Credenti impegnati

e religione soggettiva:

l'interpretazione pastorale

Attilio Mazzoni

 

1. Introduzione

L'inchiesta realizzata tra gli operatori pastorali della diocesi di Lodi conferma i risultati della recente indagine nazionale condotta dall'Università Cattolica di Milano (1). Ciò significa che il Lodigiano si inserisce in tutto e per tutto in quelle dinamiche generali di trasformazione che contrassegnano il vissuto socio-religioso italiano, smentendo, se mai si potesse coltivare ancora qualche dubbio in proposito, l'idea che il territorio rappresenti una felice eccezione rispetto al quadro generale.

L'immagine complessiva che emerge dalla ricerca su scala nazionale "è quella di una religiosità diffusa e composita, alquanto problematica e che risente dei segni dei tempi, cioè del contesto socio-culturale dell'attuale momento storico che si qualifica per uno stacco rispetto al passato e per un'incertezza rispetto al futuro" (2).

In particolare, il carattere specifico dell'inchiesta lodigiana, che non aveva bisogno di mettere a fuoco tanto la diffusione dell'esperienza socio-religiosa, quanto piuttosto la sua "qualità" in un campione ristretto e molto motivato di persone, che appartengono all'élite delle parrocchie, ha confermato soprattutto un aspetto dei risultati della ricerca nazionale: il processo di soggettivizzazione dell'esperienza e dell'appartenenza religiosa.

 

2. La soggettivizzazione dell'esperienza religiosa: l'analisi dei risultati del questionario

Che cosa significa soggettivizzazione dell'esperienza e dell'appartenenza religiosa? Intendiamo documentarlo con alcuni risultati dell'inchiesta lodigiana realizzata su 1523 operatori pastorali (membri dei consigli pastorali, catechisti, animatori d'oratorio) di cui il 15,4% (232) erano seminaristi, religiosi, sacerdoti o laici consacrati. La fascia d'età più rappresentata è quella dei 30/49 anni, pari al 43,8%, mentre la fascia dei 18/29 anni è pari al 22,4%.

Ci saremmo aspettati che l'area degli intervistati lodigiani esprimesse una forte consapevolezza della propria "vicinanza" alla Chiesa e ai suoi insegnamenti. Alla domanda: "Lei si riconosce in tutto o in parte nel modo di intendere e di vivere la fede espresso dalla sua chiesa" invece soltanto il 47,9% degli intervistati risponde "sì, senza riserve", ma il 42,8% risponde "sì, con qualche riserva". Anche tra quelli che comunemente chiamiamo "impegnati" l'identificazione con la Chiesa cattolica non è dunque totale.

Veniamo ora ad alcuni indicatori più significativi.

A. Espressione del fenomeno di soggettivizzazione è la tendenza a dare centralità alla coscienza. Nel questionario una delle domande che permette di valutare questa tendenza è quella che chiede chi sia a stabilire il bene e il male. Si offrivano tre possibilità di risposte: "la legge di Dio", "la coscienza individuale" o "la coscienza individuale che pone attenzione alla legge di Dio". Il confronto tra i dati nazionali e quelli locali è istruttivo. In entrambi i casi la risposta che gode il favore più elevato è la terza (coscienza+legge), ma la percentuale cresce quanto più si sale, per così dire, nella qualità degli intervistati, cioè quanto più si passa dai credenti "generici" a quelli "impegnati". Il dato generale è infatti il 40,3%, quello dei vicini alla Chiesa (3) è del 45% e quello locale balza al 61%. Il dato lodigiano viene ulteriormente rafforzato se si pensa che nella fascia dei 18-29 anni scelgono questa risposta il 72,3% degli intervistati, il che indica che nelle generazioni giovani la tendenza si accentua e si conferma come una delle caratteristiche dei cattolici di domani. A livello locale invece è molto più bassa rispetto al dato nazionale la percentuale di coloro che scelgono la sola coscienza individuale come fonte del bene e del male: 3,5% contro il 36% sul campione italiano e il 23,1% di quello dei vicini alla Chiesa.

