi fra la data di approvazione ed il giorno della pubblicazione sono probabilmente dovuti al lavoro di traduzione nelle diverse lingue. Se la pubblicazione di documenti importanti nelle lingue moderne più diffuse è da apprezzare, si deve tuttavia sottolineare la convenienza che la Santa Sede non rinunci alla stesura di una versione autentica in latino. Recentemente il Papa ha ricordato l'importanza della lingua latina per la Chiesa.

Il fatto che per l'istruzione siano corresponsabili, oltre alla Congregazione per il Clero, altri sette Dicasteri romani, corrisponde alle previsioni legislative della Curia Romana. Secondo queste, ciò che si trova nell'ambito di competenza di diverse istanze, deve essere trattato da tutte, restando il coordinamento in mano all'istanza che per prima si è occupata della questione. Nel caso che stiamo esaminando si ha l'impressione che nel corso del tempo si sono accumulati problemi di varie natura da esaminare sotto diversi aspetti, dando luogo ad una ampia consultazione curiale. Sarebbe stato sufficiente che il documento fosse firmato dalla sola Congregazione per il Clero, segnalando la precedente consultazione interdicasteriale. Tuttavia il fatto che tutti i dicasteri coinvolti abbiano firmato con il rispettivo dirigente e segretario esprime con chiarezza la loro corresponsabilità e anche l'importanza attribuita dalla Curia Romana a questo tema.

Ciò è anche sottolineato dal fatto che il Papa ha approvato l'Istruzione "in forma specifica". Questa modalità è prevista dalla legge della Curia solo per certi decreti dicasteriali che hanno valore legislativo. Per le Istruzioni si deve tuttavia ricordare che, secondo il can. 34 § 2 CIC, se non si accordano con le disposizioni legislative, sono prive di valore. La modalità di approvazione scelta dal Papa va considerata alla luce del fatto che -come si dichiara nella Conclusione - con questo atto amministrativo "sono revocate le leggi particolari e le consuetudini vigenti che siano contrarie a queste norme, come altresì eventuali facoltà concesse ad experimentum dalla Santa Sede o da qualsiasi altra autorità ad essa sottoposta". Ci si pone così al riparo dalla possibile obiezione secondo la quale un atto amministrativo non potrebbe derogare delle norme (leggi o consuetudini) ormai in vigore; si manifesta inoltre la volontà di garantire una legislazione unitaria in tutta questa materia.

Il testo del documento contiene alcune affermazioni che richiedono una precisazione ermeneutica. Così nella parte dedicata ai "Principi teologici" (n. 4), rispetto ai compiti o alle funzioni che "si collocano sulla linea di diretto servizio al sacro ministero dei fedeli non ordinati" si afferma che "i fedeli non ordinati non detengono un diritto ad esercitarsi". Evidentemente non si vuole qui negare che tali fedeli possono esercitare legittimamente i menzionati compiti o funzioni. Il documento vuole invece affermare che i fedeli non ordinati non hanno il diritto di esigere l'assegnazione dei suddetti compiti o funzioni. Altrove l'Istruzione dice infatti che "gli officia, loro affidati temporaneamente, sono... esclusivamente il frutto di una deputazione della Chiesa" (art. 1 § 2). "Deputazione della Chiesa" è un modo abbreviato per dire "deputazione dei legittimi Pastori della Chiesa". Questa formulazione completa, usata in altri passi dell'Istruzione, evita una identificazione dei Pastori con la Chiesa stessa. t anche giusta la precisazione del § 3 dello stesso articolo quando si afferma che "la deputazione temporanea nelle azioni liturgiche, di cui al can. 230 § 2, non conferisce alcuna denominazione speciale al fedele non ordinato". La frase seguente, che si trova collegata con un "pertanto", dichiara illecito che i fedeli non ordinati assumano la denominazione di "pastore", di "cappellano", di "coordinatore", di "moderatore". Ciò che vale per la deputazione temporanea, vale a maggior ragione per la deputazione permanente nei compiti liturgici o pastorali (cfr. cann. 230 § 1, 517 § 2 CIC).

OSSERVAZIONI SUL CONTENUTO

L'Istruzione ha una finalità ben limitata. In tal senso conviene leggere attentamente il titolo. L'oggetto non è la collaborazione fra sacerdoti e laici, ma il ministero sacerdotale nella misura in cui i laici vi possono collaborare.

