Dio educa il suo popolo

anno pastorale 1987/88

 

[1] 1. Mi sento la testa piena e confusa. Ho letto, ascoltato, trascritto testi e appunti di ogni genere sul tema dell'educazione. E adesso tutto questo materiale mi è come stipato dentro, senza trovare una via d'uscita soddisfacente. Vorrei dire e riesprimere tutte le cose udite, tenere conto dei consigli ricevuti (scriva una lettera pastorale chiara, incisiva, breve, convincente... ma tenga conto di questo, non ometta quell'altro... insista sui principi, non vogliamo ricette... ci dia indicazioni pratiche, scenda al concreto...).

Ho mal di capo e non so da che parte cominciare.

Ma ecco un lampo: perché sono qui e scrivo? Perché mi sto interessando di queste cose? Perché mi sta a cuore comunicare qualcosa su questo tema?

Perché Tu, o Signore, mi hai educato, Tu mi hai condotto fin qui: Tu hai messo in me la gioia di educare "più gioia di quando abbondano vino e frumento" (Salmo 4, 8). Sei Tu, o mio Dio, il grande educatore, mio e di tutto questo popolo. Sei Tu che ci conduci per mano, anche in questa nuova fase del nostro cammino pastorale. "Uno solo è il vostro Maestro" (Matteo 23, 8). "Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati", Tu, o Signore, "ci sollevi sulle tue ali"; ci fai "montare sulle alture della terra, ci nutri con i prodotti della campagna"; ci fai "succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia" (Deuteronomio 32, 1-13).

Rivedo il mio cammino educativo. Alcuni educatori meravigliosi: mia madre, alcuni preti e religiosi, qualche professore. Altri meno "bravi", meno ammirati da noi ragazzi, ma tutti ci hanno pur dato qualcosa. Attraverso questi tuoi strumenti sei Tu, o Padre, che ci hai educato fino a oggi!

Penso al mio cammino di vescovo: posso dire anzitutto di me ciò che ho scritto una volta del cardinale Ferrari: "un vescovo educato dal suo popolo". Quanti stimoli formativi ricevo da tanta gente, che non mi lascia dormire sui solchi già tracciati, ma continuamente scuote la mia pigrizia. Sei Tu, o Signore, che agisci per mezzo di questo popolo e continui a educare misericordiosamente questo tuo vescovo:

Ed ecco emergere il tema preciso di questa lettera: Dio educa il suo popolo! Non dunque un trattatello di pedagogia, non una piccola miniera di buoni consigli. Ma un messaggio di fiducia: Dio è in mezzo a noi, Dio ha educato ciascuno di noi e tutti noi. Dio continua a educare. Noi educatori siamo suoi alleati: l'opera educativa non è nostra, è sua. Noi impariamo da lui, lo seguiamo, gli facciamo fiducia ed egli ci guida e ci conduce.

[2] 2. Il Signore ci fa passare dai cinque programmi pastorali 1980-1986 a una nuova serie di programmi. I primi volevano esprimere un'immagine di uomo e di Chiesa indicandone alcuni punti nodali. Questa seconda serie, che comprenderà tre imperativi ("educare", "comunicare", "vigilare"), vuol rispondere alla domanda: quali sono gli atteggiamenti, gli strumenti, i metodi e gli ambiti nei quali prende forma la figura di uomo e di Chiesa locale descritta nella prima serie di programmi pastorali?

Questa seconda fase non ci conduce dunque su sentieri diversi. Si tratta di ripercorrere le stesse strade con un'attenzione cosciente a dove mettiamo i passi, a come ci muoviamo, a quali mezzi ci avvicinano di più alla meta.

Venendo in particolare al programma pastorale sull'educare, si può dire che esso è al tempo stesso nuovo e vecchio. E' nuovo, perché nessuna delle precedenti lettere è stata espressamente dedicata all'educazione.

Non è nuovo, perché la preoccupazione educativa ha sempre accompagnato i cinque programmi fin qui svolti.

Così, ad esempio, la prima proposta (mettere in rilievo "la dimensione contemplativa della vita" ) nasceva da una certa idea di uomo e suggeriva una educazione impregnata di silenzio, di preghiera personale, perché la persona umana potesse ritrovare la sua identità. Educando alla contemplazione abbiamo inteso educare l'uomo a ritrovare se stesso, non ad aggiungere qualche pratica religiosa in più (ma l'hanno capito davvero tutti?). Era questo anche lo scopo delle "Scuole di preghiera".

La proposta successiva ("In principio, la Parola") indicava un'immagine di uomo e di Chiesa in ascolto, in obbedienza a un progetto divino. Di qui l'educazione alla "lectio divina", all'ascolto della Parola nella liturgia, e il metodo delle "Scuole della Parola", che dai raduni giovanili in Duomo si è esteso a tutta la Diocesi.

La terza proposta (mettere "l'Eucaristia al centro"), ha educato a riconoscere la forza plasmatrice della Pasqua rivissuta dalla Chiesa, superando la centralità autosufficiente dell'uomo con i suoi esiti negativi di frammentazione e sgretolamento della coscienza.

Dalla centralità eucaristica abbiamo derivato la dimensione missionaria della Chiesa ("Partenza da Emmaus") e l'essere "per la carità" ("Farsi prossimo").

Il Convegno di Busto Arsizio su "Catechisti testimoni" (1984) e quello di Milano-Assago sul farsi prossimo" (1986) hanno voluto educare a questi due atteggiamenti fondamentali della Chiesa e del cristiano.

Soprattutto l'ultimo tema del "Farsi prossimo" racchiude i discorsi precedenti e li porta a maturazione. Perciò una riflessione sull'educare che tenga conto del nostro cammino di Chiesa potrebbe esprimersi semplicemente in una ricerca su come "educare a farsi prossimo", naturalmente secondo tutta la vastità di questo termine, con ciò che esso presuppone quanto a cammini di vita spirituale e personale e quanto a cammini di Chiesa. Se il farsi prossimo rappresenta il momento sintetico e culminante di una visione di uomo e di Chiesa, si tratta ora di passare dalla considerazione di questa immagine a una riflessione esplicita degli ambiti, strumenti e metodi, mediante i quali ci si appropria quotidianamente della proposta.

[3] 3. Il tema "educare" sarà il primo che affronteremo in questa nuova fase pastorale. Ad esso dedicheremo il biennio 1987-89.

Si danno molte definizioni dell'educazione.

Essa è "introduzione nella realtà, alla realtà totale" (L. Giussani che cita .r A. Jungmann). E' "una procreazione continua" (S. De Giacinto); è un "dare aiuto, sostegno e guida ai "nuovi" della società da parte degli "adulti", lungo un processo con il quale i "nuovi" si muoveranno sempre più consapevolmente verso la loro autonomia" (da uno studio a cura dell'UCIIM); comprende "ogni modificazione programmata della persona, specie nei primi anni, mediante l'operazione sia di un intervento esterno, sia della libera decisione" (J. Dikow), ecc.

Ogni definizione risente sempre un po' del tempo e dell'ambiente in cui è elaborata.

Dalla molteplicità dei tentativi di definire questa realtà si ricava che essa non è facilmente circoscrivibile in poche parole. Perciò la si descrive più volentieri esplicitandone i fini. Essa "deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene delle varie società di cui l'uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere" (Vaticano II, Gravissi suo itinerario educativo. Ma ciò che diremo si applicherà anche al "secondo stadio", perché l'educare e l'educarsi sono realtà contigue e comunicanti.

[4] 4. La nostra situazione educativa è stata analizzata più volte in questi anni. Mi riferisco in particolare alle riflessioni fatte dal Consiglio Pastorale Diocesano negli anni 1981-1982, che culminarono nel pregevole documento "Spunti per un progetto di pastorale giovanile" dell'8 maggio 1982; dal Consiglio Presbiterale ("Pastorale giovanile", sessioni del 24 febbraio e 31 marzo 1981; "Educazione e Famiglia", 23-24 marzo 1987; "Educare", 9 giugno 1987); in occasione dell'inchiesta sulla catechesi agli adulti, in preparazione al Convegno di Busto Arsizio nel 1984; nel Convegno di Milano-Assago nel novembre 1986, con il conseguente avvio delle scuole di formazione al socio-politico, ecc.

Qui mi limito a poche domande.

a) Sappiamo educare? Come ci comportiamo di fronte ai momenti difficili dell'educazione? In essi si vede, infatti, se si è davvero capaci di aiutare il ragazzo ad assumere per la prima volta coscienza di sé come totalità e compiere un'opzione di fondo per la sua esistenza.

Interroghiamoci, dunque, su come ci comportiamo di fronte a problemi come la mancanza di dialogo nelle famiglie, la resa educativa dei genitori dopo i quattordici anni, la rassegnazione di fronte al potere magico della televisione, l'apatia dei quindicenni e la loro solitudine di fronte ai primi problemi affettivi...

Nell'ambito parrocchiale, come guardiamo a problemi come lo svuotamento degli Oratori da parte dei ragazzi di una certa età, la fatica di interessare i giovani a qualcosa che vada più in là del loro piccolo gruppo, l'inerzia di molte realtà di base e la foga discutibile di altre, ecc.

E ancora a livelli più vasti, lo scarso rendimento dello sforzo educativo della scuola, le ricorrenti rivolte generazionali, per non parlare dei problemi più gravi come il vivere sulla strada, i pericoli della droga, le tentazioni della violenza.

b) Siamo noi stessi educabili? Siamo pronti a mettere in questione il nostro modo di educare, a sottoporlo al vaglio, a riconoscere le nostre manchevolezze, a cambiare qualcosa?

c) Non c'è forse uno scarto tra le energie che impegniamo nel campo educativo e i risultati raggiunti? Non mi si dica che sono pochi gli educatori disponibili. Quando penso ai nostri oltre tremila preti diocesani e religiosi, ai circa ottocento religiosi laici, alle oltre diecimila suore, ai forse trentamila tra catechisti ed educatori di Oratorio, alle centinaia di migliaia di genitori che si dicono cristiani, mi vedo di fronte a un esercito di educatori straordinario. Prima di lamentarci che gli educatori sono pochi, domandiamoci se coloro che tra noi in qualche modo esprimono una vocazione educativa sono davvero impegnati secondo le loro possibilità. Ho talora l'impressione che, tra molti che si dicono "educatori", spiri un vento di incertezza, di rassegnazione, di rinuncia. Parecchi di loro sembrano dire come Mosè: "Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me" (Numeri 11, 14). Si è come un po' bloccati e impotenti di fronte a quelli che vengono denunciati come gli insuperabili ostacoli educativi del mondo d'oggi (società permissiva, televisione, ambienti negativi frequentati dai giovani, mentalità dominante, richiamo dei divertimenti, carenza di ideali, ecc.).

Tale mentalità lamentosa e dimissionaria caratterizza purtroppo tanti nostri ambienti, e fa si che anche gli sforzi buoni che ivi si compiono e i sacrifici fatti non abbiano la forza incisiva che nasce dalla fiducia di avere in mano una chiave educativa valida.

Non c'è spettacolo più deprimente che incontrare genitori o educatori che si dolgono in continuazione dei loro ragazzi e non riescono a convincersi di possedere strumenti educativi formidabili.

Mi pare che contribuisca a ciò anche un atteggiamento di fondo errato, che chiamerei di "solitudine educativa", e che vorrei aiutare a correggere con questa mia lettera.

[5] 5. Una lettera sull'educazione che volesse dire tutto sarebbe diseducativa, perché contravverrebbe a un principio fondamentale dell'educazione che è quello "maieutico": far emergere le cose dall'altro, fargliele scoprire, invitarlo a completare il quadro abbozzato, a trovare le lacune, ecc.

Queste pagine sono dunque uno stimolo a pensare. Vogliono mettere in moto un processo di riflessione e di revisione dei pensieri, delle idee e dei modi di agire abituali nel campo educativo.

Esse sono pensate per il primo anno del biennio pastorale che dedicheremo all'"educare".

Nell'ultima parte di questa lettera sono contenute alcune indicazioni programmatiche per questo anno 1 987-88 .

Nell'anno successivo chiederò alle principali agenzie educative (Famiglia, Parrocchia e Oratorio, Scuola, Associazioni e Movimenti, Istituzioni culturali...) di mettere in atto un riesame analitico dei propri fini e dei propri mezzi. Se il Signore me ne darà grazia, accompagnerò questo cammino con una lettera dal titolo "Itinerari educativi", che cercherà di raccogliere le esperienze fatte per le diverse età e i diversi ambienti.

Quest'anno sarà invece dedicato ai principi generali comuni a ogni realtà educativa. Sono convinto, infatti, che se non si esce un po' dal cerchio immediato delle attività e dei problemi quotidiani sarà quasi impossibile attuare un efficace rinnovamento.

Perciò, prima di arrivare a ulteriori specificazioni di ambiti e strumenti educativi, ritengo pertinente, nella linea del "primato della contemplazione", dedicarci anzitutto a una riflessione più generale su "Dio educatore" e sulle conseguenze che ne derivano per ogni cammino formativo. Infatti solo guardando più in alto possiamo poi sperare di vederci un po' meglio anche nelle nostre situazioni quotidiane.

Per quanto riguarda una prima utilizzazione immediata della lettera, vi offro questi suggerimenti:

1. Anzitutto contempliamo, con l'aiuto della Scrittura, Dio educatore. Leggiamo nelle pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento come Dio, mediante i suoi strumenti, i profeti e gli apostoli, e soprattutto nel suo Figlio, educhi e guidi i singoli e il popolo. Potremo partire dalle indicazioni date nella prima parte della lettera, ampliandole con la lettura personale della Scrittura e con l'aiuto di sussidi. Insistiamo nella preghiera, perché il Signore ci faccia comprendere che è Lui il grande educatore, e che noi siamo i suoi discepoli e i suoi alleati, collaboratori e strumenti nel cammino educativo.

2. Riflettiamo poi, a partire da tali convincimenti, su che cosa si fa o non si fa oggi presso di noi a proposito dell'educazione. Confrontiamo i principi generali esposti nella seconda parte della lettera con quanto noi pensiamo, con le nostre concezioni ed esperienze. Dialogando tra noi educatori, domandiamoci se abbiamo anzitutto le idee chiare e guardiamo davvero in faccia a tutta la realtà, poi se abbiamo il coraggio e la gioia di educare, infine come viviamo questo compito.

3. Da ultimo, esaminiamoci, con l'aiuto della terza parte della lettera, sul modo con cui le nostre istituzioni educative in generale riflettono i valori che abbiamo contemplato, e su come potremmo prevedere un processo di autoanalisi e di valutazione dei risultati che di fatto otteniamo con i nostri attuali strumenti educativi e delle difficoltà o degli insuccessi.

 

[6] 6. Assumo come testo fondamentale il passo del Cantico di Mosé che descrive l'azione educativa di Dio per il suo popolo:

"Egli lo trovò in una terra deserta,

in una landa di ululati solitari.

Lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, (1)

lo custodì come pupilla del suo occhio.

Come aquila che veglia la sua nidiata

che vola sopra i suoi nati

egli spiegò le sue ali e lo prese

lo sollevò sulle sue ali.

Il Signore lo guidò da solo,

non c'era con lui alcun Dio straniero"

(Deuteronomio 32, 10-l2)

Questo passo non è isolato, ma esprime una persuasione costante della Scrittura: è Dio il grande educatore del suo popolo. Il castigo più terribile che potrebbe colpire gli uomini della Bibbia non sarebbe quello di punizioni particolari, ma di sentirsi abbandonati da questa guida amorevole, sapiente, instancabile.

