Ministeri nelle prime comunità

di RINALDO FABRIS

      

La prima forma di ministero è il "ministero della parola" (At 6,4). Esso comprende l’annuncio del vangelo e la presidenza della preghiera. È riservato al gruppo dei "dodici". Solo ad essi è attribuito il titolo di "apostoli", cioè inviati come testimoni autorevoli di Gesù Risorto. Accanto a loro vi è il gruppo dei "sette", con l’incarico del servire alle mense. Sono i "diaconi".

Il termine italiano "ministero", dal latino minister, traduce il vocabolo greco diákonos, utilizzato negli scritti del NT per designare il compito di servizio e di guida nella Chiesa. In senso specifico diákonos è colui che serve a mensa. Ma nell’ambiente greco con questo termine si indica in senso generale anche chiunque ha un incarico nell’ambito religioso o profano. I primi cristiani di lingua greca assumono dal loro ambiente culturale questa terminologia per indicare quelli che nella vita comunitaria hanno un ruolo di responsabilità e il compito di servizio. In questo senso si può interpretare l’espressione di Paolo in apertura della Lettera scritta, a metà degli anni cinquanta, alla Chiesa di Filippi. Egli presenta sé stesso e Timoteo con il titolo "servi di Cristo Gesù" e si rivolge a tutti i santi che sono in Filippi "con gli episcopi e i diaconi" (Fil 1,1). Questo duplice titolo, che sottolinea nello stesso tempo la responsabilità e il servizio, lascia intravedere qualche cosa dei ministeri e delle strutture nella vita delle comunità paoline sorte nei grandi centri urbani dell’impero. Ma vi sono altre qualifiche e forme di organizzazione nelle comunità cristiane di cui si ha una documentazione negli scritti del NT.

1. La prima Chiesa negli Atti degli apostoli. Nella Chiesa di Gerusalemme, sorta a Pentecoste con il dono dello Spirito santo e la parola di Pietro, il ritmo della vita comunitaria è scandito da quattro momenti: i credenti "erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere" (At 2,42). La prima forma di ministero, essenziale per la vita e crescita della comunità, è quella che viene chiamata con una espressione greca diakonía toú lógou, "ministero della parola" (At 6,4). Esso comprende l’annuncio autorevole del vangelo e la presidenza della preghiera riservato al gruppo dei "dodici", rappresentanti di Israele fondato su dodici patriarchi. Solo ad essi l’autore degli Atti attribuisce il titolo di "apostoli", cioè delegati o inviati come testimoni autorevoli di Gesù risorto. Infatti fanno parte di questo gruppo solo quelli che sono stati con Gesù dall’inizio fino alla sua ascensione al cielo e sono divenuti testimoni della sua risurrezione (At 1,21-22).

Accanto ai dodici, nella Chiesa di Gerusalemme, è menzionato il gruppo dei "sette", che fanno capo a Stefano. Essi sono responsabili dell’assistenza – diakonéin, "servire alle mense" – dei cristiani di lingua greca o ellenisti (At 6,2). Solo a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo, questi "sette" sono chiamati "diaconi" nel senso che questo vocabolo assume a partire dalle lettere pastorali e soprattutto da quelle di Ignazio di Antiochia. In realtà Stefano e Filippo esercitano la diakonía della parola e rendono testimonianza a Gesù Cristo risorto come i dodici. Filippo, che annuncia il vangelo in Samaria e poi prosegue lungo la costa mediterranea fino a Cesarea, dall’autore degli Atti è qualificato come "evangelista" (At 21,8). Successivamente nella chiesa di Gerusalemme si organizza il gruppo dei "presbiteri" che collaborano con Giacomo alla guida della chiesa locale (At 11,30; 15,4.22; 21,18).