Il documento si occupa quindi solo di un limitato settore del campo d'azione dei laici nella Chiesa. Non si tratta qui del laico determinato dalla cosiddetta "indole secolare", la cui missione si svolge nella società civile, né vengono considerate le iniziative autonome dei laici nell'ambito intraecclesiale. Ci si occupa unicamente - con un'unica, eccezione, sulla quale ritorneremo - di quel settore nel quale i laici che si dichiarano disponibili ricevono una deputazione ecclesiastica. Ma anche questo settore non viene esaminato in tutta la sua ampiezza, essendo stati lasciati da parte ad esempio i vasti ambiti della scuola e dell'università. t importante non dimenticare questo fatto, poiché - a parte la menzionata eccezione - il vasto e ordinario campo d'azione dei laici nella Chiesa e nel mondo non è per niente oggetto di studio dell'Istruzione. Essa si occupa unicamente di ordinare adeguatamente l'esercizio di determinate funzioni di determinati laici. Per la loro natura ecclesiologica tutte queste determinate funzioni appartengono all'ambito del ministero ordinato al quale, tuttavia, in casi di necessità anche un laico può collaborare se ad esso legittimamente deputato. Va però qui notato: "in caso di necessità"! Non potrebbe per esempio costituire mai un obiettivo della Chiesa sostituire la celebrazione eucaristica, promuovendo celebrazioni domenicali in assenza di presbitero. Tuttavia, laddove non ci siano altre possibilità, la Chiesa è riconoscente a quel laico che, essendo ben disposto e seguendo le indicazioni del vescovo che l'ha incaricato, svolge una liturgia della Parola per e con i fedeli che non hanno altra possibilità di celebrare il giorno del Signore. t chiaro che il laico è qui veramente un ausilio suppletivo. Ciò non degrada il laico, al contrario: la disponibilità ad accettare tale compito gli rende onore. In vista però del bene dei fedeli - ed è sempre ciò che conta - si rallegrerà anche lui quando ci sia a disposizione un sacerdote per celebrare l'Eucaristia.

L'Istruzione permette di segnalare tante altre situazioni analoghe. Sarebbe però sbagliato dedurre che essa riduca il ruolo del laico nella Chiesa ad un mero "tappabuchi". L'Istruzione sembrerà restrittiva solo a coloro che considerano i compiti suppletivi quale auspicabile campo d'azione dei laici.

Il fatto che l'istruzione si occupi di quel settore in cui dei laici svolgono in senso suppletivo funzioni che, di per sé, appartengono al ministero ordinato, ci porta a valutare positivamente l'impegno con cui il documento include una presentazione succinta dei principi teologici volti a determinare i limiti della collaborazione laicale a tali funzioni. t ammirevole come si sia riusciti a sintetizzare in modo breve, ma chiaro, gli elementi della corrispondente dottrina del Concilio Vaticano II.

Anche le disposizioni pratiche non si limitano ad elencare possibili o effettivi abusi, ma cercano sempre di segnalare le coordinate teologiche sottese al rispettivo campo d'azione e di trarne le necessarie conseguenze, 1 problemi menzionati sono causati in primo luogo, dal fatto di trovarsi in una zona limitrofa. Gli abusi sorgono, da un lato, quando soluzioni eccezionali divengono delle alternative, trasformando competenze straordinariein ordinarie o, dall'altro, quando vengono illegittimamente ampliati i limiti previsti per la collaborazione, assumendo competenze non ricevute.

Al riguardo va tuttavia rilevato che per i veri e propri abusi di solito non possono considerarsi responsabili i laici. Essi svolgono infatti - normalmente con buone intenzioni - quel ruolo che si è introdotto nella rispettiva Chiesa particolare e che è stato loro affidato. D'altra parte si deve osservare che le norme stabilite dalle Conferenze episcopali o dai singoli vescovi generalmente non contraddicono le prescrizioni della legislazione universale, ma la loro chiarezza a volte non è sufficiente ad evitare il diffondersi di una pratica abusiva.

PROBLEMI SPECIFICI IN GERRNANIA

Trattandosi di questioni che riguardano la collaborazione al ministero dei sacerdoti è necessario dare la priorità al diacono nei confronti del laico. Ma in Germania e in alcuni paesi vicini l'attuazione di tale priorità è resa difficile dal numero considerevole di laici - uomini e donne - che ricevono una completa formazione teologica e pastorale, mentre ai diaconi vengono poste esigenze nettamente inferiori. Ci troviamo di fronte ad un meccanismo che va urgentemente ripensato.

Le esigenze dell'Istruzione nemmeno riguardo ai consigli parrocchiali (art. 5) costituiscono una novità. Vi sono tuttavia due motivi per cui ci troviamo qui di fronte ad un caso particolare: 1) la collaborazione dei laici in tali consigli non è prevista in modo suppletivo, ma ordinario; 2) i problemi sorti al riguardo non derivano da un abuso individuale o collettivo, ma da una anomala normativa di diritto particolare.

