Attirerò tutti a me

 

[1] 1. Ti ringrazio, Gesù di Nazaret, Signore vivente, perché, poco prima di essere consegnato a morte, hai detto la parola profetica: "attirerò tutti a me" (Gv 12, 32) Essa mi dà la certezza che ciò che sto cercando di fare, mentre scrivo questa lettera, non è solo frutto del mio sforzo, ma è obbedienza a te. E poiché siamo tutti attirati da te, la stessa forza che mi spinge a scrivere del tuo dono eucaristico è quella che attirerà ciascuno che vorrà leggere queste pagine. E chi legge le comprenderà, perché tu lo attiri dalla tua croce e dalla tua gloria. Anzi il Padre stesso, che ti ha mandato, lo attira a te (Gv 6, 44.65). Il Padre rivela ai semplici e ai piccoli te, che sei il Figlio (cfr. Mt 11, 25-27) e manifesta il segno definitivo del tuo amore, che è l'Eucaristia.

[2] 2. Questa preghiera, che mi viene spontanea all'inizio di questa lettera, mi aiuta anche a superare il "timore e tremore" (cfr. Es 3, 6; At 7, 32, Ebr. 12, 21) che sento avvicinandomi al roveto ardente che è il mistero dell'Eucaristia.

Come farò a scrivere in maniera semplice e giusta di cose così elevate? Non sarò sopraffatto - e già lo sento un po' in me -dalla complessità del tema, dai rapporti che esso ha con tutto il mistero dell'uomo? C'è il rischio di dire troppo e di risultare alla fine generici, e soprattutto di non riuscire a comunicare la fiamma che lo Spirito ha acceso dentro.

Ma allora Mosé rifiuterà di avvicinarsi al roveto, per paura di sbagliare strada?

Carissimi sacerdoti e fedeli, fratelli e sorelle nel Signore: vi prego, leggete attraverso le righe il messaggio di fuoco, a cui esse troppo imperfettamente alludono, e soprattutto lasciatevi attrarre da quello stesso Signore che mi ha mosso a scrivervi.

Il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale ci invita ad accostarci non solo al roveto che arde nel deserto, ma "al monte Sion e alla città del Dio vivente" (cfr. Ebr 12, 22), dove ci riconosciamo fratelli, comunità fondata dall'Eucaristia e spinta alla missione.

[3] 3. Scrivo questa lettera mentre sto concludendo gli incontri pastorali "per campione". Ho vissuto per alcuni giorni nelle parrocchie più diverse, dall'immenso e quasi anonimo quartiere Gallaratese, in periferia di Milano, sino alle verdi e solitarie valli del Luinese. Ho celebrato tante volte l'Eucaristia in situazioni e circostanze sempre nuove, dalla rotonda del carcere di S. Vittore, all'ariosa parrocchiale di Monteviasco, arrampicata sulla montagna.

Quante impressioni! Quanta ammirazione per la gente incontrata, per lo zelo e l'ospitalità

dei parroci, per la fede degli umili! E insieme quante impressioni diverse nel celebrare l'Eucaristia. A volte mi pareva di cogliere come nell'aria il mistero, la presenza dell'Altissimo, il "cuore solo e l'anima sola" delle prime comunità! Altre volte sentivo come un senso di fatica. Non penso fosse dovuto solo alla stanchezza fisica: forse era finche una imperfetta fusione di cuori nell'assemblea, un cammino eucaristico ancora un po' incerto.

[4] 4. L'esperienza insegna che dietro un imperfetto celebrare c'è un vivere anch'esso imperfetto. Se l'Eucaristia è il centro della comunità, essa ne diviene anche un po' lo specchio. C'è dunque una ragione profonda, tratta dal dinamismo stesso della celebrazione, che ci invita a leggere in trasparenza liturgia e vita.

Mi sono chiesto che cosa rende un celebrare pienamente significativo, come interpretare quel "non so che", avvertito nell'insieme del rito, che invita ad esclamare "veramente Dio è fra voi" (cfr. 1 Cor 14, 25). Mi pare che una celebrazione tocchi questi vertici quando essa, nel suo concreto svolgimento, apre ogni persona a percepire la ricchezza della vita comunitaria e, nel medesimo tempo, orienta la comunità al di là di se stessa, attraverso i temi e i bisogni immediati, verso una presenza santa e misericordiosa.

Questa presenza non è la somma delle realtà che compongono la vita comunitaria, ma un mistero che eccede il livello dei rapporti tra gli uomini e insieme si concede agli uomini in un atteggiamento di amicizia e di dono gratuito. Un mistero che inclina i cuori a simili atteggiamenti di benevolenza e di dono. Si avverte, allora, nella luce della fede, che Gesù è presente, è "il Signore", è "il Figlio" che ci rende partecipi dei suoi misteriosi rapporti con il Padre e del suo dono per il mondo.

Così si attua veramente la parola di Gesù: "attirerò tutti a me" (Gv 12, 32)

[5] 5. Vorrei sostare un poco su questa parola biblica, "attirerò tutti a me". Anche se non si riferisce direttamente all'Eucaristia, essa, letta nel contesto (Gv 12, 20-36), può aiutare a capirne il senso profondo, perché illustra l'interiore energia della Pasqua, di cui l'Eucaristia è la manifestazione e l'attuazione.

Alcuni Greci, saliti a Gerusalemme per la festività pasquale, desiderano vedere Gesù (Gv 12, 20-21).

Anche il mondo non ebraico comincia a interessarsi di lui. Sta per giungere il grande momento dell'incontro con tutti i popoli. Gesù potrebbe attirarli a sé con qualche gesto affascinante. Invece la sua reazione è, in apparenza, deludente: essi non vedono nulla di straordinario; vedranno solo un chicco di grano, che cade nella terra, scompare e muore (cfr. Gv 12, 23-24). Ma proprio questa morte glorificherà il Figlio dell'uomo, rivelerà definitivamente l'amore del Padre, sarà il principio della vita. Quando sarà innalzato sulla croce, Gesù apparirà agli occhi di tutti come il salvatore del mondo, attirerà a sé tutti gli uomini, per coinvolgerli nel suo stesso movimento di dedizione all'amore del Padre (cfr. Gv 12, 32-36.44-50).

I Greci, saliti a Gerusalemme per la festa della Pasqua ebraica, vedranno la Pasqua nuova e definitiva, l'esodo, il passaggio, il ritorno di Gesù al Padre, inizio del grande ritorno di tutta l'umanità riconciliata e salvata (1)

[6] 6. In questa luce intuiamo che la Pasqua, proprio per attuare la sua efficacia universale di riconciliazione e di comunione, dovrà suscitare un gesto, un segno uno strumento, con il quale raggiungere ogni uomo per attirarlo a Gesù e, insieme con Gesù, verso il Padre.

Tale gesto o segno, essendo convocazione di più persone in Gesù, in vista di un'attrazione verso il mistero di Dio, avrà tra le sue caratteristiche fondamentali almeno le seguenti: quella di esprimere e di realizzare la comunione

(I) Mentre molti codici greci del Nuovo Testamento leggono in Gv 12,32 "attirerò tutti a me", alcuni codici molto antichi leggono "attirerò tutte le cose a me". Anche se la prima lezione è da preterire il fatto che in alcuni luoghi della Chiesa antica, in particolare nell'occidente, si sia letto "tutte le cose" è indicativo della connessione tra attrazione degli uomini a Cristo e attrazione di tutta la realtà creata. In questo senso si esprime Paolo in I Cor 15,28: "E quando tutte le cose gli saranno state sottomesse, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti".

dell'uomo con Cristo; quella di convocare gli uomini, radunandoli in una assemblea di salvezza, in una fraternità; quella di attrarre verso il trascendente, configurandosi come una celebrazione del mistero, come un rito sacro, che inserisce l'uomo nel sacrificio di Cristo, nella adorazione e obbedienza filiale con cui Gesù ha accolto e attuato la volontà amorosa del Padre.

Tale appunto è l'Eucaristia: attrazione, convocazione, comunione, sacrificio; il tutto vissuto in una celebrazione rituale.

[7] 7. Questa Eucaristia è il centro della comunità cristiana e della sua missione (cfr. Conc Vat II, Presbyterorum Ordinis, 5).

Non si tratta però di una centralità geometrica, statica.

La centralità dell'Eucaristia va concepita come qualcosa di assolutamente originale, in dipendenza dall'originalità dei rapporti di Gesù con il Padre. L'Eucaristia è un centro dinamico: ci accoglie dalle dissite regioni della nostra lontananza spirituale, ci unisce a Gesù e ai fratelli e ci sospinge con Gesù e con i nostri fratelli verso il Padre. E' come un sole che attira a sé la terra degli uomini e con essa cammina verso un termine misterioso, eppure certissimo.

"Mettere l'Eucaristia al centro" è il programma che ci proponiamo per questo anno del Congresso Eucaristico. Questa lettera vorrebbe aiutare a mettersi nella disposizione giusta per questa comunione.

Nella prima parte ci domanderemo perché è importante mettere l'Eucaristia al centro, tenendo conto del primato della Parola, a cui abbiamo dedicato l'impegno di quest'anno trascorso, e in relazione con la situazione pastorale del nostro tempo.

In una seconda parte cercheremo di analizzare le difficoltà della nostra Chiesa a capire e a vivere pienamente la centralità dell'Eucarístia.

Nella terza parte verranno delineati alcuni itinerari per riscoprire la centralità del mistero eucaristico.

Nella quarta e quinta parte sono offerti dei suggerimenti pratici per celebrare l'Eucaristia con rinnovata fedeltà alla volontà del Signore e per ricollocare l'Eucaristia al centro della vita e della missione de]la Chiesa

Una conclusione raccoglie alcune indicazioni operative prioritarie.

[8] 8. Il messaggio che si vuole comunicare, malgrado la molteplicità delle sue implicazioni, è in fondo molto semplice ed è da sempre presente nella religiosità tradizionale. Ogni fede]e sa che, mentre il cibo materiale si trasforma nell'organismo di chi lo assume, Gesù nell'Eucaristia conforma a sé chi si nutre di lui: "chi mangia la mia carne dimora in me e io in lui; colui che mangia di me, vivrà per me" (Gv 6, 56-57).

Questa verità, operante a livello individuale il cristiano che si comunica si trasforma nella linea del sentire e dell'agire di Cristo, assume comportamenti evangelici ecc.), non è stata ancora sufficientemente approfondita nelle sue conseguenze per la comunità. Il cibo eucaristico fa dei molti un solo corpo, il corpo di Cristo, nello Spirito Santo.

Essa dunque configura nel tempo un popolo che esprime a livello sociale, e non solo individuale, la forza dello Spirito di Cristo che trasforma la storia. Fa dell'umanità un popolo nuovo, secondo il disegno di Dio.

L'Eucaristia attua così nel mondo il Regno non per la forza dell'uomo, ma in virtù dell'agire dello Spirito del Risorto. Mettere l'Eucaristia al centro vuol dire riconoscere questa forza plasmatrice dell'Eucaristia, disporsi a lasciarla operare in noi non solo come singoli, ma anche come comunità cristiana, e accettare le condizioni e le implicazioni di questo evento unico e rivoluzionario che è la Pasqua immessa nel tempo dell'uomo.

Si tratta di situare questa riscoperta della centralità dell'evento eucaristico nel nostro cammino di Chiesa, così da viverla in pienezza nell'anno del Congresso.

E' quanto si propone di fare questa lettera pastorale .

[9] 9. Quest'anno 1981-82 ci siamo messi in ascolto della Parola. Abbiamo detto che questo cammino ci avrebbe condotto all'Eucaristia, come è avvenuto per i discepoli di Emmaus (Lc 24, 30.31.35). Occorre, prima di tutto, chiederci in che modo la Parola di Dio ci illumina sulla centralità dell'Eucaristia.

E' necessaria un'attenta lettura dei testi biblici che mettano in risalto la centralità della Eucaristia. Questa lettura potrà essere fatta dalla comunità durante l'anno pastorale. Esistono buoni sussidi, di recente pubblicazione. Qui mi limito ad indicare la traccia di questo lavoro, riferendomi sommariamente:

a) - ai racconti dell'istituzione dell'Eucaristia nei Vangeli sinottici e in Paolo (Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22,19-20;1 Cor 11, 23-25).

b) - ai capp. 10 e 11 della prima lettera ai Corinzi;

c) - al cap. 6 del Vangelo secondo Giovanni, letto nel contesto dell'intero Vangelo.

Vorrei che ciascuno, rileggendo questi testi, potesse cogliere in essi la forza dell'Eucaristia, così come Gesù l'ha voluta, come centro dinamico capace di convocare e unire in comunione la realtà umana, attraendola verso il Padre.

[10] 10. I testi dell'istituzione ci presentano Gesù nell'atto di donare il corpo e il sangue, cioè tutta la persona. Il pane e il vino diventano realmente Gesù sacrificato per noi.

Nell'Eucaristia Gesù si consegna a noi, riattualizzando quella consegna di sé operata definitivamente sulla Croce, di cui l'Ultima Cena è l'anticipazione profetica. Ma questo fatto si colloca sullo sfondo dell'alleanza di Dio col popolo, richiamata espressamente dalla parola di Gesù "questo è il mio sangue dell'alleanza" (Mt 26, 28).

L'alleanza dice il legame profondo che univa l'antico Israele con Dio e lo faceva "suo popolo": il dono del Cristo sacrificato per noi ha come fine la creazione del nuovo popolo di Dio.

L'alleanza ricorda l'instancabile amore con cui Dio, fin dalla creazione, ha trattato l'uomo come un amico, ha promesso una salvezza dopo il peccato, ha scelto i patriarchi, ha liberato Israele dall'Egitto, l'ha accompagnato nel cammino attraverso il deserto, l'ha introdotto nella terra promessa segno dei misteriosi beni futuri, I'ha aperto alla speranza con la promessa del Messia e dello Spirito.

Nella concezione biblica l'alleanza è dunque il principio che costituisce e configura tutta la vita del popolo. Accolta mediante il culto e la legge, essa plasma, momento per momento, tutta l'esistenza. Promessa come "nuova" alleanza nella predicazione profetica, essa è vista come principio divino che risiede nelle profondità del cuore e dal di dentro muove, orienta, influenza tutta la vita (Ger 31, 31-34, Ez 36, 26-27).

Collegando l'Eucaristia con l'alleanza Gesù vuol dire che l'Eucaristia dona a noi la forza di lasciarci totalmente attrarre nel movimento dell'amore misericordioso di Dio annunciato nell'Antico Testamento, celebrato definitivamente nella Pasqua e culminante nella pienezza escatologica: "nell'attesa della sua venuta".

[11] 11. Per comprendere la centralità dell'Eucaristia nella Parola di Dio è importante tener presenti anche alcuni passi delle lettere di san Paolo, in particolare i capp. 10 e 11 della prima lettera ai Corinzi.

In essi vengono messi in luce i rapporti tra Eucaristia e Chiesa. Partendo dal cibo e dalla bevanda che hanno nutrito spiritualmente Israele nel deserto (1 Cor 10, 3-4) e dai pasti cultuali pagani, Paolo collega strettamente il corpo eucaristico di Gesù con il corpo ecclesiale: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo in molti, siamo un corpo solo: infatti tutti partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor 10, 17).

Nel cap. 11 della stessa lettera sottolinea l'incompatibilità che esiste tra la celebrazione della

Eucaristia e la mancanza di carità tra i membri dell'assemblea eucaristica (1 Cor 11, 17-22).

Tale incompatibilità risulta in tutta la sua forza se si riflette che nel pane e nel calice v'è la reale presenza di Cristo sacrificato.

"Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è f orse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?" (1 Cor 10, 16).

Essa configura la comunità secondo le esigenze del dono e della condivisione, anche se a tali esigenze la comunità può opporre resistenze (cfr. 1 Cor 11, 18-22.27-32).

Nel contesto della prima lettera ai Corinti tali esigenze vanno intese secondo quel crescendo che nel cap. 13 presenta la carità come la "via migliore di tutte", che oltrepassa tutti i carismi e introduce nel dinamismo della vita stessa di Dio.

[12] 12. Nel cap. 6 di san Giovanni il discorso sul pane della vita colloca il tema propriamente eucaristico (vv. 51-58) sullo sfondo di altri temi che presentano molteplici allusioni all'Antico Testamento (la manna, il convito escatologico, il convito della Pasqua) e hanno tutti come sfondo il mistero di Dio Padre. Penso in particolare a Gv 6, 44: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato".

I richiami all'Antico Testamento alludono all'azione paziente e multiforme con cui Jahweh, rendendosi presente nel popolo, lo nutre, lo forma, gli dà un volto, imprimendo una particolare direzione e una specifica tonalità a quei procedimenti umani in cui si dispiega e si articola la vita della comunità.

Se l'Eucaristia è la pienezza di queste figure veterotestamentarie, vuol dire che porta a compimento la forza plasmatrice in esse annunciata. Su questo sfondo si collocano i versetti di Giovanni che si riferiscono più immediatamente all'Eucaristia (6, 51-58). Essi ribadiscono che il rapporto instaurato dall'Eucaristia tra Gesù e i discepoli è tutto plasmato dal rapporto che Gesù ha con il Padre: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in Lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui, che mangia di me, vivrà per me" (vv. 56-57).

[13] 13. Nei capp. 13-17 Giovanni, descrivendo l'Ultima Cena, non parla direttamente dell'Eucaristia. Presenta però tutto quello che è avvenuto nella Cena all'insegna di un amore che sa andare "sino alla fine" e nasce dalla consapevolezza che "era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre" e che "il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio tornava" (13, 1-3). E' in questo movimento di amore e nel suo cammino verso il Padre che Gesù ci attira con l'Eucaristia.

[14] 14. Perché è importante mettere l'Eucaristia al centro? Se dall'ascolto della Parola passiamo alla riflessione sul nostro attuale cammino di Chiesa, non sarà difficile cogliere come l'Eucaristia costituisca un punto di riferimento concreto della nostra azione pastorale.

Esprimo ciò con un paragone che, oltre tutto, ha molte affinità con l'Eucaristia.

Penso al ruolo che svolge, o dovrebbe svolgere, il pasto nella vita di una famiglia e di una comunità. E' un momento tra i tanti, eppure si carica di significati e di valori che vanno ben al di là del gesto esteriore.