Un terzo gruppo compare nella chiesa di Antiochia di Siria, la comunità sorta per iniziativa dei cristiani ellenisti scacciata da Gerusalemme al tempo della persecuzione di Stefano. Si tratta di cinque cristiani, presentati come "profeti e dottori o maestri", tra i quali sono menzionati Barnaba e Saulo-Paolo (At 13,1-3). Questi ultimi, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, sono incaricati dalla comunità di partire per la prima missione fuori dell’area siro-palestinese, a Cipro e in Anatolia. Nelle nuove comunità che sorgono in queste regioni – nelle città di Listra, Iconio, Derbe, Antiochia di Pisidia – viene istituito il gruppo dei "presbiteri", che sono designati dalla base, ma ricevono l’incarico da Paolo e Barnaba (At 14,22-23). Oltre a queste strutture ministeriali stabili vi sono altre forme più agili, costituite dai collaboratori dei missionari come il giovane Giovanni Marco e Sila, originari di Gerusalemme, Timoteo di Listra e i vari delegati delle chiese che accompagnano Paolo a Gerusalemme nell’ultimo viaggio (At 20, 4). Anche alcune donne diventano collaboratrici di Paolo e sono responsabili di chiese domestiche, come Maria a Gerusalemme, Lidia a Filippi, Prisca, assieme al marito Aquila, a Corinto e a Efeso. Dunque secondo la testimonianza degli Atti esistono varie e molteplici forme di ministero che rispondono alle esigenze della vita comunitaria secondo i diversi contesti storici e culturali.

2. Le Chiese paoline. Nelle lettere che Paolo invia alle giovani chiese, sorte grazie alla sua attività di evangelizzazione, sono documentate una molteplicità e varietà di strutture organizzative e di forme ministeriali. A parte il ruolo unico di Paolo, che si presenta come "apostolo" incaricato di proclamare il vangelo per iniziativa di Dio, vi sono alcuni cristiani che nelle singole comunità si dedicano alla guida e al servizio. Tutti i cristiani, dice Paolo, hanno ricevuto, in forza del loro battesimo nello Spirito, il dono e la competenza per esprimere e realizzare la vitalità del "corpo di Cristo" che è la Chiesa. Ma Dio ha disposto che vi siano alcuni ministeri fondamentali per la nascita e la crescita della comunità: "Apostoli, profeti e maestri" (1 Cor 12,28).

Questi tre ministeri sono connessi con l’annunzio autorevole della Parola. Il servizio pastorale nella comunità locale è affidato ai collaboratori di Paolo residenti, sia singoli sia famiglie. Essi animano e guidano la comunità cristiana in assenza dell’apostolo. A Tessalonica vi sono alcuni cristiani che presiedono la comunità nel nome del Signore (1Ts 5,12). A Corinto vi è a famiglia di Stefana (1Cor 16,15-17). Nella Chiesa locale di Cencre, il porto orientale di Corinto, responsabile è Febe, che Paolo chiama diákonos (Rm 16,1). Essa ha il ruolo di accogliere e garantire davanti all’amministrazione romana della città per i cristiani di passaggio e i missionari (Rm 16,2). Nelle Chiese della tradizione paolina si definisce e sviluppa lo statuto dei ministeri sia itineranti sia residenti. Nelle Chiese dell’Asia, che fanno capo a Efeso, i diversi ministeri derivano dai doni del Signore risorto che ha "stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). Lo scopo di questi diversi ruoli e compiti è di rendere idonei tutti i cristiani ad esercitare la diakonìa per la crescita della chiesa come "corpo di Cristo", cosicché tutti arrivino alla maturità spirituale di Cristo (Ef 4,12-13). Un discorso a parte meritano le strutture della chiesa e le forme di ministero che si riflettono nelle tre Lettere pastorali.

In queste comunità cristiane, che si richiamano alla tradizione di Paolo, si avverte la necessità di far fronte a una situazione di "crisi" per la presenza dei falsi maestri che intaccano il patrimonio della fede e minacciano la coesione delle comunità. Perciò il compito fondamentale del responsabile della comunità è quello di garantire la trasmissione della fede richiamandosi alla figura autorevole dell’apostolo. Paolo è l’apostolo di Gesù Cristo, maestro della verità e araldo del vangelo. Egli incarica i discepoli, Timoteo e Tito, di rappresentarlo. Il passaggio dall’apostolo a quello dei suoi rappresentanti nelle singole comunità viene espresso mediante il rito di imposizione delle mani. Con questo rito, ripreso dalla tradizione biblica e giudaica, si trasmette il "dono" spirituale – o chárisma – corrispondente al compito e ruolo autorevole dei vari ministeri nella chiesa (1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6).