(1) La prima edizione della versione C.E.I. leggeva al v. 10b: "Lo circondò, lo allevò". L'edizione successiva legge come indicato sopra. Il testo ebraico ha due verbi, il primo dei quali appare in una forma solo in poesia, e indica la cura affettuosa con cui Dio "circonda" l suo popolo, Io segue e lo nutre facendolo crescere con amore. Il secondo verbo vuole indicare la comunicazione della vera intelligenza per scoprire il progetto divino nella storia.

L'azione educativa comporta dei momenti di rottura col passato (l'uscita dalla terra deserta, dalla landa di ululati solitari); si compie attraverso una crescita progressiva, propiziata da gesti di attenzione e di amore (lo educò, ne ebbe cura, lo custodì); comporta una "partnership" e una elevazione profonda dello spirito (lo sollevò sulle sue ali); esige una fiducia assoluta e incondizionata (il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun Dio straniero).

Sono convinto che molti insuccessi educativi hanno la loro radice nel non aver noi capito che "Dio educa il suo popolo", nel non aver colto la forza del programma educativo espresso nelle Scritture, nel non esserci alleati col vero educatore della persona. D'altro canto sono convinto che una fiducia rinnovata nella forza educativa del Vangelo può ridare fiato a molti nostri educatori, togliere loro la sensazione di dover portare un peso superiore alle proprie forze e di lottare contro nemici troppo forti.

Sono pure convinto che una retta concezione di "Dio educatore" è di fatto molto vicina a una sana comprensione "laica" dell'educare, intesa nei suoi aspetti positivi, e cioè nella percezione dell'importanza della libertà, nel sommo rispetto per chi è educato, nella rinuncia a ogni manipolazione. Infatti il vero senso della libertà presuppone che si sappia "per che cosa" si è liberi; il rispetto per l'educando non viene dato con un atto di fiducia cieco, ma confidando nel "maestro interiore", che muove e attira ciascuno; ogni manipolazione educativa viene esclusa dalla certezza che è nel santuario della coscienza, nel "cuore", che ciascuno assume le decisioni definitive

Mettendo al centro l'azione di Dio si pone in più chiara luce l'attività sia dell'educatore che del soggetto da educare: l'educando viene stimolato a collaborare con la forza interiore che è in lui, di cui la comunità educante è alleata. Predomina dunque il rispetto per il processo di autotrascendenza morale, intellettuale e religiosa dell'adolescente in cammino verso il proprio io autentico, quello che "è stato fatto per mezzo della Parola" e che ora è evento mediato dalla stessa Parola.

[7] 7. La Scrittura ha una ricchissima tradizione per quanto riguarda il tema educativo.

Essa è piena di spunti pedagogici e didattici, espressi sia nel linguaggio figurato della parabola, sia nella forma dell'esempio, sia nei detti sapienziali. Il popolo ebraico aveva elaborato un sistema educativo molto raffinato, e nella Scrittura si trovano tracce di una tradizione pedagogica di prim'ordine.

Tuttavia noi non siamo interessati, qui, ai particolari.

Ci interessa l'intuizione globale che abbiamo espresso all'inizio: Dio educa il suo popolo!

Ci domandiamo, dunque, quali sono le coordinate fondamentali del cammino educativo che Dio fa percorrere al suo popolo e a ciascuno dei suoi figli. Tali coordinate sono illuminanti anche per il nostro compito educativo.

Sinteticamente le esprimerei così: si tratta di un processo educativo:

1. personale e insieme comunitario;

2. graduale e progressivo;

3. con momenti di rottura e salti di qualità;

4. conflittuale;

5. energico;

6. progettuale e liberante;

7. inserito nella storia;

8. realizzato con l'aiuto di molteplici collaboratori;

9. compiuto in maniera esemplare nella vita di Gesù;

10. iscritto nei cuori mediante l'azione dello Spirito Santo nell'"uomo interiore";

11. espresso nel cammino di fede di Maria "Redemptoris Mater".

[8] 8. Si tratta anzitutto di un processo che non ha per termine unicamente l'individuo, ma un intero popolo. Le singole persone sono educate, amate e rispettate nella loro individualità; a ognuna di esse si attribuisce un valore assoluto: ma il termine della educazione non è semplicemente lo sviluppo o il perfezionamento del singolo, è la maturità dell'intera collettività.

La maturità di ciascuno non si attua se non nella maturazione della comunità; e la pienezza di sviluppo della comunità comprende e presuppone la raggiunta pienezza del singolo.

Nella Scrittura i due aspetti (collettività - individuo) sono talmente collegati e fusi insieme che spesso non è facile determinare se un testo al singolare si riferisca solo ad una singola persona storica o all'intero popolo, mentre d'altra parte molti testi al plurale possono applicarsi al cammino e alle vicende di una persona singola e al suo sviluppo spirituale. Questo ci fa intendere che il processo educativo di cui parla la Scrittura è quello di una persona nell'ambito del suo gruppo, e quello di una comunità chiamata a una maturazione globale mediante la maturazione di tutti i suoi membri.

Si legga, ad esempio, Osea 2, 16ss:"Perciò, ecco, la attirerò a me. Ia condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore... Ià canterà come nei giorni della sua giovinezza... ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore"

Queste parole sono dirette a tutto il popolo, che appare sotto l'immagine di una donna infedele, rimessa alla prova con l'ardore del primo fidanzamento e ricolmata di beni. Ma molti santi nella storia di Israele e della Chiesa hanno letto queste parole come rivolte a se stessi e al proprio cammino di persone singole, e hanno fatto ciò legittimamente.

Così è possibile viceversa applicare al cammino del popolo appelli che sembrano anzitutto rivolti a una persona singola. E' il caso di tanti Salmi che sembrano parlare a un solo fedele o esprimere le suppliche di un individuo a partire dal suo caso particolare, ma possono anche essere letti come oracolo per il popolo e suppliche di tutto il popolo.

E' tipico a questo proposito il "Miserere" che, da Salmo di penitenza individuale ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia": Salmo 50 (51), 1), diviene invocazione per tutto il popolo ("Nel tuo amore fa' grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme": vers. 20).

In conclusione, dicendo che Dio educa il suo popolo si vuol dire che Dio è educatore di ciascuno di noi, di ogni uomo e donna che vengono in questo mondo, ma sempre nel quadro di un cammino di popolo, di una comunità di credenti; Dio educa un popolo nel suo insieme, con attenzione privilegiata verso il cammino di ciascuno.

La ragione penultima di ciò è la natura comunitaria della persona: nessuno diviene uomo nel senso pieno del termine, nessuno giunge all'esercizio storico autentico della sua libertà senza una comunità a cominciare da quella della famiglia. Una persona che si sviluppa senza comunità è di fatto impensabile. Ma anche la comunità ha una "personalità" che non è solo la somma dei singoli individui; ha un destino e una dignità storica propri.

La ragione ultima di questa dialettica persona-comunità sta invece nel fatto che l'umanità è chiamata alla comunione con Dio nell'adesione strettissima, in un solo corpo, a Gesù, Verbo incarnato, che riassume in sé tutti i destini umani: i destini di tutti e di ciascuno (cf. Efesini 1, 3-23; Colossesi 1, 1 5-20).

A questo binomio persona-comunità noi possiamo dare un nome, semplice e ricchissimo: Chiesa. Essa è il popolo dei liberi figli di Dio. Nell'Eucaristia, specialmente nell'assemblea domenicale, si esprime in maniera privilegiata la chiamata di ciascuno, con le sue caratteristiche personali e inalienabili, a formare con tutti gli altri un solo corpo nell'unico corpo del Signore (cf. 1 Corinti 10, 17), a essere "una cosa sola" nella partecipazione alla comunione trinitaria (cf. Giovanni 17, 21).

[9] 9. Gradualità significa, anzitutto, saper partire sempre dal punto in cui si trova il soggetto da educare. Non si tratta quindi di programmare a tavolino un punto di partenza, o di supporre chissà quali preparazioni nell'educando. Occorre rendersi conto di dove il soggetto in realtà si trova. Bisogna fare come Filippo, che si accosta al carro del tesoriere della regina d'Etiopia, vede quell'uomo immerso nella lettura e parte da questa circostanza: "Comprendi ciò che leggi?" (Atti 8, 26-30).

Anche se la situazione fosse disastrosa, occorre non chiudere gli occhi. Così Deuteronomio 32, 10 ci dice che Dio trovò il suo popolo "in una terra deserta, in una landa di ululati solitari".

Si veda anche in Ezechiele 16, 3-5 una descrizione plastica dello stato miserevole da cui Dio tira fuori il suo popolo e si consideri quanto detto, ad esempio, da Ebrei 1, lss; 6, lss e Osea 11 sulla "condiscendenza" divina, atto pedagogico nella linea della progressività.

All'inizio di ogni processo educativo c'è dunque la domanda: Adamo, dove sei? (cf. Genesi 3, 9).

L'importante è chiedersi: dove si trova questa persona, questo gruppo, questa comunità? hanno già compiuto un cammino serio? oppure sono all'"abc" della fede? si trovano in un momento di depressione, o di scoraggiamento? Definire con amore e con diligenza il punto di partenza è sempre il primo passo per un cammino veramente graduale.

Noi spesso, invece, non ce ne rendiamo conto e rovesciamo addosso alle persone o ai gruppi conigli e suggerimenti non assimilabili in quel momento, e che diventano fonte piuttosto di confusione e di appesantimento che non di incoraggiamento e di stimolo.

La seconda caratteristica della gradualità è la cura di individuare in ogni situazione il passo successivo da compiere. Si tratta di quel passo che una persona può davvero fare.

Non dunque una richiesta esorbitante o eccessiva, e neppure una richiesta troppo blanda, tale da non costituire un vero e proprio passo in avanti. Alla bambina di dodici anni risuscitata, Gesù non chiede alcun gesto particolare, se non la semplice voglia di riprendere a vivere, ordinando ai genitori "di darle da mangiare" (Marco 5, 43). All'indemoniato guarito, che desidera stare con lui, Gesù non lo permette: "Va' nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto" (cf Marco 5, 19). A colui che dichiara di aver osservato i comandamenti fin dalla giovinezza, chiede il massimo: Va', vendi, vieni, seguimi! (cf. Marco l0, 21 )

Occorre che il soggetto da educare sia stimolato dolcemente e coraggiosamente a fare qualcosa di più di ciò che sta facendo, occorre che gli sia impedita la stagnazione e la ripetitività morale e spirituale, ma insieme occorre che non venga scoraggiato con richieste sproporzionate, senza che gli siano risparmiate richieste audaci.

E' interessante osservare, a questo proposito, come tanti precetti morali dell'Antico Testamento, soprattutto nel campo della morale familiare e sociale, si elevano al di sopra delle richieste dell'ambiente pagano, ma non al punto da apparire inattuabili o da creare un senso di frustrazione o di disperazione in colui che è chiamato a osservarli.

Il terzo momento che caratterizza la gradualità di un cammino, è la capacità di proporre un itinerario. Sarebbe bello rileggere, ad esempio, l'intero vangelo di Marco come itinerario educativo proposto ai Dodici, in particolare a Pietro (cf. il mio volumetto: L'itinerario spirituale dei Dodici, 1981). Essi vengono colti nel loro punto di partenza di pescatori incolti, con un desiderio intenso ma ancora vago di religiosità, con una certa attesa di salvezza; di qui vengono portati gradualmente al riconoscimento del Salvatore, del Messia che deve soffrire, fino all'accoglienza della Croce e della Risurrezione. La capacità di costituire itinerari per i soggetti da educare è tipica dell'azione divina nella Scrittura, e deve diventare una capacità educativa propria di ciascuno.

[10] 10. Ma sarebbe erroneo concepire il cammino educativo come un semplice processo evolutivo, che va dal meno bene al bene, dal bene al meglio, in una tranquilla successione di passaggi sempre più esigenti.

In realtà esistono nell'itinerario pedagogico cristiano dei momenti caratteristici di rottura, senza i quali non si può neppure parlare di "educazione cristiana", ma di semplice principio evolutivo naturale.

Il momento fondamentale della rottura, che caratterizza il cammino formativo cristiano, è chiamato la "conversione": "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo" (Marco 1, 15). Questa parola di Gesù è decisiva per tutto il processo educativo: non c'è semplicemente una partenza da zero; c'è un momento di rottura col passato, una svolta completa.

Senza di esso, l'educazione cristiana non raggiungerebbe la sua verità.

Tale momento di rottura viene ripreso in momenti successivi, che allora meglio si caratterizzano come "salti di qualità". L'uomo ricco che si presenta a Gesù (Marco 10, 17-22), aveva già compiuto un cammino di osservanza della legge. Gesù gli chiede un salto: Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri. Questo passaggio è decisivo. Gesù non lo risparmia, non lo ribassa, ha il coraggio di proporlo con fermezza, anche di fronte al rischio di un rifiuto. La "vocazione" in particolare quella di speciale dedicazione (al sacerdozio, alla vita religiosa, alla consacrazione secolare...), ha la caratteristica di un coraggioso "salto di qualità".

Ciò vuol dire che l'itinerario cristiano non è un semplice cammino in ascesa. Vi sono momenti in cui occorre decidersi per un salto qualitativo.

Quando avvengono questi salti? come sapere quando è il momento della rottura e quando, invece, è il momento della continuità?

E' proprio dell'arte educativa cristiana cogliere la differenza dei due momenti, e la provvidenzialità di ciascuno di essi nella vita dei singoli e delle comunità.

Al riguardo, le diversità sono grandissime. Basta leggere la vita dei santi. Per alcuni santi, il momento della conversione è chiarissimo e può essere determinato quasi cronologicamente.

Così, ad esempio, per s. Agostino o per s. Camillo de' Lellis, o per s. Ignazio. Il cammino di altri, invece, sembra essere una progressione tranquilla, come quello di santa Teresa di Gesù Bambino. Ma anche in questo caso, chi esaminasse attentamente troverebbe che vi sono salti di qualità, momenti decisivi, senza i quali tutto il cammino successivo verrebbe messo in forse o reso impossibile.

L'educazione cristiana, dunque, non è attenta soltanto al processo generale di sviluppo, ma anche ai passaggi difficili e rischiosi, alle riprese della conversione fondamentale.

Il momento della conversione può essere talora nascosto sotto un'apparenza di semplice progresso; in realtà, la rottura col passato peccaminoso e con la concezione puramente naturale di sé e della vita fa parte di ogni cammino cristiano autentico.

A questo proposito è importante notare come l'età compresa tra i 12 e i 15 anni costituisca un particolare momento di passaggio e di rottura per i ragazzi e le ragazze. In esso avviene quella che potremmo chiamare la presa di coscienza di sé come totalità. La persona si coglie, per la prima volta, come un tutto, rispetto al quale deve prendere decisioni importanti. Tutto ciò che è stato assimilato fino a questo momento, deve essere ripreso in mano personalmente e rilanciato con una forte decisione, che metta ciascuno in verità davanti a Dio, gli faccia prendere posizione di fronte a Cristo.

Considerare questo periodo difficile come semplice passaggio in cui basta mettere in pratica le indicazioni avute negli anni precedenti, potrebbe essere la causa del fallimento educativo.

Guardando alla decisione di Maria nell'Annunciazione, l'educatore cristiano dovrà continuamente domandarsi qual è il momento in cui Dio chiede decisioni importanti, preparare a questo momento e accompagnare chi si trova in situazioni di scelta.