Durante il pasto si parla, si discutono gli avvenimenti comunitari, si fa il punto della situazione, si pensa al futuro.

I beni che vengono scambiati e condivisi nel pasto comune si presentano come il simbolo concreto dei beni a cui tende la convivenza familiare o comunitaria.

Qualcosa di simile avviene nell'Eucaristia. Essa, per certi aspetti, è un episodio determinato e limitato nella vita della Chiesa. Eppure, senza nulla perdere della sua concretezza e determinatezza, assurge a momento sintetico e plasmatore di tutta la vita.

[15] 15. Infatti essa, nella sua reale, anche se misteriosa, identità con il Signore sacrificato per noi nella Pasqua, ci assicura il contatto vivente con Cristo, centro oggettivo della vita della Chiesa e di tutta la storia umana. Inoltre, poiché è l'attrazione di tutta l'esistenza umana, insieme con Cristo, verso la pienezza del Regno e verso il Padre (cfr. l Cor 15, 28), l'Eucaristia ha la proprietà di collocare ogni aspetto della vita, nella sua frammentarietà e singolarità, entro il respiro unitario di un piano e di un destino, che è insieme la sintesi riassuntiva e la matrice creativa di tutti i momenti della vita della Chiesa e della storia umana.

Il farsi della Chiesa nella storia, che è l'intento di tutta l'azione pastorale, trova nell'Eucaristia un punto di riferimento decisivo.

Ci sentiamo talvolta un po' frastornati dal susseguirsi di tanti documenti di cui tener conto, di tanti programmi pastorali, sia nella Chiesa italiana, sia nella Chiesa locale.

Ci pare, talvolta, che questi temi, anche se di grande importanza, come la dimensione contemplativa della vita o il primato della Parola, ci sfiorino solo Per qualche mese e poi ci sfuggano di mano senza verifiche e consolidamenti. Vorremmo sostare su ciascuno di essi, vorremmo non perdere di vista i temi passati mentre ci apriamo a quelli futuri.

L'Eucaristia, per la sua natura sintetica e creativa, semplicissima e insieme riferita a ogni altra realtà, ci offre una prospettiva di unità che, mentre raccoglie i frutti del passato, ci prepara a individuare le scelte future.

[16] 16. Mentre l'Eucaristia fa unità nei nostri concreti programmi, ci aiuta anche ad affrontare un problema più generale della pastorale odierna. La complessità e la mobilità delle situazioni odierne non permettono più una pastorale statica, definita una volta per tutte. Per venire incontro, con vera carità pastorale, all'uomo d'oggi, occorre rischiare, essere pronti a cambiare, tentare vie nuove.

Ma qui insorge il rischio della dispersione, del logoramento, dello smarrimento dei punti irrinunciabili. D'altra parte non si può ovviare a questo rischio incappando in quello opposto di tentare unificazioni precipitose, astratte, operate a tavolino.

Penso che un'assimilazione profonda e convinta dei valori pastorali presenti nella centralità dell'Eucaristia possa offrirci utili indicazioni per superare i rischi accennati.

Dobbiamo quindi ringraziare il Signore per la preziosa opportunità pastorale che ci viene offerta dalla celebrazione del XX Congresso Eucaristico Nazionale. Come più volte è stato detto, esso non ci distrae dai nostri quotidiani compiti pastorali, ma, ben inteso e ben vissuto, può diventare una provvidenziale occasione di verifica, di rigenerazione e di unificazione di tutta la nostra azione pastorale.

[17] 17. L'esigenza di unità, vivamente avvertita nella nostra azione pastorale, è presente anche nel tessuto culturale della nostra società, in particolare della società milanese. La conoscenza diretta dei problemi umani e sociali e lo scambio di idee con molte persone, variamente impegnate nei diversi settori della vita pubblica, mi conducono alla costatazione che occorre colmare la sproporzione che si è creata tra l'enorme complessità dei problemi da affrontare e la coscienza morale con cui affrontarli.

Fortunatamente è ancora viva nella nostra società milanese una forte coscienza morale, ereditata dalla lunga e intensa tradizione cristiana e civile della nostra cultura.

Anche il Papa, nel discorso tenuto ai Vescovi lombardi per la visita "ad limina" dello scorso gennaio, ha ricordato con vivo apprezzamento l'"ethos popolare" della nostra gente, cioè una somma di valori cristiani, che sono stati capaci di tradursi in atteggiamenti umani profondi e largamente condivisi, in una mentalità diffusa, in un costume civile, in una tradizione culturale.

Il Papa ha ricordato tra gli altri valori il vivo senso della famiglia, l'impegno nel campo educativo e formativo. Possiamo aggiungere le doti dell'onestà e della laboriosità, lo spirito di solidarietà e di accoglienza, l'attitudine alla convivenza rispettosa e tollerante, l'impegno diligente e solerte nelle cose pratiche, congiunto con un senso di magnanimità e di cordialità che va al di là delle cose, raggiunge la persona e può, di conseguenza, favorire l'atteggiamento contemplativo e l'apertura al mistero.

[18] 18. Dobbiamo pero riconoscere che questo patrimonio spirituale si è logorato nel far fronte ad un cumulo impressionante di problemi: l'industrializzazione, il conflitto tra le classi sociali, la civiltà del benessere, la crisi delle forme tradizionali della comunicazione e l'avvento dei nuovi mezzi della comunicazione di massa, i difficili rapporti tra le generazioni, i problemi della casa, del lavoro, dell'assistenza, il fenomeno dell'immigrazione che, se registra ultimamente una attenuazione a livello nazionale, vede crescere il numero degli stranieri che cercano da noi lavoro e ospitalità.

La nostra coscienza civile è quasi sopraffatta dalla gravità e dalla complessità dei problemi. Cerca soluzioni in varie direzioni, ma stenta a trovare un quadro di riferimento. E' logorata da un certo spirito contenzioso che esaspera le divergenze di opinioni e le contrapposizioni pratiche anziché favorire un'intesa su alcuni punti essenziali. E' minacciata dalla tendenza al disfattismo e al disimpegno per i troppi casi di corruzione pubblica e privata. E' angosciata dal pericolo di soluzioni estremiste, che si fanno strada in episodi di intolleranza e di terrorismo.

Anche l'Assemblea annuale della Conferenza Episcopale Italiana, che Milano ha avuto l'onore di ospitare nello scorso aprile, proprio per il fatto di essersi tenuta a Milano, a contatto vivo con i problemi della nostra città, ha apprezzato con soddisfazione i valori spirituali presenti nella nostra gente, ma ha messo anche in evidenza, in parecchi interventi, i problemi della società contemporanea, che a Milano emergono in modo più urgente e significativo.

[19] 19. Per questi problemi non bastano soluzioni tecniche e politiche, che pure sono necessarie.

Occorre rinvigorire la coscienza morale.

Occorre raccogliete i vari interventi settoriali attorno ad una immagine unitaria di uomo, che consideri il bene complessivo della persona umana e impedisca che i risultati raggiunti in un settore siano contraddetti e vanificati dall'offesa recata all'uomo in altri aspetti della sua vita.

Occorre, conseguentemente, creare atteggiamenti e strumenti di tolleranza, di dialogo, di collaborazione, di comprensione e di perdono reciproco, per favorire l'intesa sull'immagine unitaria dell'uomo.

Occorre una nuova mediazione culturale aperta a questi orizzonti.

In questa prospettiva diventa importante una riflessione sulla unità concreta che la vita umana trova nell'Eucaristia. Bisogna certo evitare di istituire artificiosi concordismi tra la trascendente. misteriosa unità, attuata dall'Eucaristia e le forme di unifìcazione create e realizzate dagli sforzi umani nei diversi ambiti di convivenza.

Ma tra la prima e le seconde esistono delle relazioni. I cristiani, che vivono nell'Eucaristia una singolare esperienza di attrazione di tutta la loro vita nel mistero unificante dell'amore di Dio, devono sentirsi impegnati non solo a ricavarne le conseguenze per i loro rapporti entro la comunità cristiana, ma anche a favorire l'irraggiamento di questo mistero in ogni ambito di convivenza.

D'altro canto, ogni passo compiuto con buona volontà verso un dialogo tra le persone, verso un costume di comprensione e di collaborazione verso l'intesa su una immagine di uomo di ampio respiro, costituisce un segno e una preparazione dell'unità degli uomini in Cristo. Sarà così possibile portare dentro la celebrazione la ricchezza di tutti gli sforzi umani di unificazione.

Perciò mi permetto di offrire questa lettera, come già quelle degli anni precedenti, non solo a quanti professano la fede cattolica nell'Eucaristia, ma anche a tutti coloro che hanno comunque a cuore l'urgenza della riconciliazione e il cammino verso l'unità.

Abbiamo molto lavoro in comune da compiere. Possiamo scambiarci molte cose per servire l'uomo con umiltà e fiducia.

[20] 20. Non è facile mettere l'Eucaristia al centro ! Non è facile accogliere il messaggio del sacramento dell'Eucaristia nella sua forza.

I testi del Nuovo Testamento alludono spesso all'incomprensione che essa incontra in coloro ai quali è destinata.

Il primo documento neo-testamentario sulla Eucaristia denuncia la maniera scorretta con cui essa veniva celebrata dai cristiani di Corinto (1 Cor 11, 17-22). Luca racconta come durante l'Ultima Cena i discepoli discutessero chi fosse tra loro il più grande (Lc 22, 24-28). Nel cap. 6 di s. Giovanni, ai temi delineati da Gesù nel discorso eucaristico fa da contrappunto l'incomprensione da parte degli ascoltatori: "Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo? " (Gv 6, 60).

Nell'Eucaristia l'amore di Dio si manifesta nelle sue forme più pure e sconvolgenti e incontra un uomo spaesato dinanzi a cose immensamente più grandi di lui.

L'Eucaristia al centro è la meta di un lungo cammino. Confessare umilmente le nostre lacune o anche semplicemente le nostre incertezze e difficoltà è il primo passo da compiere per riscoprire l'inesauribile ricchezza di questo mistero.

[21] 21. La riforma liturgica, preparata da alcuni movimenti pionieristici fin dai primi decenni di questo seco]o e promossa dal Vaticano II, ci ha offerto condizioni particolarmente favorevoli per una migliore comprensione della Eucaristia: la struttura più lineare ed essenziale della celebrazione, l'uso delle lingue vive, l'accesso più abbondante e organico ai testi biblici, la partecipazione attiva di tutti, articolata nei diversi ministeri del popolo cristiano, la più evidente centralità del mistero pasquale nella sua celebrazione annuale e domenicale, lo spazio più ampio previsto per la creatività, insieme con molti altri fattori, hanno creato le premesse per una celebrazione più viva e fruttuosa dell'Eucaristia.

[22] 22. Ma dobbiamo onestamente riconoscere che i frutti, che si attendevano dalla riforma conciliare, stentano a maturare. L'inerzia tende a riprendere il sopravvento, mentre le fughe nelle sperimentazioni scomposte rivelano dopo qualche tempo la loro radice non genuina.

Rimane la domanda di fondo, il "caso serio": sappiamo davvero celebrare il mistero di Dio? Esso è davvero per tutti noi un valore, il valore sommo? La Messa trasforma la vita? La vita è sentita come attratta dalla Messa? L'Eucaristia è davvero il centro, o almeno viviamo come cristiani l'impegno di metterla al centro, di aprirci al soffio della Parola, al vento dello Spirito, che ci invitano a metterla al centro? Che cosa non va, a questo proposito, nelle nostre comunità?

In previsione del Congresso Eucaristico sono stati preparati strumenti perché ogni comunità possa compiere verifiche e avanzare proposte.

Per favorire ulteriormente la presa di coscienza nelle parrocchie e nelle varie comunità della Diocesi, presento alcune riflessioni sintetiche sulle difficoltà che oggi sperimentiamo nel vivere la centralità dell'Eucaristia.

Esse riguardano l'aspetto celebrativo vero e proprio del Sacramento, la vita liturgica della comunità, le tensioni interne alla Chiesa, la missione, la cultura contemporanea.

[23] 23. Possiamo partire dalle difficoltà più evidenti, che si riferiscono all'Eucaristia vista nel suo aspetto celebrativo.

Il fenomeno più macroscopico è l'abbandono della messa domenicale da parte della stragrande maggioranza di coloro che anagraficamente sono cristiani. E' preoccupante l'abbandono soprattutto da parte dei giovani. Non pochi genitori confidano al sacerdote la loro acuta sofferenza perché i figli adolescenti non vogliono più saperne della messa domenicale. Alcuni degli stessi ragazzi che si preparano ai sacramenti dell'iniziazione cristiana partecipano alla messa domenicale in modo saltuario.

In certi casi l'abbandono o la trascuratezza sono dovuti a indifferenza o pigrizia, in altri alla perdita del senso di appartenenza ecclesiale e dei gesti che la esprimono.

Non di rado vi sono fedeli che pensano di stabilire da se stessi gli adempimenti che ritengono necessari per essere cristiani e non pongono tra questi la partecipazione regolare e costante alla messa festiva.

Non possiamo neppure consolarci troppo per il numero, pur sempre rilevante, di coloro che frequentano abbastanza regolarmente: non di rado la loro presenza è inerte, annoiata, dettata da motivi tradizionalistici, sentita esclusivamente come precetto.

[24] 24. A questo calo di sensibilità soggettiva fa riscontro uno svolgimento oggettivo del rito non del tutto adeguato a esprimere il mistero che si celebra. Non è facile darne le ragioni, come non è facile tenere in pratica il giusto mezzo tra gli estremi di un ritualismo formale e una disinvolta e talora banalizzante familiarità.

Pensiamo agli spazi di creatività e di attualizzazione previsti dalle norme liturgiche: le monizioni all'inizio dei momenti più significativi in cui si articola la celebrazione; l'omelia, che deve leggere nella luce della parola di Dio e de] sacrificio pasquale le circostanze della vita d'ogni giorno e gli interrogativi più profondi dell'esistenza; la preghiera dei fedeli che implora l'attrazione dell'incerta volontà degli uomini nel movimento luminoso dell'amore di Cristo; i canti che danno dimensione comunitaria più piena e attuale ai sentimenti di festa, di ringraziamento, di lode, di contemplazione, di invocazione; i gesti processionali, offertoriali o d'altro genere che, se ben scelti e opportunamente collocati lungo l'arco della celebrazione, potrebbero rendere più espressiva la preghiera con il coinvolgimento della corporeità. Orbene questi spazi, che favoriscono il risveglio e il dispiegamento della libertà dell'uomo dentro il grande mistero della libertà amorosa di Dio manifestata nella Pasqua di Cristo, non sempre vengono valorizzati come si conviene.

Talvolta vengono trascurati. In altri casi sono riempiti con formule ripetitive o slegate dalle situazioni concrete. Spesso vengono invasi da interventi verbosi e sprovveduti.

Queste difficoltà ci mettono davanti a parecchi problemi: l'educazione a svolgere la funzione di presidenza delle celebrazioni; la creazione di un linguaggio liturgico, parlato e musicale, che abbia una sua sobria dignità e peculiarità, pur accogliendo in sé la mobilità e le sfumature dei linguaggi e dei gusti contemporanei; la comunicazione tra i fratelli di fede, che pone le premesse culturali e ambientali in cui inserire una omelia e una preghiera dei fedeli che interpretino nella luce della fede gli episodi contingenti della storia umana.

[25] 25. Un altro limite delle celebrazioni può essere colto nella insufficiente valorizzazione delle diverse funzioni in cui si esprime la comunità cristiana. Vi sono i casi estremi, in cui l'assemblea emerge a scapito della funzione di presidenza indebitamente ridotta, o viceversa il prete fa o dice tutto di fronte a spettatori muti e inerti. Ma penso qui piuttosto alle situazioni sostanzialmente sane in cui la partecipazione liturgica è animata dal servizio degli accoliti, dei lettori, dei cantori. Talvolta però questo servizio è svolto senza la dovuta preparazione: non ci si sforza di coinvolgere nuove persone o di prevedere nuovi servizi.

Il discorso qui è evidentemente molto più ampio e supera quello del programma di una Chiesa particolare. Ma un recupero della centralità e della forza plasmatrice dell'Eucaristia spinge verso una articolazione più ricca e un costante rinnovamento delle funzioni e dei ministeri.

[26] 26. Queste difficoltà a vivere l'Eucaristia, nel suo aspetto propriamente celebrativo, si connettono con le incomprensioni del suo valore "sintetico", cioè della sua capacità di essere centro vitale, momento culminante, forma unificante della vita comunitaria.

La prima espressione di questa forza dell'Eucaristia è il "Dies Domini" il giorno del Signore, la domenica. Essa si presenta come il giorno esemplare, perché tutti i suoi momenti, il suo clima generale di gioia, gli incontri che in esso avvengono, i tempi dedicati alla rigenerazione delle forze fisiche e psichiche, gli spazi di preghiera e di riscoperta di quella realtà misteriosa e meravigliosa che è l'esistenza, dovrebbero essere animati interiormente dall'incontro eucaristico con Gesù morto e risorto, principio della nuova creazione, uomo perfetto, speranza del mondo futuro.

Invece, la Messa domenicale rimane spesso un momento isolato, in cui si soddisfa un precetto, senza una vera influenza sugli altri gesti de]la comunità, delle famiglie, delle singole persone. Oppure la si vive semplicemente come l'occasione in cui la comunità elabora e annuncia i propri progetti.

In tal modo non è la Messa che plasma e costituisce la vita della comunità, ma è la comunità che attrae a sé la Messa e rischia di ridurla a un momento fra i tanti della propria vita.

[27] 27. La forza sintetica dell'Eucaristia si esprime anche nell'Anno Liturgico. L'evento eucaristico, che è fondamentalmente identico nei suoi elementi essenziali, attraverso le variazioni sapientemente introdotte nei diversi tempi liturgici, esprime la ricchezza del mistero pasquale, che sintetizza in sé, senza annullarli, tutti i misteri della vita di Gesù e offre, così, i criteri per una interpretazione cristiana del tempo umano.