Timoteo e Tito, discepoli di Paolo, stabiliscono a suo nome i responsabili nelle singole chiese: vescovo, presbiteri, diaconi. L’epískopos è il sovrintendente o "amministratore" nella casa di Dio che deve garantire il buon ordine e l’ortodossia nella chiesa locale. La sua autorità risale all’apostolo che per mezzo della lettera traccia il modello ideale del suo compito e stile di pastore. Le qualità elencate per il candidato all’episkopê sono quelle che nell’ambiente greco ellenistico si richiedono a quanti svolgono una funzione pubblica (1 Tm 3,2-7; Tt 1,7-9). Dato che nelle tre lettere si parla di epískopos al singolare, si deve ritenere che egli sia il rappresentante o presidente del collegio dei presbyteroi. Infatti si fa riferimento al presbytérion e si menziona anche il ruolo di presidenza dei presbiteri (1 Tm 4,14; 5,17). Il modello per questa struttura dell’ordinamento ecclesiale è quella del "consiglio degli anziani" dell’ambiente giudaico. Il presbyteros come capo della comunità cristiana non solo dà il tono allo stile di vita dei suoi membri, ma la rappresenta all’esterno.

Il terzo gruppo dell’ordinamento ecclesiale nelle pastorali è rappresentato dai diákonoi. Essi nell’ambito della comunità cristiana hanno un ruolo autorevole perché dai candidati alla diakonía si richiedono qualità analoghe a quelle del candidato all’episkopê e al compito di presbiteri (1 Tm 3,8-13). Inoltre la qualifica di "diacono di Gesù Cristo" è data a Timoteo, proposto come modello di tutti i pastori nella chiesa (1 Tm 4,6). La sua attività, come del resto quella dell’apostolo, è presentata come diakonía (1 Tm 1,12; 2 Tm 4,5.11). Poiché si parla di "diaconi" e "diaconia" solo nella prima e seconda Lettera a Timoteo, si può pensare che questa forma di ministero sia propria di alcuni centri ecclesiali più importanti con strutture più articolate.

Il ministero femminile nelle Lettere pastorali. Il modello di chiesa nelle lettere pastorali è quello della famiglia con la sua struttura patriarcale, dove è indiscussa l’autorità dell’uomo, padre e sposo. In questo modello non c’è molto spazio per il ruolo ecclesiale delle donne. Tuttavia quando si parla dei "diaconi", si menzionano anche le donne come candidate alla "diaconia" (1 Tm 3,11). Questo fatto sembra contrastare con quanto si prescrive nella stessa lettera nel contesto dell’ordinamento liturgico: "La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né dettare legge all’uomo piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo" (1 Tm 2,11-12). Se ne dà il motivo rileggendo la storia di Genesi sul peccato di Adamo e Eva, dove si sottolinea la particolare responsabilità della donna e si conclude dicendo che la donna "potrà essere salvata partorendo figli a condizione di perseverare nella fede, nella carità, nella santificazione, con modestia" (1 Tm 2,13-15).

Questa tensione tra i due modelli femminili si può spiegare tenendo presente il contesto culturale e la situazione critica della Chiesa riflessa nei tre scritti pastorali. Nel tracciare l’ordinamento della Chiesa si tende a proiettarvi il modello della struttura familiare, dove le donne, come gli schiavi e i bambini, sono subordinate al ruolo del responsabile maschile. Un ulteriore motivo per sottolineare questo ruolo subalterno e "subordinato" della donna sposa e madre è la propaganda dei "falsi maestri" che condannano il matrimonio e mettono "in scompiglio intere famiglie" (1 Tm 4,3; Tt 1,11). Le donne corrono il rischio di diventare "discepole" di questi maestri che penetrano nelle case con la loro propaganda disgregatrice (2 Tm 3,6).