[11] 11. Si consideri, ad esempio, il Salmo 77 (78), ("Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento..."). E' una meditazione sul passato di Israele, in cui si richiamano i benefici fatti da Dio al suo popolo e vengono espresse le diverse vicende del processo educativo attraverso le quali Israele è passato: "Diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza, e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe, ha posto una legge in Israele".

Queste vicende non sono unicamente positive: sono anche vicende negative. Accanto al bene della ubbidienza alla guida paterna, sta anche la disubbidienza ("Non osservarono l'alleanza di Dio, rifiutando di seguire la sua legge"). Accanto alle indicazioni positive sta anche il castigo ("All'udirli il Signore fu adirato; un fuoco divampò contro Giacobbe").

Tutto il cammino di Israele è ritmato da questa perenne conflittualità.

Il cammino educativo non ha mai uno svolgimento tranquillo: è segnato dalla resistenza e dalla ribellione.

Si leggano ancora i Salmi: 88 (89); 105 (106); 106 (107), ecc. Si legga la confessione penitenziale di Neemia (9, 6-37). Dappertutto appare che la guida del popolo ha richiesto a Dio un'infinita pazienza, una continua ripresa, una riprogettazione instancabile del cammino. Non di rado il popolo non capisce l'azione di Dio nei suoi riguardi, e se ne lamenta, come quando dice a Mosé: "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto, ci hai portati a morire nel deserto?... Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare, e serviremo gli Egiziani? " (Esodo 14, 11-12; cf . Esodo 16, 3; 17, 3; ecc.).

Soltanto così il processo educativo appare in tutto il suo realismo. Si legga ancora l'inizio del libro dei Giudici (2, 11-22): propone, come in altri passi dei libri storici, riflessioni generali, che riguardano le alterne vicende dell'azione educativa di Dio verso il suo popolo. Appare chiaro che questa azione non si è svolta in situazioni facili e con esiti sempre favorevoli, ma è stata coinvolta nella giungla delle vicende storiche più avverse, ed è stata continuamente insidiata e minacciata dalla fragilità umana.

L'azione educatrice di Dio verso il suo popolo assume così un realismo impressionante. La sentiamo vicina a tutti i nostri scacchi educativi, a tutte le nostre lamentele di educatori. Il meditarla ci dà coraggio, in un tempo in cui educare sembra diventato più difficile.

[12] 12. Vorrei ora esprimere una caratteristica dell'agire educativo di Dio che sembra essere un po' scomparsa dalla riflessione pedagogica corrente, almeno nella pratica quotidiana.

La indicherei così: Dio nella storia di salvezza si mostra un educatore "energico". Non molle o accondiscendente, non rassegnato o fatalista, ma impegnato, deciso, capace anche di rimproverare.

Se educare vuol dire aiutare ciascuno a trovare la propria strada, sembra strano che non si debbano effettuare ogni tanto delle "correzioni di rotta" in un cammino che, altrimenti, diventerebbe deviante. Oggi si tende a emarginare questa idea: al massimo, si accetta che si debba gentilmente avvisare qualcuno che forse sta andando fuori strada, lasciando poi a lui di scoprire da solo le conseguenze disastrose dei suoi atti.

Forse uno dei problemi più spinosi dell'attuale momento educativo si potrebbe esprimere col seguente dilemma: è giusto impedire a qualcuno di fare il male, oppure bisogna lasciargli le briglie sciolte finché lui stesso non sbatta il naso contro il muro e si convinca, forse troppo tardi, che quella via era senza uscita?

Ascoltiamo anche qui la parola di Dio. Mi limiterò a citare tre testi del Nuovo Testamento, che riassumono bene 1'antica saggezza di Israele e la applicano alla lettura del disegno divino nella storia.

Cominciamo dal testo più tardivo: Apocalisse 3, 19. E' 1'ultima delle sette lettere alle Chiese. A colui che è chiamato "angelo della chiesa di Laodicea" viene fatto un solenne rimprovero: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca". E, dopo 1'esposizione delle ragioni di questa irritante "tiepidezza" del responsabile della comunità di Laodicea (e conseguentemente anche della comunità nel suo insieme), si enuncia il principio per cui viene fatto un così severo e, ai nostri orecchi, urtante rimprovero: "Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti" (Apocalisse 3, 19). La radice da cui nasce il rimprovero è dunque l'amore: io tutti quelli che amo li rimprovero! Oggi, non sarà forse uno scarso amore a creare una certa ritrosia al rimprovero?

Quando si ama poco non si sa rimproverare davvero: ci si lamenta, si diviene pungenti, si punisce col silenzio o con la recriminazione astiosa o rassegnata. Ma il rimprovero diretto, franco, preciso non emerge, perché il cuore è fiacco, oppure gravato lui stesso da sensi di colpa. Come possono infatti i genitori rimproverare sul serio ai figli cose che essi, in fondo, non sono capaci di evitare nella loro vita?

"Rimproverare" non è dunque il semplice buttare in faccia le colpe, quasi scaricandosi di un peso. Il verbo greco usato in Apocalisse 3, 19 significa "confuto, refuto, mostro il torto". Rimproverare è smascherare le false certezze, smontare le ragioni fasulle, contestare le legittimazioni improprie, che stanno dietro ai comportamenti sbagliati. Tutto ciò è molto di più del semplice "rimbrotto" di cui spesso ci accontentiamo, lamentandoci poi che non ha avuto effetto. Occorrono molto amore, molta intelligenza, anche molta riflessione per giungere a un rimprovero che abbia il calore e la forza persuasiva e insieme l'umiltà del rimprovero fatto dal cardinale Federigo a don Abbondio.

Il testo dell'Apocalisse aggiunge: "Li rimprovero e li castigo". Il verbo greco qui significa di per sé "educo". E' un richiamo al principio di Dio educatore, e al fatto che nell'educare Dio non risparmia le maniere forti.

Splendido è il richiamo all'intimità, che dà calore all'azione educativa e mette in luce il tono "affettuoso" da cui è avvolto il rimprovero: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta e mi apre la porta, io verrò da lui, e cenerò con lui, ed egli con me" (Apocalisse 3, 20).

Il secondo testo, che voglio richiamare è tratto dalla lettera agli Ebrei (12, 5-7). Esso inizia con una citazione del libro dei Proverbi, cioè del libro che raccoglieva la saggezza antica di Israele: "Figlio mio, non dlsprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge chiunque egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio" (cf. Proverbi 3, 11-12 nel testo greco). Vi si sottolinea l'amore paterno che presiede alla correzione, così come in Apocalisse 3. L'autore della lettera agli Ebrei applica il testo alle prove della vita, esortando a cogliere anche le più dolorose, anche le persecuzioni, come momento dell'amorosa pedagogia divina: "E' per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli... Certo ogni correzione sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia per quelli che sono stati addestrati" (Ebrei 12, 7-11).

Infine richiamo una pagina del IV vangelo: "Il padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto" (Giovanni 15, 1-2).

Quest'ultimo testo esprime l'azione educativa di Dio sotto la metafora del contadino paziente e tenace. In un primo tempo, ispirandomi proprio al brano evangelico di Giovanni, avevo pensato di intitolare così questa lettera sull'educazione: "Perché portiate più frutto!".

Mi era sembrato di cogliere qui un punto fondamentale dell'impegno educativo: non accontentarsi cioè di una qualsiasi risposta, di un cammino mediocre, di "evitare il peggio"; ma chiedere molto ai ragazzi e ai giovani, impegnarli fortemente, non risparmiare loro il sacrificio, essere gli agricoltori che potano i tralci della vite perché portino più frutto. Così Dio agisce con coloro che ama!

[13] 13. I tre testi biblici richiamati si presterebbero a ulteriori considerazioni, alcune delle quali superano l'ambito di questa lettera, perché entrano nel tema dei diversi metodi educativi, del passaggio dai sistemi "repressivi" a quelli "preventivi", di cui è maestro s. Giovanni Bosco. Per il nostro scopo basta che io ricordi alcune conclusioni generali.

1. Educare non vuol dire accontentare sempre.

Bisogna avere il coraggio di fare affrontare delle sofferenze a chi viene educato.

2. Educare non vuol dire approvare sempre, dissimulare lo scontento, incoraggiare soltanto. Bisogna avere il coraggio della verità, pur rispettando la gradualità.

3. Un'educazione realistica della persona umana esige anche l'intervento correttivo, proprio perché nessun uomo nasce perfetto. Tutti siamo un po' egoisti e avidi fin dalla nascita. Il terreno deve essere dissodato e lavorato (cf. Luca 13, 8), l'amministratore controllato e corretto (cf. Luca 16, 2).

Educare significa talora anche "contrariare". Permettere o, peggio, favorire la crescita incontrastata degli istinti negativi della persona, non frenare i capricci, l'aggressività distruttiva e i vizi che la disumanizzano, non correggerne i difetti e le pulsioni egoistiche significa rinunciare alla sua educazione.

Occorre trovare il modo giusto, ma non rinunciare alla correzione.

4. La verità che non viene dall'amore non educa, ma esaspera. Solo da un grande amore paterno e materno nasce anche la saggezza di rimproverare nei tempi e nei modi debiti.

5 Correggere non è soltanto dire "hai sbagliato", ma mostrare le ragioni ("confutare", "convincere" di Apocalisse 3, 19). Ciò nasce da un amore intelligente, che pensa e riflette prima di rimproverare, che ha sempre in mente il fine da raggiungere, che ricorre alla discrezione de] dialogo a tu per tu prima che a interventi in pubblico. Volesse il cielo che anche la "correzione fraterna" tornasse di nuovo in onore in mezzo a noi, così come accadeva nelle primitive comunità! (cf. Matteo 18, 15; Galati 2, 14).

[14] 14. Dio non educa "a casaccio", cioè con interventi educativi saltuari o sconnessi. L'azione educativa nella storia è sempre "mirata", anche se non è facile cogliere ogni volta il senso di un singolo intervento. Così dovrà essere anche nell'educazione umana, dove la progettualità non significhi far entrare tutto in uno schema rigido, ma avere il senso del fine e delle mete intermedie, e operare con elasticità ed equilibrio, per tenere o riportare in tensione verso il fine i diversi momenti.

Il "fine ultimo" dell'educazione non può essere descritto come una figura geometrica, perché è una realtà vivente: è la maturità del singolo e dell'intero popolo di Dio.

Vi sono pero ogni tanto nella Scrittura pagine che evocano, richiamano, descrivono qualcosa del "sogno di Dio", di ciò che l'azione educativa divina persegue nella storia. E' il renderci "santi e immacolati al suo cospetto nella carità... a lode e gloria della sua grazia... per ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (cf. Efesini 1, 5-10). E' il "giungere tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Efesini 4, 13). E' il farci passare dall'essere "predestinati" ad essere "conformi all'immagine del Figlio suo", dal sentirci "chiamati" all'essere "giustificati" e "glorificati" (cf. Romani 8, 29-30). E' il realizzare in pienezza quella "immagine di Dio", secondo la quale sono stati creati l'uomo e la donna (cf. Genesi 1, 26-27). E' farci "diventare figli di Dio"... "da Dio generati" (Giovanni 1, 13) "partecipi della natura divina" (2 Pietro 1, 4).

In queste e in molte altre pagine viene descritto l'insieme di un progetto che appare sempre grandioso ed entusiasmante. Si tratta di giungere a quella autenticità e pienezza personale che risplende nella vita e nella morte di Gesù, uomo perfetto. Si tratta di divenire tutti insieme quella città splendida, la "nuova Gerusalemme" che scende "dal cielo, da Dio", in cui "non ci sarà più la morte, né lutto, né lamenti, né affanno" (Apocalisse 21, 2.4).

Altre pagine descrivono quella che potremmo chiamare la "delusione educativa" di Dio: così, ad esempio, il capitolo 3 della Genesi, i capitoli 1 e 2 della lettera ai Romani. In esse si vede come Dio affronta l'insuccesso educativo, non se ne lascia scoraggiare, ma riprende e ripropone il suo piano fondamentale, addirittura con delle aperture che il processo educativo non avrebbe avuto senza queste delusioni.

Dalla riflessione su queste pagine "progettuali" della Scrittura ricaviamo, anzitutto, che vi è un rapporto profondo tra "educazione" e "verità", e che la forza dell'azione educativa e del personale cammino verso la maturità è proporzionata all'attenzione con cui assimiliamo e ci lasciamo illuminare nel profondo dal disegno di Dio sull'uomo.

Inoltre, in senso più limitato e per analogia, da queste pagine bibliche viene stimolato in noi il coraggio di delineare "progetti" che - senza troppa rigidità e senza pretese di precisione geometrica - indichino le mete e le tappe del cammino educativo di una persona, di un gruppo, di una parrocchia, di un Oratorio, di un popolo, ispirandosi al progetto divino e alle sue tappe. Nella lettera del prossimo anno "Itinerari educativi" ritorneremo su questo tema. Ma già fin da ora, riflettendo sulle costanti dell'educare di Dio, sarà possibile abbozzare o ri vedere i nostri programmi.

Nel tracciare questi progetti ci si può utilmente ispirare a come il card. Giovanni Colombo risponde alla domanda "chi è l'uomo adulto in Cristo", indicando poi alcune tappe verso la maturità cristiana.

Egli sottolinea che l'uomo adulto è contraddistinto da una "profonda unità interiore, che consegue al sicuro possesso della verità"; da una "convinta e generosa oblatività", frutto del superamento di ogni forma di ripiegamento su se stessi; dalla "fortezza, che vince le multiformi pressioni ideologiche, i condizionamenti culturali e sociali, le sollecitazioni ai compromessi morali".

"Si è adulti in Cristo quando egli è stato accolto quale principio di unità interiore, di fortezza e di perseveranza" (cf. "Piano pastorale 1977-78", riportato in "Voce e storia della Chiesa ambrosiana", vol. III, p. 306. Alle pp. 311-313 vengono richiamate alcune tappe essenziali verso la maturità, sottolineando il momento della "professione di fede" e della scelta vocazionale).

I "programmi pastorali" annuali o pluriennali della Conferenza Episcopale Italiana e della nostra Diocesi, insieme con quegli altri elementi di carattere permanente che fanno parte del "piano pastorale" (come le disposizioni del nostro Sinodo 46°) costituiscono a loro modo un "progetto educativo" per il cammino della nostra comunità diocesana, a cui occorre ispirarsi per tracciare programmi educativi .

Il modello di "Dio educatore" ci insegna anche a non scoraggiarci qualora un determinato programma pastorale non venisse accolto per intero o fosse superato dagli eventi; insegna a rilanciare con pazienza una nuova e più coraggiosa proposta, che tenga conto anche degli insuccessi precedenti e sia sostenuta da una più ardente speranza nell'azione educativa di Dio nel cuore nostro e dei nostri fratelli. Anche con gli insuccessi pastorali il Signore ci educa con amore.

[15] 15. Il progetto di Dio è liberante. La scoperta della vera libertà è determinante per lo sviluppo del la persona e di una comunità di persone. Il cammino educativo che Dio fa percorrere all'uomo tende a fargli gustare la libertà autentica. Dio "fa uscire" (= Esodo) il suo popolo dalla terra della schiavitù per farlo entrare in quello della libertà. La Bibbia riprende continuamente questo tema dell'Esodo.