Ma non sempre le nostre celebrazioni sanno esprimere questa visione ampia, centrata sul mistero pasquale nella sua ricorrenza settimanale e annuale. Non riescono a distinguere in profondità la celebrazione festiva da quella feriale la celebrazione dell'Avvento da quella della Quaresima, quella natalizia da quella pasquale.

[28] 28. Più in genere, l'intera vita sacramentale della comunità non riesce a trovare la propria unità nell'Eucaristia.

Afferma il Vaticano II "Tutti i sacramenti, come pure i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo, che, mediante la sua Carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali in tal modo sono invitati e indotti a offrire a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create" (Presbyterorum ordinis, 5).

Questa visione è lontana dall'essere attuata nella nostra azione pastorale e in particolare nell'educazione alla vita sacramentale.

La Messa è spesso usata come "tappabuchi" o occasione per feste e riunioni il cui "centro" è altrove, oppure è semplicemente giustapposta ad a]tre celebrazioni.

[29] 29. La crisi che colpisce il sacramento della riconciliazione ci pone gravi domande. C'era e

c'è ancora chi pensa erroneamente che è necessario confessarsi prima di ogni comunione, anche se non si sono commessi peccati gravi. Ma ormai il dato più frequente è quello dell'abbandono del sacramento della penitenza. Quale la causa? Il prossimo Sinodo dei Vescovi rifletterà a fondo su questa situazione. Bisogna comunque riconoscere che si sta purtroppo oscurando in molti la coscienza del nesso tra Eucaristia e Riconciliazione.

[30] 30. Anche l'itinerario dell'iniziazione cristiana non vede messa in piena luce la centralità eucaristica. Questa chiede che il cammino sacramentale iniziato nel Battesimo raggiunga la sua pienezza nella partecipazione all'Eucaristia. D'altra parte, poiché l'Eucaristia comporta l'attrazione dei dinamismi liberi e coscienti dell'uomo nell'amore di Cristo verso il Padre e i fratelli, occorre far attenzione alla situazione psicologica delle persone, per disporle, secondo le loro concrete condizioni personali o familiari, a una partecipazione fruttuosa.

Ma non sempre questa attenzione sa trovare il giusto equilibrio. In alcuni casi l'iniziazione cristiana è comandata solo dalla preoccupazione cronologica di rispettare le scadenze fissate per le varie età, senza considerare la situazione psicologica personale e familiare del soggetto.

In altri casi, invece, vengono esagerati i problemi della preparazione personale o del contesto familiare fino a compromettere l'obiettivo svolgimento dell'itinerario sacramentale.

[31] 31. Non solo la vita sacramentale della Chiesa, ma anche gli altri momenti di preghiera, i ritmi e i tempi della catechesi, le iniziative della carità, i programmi educativi si giustappongono o addirittura si contrappongono senza trovare la loro unità nel comune riferimento all'Eucaristia.

Ritorneremo con esempi concreti su qualcuno di questi problemi, quando arriveremo alle indicazioni pratiche.

[32] 32. Nel cap. 10 della prima Lettera ai Corinzi Paolo rievoca le vicende del popolo ebraico durante la marcia nel deserto: "I nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati... nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale" (1 Cor 10, 1-4).

Paolo ricorda i segni miracolosi, con i quali Dio voleva attrarre a sé il popolo per farne la comunità dell'alleanza, per condurlo verso la terra della libertà. Ma la libertà, che Dio offriva, era rischiosa. Chiedeva il pieno affidamento a Dio e il coraggio di cercare giorno per giorno la strada in mezzo ai pericoli del deserto. Il popolo non ebbe questo coraggio e si sottrasse spesso all'azione di Dio. Peccò di sfiducia, di viltà e di idolatria. Rimpianse la vita che conduceva in Egitto. Cercò di superare la fatica e la rudezza del deserto col ricorso a piaceri meschini: "Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi" (1 Cor 10, 7). Dietro queste parole sta la nostalgia delle feste dove si mescolano idolatria e licenziosità. Per questo "della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto" (1 Cor 10, 5). Non basta partecipare materialmente ai grandi eventi della salvezza; occorre entrare spiritualmente nel loro dinamismo.

Paolo continua: "Tutte queste cose, però, accaddero a loro come esempio e sono state scritte come ammonimento per noi, per i quali è arrivata la fine dei tempi" (1 Cor 10, 11) Paolo vede riprodursi nella vita dei cristiani le infedeltà dell'antico popolo di Dio. I cristiani di Corinto si accostano all'Eucaristia, ma non si lasciano plasmare interiormente dalle esigenze della vita cristiana: si espongono ai rischi della idolatria, non sanno rinunciare alle proprie esigenze per edificare i fratelli nella carità, creano divisioni nella comunità.

Nel cap. 11 Paolo è ancora più esplicito: i] modo con cui i Corinzi celebrano la cena del Signore è degno di biasimo. Non produce salvezza, ma condanna, perché essi non lasciano che la carità di Cristo, presente nell'Eucaristia, attragga e trasformi i loro cuori. Continuano a essere divisi tra loro, anzi, proprio in occasione delle riunioni in cui si celebra la cena del Signore, essi aggravano le divisioni e recano offesa ai fratelli più poveri (1 Cor 11, 17-34).

[33] 33. L'Eucaristia è incompatibile con le divisioni nella Chiesa ! Incombe dunque, sulla comunità cristiana il rischio che l'Eucaristia, non assecondata nel dinamismo di carità che da essa promana, non riesca a superare gli egoismi e le incomprensioni che emergono continuamente nella vita comunitaria. A sua volta, questa nostra debolezza e meschinità, non raggiunta e purificata dall'Eucaristia, ci rende ancor più impreparati e ottusi dinanzi al mistero eucaristico.

Penso alle tensioni che affliggono la vita della comunità e ci inquietano più frequentemente.

[34] 34. Per esempio, c'è la tensione tra fissità e mobilità. C'è una fissità che privilegia le tradizioni e le istituzioni, ma senza cogliere il loro orientamento interiore verso il mistero di Gesù e verso il bene delle persone; e c'è al contrario una mobilità inquieta, scontenta, dissacratrice, che non sopporta il tempo necessario per capire il valore delle cose e dei gesti tradizionali.

[35] 35. Un'altra tensione riguarda gli schemi autoritari e gli schemi democratici. La funzione dell'autorità e l'esigenza di partecipazione nella Chiesa non vengono colte nella loro originale fondazione cristiana, ma sono semplicemente ricalcate su modelli sociologici, generando l'opposizione tra l'autoritarismo di stampo totalitario e l'applicazione acritica della moderna istanza partecipativa alla comunità cristiana.

[36] 36. Oggi è particolarmente sentita la tensione tra parrocchia e gruppi.

La parrocchia interpreta l'esigenza della continuità; della completezza degli elementi necessari per la costituzione della Chiesa; dell'attenzione ai bisogni religiosi fondamentali delle persone che vivono in un determinato territorio.

I gruppi, invece, interpretano l'istanza della molteplicità e specificità dei doni e dei servizi in relazione a diverse situazioni e portano l'attenzione su quei settori della vita pastorale che corrispondono più da vicino alla mobilità dell'uomo d'oggi.

Tra queste istanze, che chiedono di essere armonizzate, possono nascere, invece, delle contrapposizioni.

[37] 37. Bisognerebbe poter descrivere con maggiore completezza queste tensioni, se non altro per renderci conto che esse possono rappresentare un fenomeno positivo, perché esprimono il sofferto cammino della comunità verso una figura storica di Chiesa che, in nome della propria fedeltà al Signore, si impegna seriamente nei problemi concreti dell'uomo. Ma ciò che qui voglio sottolineare è che una lettura di queste tensioni nella luce dell'Eucaristia aiuterebbe a scoprire la loro complementarità. Infatti l'Eucaristia, poiché è l'attrazione di tutti gli aspetti della vita nel mistero di Cristo e del Padre, richiede una piena fedeltà alla storia di Gesù e alle forme rituali e istituzionali che a lui ci uniscono, ma, nel medesimo tempo, invita a una presenza multiforme, capillare, cordiale in

tutti gli aspetti della vita umana, che devono essere orientati verso Cristo. Invece una non piena comprensione della centralità dell'Eucaristia impedisce di interpretare le tensioni della comunità secondo una visione ampia e unitaria. Alla visione, che discende dall'Eucaristia, sostituiamo le visioni che dipendono dai nostri pregiudizi, dai nostri modi di intendere la vita comunitaria. Le diverse prospettive, anziché integrarsi, si radicalizzano in contrapposizioni, che ci mettono nell'occasione di essere pungenti nei giudizi, duri nei comportamenti, focosi nelle discussioni, caparbi nei programmi.

Corriamo così, il rischio di accrescere le tensioni, le esplosioni di nervosismo, i risentimenti amari, la pigrizia nell'intuire i bisogni altrui, ecc.

Se accettassimo il progetto di vita comunitaria che ci deriva dall'Eucaristia, troveremmo la vera valorizzazione anche dei nostri modi di vedere e soprattutto sperimenteremmo la forza della carità di Cristo che ci attrae nel cuore del Padre e diventa vittoriosa sui nostri peccati.

[38] 38. I difetti che appesantiscono una comunità non pienamente plasmata dall'Eucaristia diminuiscono anche la sua testimonianza missionaria.

Oggi tale testimonianza è certamente ancora viva. Si scoprono rapporti fecondi tra la missione verso i popoli non cristiani e la missione che si rende sempre più necessaria nel nostro territorio tra la promozione umana nelle terre lontane e la scoperta delle nuove povertà a noi vicine.

La tensione missionaria anima anche il linguaggio della predicazione e della catechesi, che cercano di avvicinarsi maggiormente alla condizione spirituale dell'uomo d'oggi. Tende anche a generare uno stile di Chiesa più vicino all'essenziale.

Dobbiamo però segnalare anche molte lacune e difficoltà.

Troppe comunità vivono ancora chiuse in se stesse, contente del numero dei fedeli che partecipano regolarmente alle iniziative ufficiali. Troppi gruppi si appagano facilmente di quei rapporti gratificanti che si instaurano entro un cerchio ristretto di persone. E anche quando viene tentato un serio sforzo di testimonianza, si incontrano parecchie ambiguità.

[39] 39. Per esempio, si è compreso che l'attenzione sincera ai bisogni degli uomini esige una analisi rigorosa delle diverse situazioni di bisogno di povertà, di oppressione. Ma talvolta ci si ferma ad una analisi della situazione fatta con alcuni strumenti, oltretutto incompleti e criticabili, dell'indagine sociopolitica. I bisogni nella loro fattualità o nella loro interpretazione sociopolitica vengono eretti a criterio dell'intervento della comunità cristiana. Non viene tentata una lettura umana più ampia della vera natura dei bisogni e dei desideri. Non si riconosce che la fede cristiana risponde si ai bisogni dell'uomo, ma solo dopo averli valutati criticamente, dopo averli ampliati, dopo averli confrontati con quel bene vero dell'uomo che non è deciso dall'uomo, ma è donato dall'amore di Dio.

[40] 40. Un'altra ambiguità è data dall'entusiasmo stesso con cui si cerca di venire incontro alle necessità dei fratelli. Nascono spesso delle scelte sentite, ma poco durature, perché manca una ricerca seria delle motivazioni che le ispirano e le sorreggono. Quando ci si scontra con esperienze dure ed esiti deludenti insorge la crisi. Anche un fenomeno consolante e promettente come il volontariato sente il bisogno di superare l'episodicità, di giungere a generare vocazioni che abbraccino tutta la vita.

[41] 41. Un altro fenomeno è l'interesse per il terzo mondo e per la causa della pace, favorito dalla sensibilità universalistica propria della nostra epoca.

Sono nate molte iniziative di cooperazione internazionale per i popoli in via di sviluppo. Ce ne sono tante anche nella nostra Diocesi. Esse meritano apprezzamento e sostegno.

Cosi pure va apprezzato il fattivo apporto dei cristiani a iniziative volte a una vera pacificazione del mondo.

Dobbiamo chiederci, però, se l'azione della comunità cristiana, pur valorizzando queste iniziative, non debba andare oltre. Il dono che essa reca agli uomini è il Vangelo di Gesù Cristo, che raggiunge l'uomo nella sua situazione terrena e insieme lo apre alla speranza della vita eterna. Per questo un autentico spirito missionario integra le iniziative di cooperazione internazionale e di mobilitazione per la pace nell'opera più ampia dell'evangelizzazione.

Dovremmo essere preoccupati se queste iniziative fossero a scapito della crescita di vocazioni autenticamente e propriamente missionarie.

[42] 42. Infine accenno a un problema che sorge quando una comunità cerca di rendere presente la forza del Vangelo nei diversi ambiti della vita sociale. Il Papa nel già citato discorso del 15 gennaio 1982 ha insistito sulla capacità che ha la fede di plasmare la vita culturale. E' molto importante attuare questo processo di promozione culturale, evitando sottolineature parziali e atteggiamenti non ancora ben integrati fra loro in una sintesi costruttiva.

Occorre armonizzare l'originalità specifica della matrice cristiana, che deve ispirare la cultura, con il carattere in qualche modo comune e comunicabile delle espressioni linguistiche, concettuali, istituzionali che compongono il concreto tessuto culturale.

[43] 43. Per ora limitiamoci a costatare che anche qui entra in gioco la centralità dell'Eucaristia.

Una comunità che si lascia veramente formare dall'Eucaristia comprende, anzitutto, che Gesù vuole attirare a sé tutti gli uomini. Diventa quindi una comunità che va sempre oltre sè stessa, si sente mandata da Cristo a ogni uomo non si dà pace finché il Vangelo della Pasqua non ha raggiunto tutte le situazioni umane.

Gesù è l'unico Signore e Salvatore: solo nell'immediato incontro con Gesù ogni uomo può trovare la salvezza.

D'altra parte l'Eucaristia produce una reale attrazione degli uomini a Gesù e, con Gesù, verso il Padre: quindi comporta tutta una serie di mediazioni in cui vengono accolte e purificate le concrete capacità di ciascuno, le espressioni della ragione, della libertà e dei desideri, le acquisizioni e le istituzioni che prendono forma nella vita civile.

L'Eucaristia attrae veramente "tutto" e "tutti" a sé. Tutto ciò che è umano viene assunto e insieme purificato, rigenerato, approfondito in quel movimento di carità che promana costantemente dall'Eucaristia.

[44] 44. Può invece accadere che la comunità. sospinta da intense provocazioni sociali o culturali, costruisca un proprio progetto che privilegia o ]e strutture della comunità, dimenticando che esse sono finalizzate all'uomo da attrarre a Cristo, o i bisogni dell'uomo, dimenticando che essi vanno vagliati, purificati, rigenerati nell'attrazione a Cristo.

Questo progetto, che si costruisce a prescindere dall'Eucaristia, cerca poi di ricondurre a se stesso l'Eucaristia mediante operazioni ambigue e riduttive, che dobbiamo ora esaminare attentamente, interpretandole con il tema biblico della "durezza di cuore".

[45] 45. Questo paragrafo vuole appunto esaminare quell'atteggiamento di fondo dell'uomo di fronte al mistero di Dio che la Scrittura chiama "durezza di cuore" o "cuore lento e tardo a comprendere" e che soltanto un'esperienza spirituale]e matura e sofferta permette di cogliere nella sua vera luce. Si pone come conclusione della breve analisi sulla "Eucaristia non al centro" nella celebrazione, nella vita de]la comunità e nella sua missione e prelude a un ultimo paragrafo in cui si cercheranno le radici di questo atteggiamento nella cultura contemporanea. Il lettore che ha fretta (ve n'erano anche ai tempi del Manzoni) potrà passare subito al capitolo seguente. Ritornerà a queste considerazioni, quando le implicazioni del fenomeno ecclesiale dell'"Eucaristia non al centro" lo avranno convinto che tante difficoltà quotidiane hanno radici molto profonde.

[46] 46. Possiamo farci illuminare da una pagina dell'Antico Testamento (cfr. 2 Sam 7). Il re Davide, dopo che si era costruita una reggia in Gerusalemme, provò il desiderio di costruire una casa anche per il Signore, un tempio nel quale collocare l'arca del]'alleanza, che si trovava ancora sotto una tenda.

Nel suo desiderio c'era un sincero senso religioso e molta gratitudine per la fortuna che Dio gli aveva concesso. Ma c'era pure l'orgoglio di farsi vedere grande e munifico anche verso il Signore. C'era la sottile compiacenza di poter contare Dio stesso tra gli abitanti della propria città. C'era la segreta speranza di avere Dio a propria disposizione, di poter mettere le mani su di Lui, di assicurarsi la Sua potente protezione.

Il profeta Natan, consultato in proposito, dapprima diede la sua approvazione, ma poi, colpito da una improvvisa rivelazione notturna, ritornò dal re per dissuaderlo dal realizzare quel progetto: non sarebbe stato Davide ad edificare una casa al Signore, ma il Signore gli avrebbe consolidato la casa e gli avrebbe assicurato una discendenza.

[45] 45. Anche noi tante volte ci avviciniamo all'Eucaristia con gli stessi atteggiamenti con cui Davide si avvicinava al mistero della presenza del Signore. Abbiamo già i nostri progetti. Presumiamo già di sapere che cos'è l'Eucaristia e di poterla tranquillamente mettere tra le cose in nostro possesso. Abbiamo già, insomma, costruito la nostra vita secondo un programma che vede al centro noi stessi. E' questo l'oscuro mistero della "durezza del cuore" dell'uomo, della sua lentezza a credere, di cui si parlano così spesso le Scritture. .

Talvolta questo accentramento su noi stessi è così radicale, da renderci riluttanti o indifferenti al rapporto con Dio. Ecco perché molti trascurano l'Eucaristia o la considerano un fenomeno sentimentale, che può adattarsi all'età infantile o concederci una emozione vagamente religiosa in qualche momento di pausa nostalgica nell'età adulta.

In altri casi viene accettato un generico rapporto con Dio. Ma si tratta di un Dio misurato sulle nostre idee. E' l'uomo che decide come, dove e quando incontrarsi con Dio. L'Eucaristia come modalità gratuita, con cui Dio si concede a noi nella comunità cristiana, viene trascurata a favore di altre espressioni incomplete o ambigue di religiosità.