A proposito del consiglio parrocchiale per gli affari economici (can. 537 CIC) è indiscutibile che le norme canoniche non sono applicabili in Germania, dato che l'amministrazione del patrimonio parrocchiale è regolata in parte dal diritto ecclesiastico dello Stato e in parte dal diritto contrattuale.

Diversamente stanno le cose riguardo al consiglio pastorale parrocchiale (can. 536 CIC). Un problema risiede nel fatto che in Germania è diffusa l'opinione - anche fra i vescovi - che in questo paese tale consiglio non sia stato eretto. La legislazione universale non considera infatti obbligatorio erigerlo; spetta al vescovo diocesano giudicare della sua opportunità, dopo aver sentito il consiglio presbiterale. In sua vece esiste il cosiddetto "consiglio della comunità parrocchiale" (Pjárrgemeinderat). Si è così voluto evitare in Germania la duplicità di consigli esistente a livello diocesano - dove accanto al consiglio pastorale diocesano troviamo il "consiglio diocesano dei cattolici" -, unendo a livello parrocchiale in un unico consiglio le funzioni del consiglio pastorale con quelle del coordinamento delle iniziative autonome dei laici.

Il modello del "consiglio della comunità parrocchiale" venne sviluppato negli anni settanta dal "Sinodo delle diocesi della Germania Federale". Secondo tale modello è preferibilmente non assegnata al parroco la presidenza del consiglio. La responsabilità che spetta al parroco in virtù del suo ufficio dovrebbe venire rispettata grazie all'attribuzione di un diritto di veto. Inizialmente questo modello era previsto per il Sinodo, con l'idea, però, di estenderlo ai consigli a livello diocesano. Era una concezione prettamente negativa della responsabilità dei Pastori. La discussione che allora si accese, anche al di fuori dell'aula sinodale, ha portato alle necessarie correzioni riguardo al consiglio presbiterale e al consiglio pastorale diocesano, ma non riguardo al "consiglio della comunità parrocchiale". Nonostante la chiara determinazione del consiglio pastorale parrocchiale, avvenuta con la promulgazione del nuovo CIC (can. 536), la Conferenza episcopale non ha considerato necessario procedere ad una riforma, dato che ormai, rispetto al consiglio pastorale parrocchiale previsto dal Codice, il "consiglio della comunità parrocchiale" era qualcosa d'altro. Questa posizione sembra appoggiarsi al presupposto che il can. 536 CIC lasci aperta la porta a qualsiasi alternativa rispetto al consiglio pastorale parrocchiale. Ciò è tuttavia insostenibile dal momento in cui devono essere adempiute le disposizioni previste dal Codice per le funzioni del consiglio pastorale parrocchiale.

Secondo quanto riferito dalla stampa, il presidente della Conferenza episcopale tedesca ha affermato che l'Istruzione concerne la Chiesa in Germania essenzialmente solo a proposito dei "consigli delle comunità parrocchiali". Le dichiarazioni di altri vescovi sembrano invece volte a tranquillizzare i fedeli, assicurando che si manterrà la legislazione attuale, non rilevando la necessità di intervenire. La dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale segnala inoltre che il "Vaticano" ha sempre tollerato che in Germania la presidenza dei Consigli delle comunità parrocchiali venisse affidata a dei laici. Bisogna comunque osservare che il problema non viene solo da questa presidenza, ma anche dall'inaccettabile sistema del diritto di veto. Si deve però riconoscere che ci troviamo qui di fronte ad un difficile problema pastorale: come spiegare in modo credibile gli errori interni di un sistema che per più di vent'anni è stato promosso o tollerato?

Mi sembra che in Germania si dovrebbe aprire un discorso libero da pregiudizi, chiarire bene le implicazioni ecclesiologiche e sviluppare la disponibilità a correggere il vigente ordinamento.

Se da un lato esponenti del cattolicesimo ufficiale hanno reagito contro l'Istruzione in un modo così primitivo da autosqualificarsi, d'altro lato va considerato il grande impegno che da diversi anni è stato profuso da numerosi fedeli, anche se all'interno di un sistema scorretto. Mentre i primi hanno più dì un motivo per rivedere il loro atteggiamento, si dovrebbe cercare

o pi di non scoraggiare questi ultimi, aiutandoli ad aprirsi verso un nuovo modo di concepire il proprio ruolo.

Prof. Winfried Aymans

Monaco di Baviera