Molti oggi ambiscono tutto ciò che ha parvenza di libertà: vorrebbero essere liberi dall'autorità di altri, da responsabilità predeterminate, da condizionamenti familiari e sociali, da norme morali e civili, da dipendenze economiche e culturali.

Ma, a conti fatti, questi tali risultano le persone più dipendenti e condizionate dalla società e dalle sue imposizioni di mode e consumi.

Gesù dichiara con autorevolezza che soltanto la verità ci può rendere veramente liberi (cf. Giovanni 8, 31).

"Che cosa significa essere liberi? Significa saper usare la propria libertà nella verità" (Giovanni Paolo II, Lettera ai giovani e alle giovani del mondo, nella Domenica delle Palme 1985).

Questa "verità" è il piano divino di salvezza. E' libero chi accoglie con fiducia il disegno di Dio, chi sa e accetta che la sua vita gli è donata, che Dio lo ama e lo chiama a realizzarsi in pienezza a imitazione di Gesù, uomo perfetto. E' libero e felice chi percorre i sentieri della legge di Dio, come ci ricorda il lungo Salmo 118 (119): "Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore... Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia... Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore... Gioirò per i tuoi comandi, che ho amati... Lampada per i miei passi e la tua parola... Grande pace per chi ama la tua legge".

E' libero, dunque. chi non è dominato dall'orgoglio, chi non è posseduto dalla ricchezza e dall'ossessione del consumo, chi non ha bisogno di sudditi per sentirsi importante, chi non teme di assumersi le proprie responsabilità: "Beati i poveri in spirito... Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia... Beati i puri di cuore . Beati gli operatori di pace... Beati i perseguitati per causa della giustizia" (Matteo 5, 3-10).

Il contrario è paura della libertà, rinuncia alla libertà: anzi fuga dalla libertà.

Dio educatore conduce alla libertà vera.

[16] 16. L'azione educativa di Dio in favore del suo ,popolo non è come qualcosa che cade dall'alto, una serie di principii pedagogici generici, un comandare astratto, un'istruzione proposta in maniera puramente didascalica.

Essa è invece sommamente concreta, inserita nella storia di ogni giorno capace di stimolare l'uomo dall'interno.

Inoltre Dio, che conosce la verità profonda dell'uomo, non assomiglia a quei maestri che istruiscono unicamente con le parole. Accanto alle parole ci sono le cose, e le cose sono anzitutto eventi. Sono gli eventi della storia, eventi buoni e cattivi, incoraggianti e minacciosi, prosperi o sfavorevoli. Gli eventi richiamano le parole, le quali ne esprimono il significato, e le parole trovano negli eventi la concretizzazione, la realizzazione e la conferma (cf. Dei Verbum, cap. I, n. 2: "Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi " ).

L'educazione di Dio è, dunque, insieme un'educazione di parole e di fatti, di detti e di azioni, di promesse e di adempimenti, di comandamenti e di correzioni. E' un'educazione nella storia.

Anche oggi si educa nella vita, con eventi e parole, nel vissuto quotidiano.

La realtà è un fattore educativo di grande importanza. Prendendone coscienza, eviteremo di educare a forza di principii astratti e di ragionamenti puri. La nostra azione educativa non si fonderà su una ideologia sia pure bene articolata e seducente.

La realtà fatta di persone vive, di cose concrete, di situazioni quotidiane, di motivazioni ed esigenze realistiche, di rapporti inevitabili, di lavoro faticoso e dinamico, di comunità pluralistica e in evoluzione e di spirito animatore sapiente e volitivo, è sempre stata la migliore formatrice dell'uomo.

Togliere le persone dalle realtà per introdurle in un mondo irreale, in uno spazio di idee pure o di sentimentalismi patetici, è certamente antieducativo.

Non si tratta di educare angeli o bambini nati santi, ma uomini e donne con le loro doti, con i loro limiti (aggressività, difficoltà, fatiche, fallimenti, frustrazioni, errori...).

Forse tanta fragilità psicologica e spirituale riscontrabile in alcune generazioni è da attribuire ad una "educazione irreale", chiusa, idealistica, sentimentale.

Gesù, per educare i suoi discepoli, ha praticato il metodo della realtà, fatta di verità e di prassi, di Tabor e di Calvario. Il suo stesso parlare era di una concretezza sorprendente: usava continuamente paragoni, immagini, simboli, esempi presi dalla vita naturale, familiare e sociale; metteva i suoi ascoltatori nella situazione; li coinvolgeva profondamente, provocandone le reazioni e lasciandoli liberi di accettarlo o rifiutarlo; scacciava le loro paure e ricercava sempre, fino alla fine, tutti quelli che avevano bisogno di lui perché in essi vi fosse la vera gioia; li inviava nella realtà quotidiana a compiere quello che avevano appreso; li mandava anche in mezzo ai lupi.

[17] 17. Leggiamo nel Salmo 126 (127), 2: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori"; e in san Paolo: "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1 Corinti 3, 6).

E' dunque Dio l'attore principale del processo educativo. Ma ciò non esclude, anzi esige il lavoro dei costruttori e degli agricoltori. "Chi sono coloro che lavorano per costruire?", si domanda sant'Agostino nel suo commento al Salmo 126. E risponde: "Tutti coloro che nella Chiesa predicano la parola di Dio, i ministri dei sacramenti di Dio. Tutti corriamo, tutti ci affatichiamo, tutti ora costruiamo. E prima di noi altri hanno corso, faticato, costruito. Ma "se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori"".

Dio svolge la parte essenziale, quella che riguarda il divenire dell'uomo in quanto tale, la sua crescita e la sua maturazione nello spirito e nella libertà.

In questa azione educativa egli si mostra anzitutto Padre. Padre nel dono della vita, nella preveggenza educativa, nella pazienza, nella capacità di programmare e dosare gli interventi, nella forza con cui corregge e guida.

Nell'azione educativa si impegna anche totalmente nella persona del Figlio. Una rilettura dei Vangeli, che colga l'azione educativa di Gesù verso i suoi, dà ancora oggi grande conforto ed incoraggiamento.

Nell'azione educativa Dio si dona infine nella persona dello Spirito santo. Egli tocca immediatamente il cuore dell'uomo, lo dirige come "maestro interiore". Le parole e i fatti che risuonano al di fuori sono così accompagnati da una continua azione interiore, mediante la quale Dio raggiunge il cuore. Per questo, nell'uomo interiore avvengono le scelte decisive.

Senza una continua riflessione sul mistero dello Spirito santo non è possibile cogliere il significato dell'educazione cristiana; le vite stesse dei santi sembrano un enigma indecifrabile.

Il cammino educativo è tuttavia affidato nella storia anche ad altri agricoltori e costruttori. Essi sono anzitutto i Profeti, gli Apostoli, i primi evangelizzatori. Esaminando le loro figure, da quella di Mosé a quella di Paolo, da quella di Abramo a quella di Timoteo, da quella di Giacobbe a quella di Barnaba, possiamo cogliere momenti e indicazioni educative capaci di aiutarci, confortarci, istruirci.

Tutti questi educatori costituiscono un insieme educativo, che agisce come soggetto strumentale fondamentale. Nell'Antico Testamento è l'intero popolo di Israele. Nell'economia definitiva di salvezza è la Chiesa

La Chiesa è la prima e la fondamentale educatrice del cristiano. La Chiesa è madre: essa genera alla fede ed educa nella fede. Nel suo seno si muove ed opera ogni altro soggetto educativo cristiano.

Faccio seguire qualche considerazione su Gesù educatore e sull'azione dello Spirito santo, lasciando alla ricerca personale e al lavoro dei gruppi la riflessione su altri " attori " del processo educativo nella Bibbia.

[18] 18. Su Gesù educatore ci sarebbe tantissimo da dire. Mi accontento di qualche cenno, per invogliare ciascuno alla rilettura dei vangeli sotto questa luce.

E' stato detto giustamente che nei quattro vangeli si possono trovare esempi e situazioni di educazione personale occasionale ed esempi di educazione sistematica (cf. R. Corti in "La direzione spirituale oggi", Milano 1982, pp. 78-87).

Appartengono al primo tipo gli "incontri" e i "dialoghi" di Gesù. Specialmente gli incontri narrati dall'evangelista Luca sono ricchi di spunti educativi.

Ad esempio: Gesù dodicenne al tempio, e il suo modo di rapportarsi con i maestri della legge e i genitori (Luca 2, 41-52); il dialogo di Simone il fariseo a proposito della peccatrice (Luca 7, 36-50); il dialogo con Marta e Maria in Betania (Luca 10, 38-42); l'incontro con il ricco (Luca 18, 18-23); l'incontro con Zaccheo (Luca 19, 1-10); l'incontro con i discepoli di Emmaus (Luca 24, 13-35).

Meditando su questi episodi ne potremo dedurre che non si può parlare di vero incontro educativo se non vi sono da una parte l'accoglienza della persona che deve venire educata, e dall'altra una qualche "manifestazione" anche implicita (nel modo di fare, di presentarsi) della persona che educa. Non si tratta di confidenze personali, ma dell'esigenza che nell'incontro si manifesti ciò che l'educatore è nel profondo, ciò in cui crede, ciò a cui dà importanza: insomma ciò che consente di dire che si è incontrata una persona vera.

Gesù sceglie un ritmo e impronta gli incontri di uno stile che sa rapportarsi alla situazione delle persone con cui stabilisce il contatto. Con i discepoli di Emmaus delusi e amareggiati Gesù assume un atteggiamento insieme paziente e stimolante. Con Simone il Fariseo, che si sta illudendo, Gesù scende gradualmente dal velo della parabola al rimprovero diretto.

Molte altre pagine del vangelo ci presentano Gesù educatore non solo in incontri o dialoghi occasionali, ma in maniera sistematica. Ciò avviene anzitutto nell'educazione dei Dodici. Gesù la inquadra in un progetto comunitario, inteso come qualcosa da attuare sulla lunga distanza. Mostra di sapere bene che nulla si improvvisa. Invita coloro che chiama a un lungo cammino di purificazione. Chiede pazienza e dà egli stesso esempi di pazienza (si pensi a tutte quelle volte che gli apostoli non capiscono o capiscono in maniera errata). Gesù educa pazientemente a superare l'integrismo e lo zelo autoritario (Marco 9, 38-39; Luca 9, 52-56), o il morso dell'ambizione (Marco 10, 35-41), senza scomporsi e senza stupirsi troppo di tali atteggiamenti. Educa Pietro a un perdono generoso (Matteo 18, 21 ss ), al superamento della presunzione (Giovanni 13, 37-38), a vigilare e a pregare (Marco 14, 37), a dare più importanza al vincere se stesso che non a vincere gli altri (Giovanni 18, 10-11), a sapersi ricuperare anche dopo la constatazione della vergognosa debolezza e della caduta (Marco 14, 71; Luca 22, 61ss).

Gesù intende affidare ai discepoli responsabilità molto grandi. Perciò non li mantiene in una condizione di pura dipendenza, ma li costringe a diventare adulti: li getta nella missione, dopo aver mostrato loro come dovranno comportarsi (Matteo 10; Luca 9,1-8;10,1-21).

Un altro elemento caratteristico della formazione attuata da Gesù nei confronti dei discepoli è stata la convivenza. Gesù aveva scelto i Dodici "perché stessero con lui" (Marco 3, 14). La storia evangelica mostra la vita comune di Gesù e degli apostoli come un fatto stabile: essa appare nei giorni lieti, come quello di Cana (Giovanni 2, 2), nei momenti di sosta e di pace (Marco 6, 31 ) e nei giorni duri dell'incomprensione (Giovanni 6, 68; Luca 22, 28).

Infine non si può fare a meno di notare che Gesù ha sperimentato di persona che cosa vuol dire fallire come guida spirituale. Spesso deve ammettere che non è riuscito a farsi capire dai suoi discepoli (Marco 4, 13; 4, 40; 7, 18; 8, 16-21). In particolare deve scontrarsi col fatto che nemmeno la sua parola, la sua cura personale, tutto il suo amore sono bastati per evitare che Giuda Iscariota divenisse quello che è divenuto: il suo traditore (Marco 14, 43).

[19] 19. Sarebbe qui il luogo per riflettere sullo Spirito santo educatore. Mi limiterò a due osservazioni.

La prima riguarda l'universalità dell'azione dello Spirito santo: "Lo Spirito del Signore riempie l'universo, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce" (Sapienza 1, 7).

Non c'è cuore umano, non c'è ambiente o realtà in cui lo Spirito di vita e di conversione, donato da Gesù dall'alto della croce, non sia all'opera per rimordere la coscienza, convincere, esortare, confortare, spingere alla santità. Prima ancora che arrivi la nostra parola o il nostro esempio, lo Spirito è già là.

Abbiamo dunque un alleato formidabile nell'azione educativa. Noi dobbiamo aiutare gli altri a percepire la voce di questo Spirito, fargli spazio nel cuore degli uomini, accompagnare la sua azione.

Per questo si può dire che non c'è nessun caso irreparabile, perché lo Spirito non ha ancora abbandonato nessun uomo su questa terra. Il caso più drammatico è naturalmente quello di colui che deliberatamente gli si oppone: è il peccato contro lo Spirito santo. Di esso ha parlato con parole gravi Giovanni Paolo II nella Enciclica Dominum et vivihcantem (nn. 46-47).

Per aiutare il lavorio dello Spirito negli altri, occorre anzitutto che noi per primi siamo sensibili a ciò che egli compie nel nostro cuore. Occorre cioè esercitarsi nel "discernimento" (cf. Romani 12, 2; Filippesi 1, 10; ecc.).

Chi non discerne dentro di sé l'azione dello Spirito, chi non si lascia condurre da lui (cf. Romani 8, 14) non sarà capace di essere un educatore cristiano. Pur avendo doti educative naturali, rischierà di imporre le sue idee personali, al limite di plagiare, ma non di educare alla libertà (cf. 2 Corinti 3, 17; Galati 5, 1).

La seconda osservazione è che lo Spirito è colui che "ha parlato per mezzo dei profeti", che ha ispirato la Scrittura. Un'educazione all'ascolto del maestro interiore passa dunque per l'esercizio della lectio divina, della meditazione orante sulla Parola di Dio.

Per questo le scuole della Parola sono un aiuto pratico agli educatori, e fanno da modello e da riferimento per un'azione educativa autentica. Oggi un cristiano non può diventare adulto nella fede, capace di rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo, se non ha imparato a fare in qualche modo la "lectio divina" (cf. Vaticano II, Dei Verbum n. 25).

Il silenzio, le giornate di ritiro e gli esercizi spirituali in cui si impara ad ascoltare il maestro interiore, sono momenti di grande importanza, anzi di pratica necessità per chiunque compie un cammino educativo.

[20] 20. Dio ha educato Maria.

Seguendo l'Enciclica Redemptoris Mater ( = RM) è possibile cogliere che Maria ha percorso un itinerario di fede, si è lasciata educare dal Signore, dalla sua parola, dai suoi interventi, dagli avvenimenti della vita di Gesù. Ricordiamo qui alcune caratteristiche di questo cammino.

1. L'itinerario di Maria ha avuto salti di qualità e momenti risolutivi.

Momento decisivo è quello dell'Annunciazione. Il cammino di fede di Maria è segnato dal suo affidamento obbediente e fiducioso alle indicazioni di Dio: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore" (Luca 1, 45; cf. RM nn. 12-19).