In altri casi, infine, si accetta il Dio di Gesù, che s; è manifestato nella Pasqua, e si crede che il mistero pasquale si rende presente nell'Eucaristia celebrata nella comunità cristiana. Ma l'atteggiamento dell'uomo, che pone al centro se stesso, riaffiora in modi sottili e per vie traverse.

Noi sappiamo che nell'Eucaristia opera la Pasqua, è presente la "carne di Gesù per la vita del mondo" (Gv 6, 51 ) . Cerchiamo pertanto di comprendere quale messaggio la Pasqua, attraverso l'Eucaristia, invia alla nostra vita. Ma questa ricerca non è del tutto pura. Attraverso la nostra esperienza, i nostri contatti con gli altri, ci siamo fatti un'idea della nostra vita. Non andiamo fino in fondo in questa indagine; ci arrestiamo al punto in cui la nostra vita ci sembra un bene che è di fatto nelle nostre mani e attende di essere plasmato praticamente solo da noi.

[47] 47. Di conseguenza, anziché chiederci quali radicali mutamenti la Pasqua esiga dalla nostra vita, cerchiamo di sapere quali vantaggi le può arrecare.

Questo nostro atteggiamento non è per lo più chiaro e consapevole. Si presenta in forme velate e assume vari orientamenti.

Alcuni, per esempio, considerano il mistero pasquale come una grande riserva di grazia, ma intesa in chiave sottilmente utilitaristica, come un complesso di beni da ottenere. Allora l'Eucaristia verrà vista un po' come un vaso sacro che ci trasmette la grazia della Pasqua.

Altri invece vedono nella Pasqua una somma di valori etici che suggellano gli ideali morali dell'uomo. Ammirano il coraggio di Gesù, la sua libertà, il suo perdono fraterno, la fedeltà a un progetto d'amore fino alla morte. Ritengono che il ricordo della vita di Gesù, ricca di esempi così altamente emblematici, debba raggiungere beneficamente anche l'uomo d'oggi, alle prese con ingigantite responsabilità morali. Allora l'Eucaristia verrà vista come il ricordo attualizzato della Pasqua di Gesù, capace di produrre un benefico contagio morale.

[48] 48. Tutti questi sono valori, ma non sono ancora "I'Eucaristia messa al centro". Se l'uomo -e ognuno di noi è costantemente tentato di farlo -si chiude in una concezione utilitaristica dell'Eucaristia e la considera come definitiva, cade nell'errore di coloro che, dopo la moltiplicazione dei pani, cercavano Gesù per farlo re (Gv 6, 15) e assicurarsi così una vita senza problemi.

Ad essi e a tutti Gesù grida: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni - traendo cioè dal miracolo lo stimo]o per una adesione incondizionata di fede a Gesù -ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" (Gv 6, 26).

Quando la comunità si dibatte ancora in queste secche, non v'è da stupirsi che ne escano Eucaristie che dicono poco, che influiscono poco su]]a vita, che si cada da una parte in un ritualismo rigido e freddo, dall'a]tra in un attivismo verboso e distraente. Non si ha l'esperienza del roveto ardente.

Più in generale si potrebbe dire che quando l'Eucaristia viene decentrata e poi sottilmente attratta verso altri "centri" soggettivamente stabiliti in base a esigenze non discusse e verificate, non è più in grado di liberare la pienezza della sua forza.

Occorre allora compiere un cammino di conversione, che ci aiuti a scoprire nel mistero eucaristico non un bene che è semplicemente a nostra disposizione, ma la presenza viva di Cristo, la forza del suo Spirito che ci attrae nel movimento di obbedienza e di disponibilità del Figlio all'amore misericordioso del Padre.

[49] 49. Nei fenomeni finora descritti è facile riconoscere anche la presenza di qualcosa che non riguarda solo la vita della Chiesa, ma tutta la cultura contemporanea. Rivivono nei comportamenti lacunosi della comunità cristiana verso l'Eucaristia la mentalità e la sensibilità proprie della nostra epoca. Si tratta di quel complesso fenomeno culturale che può essere descritto con gli stessi elementi che esprimono l'azione di Gesù nell'Eucaristia, ma presi in senso inverso: mentre Gesù nell'Eucaristia attira tutti gli uomini a sé, l'uomo moderno, essendosi posto al centro della realtà, vuole essere lui ad attirare tutto a sé. E' da sempre la tentazione più insidiosa: la presuntuosa autosufficienza che nella cultura contemporanea si è fatta ancora più corposa e temibile.

Questo significa che un'azione pastorale che voglia capire fino in fondo e rinnovare nelle radici i comportamenti della comunità cristiana verso l'Eucaristia, deve fare i conti con questa mentalità generale, che si insinua anche negli atteggiamenti dei credenti, i quali sono pur sempre uomini del loro tempo. Ma questa mentalità generale, questa "cultura", ha oggi anche un'altra faccia.

Infatti, pur nella permanenza degli orientamenti che mettono l'uomo al centro di tutto, diventano sempre più insistenti e diffuse anche le analisi delle conseguenze negative di questo atteggiamento.

L'uomo non regge alla fatica e alla responsabilità di essere il centro di tutto. Nascono allora dei comportamenti complessi e ambigui, di cui cerco di dare qualche esempio.

[50] 50. E' tipica dell'uomo d'oggi la frammentarietà. Egli ha compiuto e va compiendo importanti conquiste nel dominio della natura, nella cura della salute, nella promozione della dignità personale, nell'organizzazione della vita sociale ecc. Ma si tratta di conquiste settoriali. Il senso globale rimane nell'ombra: si acuisce un preoccupante disorientamento circa la direzione complessiva da imprimere alle conquiste scientifiche, circa l'esito ultimo e i valori definitivi dell'esistenza umana.

[51] 51. Mancando questa visione unitaria, è facile cadere in una serie di contraddizioni. Basti un solo esempio, relativo alla dignità della vita umana.

E' maturata una forte coscienza civile della libertà e della dignità della persona. Si fanno grandi battaglie e si impegnano mezzi, tempo, energie per salvare tante vite umane dalla guerra, dalla malattia, dalla fame, dagli ambienti malsani, ecc.

Stranamente, però, accanto a questi atteggiamenti costruttivi si registrano fenomeni di segno opposto: uccisione della vita nel suo sorgere o nel suo finire; corsa sfrenata agli armamenti; mentalità violenta; mancanza di rispetto del contesto fisico, psichico, sessuale, affettivo, familiare in cui la vita umana nasce e si sviluppa; paurosa diffusione della droga; ricorso agli interventi armati, anziché alle mediazioni diplomatiche, per risolvere i vari conflitti tra i popoli.

Purtroppo, contraddizioni di questo genere diventano inevitabili, quando non si sa riconoscere il valore ultimo e assolutamente intangibile su cui si fonda la dignità dell'uomo (cfr. il discorso per la festa di S. Ambrogio 1981, sul tema: "Il Signore ama la vita").

[52] 52. Connesso con la mancanza di visione unitaria è lo sgretolamento della coscienza morale. Di fronte ai tanti casi di corruzione, al generale affievolimento del senso di responsabilità, alla crisi delle istituzioni democratiche, tante voci chiedono un rinvigorimento della coscienza morale. Questa diffusa domanda etica è una sfida che va raccolta, decifrata e fatta evolvere verso la coscienza del bisogno di un solido fondamento. Altrimenti un tale appello, che pure non va disatteso, è condannato a restare velleitario, se vengono meno gli strumenti per dare figura solida e costruttiva alla vita etica.

Il desiderio del bene, che è l'anima della moralità, non riuscendo ad aprirsi a una concezione del bene ultimo e definitivo che sappia rinnovare e correggere il desiderio stesso, rimane in balia dei moti istintivi, dello sperimentalismo superficiale e inquieto, della tendenza ad accontentarsi di ciò che soddisfa in modo immediato disimpegnato.

Insomma il desiderio è senza nerbo interiore, senza struttura solida, senza figura unitaria. Lo costatano con grande preoccupazione soprattutto coloro che vogliono dedicarsi seriamente al]'educazione dei giovani: spesso parecchi giovani danno l'impressione di non sapere che cosa vogliono, passano da una esperienza all'altra e vengono facilmente catturati da chi propone soddisfazioni più facili e risultati immediati.

L'uomo dovrebbe avere il coraggio di andare alla radice di queste ambiguità. Dovrebbe allora mettere in discussione il presupposto da cui sono scaturite queste conseguenze, cioè la volontà di attirare tutto a sé.

[53] 53. Questa breve analisi culturale suggerisce una concreta indicazione pastorale: c'è un rapporto tra l'azione con cui la Chiesa riscopre la centralità dell'Eucaristia e l'opera culturale che essa svolge perché l'uomo d'oggi ritrovi il senso del mistero.

I due impegni devono intrecciarsi. Nella relazione alla Assemblea della CEI dello scorso aprile ho detto: "Anche al di fuori del mondo cristiano ufficiale risuonano voci pensose, che invitano l'uomo d'oggi a rimettersi davanti all'arduo, ma imprescindibile problema della trascendenza. Senza strumentalizzare frettolosamente queste voci, occorre consolidare un dialogo e un consenso tra tutti coloro che cercano onestamente la verità ultima dell'uomo al di là dei desideri immediati e delle realizzazioni pratiche, in cui l'uomo si esprime".

Anche nelle nostre comunità dobbiamo svolgere quest'opera culturale, che disintossica l'uomo d'oggi dalla suggestione contagiosa di essere il centro, orgoglioso o disperato, di tutto.

Quest'opera trova la sua esecuzione più efficace e la sua illuminazione più piena nell'azione pastorale che aiuta a riscoprire e a rivivere la centralità dell'Eucaristia.

E' tempo, dunque, che proponiamo un cammino per la riscoperta della centralità del mistero eucaristico.

[54] 54. L'analisi delle nostre difficoltà nei riguardi dell'Eucaristia ci suggerisce di accostarci al suo mistero senza anticipare idee, schemi, progetti, che ci impediscano di coglierne la pienezza.

Dovremmo quindi rimeditare tutto ciò che la dottrina cattolica insegna circa l'Eucaristia. Ce lo ha raccomandato anche il Santo Padre nella udienza del 14 novembre dello scorso anno, parlandoci dell'importanza e della finalità del Congresso Eucaristico: "E' essenziale approfondire la dottrina riguardante l'augusto mistero dell'Eucaristia, in modo da acquistare e mantenere integra la certezza circa la natura e la finalità del Sacramento, che si può dire giustamente il centro del messaggio cristiano e della vita della Chiesa".

A tale fine sono molto utili il "Documento Teologico" e gli altri sussidi per la catechesi editi a cura del Centro Direttivo del Congresso. In questa lettera mi limito ad alcuni punti indispensabili. Qualche riflessione sarà inevitabilmente un po' ardua, perché ci obbligherà a interrogarci sull'uomo, sul suo mistero, sul fine ultimo della sua vita, oltrepassando il campo delle cose immediate in cui noi ci muoviamo con maggiore disinvoltura.

[55] 55. D'altra parte non possiamo accantonare queste domande. Infatti la centralità dell'Eucaristia chiede di essere capita anche a questa profondità umana. Direttamente essa riguarda la vita e la missione della Chiesa; ma essa chiama in causa anche i modi e i criteri con cui l'uomo scopre e sceglie il centro della propria esistenza.

In particolare occorre comprendere in che rapporto stanno tra loro la asserita centralità dell'Eucaristia e la centralità che l'uomo d'oggi attribuisce a se stesso.

Inoltre, siccome l'uomo contemporaneo è molto diffidente dinanzi a ciò che sembra intaccare i valori della dignità e della libertà umana, occorre far vedere che la centralità riconosciuta all'Eucaristia non toglie nulla a questi valori umani, anzi offre loro il vero fondamento e il modo vero di attuarsi.

Infatti, configurandoci pienamente a Cristo l'Eucaristia ci rende partecipi di quella pienezza umana che risiede in Gesù e da Gesù viene comunicata a ogni uomo mediante lo Spirito Santo. Cristo compie tutto questo valorizzando le nostre capacità, il nostro entusiasmo, la nostra genialità nei vari settori di impegno verso le persone e le cose. Nel medesimo tempo, Gesù è paziente di fronte alle nostre pigrizie, alla nostra mediocrità, alle nostre paure e ci educa progressivamente agli ideali esigenti, che va proponendo.

Quanto spesso Giovanni Paolo II ci ricorda la centralità del problema dell'uomo nell'annuncio cristiano! Ma si tratta dell'uomo che è pieno di stupore davanti all'amore di Dio e che apre a Cristo le porte della sua vita personale e sociale.

[56] 56. Nei mesi scorsi, nell'adempimento del mio ministero pastorale, sono dovuto ritornare più volte su questo argomento. Ho cercato di meditare sul modo in cui una riflessione sull'Eucaristia s'intreccia con una riflessione sull'uomo.

In particolare nella relazione all'Assemblea della CEI, dell'aprile scorso, ho cercato di illustrare come una riflessione sull'Eucaristia (itinerario eucaristico) ha, come fondamento, una riflessione sulla singolarissima vicenda di Gesù Cristo (itinerario cristologico) e, come esito, una riflessione sulla comunità cristiana ( itinerario ecclesiologico); ma ancor più ampiamente, esige, all'inizio, una riflessione sull'uomo aperto al mistero (itinerario antropologico) e, al termine, una riflessione sulla testimonianza dell'amore di Dio all'uomo d'oggi (itinerario missionario).

Questi itinerari rispondono all'esigenza teorica di collocare l'Eucaristia nel suo contesto antropologico e storico-salvifico, ma potrebbero venire incontro anche alla esigenza formativa e catechistica di esporre per gradi successivi il mistero dell'Eucaristia, seguendo i ritmi dell'anno liturgico.

In questo senso l'avvento si presta per sviluppare l'itinerario antropologico; le celebrazioni del Natale e della Pasqua favoriscono lo sviluppo dell'itinerario cristologico; il tempo pasquale è adatto per l'itinerario eucaristico, mentre la Pentecoste e il tempo ordinario invitano ad approfondire gli itinerari ecclesiologico e missionario .

Riprendo qui le riflessioni sopra indicate, tenendo presente come quadro di riferimento il cap. 21 del Vangelo di Giovanni.

Questa pagina evangelica, letta congiungendo la preoccupazione esegetica con un intento spirituale, si rivela ricca di singolare forza evocativa.

[57] 57. Il racconto dell'apparizione di Gesù ad alcuni discepoli dopo la pesca infruttuosa sul lago, nel suo svolgimento narrativo, condensa i temi principali della storia della salvezza.

L'avvio del racconto è una suggestiva descrizione della condizione umana. Sta sullo sfondo il buio della notte, che trapassa nella luce mattutina. Ma è una luce ancora incerta, che non permette una visione nitida delle cose. In consonanza con questa situazione ambientale è la situazione spirituale dei discepoli. Partono col piglio ardito e sicuro, espresso nella proposta di Pietro: "Io vado a pescare" (v. 3).

Ma non prendono nulla. Toccano con mano che non c'è una identità piena e certa tra i beni

intesi dall'uomo e i beni effettivamente raggiunti. Nella ricerca della felicità e della gioia, la libertà umana deve fare i conti anche con fattori ad essa estranei. Deve mettere in programma anche l'attesa, la pazienza, l'insuccesso. Deve imparare a sperare, a chiedere, ad accogliere.

[58] 58. Quello che i discepoli hanno cercato invano con la fatica infruttuosa della notte, viene loro concesso miracolosamente da Gesù. Egli colma lo scarto che separa il desiderio umano dal suo oggetto. Il gesto miracoloso provoca i discepoli a chiedersi chi è il misterioso personaggio apparso sulla riva del lago. Ma il miracolo suscita un cammino di fede: il cammino che il discepolo prediletto compie con i rapidi passi del cuore e che è percorso da Pietro a nuoto tra le onde del lago.

Il punto cruciale di questo cammino sta nel riconoscere che il Gesù risorto, che compie i desideri dell'uomo, è ancora il Gesù crocifisso, che ha affidato al Padre il compimento dei propri desideri. Ha uniformato la propria volontà alla volontà del Padre. Ha accettato di perdere la propria vita sulla croce, per compiere la missione di proclamare all'uomo peccatore e separato da Dio che il Padre non lo abbandona al fallimento, non lo rifiuta anche se è rifiutato; anzi gli dona il proprio Figlio, per mostrare che neppure il peccato impedisce a Dio di amare l'uomo e di attrarlo a sé in un gesto di perdono, che vince il peccato e la morte.

Tutto questo è implicitamente contenuto nel grido del discepolo prediletto, che rompe il silenzio del mattino: "E' il Signore" (v. 7). Questa espressione, infatti, rievoca le professioni di fede della Chiesa primitiva. Gesù, che si è umiliato nella morte, in obbedienza al Padre e per amore degli uomini, è stato glorificato dal Padre ed è stato proclamato Signore, cioè colui che reca pienamente in sé la forza d'amore e di salvezza che è propria di Dio stesso.

[59] 59. Gesù manifesta la sua capacità e volontà di comunicare agli uomini l'amore salvifico del Padre anche attraverso un gesto simbolico. Egli mangia con i discepoli.

L'umile, quotidiano gesto del mangiare è ricco di potenzialità espressive. Può prestarsi ad esprimere la comunicazione di beni sempre più grandi e misteriosi, che approfondiscono il bene fisico del cibo e il bene psicologico della conversazione, scambiati durante il pasto comune.

Gesù assume questo gesto umano e lo carica di prodigiose potenzialità. Il pasto descritto nel cap. 21 di S. Giovanni non risulta essere un convito propriamente eucaristico. Rievoca però il convito di Jahwe col popolo degli ultimi tempi, annunciato nell'Antico Testamento. Si ricollega ai conviti messianici fatti da Gesù con i discepoli o con le folle. Allude all'Ultima Cena o ad altri conviti di Gesù risorto, che hanno caratteri più propriamente e chiaramente eucaristici e comportano quindi il trapasso dal generico simbolismo conviviale nella reale comunione col Signore, che si rende presente trasformando il pane e il vino nella viva e misteriosa realtà del corpo donato e del sangue versato.