In tale contesto si comprende la disposizione del "regolamento" per le vedove: "Le più giovani si risposino e abbiano figli e governino la loro casa", per non incrementare il gruppo delle donne che "girano qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene" (1Tm 5,13-14). Solo nell’ambito familiare la donna può svolgere anche un ruolo di insegnamento secondo il modello tipico della società greco-romana. Questo vale per le donne anziane che devono "insegnare il bene per formare le più giovani all’amore del marito e dei figli", a essere "prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone sottomesse ai propri mariti perché la parola di Dio non debba diventare oggetto di biasimo" (Tt 2,3b-5).

Quest’ultima motivazione di carattere "apologetico" si trova più volte a chiusura dei cataloghi dei doveri (Tt 2,8.10; 1 Tm 3,7b; 5,14b; 6,1b). Nel sottofondo si avverte la preoccupazione di eliminare in radice ogni motivo di prevenzione e sospetto da parte dell’ambiente esterno nei confronti della Chiesa e di offrire invece di essa un immagine positiva. Dunque nelle Chiese delle Lettere pastorali le donne possono esercitare un ministero familiare - catechesi - mentre solo le vedove formano una specie di "ordine" ecclesiale (1 Tm 5,3-16).

I ministeri nelle altre Chiese. Il quadro sui ministeri nella prima Chiesa non sarebbe completo se non si accennasse a quelle strutture di guida e di servizio documentate negli altri scritti neotestamentari. Nella Lettera agli Ebrei, dove si afferma l’unica e suprema mediazione sacerdotale di Gesù Cristo, si raccomanda di riconoscere il ruolo degli hegoúmenoi, "responsabili o guide della comunità". Essi sono quelli che hanno annunciato la parola di Dio alla comunità cristiana e devono rispondere del loro compito al supremo pastore (Eb 13,7.17). Dunque l’unicità di Gesù Cristo, sommo sacerdote, non esclude la presenza autorevole e la guida dei responsabili nella Chiesa.

Nella Lettera di Giacomo, inviata come un’omelia ai cristiani dispersi nelle varie regioni, si parla del ruolo del "maestro" e dei presbiteri della Chiesa (Gc 3,1-2.13; 5,14). Parimenti nella prima Lettera di Pietro ci si rivolge a tutti i cristiani, rigenerati per mezzo della parola di Dio e che formano una comunità di fratelli. Essi in quanto aderiscono a Gesù "pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio", sono impiegati "come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo" (1 Pt 2,4-5). Pietro che si presenta come "apostolo di Gesù Cristo" è il presbyteros, modello dei "presbiteri" che devono pascere il gregge di Dio su incarico del pastore supremo (1 Pt 5,1.5). In altre parole, il sacerdozio comune, di cui si parla in 1 Pt 2,9, non esclude il ruolo dei presbiteri che prolungano l’autorità dell’apostolo.

Conclusioni. Nella prima chiesa, come appare attraverso gli scritti del NT, esiste una varietà e molteplicità di ministeri secondo i diversi modelli culturali, da quello ebraico-palestinese, a quello greco extrapalestinese. Questo pluralismo e questa diversità rispondono alle esigenze della chiesa a tutti i livelli, dalla chiesa domestica e locale fino a quella regionale ed universale. Quello che attira l’attenzione è la forma comunitaria o collegiale di esercizio del ministero. Infatti, si passa dai "dodici" e i "sette" della Chiesa-madre di Gerusalemme, al gruppo dei profeti e maestri di Antiochia, ai collaboratori di Paolo: Timoteo, Tito, Sostene e Silvano. Infine, si può rilevare che esiste fin dall’inizio una certa "gerarchia" dei ministeri in base alle esigenze della nascita, crescita e vitalità della Chiesa. I ministeri e le strutture della Chiesa rispondono alle esigenze fondamentali di annunciare e spezzare la Parola in tutte le sue forme, di presiedere e guidare la comunità, di assicurare l’accoglienza e l’assistenza dei più poveri e di tenere vivo il legame di comunione tra le diverse comunità cristiane.