2. Giovanni Paolo II sottolinea, con riferimento ad Abramo (cf. RM n. 14), che il cammino di Maria è avvenuto in mezzo a difficoltà e che proprio tali circostanze hanno evidenziato il significato profondo del credere: "Credere vuol dire "abbandonarsi" alla verità stessa della parola del Dio vivo, sapendo e riconoscendo umilmente quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie... Maria vi si conforma nella penombra della fede" (cf. RM n.n. 14; cf. anche n. 17, dove il Papa parla di "particolare fatica del cuore, unita a una sorta di notte della fede").

3 Possiamo ancora notare, in correlazione all'incontro con il vecchio Simeone nel Tempio, che il cammino di fede di Maria è totalmente segnato dal coinvolgimento nell'opera di Gesù, "luce delle genti" e "segno di contraddizione": le incomprensioni e i dolori di Gesù, fino alla croce sul Calvario, trafiggeranno il cuore di Maria; eppure, proprio in questa condivisione del rischio della missione di Gesù, Maria cresce nella fede (cf. RM nn. 16.18).

Non diversamente avverrà per la Chiesa.

4. E così, vivendo "ogni giorno il contenuto delle parole a lei dette" (RM n. 17 ), Maria cammina verso la maturità della fede. Ma, come osserva ancora il Papa, Maria è grande perché, in realtà, è la prima dei "piccoli" ai quali è rivelato il mistero di Dio, è la prima tra coloro ai quali il Padre ha voluto rivelare il Figlio (cf. Matteo 11, 25-27; 1 Corinti 2, 11 ) .

Maturità e piccolezza stanno insieme perché, come spiega Paolo, la maturità della fede consiste precisamente nella sapienza della croce (cf. 1 Corinti 1-3), la maturità morale (e la sintesi dei dieci comandamenti) è la carità (cf . 1 Corinti 8, 12-14 ) e la maturità della speranza consiste nel rimanere in cammino, nella lotta e in costante rinnovamento, fino all'adempimento finale (cf. Filippesi 3, 12-15).

5. Accanto alla "piccolezza" dovremmo porre anche la "povertà": Maria va verso la maturità della fede rimanendo in stretta consonanza con coloro che il vangelo chiama "poveri". Essa ci insegna 1'importanza di questa condizione per ogni cammino di sincero ascolto della Parola.

Non c'è vera educazione senza una qualche esperienza di povertà.

Sono questi alcuni dei più significativi motivi che rendono Maria, per tutto il popolo di Dio, madre dell'educazione.

A lei affidiamo, dunque, questa nostra Lettera pastorale e tutto il cammino educativo della nostra Diocesi.

Conclusione: quale Chiesa è educatrice?

[21] 21. L'affresco biblico fin qui abbozzato permette di raccogliere alcuni criteri ai quali la Chiesa deve ispirarsi per capire e ben praticare il suo compito educativo.

Ci limitiamo a qualche spunto, che riferiamo alla Chiesa in generale per rimanere nell'ambito vasto del nostro discorso: ma quanto vien detto può essere applicato proporzionalmente alle altre comunità educative, anzitutto a quella fondamentale della famiglia.

1. Dio è il grande educatore. Perciò nessun altro è protagonista. Anche la Chiesa deve leggere se stessa come realtà a servizio di Dio. Anzi, la prima maniera di vivere questo servizio è quella di testimoniare che essa stessa si lascia educare, che è docile, attenta e ubbidiente a Dio. Come Maria, con la stessa umiltà, sicurezza, pace interiore.

2. L'intenzione di fare dell'uomo la sua immagine e dell'umanità il suo popolo, ha condotto Dio a rivelarsi e, addirittura, a incarnarsi in Gesù e a effondere il suo Spirito. La fede in questo Dio così impegnato a far crescere l'uomo non può non contagiare il credente e la Chiesa intera, e far nascere nel cuore il senso vivo dell'urgenza di educare e il gusto di cooperare con Dio in una impresa di grande bellezza, come quella di rendere 1'uomo pienamente uomo.

3. Dio è cos'ì coinvolto nel suo impegno per 1'uomo che la Bibbia non teme di indicare il suo amore con il termine gelosia (cf. Esodo 32, 12; 36, 22; Isaia 48, 11); Gesù conosce l'esultanza (cf. Luca 19, 41); Paolo non ha vergogna di dare 1'ultimo saluto ai suoi ricordando fatiche e lacrime per l'annuncio del vangelo (cf. Atti 20, 17ss).

Quale Chiesa potrà educare, se non una Chiesa appassionata, che non si lascia "tagliare le gambe" dalle delusioni, che non "smonta mai" dal suo turno di lavoro, che di fronte agli indifferenti non riesce a dire "si arrangino"? Quale Chiesa potrà formare persone e comunità, se non quella che conosce l'attesa, l'angustia, il tormento, l'esultanza, la pace dell'apostolo?

4. Dio ha un progetto sull'uomo e tale disegno chiama in causa, oltre alla sua, la libertà dell'uomo. Perciò, se noi pensassimo al progetto trascurando il fattore libertà, ci esporremmo al rischio dell'astrattezza; se pensassimo alla libertà dimenticando il progetto finiremmo nella inconcludenza. L'arte di educare è propria di chi sa far convivere progetto e libertà. A questo è chiamata la Chiesa educatrice.

5. Dio non ha voluto evitare al suo popolo esperienze di povertà come quella del deserto, ma ve l'ha condotto e gliel'ha fatto attraversare. Cos'ì 1'ha svezzato e gli ha dato coscienza della propria identità. E nella vicenda personale di Gesù, da Betlemme al Calvario, è chiaro che Dio ritiene necessaria la povertà del suo Figlio che, da ricco che era, si fece povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf. 2 Corinti 8, 9).

Potrà essere un altro lo stile dei collaboratori di Dio e di Cristo?

6. Dio s'immerge nel fiume della storia scontrandosi con le mille contraddizioni e le tante fatiche e debolezze dell'uomo. Ama, d'amore preveniente e paziente, ma nello stesso tempo esprime con forza la sua correzione.

Educa dunque una Chiesa misericordiosa, che sente risuonare per se stessa l'invito: "Consolate, consolate il mio popolo" (Isaia 40, 1); e una Chiesa che si converte, e può così proclamare alto il grido: "Convertitevi e credete al vangelo" (Marco 1, 15).

7. Mettiamoci dunque di fronte alla comunità divina, al Dio Trinità, primo soggetto unico e plurimo dell'educazione. Osserviamo - vangelo alla mano - la cura con cui Gesù educa il gruppo dei discepoli e lo carica della responsabilità comunitaria di andare ad annunciare e a battezzare.

Prenderemo coscienza che ]o strumento storico essenziale di cui Dio si serve per educare i suoi figli non potrà essere che quel fiume ininterrotto della tradizione vivente, che si chiama Chiesa. Ci disporremo a praticare l'educazione cristiana, anche quella che vede in campo il singolo apostolo nell'incontro con il singolo possibile discepolo; essa è - sempre e in mille modi -1'educazione della Chiesa, che fa la Chiesa.

Ciò esclude individualismi e personalismi, ma non tollera nemmeno - pena lo snaturamento dell'educazione cristiana - disattenzioni nei confronti dell' opera primaria del maestro interiore e della irrepetibilità di ogni persona.

[22] 22. "Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi".

Queste parole del grande educatore san Giovanni Bosco, di cui celebriamo nel 1988 il centenario della morte, riassumono quanto abbiamo detto nella prima parte e ci introducono a una riflessione su alcuni imperativi che derivano da quanto fin qui detto per la nostra azione educativa.

Abbiamo, infatti, ascoltato la parola della Scrittura e contemplato Dio educatore nella storia della salvezza. Dobbiamo ora volgere lo sguardo alla nostra situazione: non per un'analisi esaustiva né al fine di enunciare principi pedagogici scientifici, ma semplicemente per trarne qualche motivo e linea di impegno, che incoraggi e stimoli i nostri educatori a offrire con fiducia la loro collaborazione a Dio, educatore del suo popolo.

Procederemo esprimendo alcune tesi, che ci aiuteranno a raccogliere e a collegare le idee:

l. educare è difficile;

2. educare è possibile;

3 . educare è prendere coscienza della complessità;

4 educare è cosa del cuore;

5.educare è bello.

Si tratta, cioè, di partire dal riconoscimento delle difficoltà attuali dell'impegno educativo, per affermare che anche di fronte ai problemi odierni l'educazione rimane possibile. Occorre però prendere coscienza della molteplicità e complessità delle spinte educative che oggi premono sui ragazzi in sensi opposti, per distinguere gli alleati dagli avversari, e percepire con acuta sensibilità e cuore disponibile i veri bisogni, soprattutto affettivi, in particolare degli adolescenti. Chi sa educare così troverà che fare l'educatore è bello, è affascinante, dilata lo spirito, ci rende simili a Dio.

1) Educare è difficile

[23] 23. Oggi non pochi hanno la sensazione di essere educatori impotenti e inutili.

Molti genitori e formatori si sentono sviliti, contestati e bocciati. Si accorgono che i tempi sono cambiati e insieme è cambiata la società: vengono cioè proposti valori nuovi e deprezzati quelli vecchi; coscienza e costume sociali si sono modificati notevolmente; alcune certezze si sono trasformate in dubbio. Si insegna più facilmente ad occupare i primi posti, a guadagnare di più, a essere più spettacolari degli altri, piuttosto che a considerare gli altri parte essenziale e integrante del proprio cammino.

La pressione sociale spinge a fare del proprio figlio e della propria figlia personaggi di spicco, atleti, uomo e donna di successo, competitivi nella società del benessere. E ci si dimentica di aiutarli ad acquisire le virtù che li rendono veramente umani: la lealtà, l'onestà, la giustizia, la fede, la sobrietà, la fortezza, la bontà.

Dunque, rispetto al passato, gli educatori oggi incontrano difficoltà nuove dovute proprio a una società in trasformazione:

- è cambiata la famiglia patriarcale che imponeva il valore autocratico dell'uomo e la sottomissione indiscussa della donna e dei figli; sta pure cambiando la famiglia nucleare, a circuito chiuso, fondata sulla comprensione, l'affetto e la convivenza di coniugi e figli.

Si nota da una parte un certo rifiuto della famiglia, a favore di una maggiore libertà in tutti i sensi, e dall'altra un grande bisogno della famiglia, vista almeno come protezione di fronte alle difficoltà economiche.

- E' cambiato il rapporto giovani-adulti in favore di una maggiore uguaglianza prodotta non soltanto da una conoscenza più ampia dei giovani (la maggioranza di essi oggi ha studiato più dei genitori), ma anche da una varietà di esperienze da essi vissute al di fuori della famiglia.

Molti giovani sono poi diffidenti nei confronti degli adulti e non li accettano più come maestri, ritenendo che essi hanno sbagliato strada per sé.

- E' cambiato il valore delle istituzioni tradizionali (stato, partiti, giustizia, scuola, lavoro): per diversi aspetti, appaiono meno credibili e affidabili; d'altra parte. c'è chi sente il diritto di appropriarsene per amministrarle secondo criteri personali e interessati .

- Anche il valore sociale della religione ha subito cambiamenti non indifferenti dal punto di vista della quantità delle persone che lo sentono; tuttavia si nota un risveglio religioso rilevante nella qualità delle adesioni, più coscienti e intense.

- I modelli di vita di una volta sono stati sostituiti da altri, pubblicizzati dai mass-media con insistenza secondo criteri ben finalizzati. Spesso ho sentito dai giovani il lamento: "non abbiamo modelli adulti credibili!".

[24] 24. Dinanzi a tale molteplice trasformazione, l'educatore sarà molto aiutato dal confronto con l'azione educativa di Dio che, secondo il racconto biblico dell'Antico e del Nuovo Testamento, ha attraversato cambiamenti e sommovimenti di ogni genere. Sarà condotto a capire che, nell'arco della vita umana, che va dal concepimento alla morte, ogni persona è sempre educabile: capace di crescere, di migliorare il proprio potenziale umano, di sviluppare le proprie capacità e attitudini personali, di modificare relazioni e prospettive, di scoprire e proporsi nuovi significati e valori.

Leggendo il vangelo, I'educatore noterà che Gesù Figlio di Dio, paragona l'uomo al terreno, a un seme, a una pianta, a un capitale da amministrare: cioè a realtà dinamiche, in evoluzione, con la possibilità concreta e quotidiana di crescere, al trenta, al sessanta, o al cento per uno.

Gesù ha sempre manifestato fiducia nell'uomo. E' convinto che in coloro che compiono il bene, sperano e sopportano, lo sappiano o no, opera sempre anche lo Spirito di Dio, l'Onnipotente, il Salvatore, il Santificatore dell'uomo. Sa inoltre, che i frutti non si raccolgono subito e che, non di rado, chi semina non raccoglie (cf. Giovanni 4, 37-38).

Per questi e altri motivi l'educatore non dovrà mai dire, nemmeno di fronte al caso difficile o umanamente impossibile: "non c'è più nulla da fare!", "è irrecuperabile!".

Se egli ama alla maniera di Dio, non lo dirà mai per nessuno, come quelle madri e quei padri che non si danno mai per vinti di fronte alla insensibilità, alla ribellione o anche ai rottami del proprio figlio.

So di una madre che è partita da Milano per andare a cercare il figlio dato per morto dalle autorità di un paese. Non c'è guaio al mondo dentro al quale non si sia messo quel figlio. Dopo diversi, anni, quel giovane, creduto morto, è ritornato in vita. Adesso fa l'educatore.

Non è certo l'unico caso e tutti ne possiamo raccontare almeno uno.

Un impegno educativo aperto e fiducioso coglierà anche in questo nostro tempo alcuni valori che, nonostante le rivoluzioni culturali, politiche ed economiche, vengono ancora riconosciuti e accettati dalla gente se presentati con verità, convinzione e coerenza: la dignità della persona umana; i suoi profondi bisogni esistenziali; la solidarietà umana che ci lega gli uni agli altri.

L'educatore poi ricorderà che l'uomo non deve essere educato per una società ideale, ma per la società reale nella quale è destinato a vivere e a collaborare per la promozione propria e altrui. Sarebbe anacronistico formare i giovani per un mondo identico a quello in cui vissero i nostri nonni.

Anche i giovani d'oggi non rifiutano gli educatori, ma li cercano quando comprendono che li vogliono aiutare ad essere uomini veri e a vivere bene in questo nostro tempo.

[25] 25. Vogliamo ora considerare la condizione sul fronte degli educatori.

La domanda, semplice, potrebbe essere: da chi e da che cosa viene educato l'uomo oggi? Tenuto conto che Dio è, anche oggi, protagonista dell'educazione, e che noi ne siamo collaboratori, ci dobbiamo porre la domanda sul modo con cui oggi l'uomo è sottoposto a messaggi educativi o diseducativi, e sull'intrico che ne nasce.

Non bisogna aver timore di guardare dentro a questa "selva oscura". Chiudere gli occhi non serve che a fomentare tutte le forme paralizzanti del pessimismo educativo. Viviamo in una "società complessa", e questo tocca anche la situazione educativa. Chi non sa prenderne coscienza, si troverà smarrito nell'educare.

Chi guarderà in faccia alla situazione, saprà esorcizzarla. E' necessario dunque prendere coscienza dell'intrico di messaggi in cui si muovono i nostri ragazzi, discernere le influenze positive da quelle negative, per favorire le prime e neutralizzare o contrastare le seconde. Occorre comportarsi come la madre che valuta istintivamente i diversi fattori fisici, psichici e sociali che toccano la vita quotidiana del suo bambino, e lo espone a quelli favorevoli mentre lo protegge o lo mette in grado di proteggersi da quelli nocivi.