[60] 60. Questa comunicazione d'amore attrae gli uomini a Cristo e costituisce la comunità di coloro che corrispondono all'amore di Cristo. Nel dialogo che Gesù fa con Pietro dopo aver mangiato, si allude alla doppia modalità secondo la quale Gesù è il centro della comunità cristiana. Fondamentale è la modalità interiore: la Chiesa è la comunità di coloro che mettono Cristo al centro del loro amore, come fa Pietro con la triplice, sofferta, appassionata professione di amore. Ma c'è anche una modalità esteriore, visibile, istituzionale: i ministeri pastorali provengono direttamente da Gesù e vengono svolti nel suo nome e con la sua autorità, come appare dall'incarico di pascere il gregge, che Gesù affida a Pietro.

[61] 61. I compiti ecclesiali, per il profondo rapporto che hanno con Cristo stesso, sono animati dallo stesso dinamismo di amorosa obbedienza al Padre, che ha ispirato tutta la vita di Gesù e, in particolare, il sacrificio pasquale. Proprio per questo diventano un servizio per i fratelli, una missione verso gli uomini. Sono una testimonianza. Il cap. 21 di Giovanni ricorda la testimonianza di Pietro, che si suggellerà con il martirio, e la testimonianza del discepolo prediletto, che si attuerà nel proclamare con le parole e con gli scritti evangelici i fatti riguardanti Gesù. In tutti e due i tipi di testimonianza è sottolineata la totale disponibilità: Pietro dovrà lasciarsi cingere e portare dagli altri e il discepolo prediletto dovrà accettare di fare quello che il Signore vorrà.

Si ritorna in qualche modo all'impotenza umana descritta nella pesca infruttuosa, da cui l'episodio aveva preso l'avvio. Ma là era una impotenza subita con rassegnazione o con disperazione. Qui è un'impotenza capita e accettata come segno di obbedienza e di amore. Nella debolezza dell'uomo si rivela la potenza di Dio. Rinunciando ai propri progetti, il discepolo di Cristo testimonia il progetto del Padre. La sua missione nel mondo consiste appunto nel proclamare agli uomini che le loro opere hanno senso e pienezza solo nella grande opera di Dio.

Dobbiamo ora riprendere questi temi per riflettervi in relazione al mistero dell'Eucaristia e al modo di annunciarlo all'uomo d'oggi.

Seguiamo i cinque momenti del racconto di Gv 21: l'uomo in ricerca nella notte; l'incontro con il Cristo crocifisso e risorto; il pasto comune; la Chiesa e i ministeri; la missione e la testimonianza .

[62] 62. Nella notte i discepoli si affaticano a pescare, ma non prendono nulla (Gv 21, 3). Tuttavia la loro speranza rimane aperta, così da accogliere favorevolmente l'invito misterioso,

che giunge loro verso l'alba, di ritentare ancora (Gv 21, 6).

Per comprendere l'Eucaristia è indispensabile che l'uomo contemporaneo superi la sua disaffezione ad aprirsi al mistero di Dio.

La libertà non ha in se stessa il proprio bene, ma lo trova affidandosi.

Nella lettera pastorale su "La dimensione contemplativa della vita" ho proposto qualche spunto sull'uomo "come aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull'Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto, che soltanto in una incondizionata dedizione all'imprevedibile piano di Dio trova le condizioni per realizzare la propria autenticità" (pp. 14-15).

Quando l'uomo si apre così al mistero di Dio, scopre se stesso e tutto ciò che lo circonda come dono e si mette in un atteggiamento di gratitudine. Una certa dimensione "eucaristica" accompagna l'esistenza dell'uomo, che ha scoperto veramente se stesso: eucaristia vuol dire, appunto, rendimento di grazie.

Tale atteggiamento si esprime, poi, come domanda di perdono, per tutte le volte che esso è stato rinnegato, e come richiesta di aiuto per poter usare responsabilmente i doni ricevuti.

[63] 63. Questi atteggiamenti dell'uomo verso Dio devono continuamente rinascere dalla libertà dell'uomo; ma sono così importanti che non possono essere lasciati all'improvvisazione del momento o a una totale spontaneità.

Vengono allora in aiuto le tradizioni religiose proprie di ogni civiltà, le forme di celebrazione del mistero che coinvolgono anche la corporeità, i riti variamente espressivi delle diverse sensibilità culturali. Questi fatti danno una certa consistenza e stabilità alle espressioni religiose nelle quali l'uomo dice il senso di tutta la propria esistenza. Il rito plasma i gesti religiosi; questi, a loro volta, esprimono, in modo più esplicito, quella generale attitudine a celebrare il mistero di Dio, la quale permea tutta l'esistenza.

Purtroppo queste connessioni possono essere infrante: il rito può diventare ritualismo esteriore e formale, che genera gesti religiosi separati dalla vita e incapaci di esprimere l'orientamento religioso dell'esistenza.

Questi rischi, però, non devono gettare un discredito generale sulla dimensione rituale e celebrativa dell'uomo.

Nelle sue forme autentiche essa è un aspetto fondamentale del nostro essere, perché ci aiuta a dare consistenza esplicita e rilevanza storica a quella perenne e intima apertura al mistero che è presente nelle profondità della persona e anima i rapporti dell'uomo con le altre persone e con le cose.

Sorgono qui delle domande impegnative. Quali sono le forme autentiche del rito? Quali valori e quali ambiguità erano presenti nella diffusa ritualità dei tempi passati? Perché l'uomo contemporaneo, almeno in occidente, sembra che vada perdendo la ritualità della vita? Quali surrogati di essa ha trovato nelle mode e nelle esaltazioni di massa? Come si può ridargli il senso del rito?

Non è possibile affrontare ora problemi così complessi. Occorre, però, almeno tenerli presenti, perché hanno un rapporto con l'Eucaristia. Questa, come vedremo, è una celebrazione del tutto originale, perché è la ripresentazione di quell'evento singolare che è la Pasqua di Gesù. Tuttavia è una celebrazione e quindi deve avvalersi delle risorse e deve tener conto delle difficoltà che sono presenti in quella fondamentale attitudine dell'uomo che è la celebrazione del mistero.

[64] 64. L'uomo pienamente aperto al mistero di Dio trova in Gesù la Parola vivente del Padre, colui nel quale Dio ha rivelato pienamente il proprio amore per l'umanità: "Allora quel discepolo, che Gesù amava, disse: E' il Signore!" (Gv 21, 7).

Questa pienezza di rivelazione raggiunge il suo culmine nella Pasqua.

Anche su questo tema ho suggerito alcuni spunti nella lettera pastorale "In principio la Parola" (pp 42-43). Vorrei aggiungere alcune precisazioni in ordine all'Eucaristia.

Talvolta ci limitiamo a collegare l'Eucaristia con la Pasqua in maniera generica e ci accontentiamo di spiegare l'efficacia della Pasqua affermando che essa ha una potenza salvifica infinita, perché è un gesto di Dio stesso. Ma non dobbiamo dimenticare che questo gesto di Dio si compie in Gesù di Nazaret. Ha quindi una struttura umana, che deve essere compresa, se poi vogliamo comprendere la sua riattualizzazione nell'Eucaristia.

Nel sacrificio pasquale Gesù vive in modo pieno la sua obbedienza al Padre e la sua partecipazione alla vicenda degli uomini, perché ha lo scontro definitivo, mortale, con il peccato del mondo.

Anziché lasciarsi attrarre dalla spirale dell'odio e della violenza, Gesù vive la vicenda della morte in croce lasciandosi attrarre dall'amore del Padre, con il quale egli, nelle profondità del suo essere, è una cosa sola. Egli obbedisce, ama, perdona, prega, spera, mentre sperimenta fino in fondo, con un dolore mortale, che cosa significa, da un lato, essere pienamente partecipe dell'amore di Dio per l'uomo e, dall'altro, essere solidale con un uomo che è peccatore e separato da Dio.

Nel medesimo tempo, l'amore umano di Gesù è l'attuazione perfetta dell'amore dell'uomo verso Dio. E' un amore che non viene meno, anzi si intensifica, si arricchisce di confidenza, di obbedienza, di dedizione, proprio attraverso la sofferenza e la morte.

Dice la Lettera agli Ebrei: "Benché fosse il Figlio di Dio, tuttavia imparò l'obbedienza da quel che dovette patire. Dopo essere stato reso perfetto, egli è diventato causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono" (5,8-9).

[65] 65. Nella Pasqua, Gesù, da un lato rivela il mistero dell'amore di Dio per l'uomo; dall'altro lato, celebra e attua nel modo umanamente più perfetto l'amore, l'obbedienza, l'affidamento dell'uomo a Dio. L'aspetto singolare, eccezionale, unico del sacrificio pasquale è che la rivelazione e la celebrazione-attuazione sono una sola cosa, così come nell'essere di Gesù, Dio e l'uomo, pur rimanendo distinti, diventano una sola cosa.

La Pasqua di Gesù, proprio perché è quella manifestazione-celebrazione dell'amore di Dio ora descritta, tende a raggiungere ogni uomo, sia per manifestargli l'amore di Dio, per annunciargli che il suo peccato è perdonato, per dargli speranza di vita e di gioia oltre la sofferenza e la morte; sia per attrarre ogni uomo nello stesso movimento di celebrazione del mistero, di adorazione di Dio, di conformazione alla volontà del Padre, che ha animato tutta la vita di Gesù suggellata nella Pasqua.

L'Eucaristia è appunto la modalità istituita da Gesù nell'Ultima Cena per attuare questa intrinseca intenzione salvifica della Pasqua.

[66] 66. "Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro" (Gv 2Z, 18). Questa comunione di mensa tra Gesù e i suoi, anche se non è una Eucaristia propriamente detta, come si è notato sopra, riprende il vocabolario eucaristico del Nuovo Testamento e ci invita a riflettere sulla Cena e sull'Eucaristia.

L'Eucaristia, così come è accolta nella fede della Chiesa, presenta un aspetto sorprendente che sconvolge l'intelligenza e commuove il cuore. Siamo di fronte a uno di quei gesti abissali dell'amore di Dio, davanti ai quali l'unico atteggiamento possibile all'uomo è una resa adorante piena di sconfinata gratitudine.

L'Eucaristia, non è solo, come già si è detto, la modalità voluta da Gesù per rendere perennemente presente l'efficacia salvifica della Pasqua. In essa non è presente soltanto la volontà di Gesù, che istituisce un gesto di salvezza. In essa è presente semplicemente (ma quali misteri in questa semplicità! ) Gesù stesso.

Nell'Eucaristia Gesù dona a noi se stesso. Solo lui può lasciare in dono a noi se stesso, perché solo lui è una cosa sola con l'amore infinito di Dio, che può fare ogni cosa.

[67] 67. Certo, occorre badare anche agli strumenti umani, di cui Gesù si serve. Poiché la Pasqua rivela e insieme celebra l'amore di Dio che attrae l'uomo a sé, troviamo plausibile che Gesù nell'Ultima Cena abbia valorizzato la tensione alla comunione con Dio espressa nel gesto del mangiare insieme e soprattutto abbia fatto riferimento al valore commemorativo dell'alleanza, che era proprio della liturgia pasquale veterotestamentaria. E' quindi normale e doveroso che la Chiesa, nel configurare concretamente la liturgia eucaristica, abbia assunto nel passato e debba assumere e aggiornare continuamente le espressioni celebrative provenienti dalla nativa ritualità umana e dalla liturgia veterotestamentaria.

Ma tutto questo è percorso e oltrepassato da una novità assoluta: è tale la forza di camminare manifestata e attuata nel sacrificio della croce, che essa rende presente nell'Eucaristia il Cristo stesso nell'atto di donarsi al Padre e agli uomini, per restare sempre insieme con loro.

Gesù, che già in molti modi attrae a sé la Chiesa con la forza del suo Spirito e della sua Parola, suscita nella Chiesa la volontà di obbedire al suo comando: "Fate questo in memoria di me" (Luca 22, 19).

E quando la Chiesa, nell'umiltà e nella semplicità della sua fede, obbedisce a questo comando, Gesù, con la potenza del suo Spirito e della sua Parola, porta l'attrazione della Chiesa a sé al livello di una comunione così intensa, da diventare vera e reale presenza di lui stesso alla Chiesa: il pane e il vino diventano realmente, per misteriosa trasformazione che è chiamata "transustanziazione", il corpo dato e il sangue versato sulla croce; nei segni conviviali del mangiare, bere, festeggiare si attua la reale comunione dei credenti col Signore; le funzioni sacerdotali si svolgono non per designazione o delega umana, ma per una reale assunzione dei ministri umani nel sacerdozio di Cristo, secondo le modalità stabilite da Cristo stesso.

L'Eucaristia si presenta così come la maniera sacramentale con cui il sacrificio pasquale di Gesù si rende perennemente presente nella storia dischiudendo ad ogni uomo l'accesso alla viva e reale presenza del Signore.

Si tratta di prodigi che fioriscono su quel prodigio di inesauribile amore, che è il mistero pasquale. D'altra parte si potrebbe dire che si tratta della cosa più semplice: Dio, nell'Eucaristia di Gesù, prende sul serio la propria volontà di alleanza, cioè la decisione di stare realmente con gli uomini, di accoglierli come figli, di attrarli nell'intimità della sua vita.

[68] 68. "Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?" "...Pasci i miei agnelli"" (Gv 21, 15).

Queste parole ci invitano ad approfondire il rapporto tra Eucaristia e Chiesa. Da un lato, l'Eucaristia è celebrata nella e dalla Chiesa: accade solo all'interno della fede della Chiesa, che è fedele al comando di Gesù.

Dall'altro, è l'Eucaristia, in quanto presenza perenne della Pasqua, a fare la Chiesa.

Per comprendere questi aspetti complementari, dobbiamo pensare alla complessiva "attrazione" con cui Gesù costituisce e raduna attorno a sé la Chiesa, mediante lo Spirito Santo e la Parola.

Per certi aspetti, l'Eucaristia si colloca "entro" questa attrazione, per altri aspetti, la "genera". E' una particolare intensificazione di questa attrazione e insieme ne è l'attuazione più piena e la continua rigenerazione. Possiamo utilizzare l'immagine del Vaticano II, che presenta l'Eucaristia come "vertice e sorgente" di tutta la vita della Chiesa (cfr. soprattutto Sacrosancturn Concilium 10, Lumen Gentium 11, Presbyterorum Ordinis 5).

[69] 69. Per farci un'idea semplice e concreta di questa attrazione, che costituisce la Chiesa e si attua in modo privilegiato nell'Eucaristia, ritorniamo al cap. 21 del quarto Vangelo. Pensiamo alla triplice professione di amore da parte di Pietro (Gv 21, 15-17). Essa è carica di risonanze psicologiche, di sofferta consapevolezza umana, di sentimenti appassionati e intensi. Ma ultimamente non è il prodotto delle energie umane.

Si può senz'altro estendere a questa professione di amore del cap. 21 di Giovanni quello che è detto della professione di fede del cap. 16 di Matteo: è un dono che viene dall'alto, è iniziativa del Padre (Mt 16, 17).

In questo amore di Pietro per Gesù è adombrato il mistero della Chiesa. Essa è la sposa innamorata di Cristo. Il suo amore per Cristo è ricco di concretezza, impegna le energie più belle della libertà, crea iniziative generose e aperte. Però la Chiesa sa di poter amare perché è amata.

Del resto in ogni autentico amore vibra un impulso di affidamento. Il cristiano, pertanto, si lascia amare da Cristo e fa consistere il suo amore nella risposta fedele all'amore di Gesù. L'Eucaristia è appunto l'attuazione di questa fedeltà.

[70] 70. Vorrei indicare due sottolineature che l'Eucaristia introduce nella fedeltà della Chiesa a Gesù.

La prima sottolineatura riguarda quello che si potrebbe chiamare il carattere "oblativo" o "offertoriale" della carità cristiana, da cui appare il suo collegamento con il sacerdozio comune di tutti i cristiani.

La carità cerca il bene di ogni uomo, e sa che sono un bene il cibo, il vestito, la casa, la salute, la serenità familiare, il lavoro, la giustizia sociale, la pace entro e tra le nazioni.

Vede, però, tutte queste realtà come beni donati da Dio all'uomo e affidati alla sua responsabilità e operosità. Essi quindi entrano in un cammino spirituale, con cui l'uomo cerca la volontà di Dio, chiede perdono per i propri egoismi, si impegna a condividere questi beni con tutti i figli di Dio, offre a Dio se stesso e il mondo. Si tratta dunque di una carità "oblativa" e "sacerdotale".

L'Eucaristia richiama con vigore e produce efficacemente questa caratteristica della carità, perché ci presenta Gesù che dona il corpo e il sangue, cioè tutto se stesso, in piena solidarietà con la situazione concreta dell'uomo peccatore, ma nel medesimo tempo, con una profonda attenzione al cuore del Padre, ai suoi desideri, alla sua volontà e con un abbandono filiale alla onnipotenza misericordiosa del Padre, che sa risvegliare la vita oltre la morte.

Il cristiano, proprio attraverso la celebrazione eucaristica, impara a imitare la carità di Gesù in tutta questa ampiezza sacerdotale e riconosce che la propria capacità di offrirsi al Padre dipende radicalmente dall'offerta che Cristo ha fatto di tutto se stesso.

[71] 71. Si inserisce qui la seconda sottolineatura, che riguarda la duplice forma del sacerdozio presente nella Chiesa, quella di tutti i fedeli e quella dei ministri ordinati. Abbiamo visto che la carità sacerdotale dei cristiani dipende dal sacerdozio di Gesù. Questa dipendenza si esprime e si attua in vari modi. Anzitutto Gesù abilita i credenti a offrirsi al Padre nella carità attraverso il dono della Parola e dello Spirito.

Inoltre il popolo che celebra l'Eucaristia viene preparato da Cristo stesso a svolgere le funzioni sacerdotali mediante il sacramento del Battesimo, completato con il sacramento della Confermazione. Se qualcuno, poi, peccando, si esclude da questo popolo, viene riammesso attraverso un altro gesto di Cristo, cioè attraverso il sacramento della Riconciliazione.

Tra i membri di questo popolo sacerdotale alcuni ricevono un particolare sacramento, cioè il sacramento dell'Ordine. Attraverso di essi Cristo intende proclamare ulteriormente la dipendenza del sacerdozio del popolo cristiano dal proprio sacerdozio. Il sacerdozio dei ministri ordinati è dunque distinto dal sacerdozio di tutti i fedeli, ma è ad esso finalizzato, nel senso che aiuta a capire e a vivere il sacerdozio dei cristiani come un dono che proviene radicalmente da Cristo. Lo speciale rapporto con Cristo, che hanno i ministri ordinati, li abilita a presiedere la celebrazione, a perdonare i peccati nel sacramento della Riconciliazione, a garantire l'autorevolezza dell'annuncio della Parola, a consacrare l'Eucaristia.

[72] 72. Questi cenni invitano a riflettere sui diversi ministeri in cui si esprime il sacerdozio del popolo di Dio.

Per esempio dobbiamo chiederci se davvero tutta la ricchezza ministeriale e carismatica del popolo cristiano viene sviluppata nelle sue potenzialità, con particolare riferimento alla figura e alla funzione della donna nella Chiesa.

Inoltre, poiché il ministero ordinato si presenta nella forma episcopale, presbiterale e diaconale, dobbiamo chiederci se l'attuale configurazione ed esercizio del diaconato esprime sufficientemente le ricchezze che esso può recare alla vita e al bene della comunità.

Infine va chiarito che la configurazione più articolata dei ministeri ecclesiali non può essere vista come un'alternativa o una supplenza del ministero presbiterale, anche se può trovare nell'attuale scarsità di clero uno stimolo contingente di riflessione e di rinnovamento.

Senza i ministri ordinati, in particolare senza i presbiteri, il popolo cristiano non può vivere il proprio sacerdozio come pienamente derivante da Cristo. Pertanto non si può rimanere inerti davanti alla scarsità delle vocazioni sacerdotali. Poiché Gesù non cessa di chiamare al ministero sacerdotale, è urgente verificare quanto nella nostra vita ecclesiale non sia favorevole al sorgere e al perseverare delle risposte positive. Come si pensa e si parla del sacerdozio nelle comunità cristiane? Abbiamo ancora la fede e il coraggio di proporre ai giovani questo ideale di vita?

L'anno conclusivo del Congresso Eucaristico deve invitare i preti a ritrovare la propria fisionomia ministeriale e spirituale: pur tenendo conto delle vorticose trasformazioni della società attuale e dell'insignificanza a cui il prete sembra condannato nel mondo d'oggi, occorre riscoprire la necessità e la bellezza del ministero presbiterale, approfondendo i valori cristiani descritti sopra.

Occorre, poi, che sia aggiornata e intensificala la pastorale vocazionale.

Riprenderemo alcuni di questi spunti nelle proposte operative.

[73] 73. La carità della Chiesa, rinascendo continuamente dall'Eucaristia, viene aperta alla missione .

In primo luogo, infatti, l'Eucaristia rivela l'esigenza della missione.

Proprio nel confronto con la carità di Cristo presente nell'Eucaristia, la Chiesa scopre che la propria carità deve continuamente oltrepassare i limiti della comunità per aprirsi a tutti gli uomini, che Cristo ama e vuole attrarre nel proprio amore verso il Padre.

Quando la comunità non pone al centro di se stessa i propri progetti o le proprie istituzioni o le proprie esigenze, ma Gesù presente nell'Eucaristia, si vede oggettivamente messa in stato di missione verso ogni persona, ogni situazione, ogni ambito umano che devono essere raggiunti dal lieto annuncio della Pasqua di Cristo e devono essere coinvolti nella celebrazione dell'amore di Dio.

In secondo luogo, il confronto con l'Eucaristia non solo rinnova continuamente nella coscienza della Chiesa l'esigenza della missione, ma ne indica anche la legge fondamentale.

E' la legge illustrata nel cap. 21 di Giovanni a proposito della missione di Pietro e del discepolo prediletto, (Gv 21, 17-25) cioè la legge della testimonianza. Si tratta di mostrare ai fratelli una vita che è realmente attratta nell'amore di Cristo verso il Padre e trova in questa attrazione una particolare pienezza umana. I bisogni dei fratelli non sono il criterio ultimo della missione.

Il criterio è la condivisione dell'amore del Padre e di Cristo.

Questo amore va in cerca dei bisogni umani. Si lascia afferrare dalla loro urgenza. Valorizza le risonanze da essi suscitate. Utilizza gli strumenti dell'analisi sociale che li mette in chiara evidenza. Ma scopre anche aspetti nuovi e insospettati. Rivela l'uomo a se stesso secondo le dimensioni reali del suo essere. Smaschera i desideri scorretti e peccaminosi. Approfondisce le tensioni puramente epidermiche, suscitando desideri più ampi.

Apre il cuore e le opere dell'uomo alla presenza di Dio nella storia. Annuncia un perdono capace di distruggere l'egoismo e di rigenerare le energie più belle.

Anche questi accenni, che possono far luce sulle ambiguità descritte precedentemente, verranno ripresi in alcune indicazioni pratiche.

 

[74] 74. Il discorso di Gesù sul pane della vita, contenuto nel cap. VI del Vangelo secondo Giovanni, si conclude con una professione di fede, espressa da Pietro a nome dei Dodici: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole che danno la vita eterna" (Gv 6, 68).

Anche a noi, dopo gli itinerari che ci hanno introdotti nella profondità del mistero eucaristico, dovrebbe essere apparso chiaramente che, se viviamo l'Eucaristia come una attrazione di tutto il nostro essere verso Gesù nel suo mistero pasquale, entriamo con lui nella vita eterna, cioè conosciamo il Padre, veniamo afferrati dal suo amore, siamo conformati alla sua volontà, nella quale è la pace, il senso definitivo della nostra esistenza.

Ci impegniamo allora a mettere veramente la Eucaristia al centro della nostra vita personale e comunitaria, superando le difficoltà e le ambiguità di cui soffre oggi la comunità cristiana di fronte alla centralità dell'Eucaristia.

Si tratta, come abbiamo visto, di difficoltà serie e complesse. Investono tanti aspetti della vita ecclesiale. Affondano le radici in una situazione culturale diffusa e consolidata.

Non si può pensare di superarle solo attraverso un chiarimento delle idee. Occorre prevedere una serie di gesti concreti, di itinerari pedagogici, di interventi pastorali, che rinnovino progressivamente e pazientemente il nostro comportamento secondo quei valori fondamentali che abbiamo riscoperto.

Non è facile fare un progetto chiaro e lineare. Proprio per la sua centralità, l'Eucaristia intrattiene rapporti con tutti gli aspetti della vita cristiana. Dovremmo ripercorrere un po' tutti i momenti della vita e della missione della Chiesa per rifondarli e vivacizzarli in prospettiva eucaristica.

In questo senso ho raccolto molti suggerimenti e molte proposte sia attraverso i Consigli Episcopale, Presbiteriale, Pastorale, sia attraverso i vari organismi che lavorano per il Congresso Eucaristico, sia attraverso le conversazioni e i contributi scritti di parecchi gruppi e persone. Mi sento molto arricchito da questo lavoro corale e dico a tutti la mia gratitudine per questa collaborazione cordiale, piena di intuizioni pastorali. I contributi, pur nella loro comprensibile varietà, attestano una significativa convergenza su alcuni punti fondamentali.

Non tutto il materiale può entrare in questa lettera. Molti spunti serviranno per altri interventi nel corso di quest'anno pastorale, che sfocerà nelle giornate conclusive del Congresso.

In questo capitolo cercherò di esporre ordinatamente parecchi dei validi suggerimenti ricevuti unificandoli sotto il tema della celebrazione. Nel capitolo seguente raccoglierò le indicazioni riguardanti la comunità e la sua missione .

[75] 75. Vogliamo dunque considerare l'Eucaristia nel suo aspetto celebrativo, rituale, liturgico. Le riflessioni svolte nelle pagine precedenti ci hanno fatto intravedere nella celebrazione non un aspetto parziale, a cui vanno aggiunte altre cose, ma come il momento in cui l'esistenza. esprimendosi come partecipazione all'adorazione. all'offerta, all'obbedienza pasquale di Gesù e al suo sacrificio, ritrova veramente se stessa. "Celebrando" così l'amore del Padre l'uomo accede alla propria forma autentica, alla matrice originaria da cui continuamente ripartire verso nuovi impegni e nuove responsabilità.

Se la celebrazione eucaristica venisse capita e vissuta secondo queste sue intime caratteristiche, dovrebbe da se stessa, senza aggiunte artificiose, costituire una fonte di potente rigenerazione di tutta l'esistenza e l'avvio efficace di una vita che diventa unitaria e costruttiva, perché ha trovato la sua coerenza interna.

Il problema è che questa forza originaria della celebrazione non è sempre pienamente compresa. Il motivo dell'incomprensione non risiede solo nel fatto che le nostre celebrazioni eucaristiche sono talvolta scialbe, ma ha radici culturali più complesse.

Pertanto non basta rinnovare la celebrazione. Occorre intervenire sui fenomeni culturali che hanno generato la tipica disaffezione moderna non solo per la liturgia cristiana, ma per la dimensione rituale-celebrativa di tutta la vita.

Qui il compito si allarga al di là dell'azione strettamente pastorale, verso la crisi culturale, che ha la sua origine nell'attrazione usurpativa che l'uomo vuole operare nei confronti di tutte le realtà e nei fenomeni che ne conseguono, di cui si è fatto cenno al termine della seconda parte. Tutto ciò esige un intervento rieducativo complesso e poliedrico, capace di raggiungere tutti gli aspetti personali e sociali coinvolti in questa crisi culturale.

Pur riconoscendo l'ampiezza dei compiti pastorali che devono essere affrontati, si può comunque affermare che il rinnovamento della celebrazione costituisce il primo passo verso questa rieducazione complessiva. Una celebrazione ben condotta, oltre ad essere un valore in se stessa, educa a celebrare sempre meglio, unificando rito e vita. A celebrare si impara celebrando.

[76] 76. L'efficacia interiore della celebrazione consiste nel fatto che essa mette alla presenza del mistero di Dio, il quale, proprio perché non è un elemento accanto ad altri, ma è l'orizzonte unitario di ogni realtà, illumina tutti gli aspetti della vita, scioglie le resistenze, infonde in ogni evento umano il fremito della libertà e la gioia della speranza.

Per far entrare così nel mistero, la celebrazione richiede del tempo. Il tempo esteriore perché possano essere posti, secondo un ritmo organico, i gesti che danno figura e direzione ai pensieri, ai desideri, agli affetti. E soprattutto il tempo interiore, perché possa avvenire, in una successione di atti spirituali, il duplice itinerario, che va dalle regioni della dissipazione degli interessi disordinati e molteplici, delle divagazioni, delle dispersive relazioni con gli uomini e le cose verso il centro misterioso della vita; e dal mistero riparte per dare senso e vigore a tutti gli aspetti dell'esistenza.

Per il cristiano tutto questo si illumina con la certezza che il mistero di Dio non è rimasto in un'ombra indistinta, verso cui si dirige l'incerto cammino dell'uomo, ma ha fatto Egli stesso un cammino incontro all'uomo, si è rivelato, ha parlato, si è dato un volto e un cuore in Gesù e nella comunità di coloro che hanno ricevuto lo Spirito di Gesù. Per il cristiano l'incontro con il mistero avviene alla presenza di Gesù con la guida interiore dello Spirito, nella luce della Parola, entro l'assemblea dei fratelli.

La celebrazione cristiana del mistero integra i riti della religiosità umana nei gesti compiuti e istituiti da Gesù, secondo quell'itinerario celebrativo che viene fissato dalla comunità cristiana; inoltre si svolge all'insegna della Parola annunciata e assimilata; lascia spazi di silenzio interiore perché possa essere continuamente rinnovata la docilità allo Spirito; prevede, infine, che, sia il cammino che va verso il mistero, sia il cammino che dal mistero ritorna alla vita quotidiana, siano compiuti insieme con i fratelli, attraverso parole, canti, gesti comunitari che favoriscano il raccoglimento della vita nel mistero e l'irraggiamento del mistero nella vita.

[77] 77 . Queste riflessioni illustrano l'interna coerenza del cammino che ci ha condotti al Congresso Eucaristico e alla riscoperta della centralità dell'Eucaristia. Le prime due tappe tendevano a farci riscoprire la dimensione contemplativa della vita, cioè l'apertura dell'uomo al mistero di Dio, e l'importanza della Parola cioè l'evento della piena comunicazione del mistero di Dio nell'uomo. Già nel presentare queste tappe si è cercato di mettere in evidenza il loro rapporto con l'Eucaristia. Pertanto le acquisizioni teoriche e le iniziative pratiche, che sono maturate nella nostra vita pastorale negli anni trascorsi, non vanno lasciate cadere per passare al "nuovo argomento" dell'Eucaristia: proprio questo "nuovo argomento" ci chiede di conservare, consolidare, vivacizzare le intuizioni delle tappe precedenti.

Per quanto riguarda più propriamente la celebrazione eucaristica, offro qualche suggerimento.

[78] 78. L'adorazione e il silenzio contemplativo non sono accessori della celebrazione eucaristica, ma ne alimentano ed esprimono l'anima profonda. L'adorazione del mistero di Dio in "Spirito e Verità" (Gv 4, 24) tende ad assumere la forma della celebrazione eucaristica e la celebrazione, se vuole essere veramente l'attrazione di tutta la vita, in forza di Gesù e dello Spirito, nel mistero del Padre, tende a configurarsi come adorazione.

Si faccia pertanto un'opera educativa perché i fedeli sappiano unire adorazione e celebrazione. Quelli che sono portati a sottolineare le forme spontanee e individualistiche della preghiera vengano aiutati a comprendere che un autentico spirito di preghiera cerca espressione e alimento nella celebrazione eucaristica. Quelli che vivono in modo esteriore e formalistico la celebrazione, siano sollecitati a trasformarla in sincera adorazione, che si prolunga nella meditazione silenziosa. Chiedo un particolare aiuto in questo senso alle persone che hanno scelto la vita di speciale consacrazione. Esse hanno fatto la loro consacrazione proprio durante la celebrazione eucaristica e con la loro vita di contemplazione e di carità devono offrire a tutto il popolo cristiano un esempio profetico di come l'Eucaristia sa trasformare la vita in un perenne rendimento di grazie.

[79] 79. La celebrazione stessa, nel ritmo concreto dei riti in cui si articola, descrive una suggestiva strada verso l'adorazione.

Ma perché venga capita e accolta questa ricchezza, occorre rispettare e vivere intensamente i momenti di pausa, di silenzio, di adorazione personale e di contemplazione comunitaria, che sono previsti dallo stesso rituale della celebrazione.

Lo spirito di adorazione, che nasce nella celebrazione, tende a espandersi in altri spazi anche al di fuori della celebrazione. Già la liturgia prevede questa espansione nella "Diurna Laus", mentre la tradizione spirituale cristiana lungo i secoli ha suscitato varie forme espressive della adorazione propriamente eucaristica: tra la forma annuale delle Giornate Eucaristiche o Quarantore e la forma quotidiana di preghiera silenziosa davanti al tabernacolo o visita al SS. Sacramento, si stende una varietà notevole di altre forme come l'adorazione perpetua in alcune chiese, le ore di adorazione a scadenze regolari per gruppi o singole persone, le processioni o altre manifestazioni celebrative dell'Eucaristia. Pensiamo poi anche alle espressioni non direttamente eucaristiche come la "lectio divina" o la meditazione quotidiana, che è bello fare, quando è possibile, davanti al tabernacolo.

Molti di questi punti sono già stati trattati nelle precedenti lettere pastorali. Si tratta di consolidare quanto è già stato avviato in tante comunità e di estendere queste esperienze a tutte le altre comunità.

[80] 80. Vorrei richiamare il valore della adorazione propriamente eucaristica. Essa esprime un collegamento più diretto dei vari momenti della vita con il sacrificio pasquale ed eucaristico di Gesù. Inoltre mette in evidenza l'aspetto per cui l'Eucaristia è presenza reale permanente e perenne dimora di Gesù tra noi. Infine, stando all'esperienza di molti maestri spirituali, ha una particolare incidenza formativa nella vita delle persone: è una preghiera e insieme è una educazione alla preghiera ed è un aiuto nel momento delle scelte impegnative.

Richiamo, inoltre, anche il valore della preparazione e del ringraziamento alla Messa. Alla luce di quanto si è detto, vanno visti non tanto come accorgimenti psicologici o abitudini tradizionali, ma come un irradiamento della adorazione celebrativa nella vita. Per quanto mi riguarda, mi sono proposto di reintrodurre, ovunque ciò sia possibile, quei brevi momenti di adorazione personale silenziosa all'altare del Santissimo Sacramento, che il Vescovo soleva fare precedere e seguire anche alle cerimonie più solenni.

[81] 81. Per vivere la celebrazione come autentico movimento di tutta la vita verso il mistero, è importante saper impiegare i momenti di creatività e gli inviti all'attualità che il rito stesso prevede.

Il criterio da tenere presente è duplice.

Da un lato occorre dare rilievo alla creatività e ai riferimenti attuali, perché il coinvolgimento di tutta la vita nel movimento di amore, che attrae Cristo verso il Padre e verso i fratelli, richiede la continua presenza della persona, la freschezza dei suoi atteggiamenti, il dispiegamento della vita intellettuale e affettiva, il gusto dei problemi, la passione per i bisogni umani, il vivo senso delle responsabilità attuali.

D'altro lato, però, la creatività e l'attualità non devono introdurre surrettiziamente un polo di attrazione, che intralcia il cammino verso il mistero, creando nuovi centri di interesse. La creatività significa il risveglio delle energie più belle della persona per vivere meglio l'attrazione nel mistero di Dio. L'attualità comporta l'attenzione al "presente", ma non come qualcosa che è tutto compiuto in se stesso, bensì come una serie di eventi, di problemi, di attese umane, che invocano la "presenza" di Dio in Gesù per essere pienamente interpretati.

Purtroppo le nostre celebrazioni non riescono sempre a entrare in questa logica. Oscillano tra una ritualità rigida, formalistica, anonima, ripetitiva e una smania di immediatezza, di artificiosa giovialità, di novità distraenti, di applicazioni frettolose all'attualità.

[82] 82. Ecco alcune indicazioni orientative.