Domandiamoci dunque: da chi viene "educato" l'uomo oggi?

C'è l'intervento dell'individuo: i genitori, fratelli, nonni, insegnanti, sacerdoti, amici...; e l'intervento della società attraverso le sue espressioni e istituzioni sociali: scuola, partito, gruppo, parrocchia, Oratorio, città, mass-media, divertimenti, ecc.

I due tipi di intervento alle volte sono in armonia, altre volte in contraddizione, non di rado si misconoscono. In ogni caso tutte queste presenze esprimono ciò che sono, nel bene o nel male. Per parte nostra, l'impegno educativo sarà quello che, mentre ci chiama in causa per la nostra personale responsabilità, ci spinge a misurarci con la molteplice realtà che si esprime come "soggetto educante".

Una società (e ogni comunità) influisce positivamente sugli individui quando è animata dal senso del bene comune; quando riconosce e valorizza la presenza e il lavoro di tutti i suoi membri, secondo i singoli ruoli; quando si propone continuamente degli obiettivi comuni. Occorre dunque promuovere in ogni campo una comunione di ideali, di responsabilità sociali, di beni, di tradizioni, di amicizie.

Una società così fatta non è più massa umana, assembramento o coacervo di partiti e fazioni antagonisti, in lizza tra di loro, ma diventa "popolo". Addirittura popolo di Dio, se lo riconosce come Padre, Salvatore e Unificatore; se accetta come capo Gesù Cristo; se pone come condizione fondamentale la dignità e la libertà dei figli di Dio; se ha per legge il comandamento nuovo dell'amore. Una tale comunità ha una forza educativa enorme.

L'uomo viene educato anche dal singolo, da ciascun uomo o donna che incontra, con cui si mette in comunione ideale e affettiva, accanto a cui vive e lavora.

E' necessario prendere coscienza di questo fatto: noi siamo sempre educatori in ogni singolo incontro, responsabili dello sviluppo e della crescita di coloro che incontriamo.

Non è possibile esonerarci mai dal lavoro educativo. Se in tutti questi incontri porteremo il cuore di Dio e la ricchezza di umanità testimoniata da Gesù, contribuiremo a rendere sano e fecondo (appunto "educativo") quell'intrico vitale fatto di mille legami, che caratterizza la condizione umana.

[26] 26. Dice ancora don Bosco: "L'educazione è cosa del cuore... chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani... i cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti". E ancora: "Se sarete padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore... La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i suoi fedeli".

Carità, cuore paterno, amorevolezza esigono anzitutto la conoscenza dei bisogni profondi dei ragazzi. Senza capirne i bisogni non si può instaurare un dialogo educativo.

La carità educativa esige in secondo luogo che gli educatori rappresentino per i ragazzi vere figure paterne e materne, che cioè considerino i ragazzi come molto importanti e facciano loro sperimentare la gioia di essere amati.

Parliamo dunque a) dei diversi bisogni, per meglio comprendere b) quelli più propriamente umani e affettivi.

a) Oggi i bisogni dell'uomo, particolarmente quelli dei ragazzi e degli adolescenti, si esprimono in messaggi quanto mai complessi e anche apparentemente contraddittori. Dalla comprensione del senso di questi messaggi dipende l'operazione educativa dei genitori, degli insegnanti e degli educatori.

Non diamo per scontato di conoscere veramente ciò di cui hanno bisogno i nostri ragazzi. Anche perché solitamente la loro domanda viene espressa in codice. Talora i loro "no" vogliono dire "sì" e con i "sì" intendono dire "no". C'è il soggetto che piange apparentemente senza motivo. C'è quello che si chiude in un silenzio angosciante e inspiegabile. C'è chi fugge da qualsiasi compagnia, chi si chiude dentro una stanza o scappa da casa. Altri diventano affabili e servizievoli inaspettatamente...

Per capire i loro bisogni dobbiamo dunque imparare i loro linguaggi.

E i bisogni sono differenti per qualità, peso e valore. Si va dai bisogni essenziali e positivi (quelli autentici, richiesti dalla natura umana e dallo sviluppo della persona) a quelli "surrogati", indotti da false abitudini (mangiare dolci di continuo, vedere la TV per ore, uscire sempre di casa...), fino ai bisogni vizi (droga, alcool, gioco di azzardo...).

Mi soffermo soltanto sui più essenziali, che possiamo chiamare i bisogni-diritti; da questi infatti riusciremo a capire e a valutare meglio anche gli altri.

I bisogni-diritti fondamentali, bisogni che causano sempre sofferenza se non vengono appagati, sono quelli fisiologici e psicologici. Si tratta di bisogni presenti in ogni tipo di cultura e in ogni livello di civiltà. Non variano con l'età, il sesso, la classe sociale, la razza, la condizione economica.

[27] 27. b) Se restringiamo ulteriormente l'obiettivo sui bisogni-diritti psicologici, decisamente umani, che hanno riferimento alla natura della persona, pur riconoscendo che anche quelli fisiologici meritano di essere presi in considerazione e approfonditi (le violenze sui minori e alcuni casi di inimmaginabili trascuratezze nei confronti dei bambini ci interpellano infatti dolorosamente), vediamo che alla base di tutto sta il bisogno di una figura paterna e materna, il bisogno di sentirsi presi sul serio, il bisogno di affetto.

l. I ragazzi hanno bisogno di figure paterne e materne. In ogni momento della nostra vita abbiamo bisogno di persone che si interessino veramente di noi, di cui noi stessi ci interessiamo.

Abbiamo bisogno di persone prima che di cose. Non di persone qualsiasi, ma di persone che sentiamo "vive per noi", che abbiano un forte sentimento della nostra esistenza e avvertano come indispensabile la loro esistenza per noi.

Oggi questo "sentire" è raro: infatti viviamo in una società in cui i figli sono considerati un peso, un lusso, un incomodo, un problema, perché condizionano la libertà dei genitori, la loro economia e felicità.

E' chiaro che tale modo di pensare è avvertito dolorosamente dai bambini e dai ragazzi.

Il bisogno primario che i figli hanno riguardo ai loro genitori è che questi si amino, vadano d'accordo, siano uniti, siano cioè contenti della loro vita di genitori e abbiano appagati i loro stessi bisogni essenziali.

Quando un vostro figlio perderà la convinzione che voi, così essenziali per 1ui, vi preoccupate della sua esistenza, comincerà a fuggire dalla realtà quotidiana, non si sentirà più appagato negli altri suoi bisogni pure essenziali, diventerà un disadattato, talora addirittura desidererà di morire.

La presenza dei genitori è determinante per la crescita positiva dei figli, perché dà incoraggiamento, infonde la forza di far fronte alla realtà, è compagnia nel cammino della vita.

Senza l'affetto dei genitori (o di persona sostitutiva), i figli cercheranno disperatamente di appagare questo bisogno in maniere false, in modi per nulla realistici. Da qui nascerà l'ansia, l'angoscia, la nausea.

Persino l'uomo relegato nella cella di isolamento di un carcere può essere capace di soddisfare i suoi bisogni, abbastanza da sopravvivere, se sa che c'è qualcuno, alla pari del padre e della madre, che si interessa di lui e della sua condizione, oppure quando lui stesso sente dentro di sé ancora la voglia di interessarsi di qualche persona e di esserle in qualche modo utile.

2. I nostri ragazzi hanno bisogno di sentire che sono un valore per quello che sono, non per quello che fanno; che sono un valore per se stessi (stima di sé) e per gli altri (per i genitori almeno).

Le azioni compiute dai figli hanno bisogno di essere oggettivamente valutate: definite buone o cattive, giuste o ingiuste. Anch'essi infatti sanno distinguere tra bene e male, e il giorno in cui ricevessero il premio nonostante che la loro azione non lo meriti, si convincerebbero di non essere capaci di fare azioni di valore.

I ragazzi avvertono istintivamente che per aumentare il loro valore devono tenere una condotta buona, soddisfacente, arricchente. A questo punto impareranno a correggersi quando sono in torto e a riconoscere il merito se si comportano bene.

Se un ragazzo o una ragazza non si sentono valutati nel loro comportamento dai genitori ed educatori, o non sono stimolati a correggersi da un difetto, incominceranno a sentirsi insoddisfatti interiormente: il loro bisogno di essere un valore non verrà appagato ed essi ne soffriranno moltissimo.

Le norme, i valori morali, la condotta buona o cattiva sono in relazione stretta con l'appagamento del bisogno fondamentale di sentire rispetto per noi stessi, di sentirci soddisfatti.

3. I nostri ragazzi hanno bisogno di amare e di essere amati.

Nell'intero arco della vita umana questo bisogno vuole essere soddisfatto in tutte le sue forme e possibilità: dall'amore filiale all'amore materno e paterno, da quello amicale all'amore sponsale. Dentro ogni persona c'è la capacità potenziale e l'esigenza di amore filiale, fraterno, coniugale, materno o paterno.

Questo bisogno tiene continuamente in azione, fa vivere, è necessario dall'infanzia alla vecchiaia.

La salute e la felicità dipendono moltissimo dalla capacità e dalla possibilità di donare amore e di riceverlo. I figli non possono essere soddisfatti soltanto dell'amore che si dà loro; hanno assolutamente bisogno anche di amare. Se non potranno soddisfare questo duplice bisogno d'amore non saranno contenti, diventeranno tristi, reagiranno persino con maniere forti, con la fuga, la ribellione, la depressione, l'angoscia, la violenza, il furto. E soffriranno molto.

Se l'educazione è cosa del cuore, occorrerà dilatare il cuore nostro e dei nostri ragazzi, perché si stabilisca un vero flusso educativo.

Il cuore di Cristo squarciato sulla croce è il simbolo di questo amore che dal Padre si diffonde su di noi e ci rende capaci di amore.

[28] 28. Quando si vive realmente "in comunione" e si gusta come proprio il bene e la riuscita degli altri, allora diventa bello e piacevole educare.

L'educazione è un'arte gioiosa; non può essere un lavoro forzato. Nemmeno può essere motivata in se stessa da un fine di lucro, ma soltanto dalla creazione armoniosa e felice il più possibile di una persona umana.

La soddisfazione e 1'appagamento primo e sommo sono dati a un vero artista dal capolavoro uscito dalle sue mani.

L'educazione, come ogni vera arte, non tollera ricette, formule, cliché.

Esige nell'educatore originalità e individualità: chiede che si educhi con gioia. Insieme esige un grande rispetto dell'individualità e originalità della persona da educare in un'atmosfera di autenticità e di serenità.

Per stimolare le nostre soggettive qualità educative propongo alcuni spunti da meditare, approfondire, verificare.

l. Se l'intervento educativo è un aiuto, personale e qualificante, dato a chi ha bisogno di promuovere umanamente la formazione completa della sua personalità, l'educatore sarà in grado di darlo nella misura in cui egli stesso avrà raggiunto, o intende raggiungere, la propria maturità, identità e integrazione. La bocca parla dalla pienezza del cuore.

Se non si è ancora uomini veri, per avere il diritto di intervenire su altri, diventa necessario vivere in stato di permanente educazione, nello sforzo quotidiano di progredire insieme con gli altri verso la realizzazione integrale della propria umanità. Quando pretendiamo di fare gli educatori con la presunzione di essere uomini arrivati che non hanno più bisogno di essere educati dalla vita, diventiamo ipocriti. Colui che non ha scoperto il senso e il valore della propria vita non può indicarli agli altri. Come possiamo dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, quando non vediamo la trave che è nel nostro? Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca? (cf. Luca 7, 39-45).

2. E' indispensabile creare fin dall'inizio un forte e sano rapporto affettivo con chi deve imparare a costruire rapporti.

Se la motivazione prima e radicale dell'azione educativa non fosse il vero bene dell'educando, il suo interesse, la soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali, ma un'altra motivazione sia pure inconscia, l'educatore dovrà constatare e collezionare non pochi fallimenti: ogni persona cerca disperatamente e anzitutto chi condivida la sua vita fino in fondo, chi stia con lei coinvolto dalla sua storia.

L'amore preveniente, simile a quello di Dio (Romani 5, 8), oltre a essere punto di partenza nell'educazione, è anche forza esplosiva che sprigiona e crea le energie positive della persona, ragazzo o adulto che sia, rimaste latenti, bloccate o deviate. Tale amore è gratuito, non condizionato dalle qualità dell'educando, né dai suoi comportamenti.

E' un amore sempre vivo e attivo, paziente e fiducioso, costantemente teso verso il bene completo e la felicità dell'altro. Immerso in questo amore preveniente, materno, paterno, fraterno, difficilmente l'uomo si lascerà vincere dal male, perché è proprio l'amore il miglior immunizzante. Non è la presenza dell'educatore-poliziotto ad impedire al ragazzo di sbagliare.

L'amore preveniente trova anche sempre il momento adatto per manifestarsi, i gesti e le espressioni per incarnarsi. Ne indichiamo alcuni:

- la simpatia, o compassione, per chi ha bisogno di aiuto è il sentimento primario dell'amore che si trasforma successivamente in coinvolgimento e impegno personale e fedele.

- L'accettazione e l'accoglienza della persona da aiutare, così com'è, per quello che è e che può essere. Per fare questo senza troppe resistenze psicologiche o sociali, diventa importante imparare a distinguere la persona dalle sue azioni, a non confondere il peccatore con il peccato, soprattutto a mettersi nei panni dell'altro, e a saper cogliere come l'altro ci vede.

- La conoscenza affettiva, approfondita e realistica delle persone che si vogliono educare, dei loro bisogni ed aspirazioni, problemi e difficoltà.

- L'offerta ad esse della disponibilità e del servizio deve essere qualificata da una sincera e convinta umiltà, non garantita da parole di abitudine o da gesti convenzionali, per non dire falsi, ma dalla donazione generosa.

3. Un'altra virtù essenziale per chi vuole educare è la speranza paziente. L'educatore deve sapere che 1'evoluzione psicologica e morale della persona è paragonabile alla sua crescita fisica ed organica. Gesù dice che l'uomo è come il seme che cresce da sé, ma che ha bisogno di ambiente, persone e tempo.

Bisogna saper attendere pazientemente, con l'animo del contadino che semina generosamente, sopporta con resistenza le fatiche del travaglio educativo, e rinvia sempre la decisione di tagliare la pianta infruttuosa o di sradicare la gramigna.

L'uomo paziente è ottimista: crede nella bontà della persona e nelle risorse della natura nonostante i limiti e gli errori, e spera senza delusioni nell'aiuto di Dio che si preoccupa prima e più di lui della salvezza e della felicità dei suoi figli.

La speranza dell'educatore deve poi contagiare l'educando: senza questa speranza egli troverebbe inutile o assurdo impegnarsi e collaborare con l'educatore. Il ragazzo deve avere fiducia che l'esperienza del suo educatore lo aiuterà a imparare modi migliori di comportamento, a trovare risposte soddisfacenti alle sue domande, soluzioni-adeguate ai suoi problemi.

Soprattutto deve convincersi che, anche se a piccoli passi, può arrivare al traguardo del vero uomo, quello redento.

L'educatore responsabile, amorevole, ottimista, diventa così modello e ideale di vita. Bambini, ragazzi e giovani imparano a vivere da chi sa vivere, tramite un rapporto affettuoso.

Tutto questo suscita un'atmosfera contagiosa di gioia e di entusiasmo: educare è bello!