Impegniamoci, anzitutto, a un serio rispetto delle norme liturgiche. Esse ci garantiscono, immediatamente, un tono di sobrietà e dignità con cui accedere a una realtà tanto grande come è l'Eucaristia. Inoltre ci educano a sentirci molto umili dinanzi ai misteri che ci oltrepassano: non possiamo padroneggiarli con superficialità, improvvisazione e disinvoltura. Ancor più in profondità, l'obbedienza alle norme è un riverbero esteriore di quell'atteggiamento interiore di disponibilità e di affidamento a Dio, che l'Eucaristia vuole creare in noi. Molteplici sono i valori presenti nella tradizione rituale: gli elementi essenziali risalgono a Cristo stesso, altri ci vengono dalla preghiera sinagogale e dalla consuetudine apostolica, altri ancora hanno assorbito in sé la fede, la sapienza, la pietà, la poesia di molte generazioni cristiane. Non si può trattare con leggerezza un patrimonio così impegnativo. Né si deve dimenticare che l'osservanza di norme comuni aiuta a comprendere che l'Eucaristia ha come suo contesto autentico la comunità cristiana autorevolmente convocata e presieduta dai pastori. Infine, dato che nelle espressioni liturgiche è depositata anche la fede del popolo cristiano, il rispetto dei testi liturgici educa a un consenso nella fede e protegge la preghiera cristiana dal rischio di possibili deviazioni dottrinali.

[83] 83. D'altra parte occorre alimentare una genialità creativa.

Si può cominciare con il valorizzare momenti non propriamente liturgici, nei quali è più facile sperimentare gesti nuovi, inventare preghiere, assumere in chiave cristiana un patrimonio scenico, poetico, musicale di un determinato contesto culturale. Attraverso queste sperimentazioni extra-liturgiche si può costituire un patrimonio rituale che, con le dovute verifiche, purificazioni e approvazioni, potrà andare ad arricchire il patrimonio propriamente liturgico.

Le stesse norme liturgiche, poi, prevedono un costante impegno creativo. Specialmente dopo la riforma liturgica conciliare, ci sono testi e gesti che richiedono una scelta. Viene così stimolata la creatività che si esprime non nella "invenzione" ma nella "interpretazione": non si tratta di produrre cose nuove, ma di far rivivere ogni volta in modo sempre nuovo, un testo già composto o un rito già proposto. Questo significa che ogni azione liturgica va preparata, sia per operare le scelte previste, sia per risvegliare un atteggiamento creativo e interpretativo.

[84] 84. Durante lo svolgimento del rito intervengono dei momenti tipicamente lasciati alla creatività e alla attualità.

Le monizioni all'inizio delle parti più importanti della celebrazione non devono essere semplici spiegazioni didattiche oppure occasioni per dare avvisi, ma hanno la funzione di favorire l'accesso al mistero a partire dalla condizione spirituale e dagli avvenimenti storici della comunità. Devono essere sobrie e incisive. Non devono proporre un oggetto di riflessione, ma proporre un cammino di contemplazione. Potrebbero talvolta esprimersi in forma di preghiera, in modo che, mentre viene indicato un atteggiamento da assumere dinanzi al mistero, si chiede contemporaneamente la grazia di poterlo assumere.

La preghiera dei fedeli non deve limitarsi o a una ripetizione di formule biblico-liturgicheio all'indicazione di bisogni immediati

Occorre educarsi a formule che sappiano introdurre le attese, i desideri, le aspirazioni vive e attuali degli uomini in quel movimento di ricerca umile e fiduciosa della volontà di Dio, che è in sintonia con la Parola che è stata annunciata.

I canti, se vengono sapientemente scelti e preparati, possono favorire, nello spazio di armonia, di bellezza, di emozione spirituale da essi dischiusa, la fusione tra l'accoglimento dei sentimenti, dei gusti, degli interessi attuali dell'uomo e il superamento di tutto ciò verso lo stupore contemplativo e l'accorata implorazione dinanzi al mistero.

L'omelia, infine, è il momento più delicato, perché talvolta, invece di diventare occasione nella quale gli aspetti attuali dell'esistenza umana, con l'aiuto della parola di Dio, vengono ricondotti alla centralità dell'Eucaristia, rischia di offuscare questa centralità proponendo altri centri di interesse.

Circa l'omelia molte cose sono state dette, proposte, fatte nello scorso anno pastorale. Mi auguro che rimangano come acquisizioni assodate e come esigenze di continuo miglioramento. Penso soprattutto ai corsi di aggiornamento per il clero molto ben riusciti. E' auspicabile che si possa ricavare da essi una sorta di direttorio da offrire a tutto il presbiterio.

[85] 85. Perché sia favorita l'armonia tra il rispetto delle norme e la creatività, sono indispensabili alcune condizioni.

Occorre, anzitutto, "riproporre all'attenzione di tutti la celebrazione eucaristica nel suo significato perenne, nel suo ordinamento essenziale, nella sua importanza per la vita cristiana. Tutti sappiamo che questo è un tema così centrale dell'azione pastorale che deve essere periodicamente ripreso per un rilancio intelligente ed efficace" (cfr. Card. Giovanni Colomboj "La comunità cristiana" p. 30). Sembra opportuno proporre che in ogni parrocchia, annualmente per alcune domeniche, si faccia una spiegazione della santa messa anche mediante l'omelia (cfr. "Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano" n. 39). Inoltre diventano sempre più preziosi i gruppi di animazione liturgica, che preparano la celebrazione liturgica e la seguono con cura a tutti gli orari.

Più remotamente è indispensabile un'abitudine della comunità cristiana al dialogo sui fatti della vita in ordine alla ricerca di un pensiero comune circa i problemi della società attuale: solo così sarà possibile nell'omelia e nella preghiera dei fedeli una lettura cristiana dell'oggi, né eludendo il confronto con l'attualità, né accontentandosi semplicemente della registrazione di ciò che accade.

Occorre infine educarsi a una "spiritualità" eucaristica nel senso di trasformare in leggi profonde della persona, del cuore, di tutta la vita, mossa dallo Spirito Santo, il ritmo esteriore di progressivo ingresso nel mondo di Cristo e del Padre tracciato dalla celebrazione.

Saranno di grande aiuto in questo cammino anche la lettura attenta, la meditazione e la spiegazione dei testi del Messale Ambrosiano e della "Diurna Laus", senza trascurare le introduzioni esplicative.

[86] 86. La creatività e l'attualità richiedono la partecipazione di tutti i credenti. Tale partecipazione tende a esprimere e attuare la particolare convocazione di tutti i credenti nel mistero di Cristo. Anche se le istanze partecipative della società attuale possono offrire ad essa uno stimolo, in definitiva la necessità e la modalità della partecipazione dei credenti alla celebrazione dipendono dall'azione di Cristo e ne esprimono le inesauribili ricchezze. Ciascuno, quindi, partecipa attivamente secondo il carisma e il ministero che gli è proprio.

Mi paiono opportune, al proposito, alcune indicazioni sul piano delle funzioni e sul piano della spiritualità.

Sul piano delle funzioni, da un lato, va ribadita l'importanza del ministero ordinato svolto dal presbitero, per le ragioni descritte più sopra. E' bene quindi preoccuparci fortemente per la scarsità del clero: l'anno finale del Congresso Eucaristico deve diventare un tempo di intensa preghiera e di rinnovata azione pastora]e per le vocazioni sacerdotali.

Dall'altro lato, va accolta con gioia la consolante fioritura dei ministeri di fatto che vanno dal servizio dei chierichetti e dei lettori a quello dei cantori, degli animatori, degli addetti agli arredi e paramenti sacri o al]a raccolta delle offerte ecc.

Per evitare però che si oscilli tra la restrizione abitudinaria di questi servizi a un numero esiguo di persone e l'assegnazione improvvisata e indiscriminata, occorre prevedere forme di seria preparazione allo svolgimento di questi compiti .

[87] 87. Oltre al piano delle funzioni c'è il piano della spiritualità. Se l'articolazione delle funzioni favorisce una celebrazione più efficace della Eucaristia, si può anche dire che la celebrazione eucaristica, colta nei dinamismi spirituali che essa sa generare, educa i credenti a scoprire e a coltivare la propria vocazione nella Chiesa e la propria missione nella società. Vivendo lo spirito profondo dell'Eucaristia, un credente è portato a desiderare un rapporto sempre più intenso con Gesù; è spinto a chiedersi come in concreto egli possa fare la volontà del Padre; è aiutato a capire che il dono più grande che si può fare a un fratello è quello di coinvolgerlo nella scoperta del mistero di Dio. L'Eucaristia può diventare così il fattore decisivo per l'apertura alle grandi vocazioni cristiane, da quella matrimoniale a quelle di speciale consacrazione, del sacerdozio ministeriale e della totale dedizione alla missione in patria o fuori della patria.

In questa linea si muove l'invito del Santo Padre nel già citato discorso del 14 novembre l981: "Oggi è necessaria prima di tutto la certezza per riportare al loro posto centrale l'Eucaristia e il Sacerdozio, per valutare nel loro giusto senso la S. Messa e la Comunione, per ritornare alla pedagogia eucaristica, sorgente di vocazioni sacerdotali e religiose, e forza interiore per praticare le virtù cristiane, tra cui principalmente la carità, l'umiltà e la castità".

[88] 88. La celebrazione eucaristica rivela la centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana anche nel modo con cui sa raccordarsi alla celebrazione degli altri sacramenti, dai quali la vita cristiana è ritmata.

A questo proposito do anzitutto una indicazione generale. E' importante sottolineare il legame tra la S. Messa e la celebrazione degli altri sacramenti, seguendo le norme liturgiche. Sembra tuttavia opportuno un richiamo perché la Messa, magari concelebrata, non sia ridotta a semplice elemento decorativo, con la funzione di dare maggiore solennità ad altre cerimonie.

Sotto questo aspetto è bene introdurre l'uso che non in ogni caso i sacramenti e anche i funerali siano celebrati durante la Messa. A volte questo è espressamente proibito, come per i matrimoni misti, altre volte è sconsigliato, come nel caso di matrimoni di credenti con "non credenti".

L'importante, comunque, è di curare mediante il commento alle Sacre Scritture e lo svolgimento stesso dei riti, che non sia la circostanza più immediata, come, per esempio, il matrimonio o il funerale, ad attrarre a sé visivamente e concettualmente l'Eucaristia, ma sia l'Eucaristia, colta nel suo valore centrale, a dare senso allo "sposarsi in Cristo" o al "morire in Cristo".

[89] 89. In relazione a qualche applicazione particolare, mi limito a un'indicazione circa il rapporto tra l'Eucaristia e il sacramento della Riconciliazione.

Non è facile indagare sulle cause che hanno prodotto una preoccupante trascuratezza verso quest'ultimo. Il prossimo Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicato a questo argomento, ci sarà di aiuto a ritrovare il giusto comportamento dinanzi a questo gesto fondamentale di Cristo verso il battezzato peccatore.

Senza addentrarmi in complesse questioni teologiche e pratiche, mi viene spontaneo un collegamento tra l'Eucaristia e la Riconciliazione in continuità con l'idea fondamentale che fin qui ci ha guidati.

Se l'Eucaristia è veramente compresa come l'attrazione di tutta la nostra vita insieme con Cristo verso l'amore misterioso del Padre, vengono alla luce due convinzioni.

La prima è la scoperta di quanto è lontana la nostra vita da questa prospettiva, attratta come è su se stessa in meschine chiusure egoistiche, che contraddicono il progetto di vita che Cristo ci propone.

La seconda è che il ritorno all'ideale evangelico non può essere compiuto secondo le modalità da noi stabilite e gli sforzi da noi prodotti, ma sarà un coraggioso e umile affidamento a un'azione di misericordia che Gesù compie attraverso la comunità e che è appunto il sacramento della Riconciliazione.

Come si vede, anche la riscoperta della Riconciliazione passa attraverso un annuncio della pienezza del mistero eucaristico.

[90] 90. L'accenno al sacramento della Riconciliazione mi spinge a ricordare i casi sempre più numerosi di quei fedeli che non possono essere ammessi ai sacramenti per situazioni irregolari, soprattutto in campo matrimoniale. E' necessario che nella catechesi ordinaria si spieghi per quali motivi la Chiesa non ammette questi fedeli alla Comunione Eucaristica (cfr. "Familiaris Consortio", nn. 79-84)

Quello, però, che maggiormente importa, è di ravvivare il loro rapporto con l'Eucaristia nel senso di un desiderio autentico. Quando il desiderio riguarda l'Eucaristia non come un bene da usare o finalizzare a sé, ma come l'attrazione di tutta la vita verso il Padre, allora anch'essi giungono a comprendere che non c'è sintonia tra l'ideale proposto dall'Eucaristia e la situazione irregolare in cui si vive.

Questo desiderio mette contemporaneamente in atto intense energie cristiane in un cammino penitenziale ricco di frutti e spinge a modificare la situazione, fin dove è modificabile e invita a inserirsi in tanti aspetti della vita comunitaria.

Dove la situazione non è realisticamente modificabile, il desiderio coltivato con una delicata azione pastorale e spirituale, genera un senso profondo di umiltà, di fiducia di essere capiti dalla tenerezza di Dio, di sforzo per vivere nel modo più altruistico possibile; favorisce, insomma, lo sviluppo di autentici atteggiamenti cristiani, di cui la guida spirituale deve tener conto per incoraggiare la crescita nella vita cristiana autenticamente orientata all'Eucaristia.

[91] 91. Un aspetto importante, per cui la celebrazione eucaristica rivela la sua attitudine a dare senso e forma a tutta la vita, è costituito dalla sua collocazione nel ritmo annuale, settimanale, quotidiano del nostro tempo. Collocandosi nel tempo degli uomini secondo il sapiente svolgimento dell'anno liturgico, la celebrazione eucaristica addita nella Pasqua il centro di tutti i misteri di Cristo, di tutta la storia della salvezza, di tutta la storia umana.

Per quanto riguarda il ritmo annuale mi limito a suggerire una rivalutazione del Triduo Pasquale. Dopo i primi entusiasmi, suscitati dalla riforma liturgica, si sta ricadendo in una certa inerzia. E' indispensabile che i pastori d'anime, mentre curano lo svolgimento di tutto l'anno liturgico, concedano un'importanza centrale alla celebrazione annuale della Pasqua, riscoprendo la gioia e i frutti di una intensa preparazione dottrinale, spirituale, liturgica del Triduo Pasquale e curando con particolare impegno, nei giorni del Triduo Sacro, la predicazione, le celebrazioni liturgiche vere e proprie, i momenti di ulteriore contemplazione personale e comunitaria, il clima spirituale consono ai misteri stupendi della nostra salvezza.

[92] 92. Il ritmo settimanale pone il problema del "Dies Domini", del giorno del Signore.

Suggerisco anzitutto un'indicazione per le Messe domenicali.

Esse sembrano a volte programmate per dare ai fedeli la possibilità di soddisfare al precetto e, di conseguenza, appaiono come ridotte ad un unico tipo. Nessuno auspica il ritorno alla Messa "grande", perché ogni Messa deve essere celebrata con dignità e solennità. Ma è opportuno rivedere anche la programmazione delle Messe domenicali sulla base del riferimento alla comunità parrocchiale, che deve trovare ed esprimere la sua unità nella celebrazione dell'Eucaristia.

In questa prospettiva sembra opportuno suggerire una proposta che dà maggior risalto alla comunità in una celebrazione eucaristica domenicale. In essa si dovrà in particolare far maggiore attenzione ai malati, agli anziani che non possono essere presenti in chiesa: si preghi per loro durante la preghiera dei fedeli, si propongano iniziative assistenziali per i più bisognosi ecc. Soprattutto si venga incontro a quanti fra loro desiderano ricevere la Comunione eucaristica, dando soddisfazione a tutti, nei limiti del possibile. "E' bene che a quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica della comunità, si porti con premura il cibo e il conforto dell'Eucaristia, perché possano sentirsi uniti alla comunità stessa, e sostenuti dall'amore dei fratelli" (Eucharisticum mysterium, 33).

E' soprattutto nel giorno del Signore e nelle solennità più significative dell'Anno liturgico che la comunità cristiana deve sentirsi unita attorno all'Eucaristia. A questo scopo il decreto arcivescovile sui ministri straordinari della Comunione Eucaristica prevede che anche i laici, uomini e donne, possano essere incaricati di portare la Comunione ai malati (cfr. Rivista Diocesana Milanese, gennaio 1981, pp. 154-158; 164-172).

A questa Messa saranno dunque presenti coloro che hanno ricevuto il mandato e, alla Comunione dei fedeli, riceveranno dal celebrante le sacre particole da portare ai malati che lo desiderano. E' bene che questo gesto sia solenne e sia avvertito dai fedeli. E' bene che i ministri straordinari, recandosi dai malati, portino con l'Eucaristia anche il dono della Parola, che ha animato l'assemblea liturgica, spiegando brevemente le letture della Messa e l'omelia, o portando qualche sussidio appositamente preparato.

Non basta certo curare meglio la celebrazione della Messa. Occorre riscattare tutto il tempo domenicale dall'erosione della mentalità odierna, che ne sta trasformando anche il nome: si abbandona il nome profondamente cristiano di "domenica", giorno del Signore, e si preferisce l'anonimo "week-end", fine settimana.

Non pare opportuno, per esempio, trasferire nei giorni feriali tutta l'attività di formazione e di preghiera, così che la domenica preveda solo la celebrazione della Messa.

Cominciando, magari, con i più sensibili, occorre ricuperare momenti di preghiera e di formazione nell'arco del giorno festivo.

Occorre, poi, suggerire iniziative concrete di carità con cui estendere ai fratelli la gioia dell'incontro con il Signore.

Infine il tempo libero, che sta diventando il tempo schiavo dei condizionamenti della civiltà consumistica, deve essere riconsegnato veramente all'uomo, signore del creato.

L'incontro eucaristico col mistero di Cristo, principio della nuova creazione, deve ridare il gusto del riposo, della riscoperta della natura, della riflessione sulla dignità umana, del sereno godimento della pace della famiglia, dell'allacciamento di liberi rapporti amicali, che aiutino a umanizzare i rapporti sociali, spesso spersonalizzati e artificiosi. La ripresa intelligente e aggiornata delle antiche tradizioni oratoriane, con un coinvolgimento convincente delle famiglie, può offrire il contesto più adatto per riscoprire e vivere il tempo libero.

[93] 93. La Messa quotidiana rimane una meta importante per ogni cristiano che voglia vivere in pienezza la propria appartenenza a Cristo. Attraverso la Messa quotidiana viene stupendamente espressa l'attitudine dell'Eucaristia ad attrarre nel mistero pasquale ogni momento della vita.

Attraverso la predicazione e la direzione spirituale i pastori d'anime cerchino di suggerire questa meta specialmente ai giovani e a coloro che devono affrontare durante la giornata gravi responsabilità.

Almeno nei cosiddetti tempi forti dell'anno liturgico si proponga la Messa quotidiana come il modo più adatto per lasciarsi plasmare dallo spirito della liturgia.

Come avvio verso queste mete ideali si suggerisca la partecipazione almeno a una Messa feriale durante la settimana.

[94] 94. La celebrazione eucaristica raccoglie tutta la vita del credente e della comunità cristiana per darle l'autentica impronta di Cristo e insieme la rilancia verso nuove mete comunitarie e missionarie.

Per illustrare questo dinamismo della celebrazione eucaristica, occorre in qualche modo uscire da essa, per vedere come essa influisce su tutti gli aspetti della vita della Chiesa e della sua missione.

Non è possibile riesaminare qui tutto l'arco della nostra azione pastorale. Questo compito è affidato a ogni comunità che, in occasione del Congresso Eucaristico, è invitata a meditare, a pregare, a far propositi di rinnovamento soprattutto su quei punti, in cui si scopre maggiormente refrattaria all'influsso unificante dell'Eucaristia .

Mi limito qui a indicare qualche prospettiva fondamentale e qualche esempio, che potrà magari diventare oggetto più esplicito dei programmi pastorali dei prossimi anni, anche in rapporto alle risonanze e ai suggerimenti che raccoglierò da tutta la comunità.

Indico, anzitutto, due prospettive.

[95] 95. L'azione plasmatrice e unificante della Eucaristia riguarda i compiti, i gesti, le iniziative della comunità, ma influisce soprattutto sulla vita spirituale, nel senso forte del termine, cioè sui procedimenti mediante i quali lo Spirito Santo imprime nella vita delle singole persone e nel rapporto interpersonali lo stile di Gesù. Interviene qui tutta la trama delle relazioni psicologiche. Ma, sempre per stare nell'ottica che ci guida, la vita "psicologica" non deve diventare un polo alternativo, che accentra le attenzioni e le preoccupazioni della comunità, bensì trasformandosi in vita "pneumatica", cioè mossa dallo Spirito Santo, integra gli stati e i movimenti dell'anima nell'attrazione di tutta la vita personale e comunitaria verso Cristo e il Padre

E' importante, allora, che ogni cristiano, in rapporto al]a propria vocazione personale, si chieda quali linee di spiritualità deve ricavare dalla celebrazione eucaristica, così come ogni comunità cristiana deve trovare nell'Eucaristia l'indicazione degli atteggiamenti spirituali che sono richiesti, di volta in volta, dalle circostanze storiche in cui si trova a vivere: spirito di pace e di riconciliazione nei momenti di tensione o di divisione; rinvigorimento della preghiera nei periodi di distrazione o di grigiore diffuso; senso di solidarietà nelle occasioni di difficoltà o di calamità; atteggiamenti di accoglienza, quando qualcuno chiede ospitalità e inserimento; risveglio della speranza nei casi di lutto, di scoraggiamento, di cedimento spirituale.

[96] 96. L'Eucaristia è in rapporto con tutta la vita della Chiesa. Ogni celebrazione eucaristica tende oggettivamente a collocarsi entro un contesto comunitario in cui sono presenti tutti gli aspetti della vita ecclesiale. Questa tensione si attua pienamente nella Chiesa particolare o diocesana, la quale ha tutti gli elementi essenziali della Chiesa, e, attraverso la comunione con le altre Chiese particolari, è la concreta attuazione della Chiesa universale entro un determinato contesto umano.

La Chiesa particolare si esprime in molte comunità e aggregazioni, che, con la loro complementarietà, assicurano alla diocesi una vita intensa e articolata. Tra queste comunità merita una particolare attenzione la parrocchia. Essa ha certamente bisogno di ulteriori articolazioni sopra la parrocchia ed entro la parrocchia e chiede l'apporto di gruppi, movimenti, associazioni ecc.

Ha, però, alcune caratteristiche significative: ha una certa completezza di elementi essenziali per la costituzione della Chiesa; esprime stabilità e continuità; abbraccia l'arco complessivo dell'esistenza cristiana per quel che riguarda i servizi sacramentali e formativi; attraverso la territorialità raggiunge le situazioni umane nella loro più essenziale ed elementare concretezza storica. Per questi motivi essa è il luogo privilegiato, anche se non esclusivo, della celebrazione eucaristica ed è l'istituzione privilegiata, anche se non esclusiva, attraverso la quale l'Eucaristia raggiunge, plasma, unifica le concrete articolazioni della vita ecclesiale.

Per questo le esemplificazioni, che ora seguiranno, pur riguardando ogni comunità cristiana, vedono nella parrocchia la loro collocazione più significativa.

[97] 97. Uno dei compiti fondamentali della comunità cristiana è l'annuncio e l'ascolto della Parola. Di questo compito invito a considerare un aspetto, cioè la catechesi. Proprio il confronto con l'Eucaristia ci suggerisce l'importanza di questo aspetto.

L'Eucaristia è attrazione di tutta la vita in Cristo: allora occorre che la Parola raggiunga concretamente ogni aspetto della vita umana, lo illumini dal di dentro, faccia emergere la sua tensione verso la verità e mostri come l'Eucaristia esaudisce questa ricerca della verità, mettendo ogni uomo in comunione con la Pasqua di Gesù, nella quale l'amore di Dio ha rivelato il senso pieno della vita. La Parola ha il compito di illustrare concretamente, attraverso la catechesi, la capacità che ha l'Eucaristia di offrire la verità ultima dell'uomo.

Di qui alcune caratteristiche che competono alla catechesi, quando viene messa in relazione con l'Eucaristia.

Per esempio, essa deve tendere alla organicità e deve abbracciare ogni stagione della vita, perché l'attrazione che l'Eucaristia esercita non è un fatto frammentario o episodico, ma riguarda la sintesi complessiva della esistenza umana considerata nei vari momenti della sua evoluzione.

Inoltre, nella luce dell'Eucaristia, la catechesi è invitata a intrecciarsi sapientemente con i ritmi dell'anno liturgico e a integrarsi con la "lectio divina", mediante la quale viene resa ancor più attuale, personale, profonda, la forza trasfiguratrice che l'Eucaristia esercita su tutta la vita.

Infine l'attività di catechesi, rinnovandosi continuamente a contatto con l'Eucaristia, gesto supremo dell'amore di Cristo per ogni uomo, scopre ]e proprie lacune, lo stile astratto, supponente o didascalico ed è invitata a diventare comunicazione piena d'amore, imbevuta di umiltà, alla ricerca di sempre nuove iniziative per raggiungere anche le persone lontane e distratte.

[98] 98. Abbiamo già parlato ampiamente del trinomio Eucaristia-carità-Chiesa. La carità è un tema che ci deve stare immensamente a cuore e sul quale dovremo registrare sempre più rigorosamente la vita della comunità.

Per ora accenno solo a qualche illuminazione che il servizio della carità riceve dall'Eucaristia.

In primo luogo l'Eucaristia dice che la carità è l'atteggiamento di coloro che si sono lasciati attrarre da Gesù. Prima di essere un'opera o una iniziativa, la carità è un clima spirituale, un complesso di atteggiamenti, un'unità misericordiosa di intenti entro la comunità.

In secondo luogo l'Eucaristia, come memoria della Pasqua, dice lo scopo a cui tende il servizio della carità. Nella Pasqua l'amore di Gesù si è espresso in un radicale realismo: è sfociato nella risurrezione, ma si è sviluppato entro la coraggiosa accettazione della morte, della sconfitta, della cattiveria umana.

L'amore ha vinto queste realtà di male non eludendole, ma penetrando in esse. La carità, che il cristiano riceve dall'Eucaristia, ha queste caratteristiche pasquali. Si impegna a fondo di fronte alla sofferenza, ma sa che la vittoria ultima sul male è il dono ultraterreno, che viene direttamente dal cuore del Padre, anche se, d'altra parte, questo dono è realmente anticipato in quelle parziali vittorie su ogni tipo di male, che vengono raggiunte su questa terra con l'impegno dl tutti.

Chi, per potersi impegnare di fronte al male, pretende di vedere un esito immediato e totalmente soddisfacente del proprio impegno, si condanna a pericolose delusioni. Pur tendendo a esiti efficaci, occorre credere che l'impegno della carità vale per se stesso, nonostante l'eventuale permanere delle difficoltà.

Il cristiano riceve dall'amore pasquale, presente nell'Eucaristia, un messaggio di speranza, che lo rende incrollabile anche di fronte ai pericoli e alle sconfitte. Egli entra nelle esperienze di sofferenza e di dolore con l'intento di superarle; ma le supera, anzitutto, chiedendosi come, entro questi fatti, l'amore può produrre pazienza, fede, coraggio, perdono.

In terzo luogo l'Eucaristia dice a chi la carità rivolge la propria preferenza. Si tratta di coloro che Gesù ha maggiormente amato, di coloro che hanno maggiormente bisogno della certezza che deriva dall'amore pasquale. La carità della comunità plasmata dall'Eucaristia cerca ogni uomo che soffre per qualsiasi motivo, ogni malato, emarginato, drogato, carcerato, per annunciargli la presenza di Cristo; per dirgli che, anche nella sua condizione, è possibile far nascere un germe di amore; per assicurarlo che, se riesce a credere all'amore e a vivere nell'amore, ha trovato la salvezza.

In quarto luogo l'Eucaristia, come offerta dell'amore di Cristo a tutti, invita la carità a cercare le forme sempre nuove di povertà materiale e spirituale. Un modo umile, ma prezioso, con cui questa "versatilità" della carità si manifesta è la valorizzazione delle offerte durante la Messa. Le varie "giornate" che vengono proposte durante l'anno per intenzioni di carità non devono essere viste con rassegnazione e fastidio. Anzi, tenendo conto delle nuove esigenze, dovrebbero creare un costume di generosità, che sa mettersi subito in moto ogni volta che qualche nuovo bisogno urgente bussa alle porte della comunità cristiana.

[99] 99. Anche della missione si è già parlato nelle pagine precedenti. E anche la missione è un tema vasto e importante; chiede continue verifiche della nostra azione pastorale ed è un po' la misura dell'autenticità e della vivacità della nostra vita ecclesiale.

Propongo qualche richiamo che traduca in indicazioni pratiche i principi già esposti precedentemente.

Anzitutto l'attuazione della missione chiede alla comunità la capacità e la pazienza di analizzare sempre più accuratamente i concreti bisogni degli uomini e di entrare nel concreto tessuto delle relazioni sociali a tutti i livelli, rispettando la natura e l'autonomo funzionamento di queste relazioni.

Ma anche qui si tratta di capire che queste mediazioni di tipo scientifico, sociale, politico non diventano un polo distraente per la comunità cristiana, ma descrivono le concrete modalità storiche con cui ogni realtà umana, nel pieno rispetto della sua interna costituzione, viene attratta nel mistero di Cristo. Per questo si è detto che la missione è una testimonianza, perché ha il suo elemento specifico nella manifestazione umile e coraggiosa dell'intera vita che si è lasciata pienamente attrarre dall'amore di Cristo.

In questa luce accenno a due interessanti fenomeni.

Il primo è il fervore di iniziative tese alla cooperazione internazionale, di cui già si è parlato. Per un cristiano esse valgono come consolante espressione di una rinnovata sensibilità sociale, ma non devono diventare un'alternativa al compito propriamente missionario di annunciare il Vangelo.

Il secondo fenomeno è il volontariato, che si sta manifestando e organizzando a tutti i livelli, con un particolare impegno dei giovani. E' anche questo un fatto culturale molto importante e può diventare per il cristiano un modo molto attuale di vivere la missione. Occorre, però, che la comunità cristiana aiuti a fondare il volontariato in autentiche radici evangeliche: un sintomo che si è sulla strada giusta sarà la capacità del volontariato di sottrarsi al rischio degli entusiasmi effimeri e volubili per suscitare scelte durature, pronte anche a sfociare in vocazioni al servizio, che coinvolgono e impegnano tutta la vita.

[100] 100. Come conclusione indico alcuni punti, che mi stanno particolarmente a cuore e possono suggerire quali sono i frutti che mi attendo da questa presa di coscienza della centralità della Eucaristia .

1) - lmpegnamoci in un rinnovamento della Messa domenicale, partendo dal chiedere cortesemente ma chiaramente a tutti la puntualità; strutturando la Messa comunitaria secondo le indicazioni date; svolgendo una opportuna catechesi sulla celebrazione eucaristica; ridonando significato alle offerte raccolte; ricavando dalla Messa qualche spunto per una riscoperta del]'intera giornata domenicale.

2) - Educhiamo alla Messa quotidiana le persone più sensibili. Proponiamola, soprattutto nei tempi forti dell'anno liturgico e chiediamo almeno una Messa infrasettimanale negli altri temi, per attuare meglio l'attrazione di tutta la vita nel mistero di Gesù.

3 ) - Riscopriamo la ricchezza del mistero pasquale soprattutto attraverso una intensa preparazione e una accurata celebrazione del Triduo sacro.

4) - Rieduchiamoci alla celebrazione del sacramento della Riconciliazione, strettamente connesso con l'Eucaristia. Soprattutto la Quaresima ci offrirà l'occasione di sviluppare questo punto con opportuni richiami e sussidi.

5 ) - Sviluppiamo l'intima tensione contemplativa della celebrazione, valorizzando le varie forme di adorazione, riscoprendo la preparazione e il ringraziamento alla Messa, proponendo la visita al SS. Sacramento come un "dimorare" in Cristo per poter entrare, insieme con lui, nel mondo misterioso del Padre.

6) - Una forma particolarmente importante di adorazione comunitaria è costituita dalle Giornate Eucaristiche o Quarantore. Impegnamoci in quest'anno pastorale a ripensarle con genialità creativa, così che ci offrano esempi rinnovati ed emblematici per i prossimi anni.

7 ) - Sia costituito in ogni parrocchia un gruppo di animazione liturgica, in modo che la liturgia domenicale sia ben preparata e sia animata a tutti gli orari.

8) - Impegniamoci a offrire un luogo di culto specialmente alle zone più disagiate della città e della diocesi. Siano accolte con fervore le iniziative dell'Ufficio per le Nuove Chiese e siano integrate con qualche forma di gemellaggio tra parrocchie già attrezzate e parrocchie ancora sprovviste di strutture fondamentali.

9) - Le scuole di preghiera o della Parola, che hanno dato frutti molto significativi negli scorsi anni, continuino nel prossimo anno come scuole di iniziazione alla celebrazione eucaristica e alla scoperta vocazionale. Infatti l'attrazione, che Gesù esercita nell'Eucaristia, trova una pienezza significativa nella scelta vocazionale.

Invitati privilegiati a queste scuole potrebbero essere giovani e ragazze diciottenni, che vivono con particolare drammaticità la scelta tra il lasciarsi attrarre da Cristo o l'attrarre tutto a se stessi. L'impegno vocazionale, però, si estenda anche all'età della fanciullezza e della adolescenza.

In sintonia con l'impegno vocazionale ogni parrocchia favorisca le varie espressioni del volontariato, sia quelle che tendono alla cooperazione missionaria, sia quelle che animano l'assistenza, sia quelle che prendono forma nel servizio civile, o nell'anno di impegno sociale, che si va diffondendo anche tra le ragazze.

10) - Poiché il frutto dell'Eucaristia è la carità, ogni parrocchia rinnovi e rinvigorisca il servizio della carità, istituendo la commissione " Caritas ". Ogni famiglia, gruppo, comunità scelga un'opera prioritaria di carità, anche per suggerire spunti per un'opera comune di carità, che sia il ricordo vivo del Congresso Eucaristico.

11)- Fratelli e sorelle nel Signore, il semplice elenco, frammentario e allusivo, dei compiti, che ci derivano dalla centralità dell'Eucaristia, ci propone un cammino molto serio e impegnativo.

La serietà del cammino si riferisce alla conversione interiore, che le nostre persone e le nostre comunità devono intraprendere per lasciarsi attrarre da Gesù. Riguarda anche il suo risvolto esteriore, cioè lo sbocco negli impegni sociali, negli interventi culturali, nelle opere della giustizia e della carità.

La presente lettera pastorale ha posto l'accento soprattutto sull'orientamento di tutta la vita a Cristo e sul rinnovamento della celebrazione eucaristica. Ma questo non significa rifugiarci nell'intimismo e nel ritualismo.

La centralità dell'Eucaristia, quando è intesa e celebrata correttamente, tende a esplodere in molteplici, geniali, rigorose forme di impegno per un profondo rinnovamento di tutta la convivenza umana. Alcune di queste forme hanno già fatto presagire nelle pagine precedenti la loro urgenza e la loro portata. Dovremo precisarle e approfondirle nei programmi pastorali dei prossimi anni, continuando il cammino che la preghiera, la parola di Dio e l'Eucaristia ci hanno dischiuso.

Per non rimanere scoraggiati e inerti, affidiamo questo cammino alle preghiere della Madre di Gesù. Ella si è resa disponibile alla Parola e al servizio della carità; ha meditato nel suo cuore gli avvenimenti della vita di Gesù; ha cercato Gesù con trepido amore, quando è rimasto nel Tempio; ha seguito Gesù nella sua crescita a Nazaret e nei suoi itinerari lungo le strade della Palestina; ha condiviso, ai piedi della croce, l'abbandono di Gesù nelle mani del Padre; ha preparato i primi discepoli ad accogliere la forza trasformatrice dello Spirito Santo.

La Madre di Gesù ci aiuti a stare, insieme con Lei, ai piedi della Croce, dalla quale Gesù attira tutti a Sé e ci guidi nel cammino verso il Congresso Eucaristico.