[29] 29. I suggerimenti pratici di questa terza parte della lettera obbediscono alla scelta di distendere sull'arco di un biennio il programma pastorale e di privilegiare, nel primo anno, un lavoro di carattere fondamentale.

Che fare, dunque, nell'anno pastorale 1987-88?

1. La prima proposta è di far diventare la parte biblico-teologica di questa lettera un'articolata gamma di contemplazione del Dio educatore.

Riprendendo piano piano, a una a una, le molte pagine citate e brevemente commentate, si imparerà il modo divino di educare, si sperimenterà un senso di respiro e di forza e si ritroverà una nuova capacità di non lasciarsi schiacciare dai problemi connessi con la responsabilità educativa.

Si ricorda che la meditazione su "Dio educatore" potrà essere straordinariamente illuminata dall'esempio di Maria e del suo cammino di crescita nella fede, quale è indicato dal vangelo e che il papa Giovanni Paolo II ha voluto illustrare, con trasparente profondità, nella recente Enciclica Redemptoris Mater.

Si suggerisce che, per questa meditazione, vengano utilizzati, in particolare, i tempi liturgici di Avvento e di Quaresima. Anzi, poiché nell'Anno Liturgico "B" si leggerà il vangelo di Marco, ci si affiderà con frutto al suo itinerario educativo proposto ai Dodici, in particolare a Pietro.

2 La seconda proposta è un invito a riflettere sulle condizioní odierne del lavoro educativo.

Si veda la seconda parte di questa lettera, che può diventare strumento di dialogo e di confronto tra gli educatori stessi.

3 Infine, si suggerisce di considerare con particolare attenzione alcuni punti che verranno ora brevemente illustrati. Essi possono essere espressi sinteticamente cosi

a ) verifica;

b) concentrazione;

c) educare attraverso;

d) formazione permanente.

Si tratta, cioè, di studiare:

a) la verifica della valenza educativa di tutto il nostro agire pastorale letto nel suo insieme;

b) la concentrazione del nostro impegno educativo sul fronte delle persone, e cioè degli educatori;

c) l'approfondimento di un aspetto del metodo educativo: quello dell'educare attraverso l'esperienza;

d) la messa a fuoco della questione educativa a proposito degli adulti.

I "luoghi" nei quali attuare questo lavoro sono molti. Si raccomanda che lo siano in particolare, in modo attento e costruttivo, i Consigli Pastorali e gli incontri del Clero nei Decanati, a partire da "ordini del giorno" opportunamente predisposti.

Le spiegazione riguardanti questi quattro obiettivi pratici sono date più avanti (nn. 32-35).

Appuntamenti per ragazzi e giovani

[30] 30. Conviene qui anticipare anche qualche previsione di massima su particolari iniziative del biennio pastorale 1'87-89, che interesseranno soprattutto I giovani e i ragazzi.

- Dal novembre 1987 al giugno 1988 verranno riproposti ai giovani, nelle zone pastorali, gli incontri mensili detti "Scuola della Parola". Essi potranno utilmente assumere come tema quello delle decisioni fondamentali a cui i giovani sono chiamati; potranno privilegiare, tra le pagine bibliche su cui fare la "lectio divina", quella dell'incontro di Gesù con l'uomo ricco (Matteo 10 e paralleli) riferendosi all'ampio commento che ne ha fatto il papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica indirizzata "Ai giovani e alle giovani del mondo" nella Domenica delle Palme 1985;

- nella Quaresima 1988 l'Arcivescovo guiderà, in Duomo, un corso di Esercizi Spirituali serali per giovani, intendendo in particolare ricordare il centenario della morte di don Bosco (1888);

- nel mese di maggio o di giugno 1988, i giovani saranno chiamati a una grande "camminata" che si concluderà a un Santuario Mariano;

- verso la conclusione del biennio pastorale si pensa di convocare una grande assemblea giovanile

- formata da delegati provenienti da tutte le nostre Parrocchie e rappresentanti l'intero tessuto della nostra Chiesa diocesana--che potrebbe avere come modello il convegno di Assago "Farsi prossimo";

-per i ragazzi si realizzeranno pellegrinaggi e settimane estive che, come già negli Esercizi Spirituali proposti ai giovani in Duomo, daranno evidenza alla figura di san Giovanni Bosco e alle intuizioni straordinarie che egli ha consegnato alla Chiesa.

Quelli indicati sono soltanto alcuni cenni del calendario. Più avanti, con l'apporto di tutte le forze vive della nostra Diocesi, si approfondirà e si preciserà il programma che vedrà, al esempio, il 30/X1/XI 1987 un Convegno di studio promosso dalla FOM per rileggere l'impegno educativo degli Oratori lungo questo secolo e familiarizzarsi, in tal modo, con la passione educativa costantemente presente nella nostra comunità diocesana.

[31] 31. La verifica dovrà rispondere ad almeno tre domande che, a modo di esame di coscienza personale e comunitario, attendono da noi una seria considerazione. In questo lavoro di revisione andrebbe analizzato tutto il vivere e l'operare di noi cristiani --come singoli, come famiglia, come responsabili della testimonianza cristiana nei vari ambiti della vita umana, come Associazioni, movimenti e gruppi, come comunità piccole e grandi, come Chiesa particolare.

Si tratta di rileggere, con particolare attenzione, la capacità educativa di ciò che potrebbe essere denominato l'agire pastorale della nostra Chiesa.

1) Uno sguardo globale

La prima domanda riguarda ciò che si fa.

- Qual è la valenza educativa di tutto l'attuale nostro agire pastorale? che cosa "passa" nella gente?

- L'impostazione generale del nostro complesso e vario impegno pastorale e lo stile quotidiano con cui attuiamo tutto questo obbediscono ed esprimono una sincera, forte e perseverante esigenza educativa?

-Detto negativamente: non dobbiamo, forse, ammettere che, talvolta, e magari in ambiti non affatto secondari, "giriamo a vuoto"? Vogliamo dare un nome a queste situazioni negative per individuarle e trasformarle, per uscire dalla impasse, per non perdere tempo e per non trascurare occasioni forse irrepetibili?

2 ) I "vuoti"

La seconda domanda verte su ciò che non si fa.

Una domanda di questo genere richiede, per avere una onesta risposta, libertà interiore, fantasia, attenzione alle circostanze. Essa potrebbe essere soffocata sia dal rimando a un quadro di lavoro ritenuto, non fondatamente, chiaro e ben consolidato, sia dalI'immediato e affannoso conteggio delle forze e del tempo di cui disponiamo.

- Chiediamoci, dunque, se sono "coperti" tutti gli spazi che attendono un lavoro educativo, oppure no;

- individuiamo i "vuoti" più preoccupanti;

- riflettiamo con pacatezza sui dati del problema, senza pretendere di vedere immediatamente una persuasiva soluzione, e ben decisi però a trovarla.

3) Una visita al cantiere

La terza domanda riguarda il bene che c'è.

La verifica, proprio mentre vuol essere rigorosa, corre un altro rischio: quello di scivolare nella cronaca--magari impietosa--di errori, inadempienze, inadeguatezze nostre e altrui. Col possibile risultato di demoralizzarci e immobilizzarci. Perché questo non avvenga e, d'altra parte, non ci si consoli chiudendo gli occhi sulla realtà, è necessario aprire gli occhi e contemplare il bene che si fa.

Più precisamente, dobbiamo guardarci attorno e scoprire persone, luoghi e modi particolarmente significativi quanto all'impegno di educare.

Da questi testimoni potremo essere aiutati a capire meglio quel che stiamo facendo; a scoprire strade valide e, per noi, nuove; ad essere incoraggiati e sostenuti mentre sperimentiamo gravi difficoltà.

La nostra Diocesi è un cantiere, anche da questo punto di vista, vivacissimo; ma si tratta di un cantiere da visitare attentamente, nel confronto e nell'ascolto vicendevole, senza pregiudizi, chiusure, fatuo orgoglio, raggelante scetticismo.

[32] 32. Con questo termine, a prima vista strano, si vuol invitare a riflettere sugli educatori.

Più precisamente ci si vuol riferire all'esigenza di dare, nella nostra Diocesi;, una forte spinta perché cresca una decisa disponibilità delle persone a dedicarsi al lavoro propriamente educativo; e, ancor più, perché coloro che ritengono di potersi chiamare educatori lo siano effettivamente, e sempre più, "concentrandosi" generosamente su questo lavoro.

Ecco alcune esigenze alle quali badare.

1 ) Dispersione

Il contrario del]a concentrazione è la dispersione.

L'esperienza comune dice quanto sia facile essere sospinti dalla "ressa" di mille occupazioni e richiami, da una mancanza di ordine e di chiare priorità e dalla miseria di una vita senza qualità, a sciupare la propria presenza in una comunità, la partecipazione all'incontro con un gruppo, il dialogo o colloquio con una singola persona, ecc.

Il risultato è che l'educatore finisce per essere, in quanto tale, più un fantasma c'è un reale e significativo interlocutore; che il lavoro educativo finisce nella inconcludenza o nel nulla; e che anche le occasioni più opportune vengono sciupate, se non addirittura ignorate, perché non percepite e non viste.

Ci domandiamo:

-Dove siamo e come siamo?

-E' giusto lamentarci perché siamo in pochi nell'area del lavoro educativo, o è ancor prima urgente valorizzare le possibilità esistenti, difendendole dal pericolo, tutt'altro che ipotetico, della neutralizzazione e dell'insignificanza?

2) Vegliare, scoprire e formare

In termini positivi la concentrazione educativa rimanda ad almeno due esigenze.

a) La prima è lo stato di "veglia" che permette all'educatore, come alla sentinella (o anche alla madre), di percepire quel che avviene e di intervenire a tempo e nei modi appropriati.

Solo l'educatore che guarda negli occhi e nel cuore e che decifra il linguaggio dei segni, anche quando non diventano parole, sarà capace, in modo particolare, di cogliere e di affrontare i momenti tipici dell'educazione, quei due o tre "sì" o "no" della fanciullezza-adolescenza-giovinezza che decidono di tutto il resto della vita e che costituiscono i grandi nodi di quella che chiamiamo "pastorale giovanile".

Si pensi, ad esempio, da questo punto di vista (con riferimento a quanto già proponeva il card. Giovanni Colombo nel programma pastorale 1977-78: cf. Rivista Diocesana Milanese, pp. 771-805, ai nn. 32-36):

- quanta nostra concentrazione educativa accompagna ragazzi e ragazze dodicenni (post-cresima)?

- e gli adolescenti di III media/I superiore (professione solenne di fede)?

- e i diciottenni (fine della scuola superiore, scelta vocazionale e professionale)?

b) La seconda esigenza tocca la scoperta e la formazione degli educatori.

Si vuol dire che:

- va compiuto un investimento generoso, in termini di tempo e di uomini, per la formazione di educatori in tutte le nostre comunità e per i fondamentali ambiti della vita umana. E' questo un compito per cui contiamo particolarmente sull'Azione Cattolica;

- occorre domandarsi chi, tra noi, potrebbe diventare educatore e rivolgere una esplicita e pressante chiamata a queste persone;

- vanno rilette le iniziative esistenti e meritoriamente sostenute da vari soggetti ecclesiali: quanto e come sono presenti sul territorio della nostra Diocesi? vengono attuate sui tempi lunghi, nel contesto di una razionale programmazione e con il sostegno di giuste e possibili collaborazioni? obbediscono a un "progetto educativo", evidentemente indispensabile per la maturazione di veri, futuri educatori?

[33] 33. L'avverbio "attraverso", aggiunto al verbo "educare", va inteso ricordando che, di solito e giustamente, a questo verbo segue o il complemento oggetto che indica colui che si intende educare, oppure la preposizione "a": "educare a...", col riferimento evidente ai "fini" educativi. La domanda che si vuol invitare a non sottovalutare, in questo momento, è quella dei "mezzi".

1) Primo livello

Il senso più ovvio della domanda è quello che sospinge a prendere in esame strumenti e metodi del lavoro educativo.

Il nostro programma pastorale biennale sul tema "educare" vorrà dilatarsi moltissimo, nel secondo anno, precisamente su tali questioni.

Ma già ora esse vanno poste, almeno nei loro termini sostanziali:

- quali sono gli strumenti educativi più efficaci? a quali condizioni? con quali complementarità?

- quali sono i metodi più idonei? e i modelli più significativi attualmente esistenti?

2) Secondo livello

Ma vi è un altro livello al quale leggere, soprattutto nel primo anno del nuovo biennio pastorale, I'"educare attraverso".

E' quel]o che si scopre stabilendo una esplicita connessione tra il nuovo passo del nostro cammino pastorale e quelli che abbiamo già compiuto negli scorsi anni guidati dalle lettere pastorali che vanno da "La dimensione contemplativa della vita" fino a quella sul "Farsi prossimo".

Si vuol dire che, se è giusto educare all'ascolto della Parola, alla missione, alla carità, ecc. (nel senso di condurre al raggiungimento degli obiettivi così indicati), è non meno vero che si può e si deve educare mediante l'ascolto della Parola, l'Eucaristia, l'azione missionaria, il farsi prossimo, ecc.

Per fare un esempio, si tratta di rileggere il rapporto tra il programma pastorale "Educare" e l'impegno pastorale "Farsi prossimo", non solo come risposta alla domanda: "Come educare alla carità?", ma ancor più profondamente: "Come educare attraverso la carità?"; si tratta cioè, ancor più concretamente, di cogliere, per esempio, la valenza "pedagogica" dei suggerimenti dati dalla Caritas quanto al farsi prossimi nei confronti degli ultimi (sul volontariato, sull'affido familiare, sull'impegno chiesto persino ai bambini in ordine alla carità, ecc.).

3) Esperienza e trascendenza

Il significato complessivo di queste indicazioni a "educare attraverso" è duplice.

Si vuole, anzitutto, riaffermare la forza educativa dell'esperienza: gli atti educano; le parole, che pure occorrono, non bastano e spesso illudono; il pagare di persona - in termini di tempo, di fatica, di disponibilità e di ricerca - fa assimilare i valori ed è un grande aiuto a capire le cose in profondità.

Il significato dell'"educare attraverso" è però anche un altro, quello che viene illustrato da tutta la prima parte di questa lettera pastorale: le vie di Dio sono imperscrutabili; il cammino educativo non è da affrontare semplicemente come qualcosa di deducibile; esso viene esaurientemente espresso da un approccio non puramente antropologico, ma propriamente teologico, perché l'educazione è via e azione di Dio.

E potremmo anche dire: la parola di Dio è più grande della nostra vita, la comprende, la avvolge e la interpreta; la carità evangelica è rettamente intesa e praticata se ha la profondità e la complessità della carità verso il Padre e verso gli uomini vissuta da Gesù, soprattutto nella sua passione e morte; la celebrazione dell'Eucaristia ha una sua forza per la verità della celebrazione stessa che introduce alla carità pasquale di Cristo; ecc. Si tratta insomma, di tener conto che gli orizzonti del nostro cammino educativo e della nostra crescita fino alla maturità di Cristo sono dischiusi da Dio. Lasciarci "educare attraverso" è un modo per riconoscere questa nostra singolare e fortunata condizione.

La domanda conclusiva e semplice è perciò la seguente: quanto e come stiamo attuando, senza dimenticarla né accantonarla, la proposta pastorale degli scorsi sette anni, intesa come reale luogo e strumento educativo?

[34] 34. Tutta questa lettera pastorale, per quanto tenga presenti anzitutto i ragazzi e i giovani, si applica anche agli adulti e alla responsabilità che essi hanno verso se stessi in un cammino di costante formazione.

Qui si vogliono perciò sinteticamente richiamare i vari modi e le diverse iniziative secondo le quali è attuabile tale impegno; si vuole suggerire un atteggiamento fondamentale, che è quello di sapersi porre alcune semplici domande; si vuole far notare che, anche a proposito di iniziative e strumenti, vi è spazio per un continuo rinnovamento; e si vuole, infine, dire una parola specifica sulla formazione permanente dei presbiteri.

1 ) Iniziative

In questo quadro trova spazio anzitutto un attento inventario di tutto ciò che, nella nostra Diocesi, intende offrire uno stimolo e un aiuto per la freschezza del cammino degli adulti:

-si pensi alle iniziative formative ad alcuni capitoli particolari della responsabilità degli adulti (nella famiglia, nella società, nella Chiesa);

- si pensi anche alle occasioni di formazione fondamentale degli adulti, all'interno di una esperienza di incontro e convivenza in gruppi di adulti, attraverso la catechesi per gli adulti, ecc.;

- si pensi a quello sforzo di formazione permanente che, con l'uso di strumenti vari, tende a garantire nella vita dell'adulto un continuo rinnovamento e una costante trasformazione di sé, nel mantenimento e nella affermazione della propria identità personale.

2) Alcune semplici domande

Quest'ultimo aspetto è quello che merita particolare attenzione.

In realtà, tutte le iniziative per gli adulti mancano allo scopo se, mentre vengono messe in atto, non chiamano in causa gli aspetti più profondi della persona e non mirano a favorire la sua autenticità e pienezza.

-Badare a questa dimensione educativa dell'adulto significa interrogarci sulle condizioni, lo stile e le qualità della sua vita quotidiana: qui infatti possono annidarsi le cause del graduale degrado della vita degli adulti, qui va assicurata la presenza di una specie di "principio genetico" (si pensi, ad esempio, al DNA) per un costante rinnovamento dell'adulto.

- Può essere di aiuto in questo impegno di autoformazione il porsi ogni giorno domande apparentemente piccole ma fondamentali per il "check-up" della nostra esistenza personale sotto il profilo delle relazioni interpersonali, della vita spirituale, della fedeltà vocazionale, della sensibilità culturale, ecc. Per esempio: quando prego? come tratto quelli di casa? cosa leggo,. mi impongo delle scelte a proposito della televisione ?...

- E può risultare illuminante l'incontro, il confronto e l'approfondimento delle esperienze di vita adulta pienamente riuscita: si pensi ai "grandi vecchi", rimasti sempre giovani, si pensi ai grandi santi, che non hanno mai smesso di convertirsi e perciò di trasformarsi e crescere.

3 ) Ri-formare gli strumenti

Il tema dell'educazione permanente può essere affrontato anche da un altro punto di vista: quello del costante rinnovamento ad opera soprattutto degli adulti delle iniziative , degli strumenti, in vista di un valido lavoro educativo

Qui il contrario di quel che si sta dicendo sarebbe l'atteggiamento, purtroppo non così raro, per cui o ci si ripete stancamente o ci si lamenta sterilmente per il fatto che "le cose non vanno". Un simile modo di affrontare la vita e il lavoro, per quanto spiegabile in presenza di disagi o delusioni o stanchezze, è una spia per avvertire che noi, come adulti, ci siamo forse "seduti", abbiamo tirato i remi in barca, ci confessiamo vecchi o fuori giuoco, giudichiamo con amarezza e senza speranza la storia presente e il futuro che si prospetta.

4) Formazione permanente del Clero

Tra gli adulti vanno ricordati, in modo particolare, i presbiteri, che tanta responsabilità portano nel cammino delle nostre comunità (cf. Presbyterorum Ordinis n. 6: I Presbiteri, educatori del popolo di Dio) e per i quali vi è quindi una motivazione specifica di formazione personale permanente.

Come dice la CEI, "I'obiettivo più importante dovrebbe essere quello di stimolare ad una costante verifica di sé e della propria attività di ministero nel confronto con gli altri e con la situazione; di sviluppare una capacità di ascolto, di comprensione e di collaborazione con gli altri presbiteri, con i Religiosi e I laici; di far superare quei diaframmi che troppo spesso dividono generazioni e mansioni diverse (giovani e anziani, parroco e cooperatori ecc.). Per ottenere questi scopi sembrano necessarie iniziative e strutture: corsi e lezioni di aggiornamento teologicopastorale; riflessione sull'azione pastorale; riflessioni e attività spirituali, come Ritiri ed Esercizi" (cf. La formazione dei presbiteri nella Chiesa ltaliana, appendice, nn. 1 3-1)

Nei confronti di tutto questo, già i preti giovani possono porsi una domanda: --quale uso fanno dell'ISMI (Istituto Sacerdotale Maria Immacolata)? di quale fedeltà e partecipazione danno prova?

Una seconda domanda se la può porre tutto il Clero, dal termine del 5° anno di sacerdozio in avanti: se rileggiamo gli anni o i decenni che abbiamo già trascorso, quale impegno personale di fatto constatiamo per la nostra formazione permanente? quale utilizzazione delle iniziative diocesane appositamente organizzate?

E guardando al futuro: come intendiamo usufruire di quanto, con l'aiuto dell'Istituto Lombardo di Pastorale avente sede a Milano in c.so Venezia, verrà proposto dalla Diocesi ai sacerdoti, anche con forme parzialmente nuove, proprio a partire dall'anno pastorale 1987-88?

[35] 35. Se tutto quanto è stato indicato come programma di lavoro in questa terza parte della lettera pastorale toccherà realmente le nostre Comunità Cristiane, si può aver fiducia che, col tempo, si potrà ottenere un duplice risultato:

- un'efficace assimilazione dei principii dell'educazione cristiana (favorendo lo stagliarsi nitido, di fronte alla coscienza, del profilo autentico del cristiano maturo; garantendo inoltre la capacità di identificare, per evitarle, quelle che potrebbero essere chiamate "scorrettezze" educative);

- un serio approfondimento dei "nodi" più difficili, e però inevitabili, del compito educativo e della perenne autoformazione: sviluppo e conversione; mistagogia e pedagogia; adolescenza e giovinezza come occasioni irrepetibili per introdursi nel mistero del vivere in Cristo; tappe fondamentali dell'educazione e dell'autoformazione; rapporto tra libertà, verità e carità; ecc.

Resterà poi un amplissimo programma da svolgere, che troverà più esplicata attenzione nel secondo anno di questo biennio 1987-89 (anche se verrà giustamente almeno già sfiorato nel primo).

- Si pensi, per esempio, alla Famiglia e al suo ruolo educativo; alla Scuola e alla sua tipica responsabilità (e, in questo contesto, alla Scuola Cattolica, all'Insegnamento della Religione Cattolica nella Scuola di Stato).

- Si pensi alla Parrocchia e ad alcuni suoi tipici strumenti educativi.

Oltre che, naturalmente, al "luogo" assolutamente primario che si chiama "Liturgia", l'attenzione dovrà volgersi all'Oratorio, alle Associazioni (e, in particolare, all'A.C.), ai Gruppi, ai Movimenti Ecclesiali presenti e operanti, alla impostazione di rapporti costruttivi con i soggetti educativi sopra ricordati (Famiglia e Scuola).

- E si pensi alla Chiesa particolare (Diocesi) in tutta la sua ampiezza e alle sue responsabilità educative.

Essa deve interrogarsi sui suoi strumenti e sulle sue scelte qualificanti in favore della educazione dei giovani e per un reale sostegno agli adulti; deve proporsi una significativa vicinanza alle migliaia di persone attive sul fronte educativo e alle tante realtà ecclesiali di base sparse sul territorio; deve mostrare accoglienza e armoniosa valorizzazione di tutti i germi e di tutte le forze che si dimostrano capaci di dare nuovo impulso all'impegno educativo odierno; deve interrogarsi sulle nuove condizioni di vita offerte e spesso imposte dalla società tecnologica e telematica, così da saper adottare scelte educative che tocchino validamente il mondo delle comunicazioni sociali e, naturalmente, tutto il mondo del lavoro.

Come si vede, di strada da percorrere ve n'è molta.

Riecheggiano per noi le parole di Paolo: "Finché abbiamo tempo, operiamo il bene" (Galati 6, 10).

[36] Nel libro VIII delle Confessioni Agostino descrive la propria esperienza spirituale che, come in tutto il resto del libro, prende la forma del dialogo con Dio: "Dio mio, fa' ch'io ricordi per ringraziartene e ch'io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi... Hai spezzato i miei lacci... da te assediato da ogni parte... si era dissipato dalla mia mente ogni dubbio" (VIII, 1 1). In questo modo egli dà evidenza al fatto che Dio è stato Colui che l'ha liberato, illuminato, assediato, messo alla prova, e, dunque, educato.

Ma la stessa pagina del libro delle Confessioni racconta l'incontro prolungato con Simpliciano.

Questo uomo saggio è stato importante, come "buon servitore" e strumento di Dio, per il cammino di Agostino: "Allora m'ispirasti il pensiero, apparso buono ai miei occhi, di far visita a Simpliciano... In lui riluceva la tua grazia. . Era mio desiderio conferire con lui sui miei turbamenti, affinché mi riferisse il metodo adatto a chi si trova nel mio stato per avanzare sulla tua via" (VIII, 1, 1).

E' molto istruttivo ripercorrere le tappe del cammino di Agostino per toccare con mano i passi compiuti, la reale conversione, i superamenti dolorosi.

E sarebbe pure affascinante studiare gli strumenti di cui Dio si è servito per il cammino di Agostino. Oltre a Simpliciano ve ne sono infatti molti altri, tra cui eccelle s. Ambrogio. Ci si dovrebbe chiedere: come hanno agito, con quale stile, con quali scelte, con quali sottolineature e con quale metodo?

Voglio almeno ricordare brevemente, a conclusione di questa lettera, e nell'anno centenario non solo del battesimo di Agostino (notte di Pasqua del 387), ma anche della morte di santa Monica (estate del 387), la figura di questa grande madre educatrice.

S. Agostino ci racconta lui stesso come la madre accolse l'annuncio della sua definitiva conversione: "Immediatamente ci rechiamo da mia madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo svolgimento dei fatti; esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi fare più di quanto chiediamo o comprendiamo. Vedeva che le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto per tutti i suoi gemiti e le sue lacrime pietose" (Confessioni VIII, 12, 30). E rievocando gli ultimi momenti passati con la madre così riferisce le sue parole: "Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me... Una sola cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente..." (Confessioni IX, 10, 26).

Questa madre, come già la vedova di Naim in pianto per l'unico figlio (Luca 7, 11-13), è immagine e simbolo di tutte le madri, di tutti i genitori cristiani, della Chiesa educatrice e di ogni educatore che ama profondamente.

Ci conceda il Signore, nell'anno centenario di santa Monica e in quello della morte di s. Giovanni Bosco (1888), di rinnovarci nella passione educativa e doni a tutti gli educatori della nostra Diocesi, genitori, insegnanti, preti, religiosi e religiose, catechisti, volontari, il centuplo della riconoscenza per la loro dedizione e il loro coraggio.

Vi benedico tutti,

CARLO MARIA MARTINI Cardinale Arcivescovo

Tutta la liturgia, essendo riflesso del mistero di Dio e strumento della sua azione salvifica verso d suo popolo, è educativa e contiene spunti educativi ricchissimi.

Perciò sarebbe possibile riprendere la tematica della lettera analizzandola sotto il profilo liturgico, considerando i gesti, i tempi, i testi della liturgia e vedendone l'incidenza sull'educazione della persona (ct. i libri classici di Dietrich von Hildebrand, ..Liturgia e personalità" e Romano Guardini, "Lo spirito della liturgia").

Qui ci limitiamo, per stimolare questo lavoro, a riportare alcuni testi più specifici dalle "Messe e orazioni per varie necessità" del "Messale ambrosiano", che possono servire anche per accompagnare le riflessioni comunitarie sulla lettera pastorale.

Orazione inizio assemblea (per glie eucatori)

Dio, sorgente di vita e di grazia dona agli educatori di collaborare al compimento del tuo disegno d'amore nei giovani perché si formino alla scuola di Cristo, tuo Figlio, che è modello perfetto dell'uomo.

Orazione a conclusione della liturgia della parola (per i giovani)

Concedi ai giovani, o Dio, una vita di fede e un servizio di amore per te e per il prossimo, nella società e nella famiglia; apri il loro animo all'ascolto docile della tua parola che li chiama a donarsi ai fratelli nella libertà e nella gioia dello spirito.

Prefazio

La tua potenza ha creato l'uomo a immagine di Cristo, sublime modello della nostra vita. In lui la nostra umanità deve rinascere perché, liberata dal male, possa dare pieno compimento al mistero del tuo amore paterno che tutti ci ha chiamato alla vita immortale. Tu hai mandato il Figlio tuo, cresciuto nell'affetto di una famiglia umana, perché fosse luce e sostegno a ogni missione educatrice e ai nostri giovani donasse desiderio e forza di crescere come lui, in sapienza e grazia.

2. Per la professione di fede degli adolescenti

Orazione inizio assemblea

Dio onnipotente ed eterno, che in questa assemblea vuoi illuminare la nostra vita con la tua parola di salvezza, guidaci con mano paterna sul nostro cammino perché, alla scuola del vangelo, diventiamo amici fedeli di Cristo.

Prefazio

Tutti per nome ci hai chiamato alla vita con amore di Padre, affidando a ciascuno una propria missione. Incontro, sul nostro cammino, ci hai mandato il tuo Figlio unigenito che a noi mirabilmente si unisse in un vincolo di eterna amicizia. Hai voluto associare il nostro destino alla storia della sua redenzione e ci hai reso figli della Chiesa perché fossimo solerti operatori di pace e coraggiosi annunciatori del vangelo nel mondo.

3. Per la terza età

Orazione inizio assemblea

O Dio eterno, che per compiere il tuo disegno d'amore, concedi lunghezza di giorni e di anni, dona a questi tuoi fedeli di crescere senza interruzione e senza stanchezza nell'intelligenza docile della tua parola e nel servizio paziente e generoso dei fratelli.

Orazione a conclusione della liturgia della parola

Dio onnipotente e buono, che a tutto il tempo della nostra vita dai valore ed efficacia di grazia, fa' che questi tuoi figli ti cerchino con animo più libero, riconoscano più profondamente la vanità del mondo e, maturando nella sapienza del cuore, possano edificare la comunità cristiana con le parole e con le opere che vengono da uno spirito colmo di serenità e di speranza.

Prefazio

E' veramente cosa buona e giusta celebrarti, Padre onnipotente, per i molti giorni di vita che ci fai trascorrere. Anch'essi sono segno del tuo amore: tu ci doni il tempo che passa perché sappiamo meritare l'eternità che rimane. Lungo la nostra esistenza ci accompagni con la grazia di Cristo, nel quale ci hai creato e salvato, e ci inviti a rispondere pienamente alla divina chiamata, crescendo nella tua carità, e a restare fedeli al tuo misterioso disegno. Se le forze del corpo vengono meno, non diminuisce la tua bontà che perdona e rinnova, elargendo più abbondanti i doni dello Spirito santo. Così, nella serenità dell'anima, ci avviciniamo a te che non deludi la nostra speranza nelle tue promesse, ma ci attendi nella gioia eterna dove canteremo senza fine l'inno della tua lode.