B. Una seconda espressione tipica del processo di soggettivizzazione è la tendenza a superare le forme di mediazione. Prenderemo in esame i risultati riguardanti la confessione e il settore dell'etica familiare e sessuale. Alla domanda: "Che cosa le fa maggiormente problema nella confessione" tra gli intervistati lodigiani sono pochissimi (4,1%) quelli che rispondono "non è necessario il prete, basta pentirsi davanti a Dio" contro il 28,2% del dato generale e il 21,7% dei vicini alla Chiesa. Ma il "dover raccontare a un altro uomo le mie colpe" fa registrare un aumento del dato locale (17,6% che passa addirittura al 25% tra i più giovani) rispetto a quello generale (10,6%) e a quello dei vicini alla Chiesa (13,3%).

Ben più marcato appare il processo di soggettivizzazione per quanto riguarda il settore dell'etica familiare e sessuale. I risultati dell'inchiesta lodigiana confermano che anche tra i cosiddetti impegnati una persona su tre non condanna (per nulla o poco) i rapporti prematrimoniali (dal 30,2% si passa al 50,7% tra i 18-29 anni); il 39,6% (51,5% tra i 18-29 anni) è favorevole all'uso dei contraccettivi; il 23,2% non condanna la libera convivenza (40,6% per i giovani); il 18,3% non condanna il divorzio (27,2% per i giovani); il 24,7% non condanna la masturbazione (35,6% tra i giovani); il 7,7% non condanna le esperienze omosessuali (15,2% tra i giovani); il 15,4% è favorevole al riconoscimento delle coppie omosessuali (34,3% tra i giovani). Per quanto riguarda l'aborto solo il 59,9% ritiene che non sia mai lecito (48,1% tra i giovani), mentre il 29,2% solo in caso di pericolo di vita della donna (41,2% tra i giovani), il 9,7% lo ritiene lecito anche in caso di malformazione del feto o violenza carnale (8,6% tra i giovani).

L'area del disaccordo tra gli impegnati lodigiani è certo meno vasta rispetto al dato generale e anche rispetto al dato dei vicini alla Chiesa, ma in ogni caso è rilevante, se si considera anche la funzione religiosa degli intervistati nel territorio: tra essi ci sono infati animatori e catechisti. L'accentuazione dell'area di disaccordo tra le generazioni più giovani è netta.

C. Il terzo indice di soggettivizzazione lo rileviamo dalla richiesta di una maggiore valorizzazione dei laici nella Chiesa. L'87,8% degli intervistati lodigiani è molto o abbastanza d'accordo con l'opinione che nella Chiesa cattolica il ruolo dei laici (né preti, né suore) dovrebbe essere maggiormente valorizzato. Il dato generale è del 64,4%, mentre quello dei vicini alla Chiesa si assesta sul 66%. La richiesta è dunque sensibilmente più forte nel Lodigiano.

D. Il quarto indice riguarda il rapporto con le altre religioni. La ricerca locale evidenzia come gli impegnati preferiscano dire che la religione vera è una sola e nelle altre ci sono delle verità parziali (84,6%) mentre il dato generale è sul 32,5% e quello dei vicini alla Chiesa è il 42,7%. Per l'8,5% del campione locale però una religione vale l'altra (15,4% tra i giovani), mentre solo per il 6,9% le altre sono false. Stando ai risultati nazionali questo dato dovrebbe salire tra gli impegnati, mentre nel Lodigiano scende: potrebbe essere l'indice di una tolleranza più vasta. Un lodigiano impegnato su due (50,9%) gradirebbe che la religione del futuro fosse basata su poche credenze fondamentali, che uniscano cristiani, musulmani, buddisti e altri credenti, anche se il dato generale italiano è ancora più alto (61%; 58,2% tra i vicini alla Chiesa).

Evidentemente quanto più si sale nel grado di impegno tanto più viene posto un argine a questo processo di sincretismo religioso, ma la soglia del 50% anche per il Lodigiano resta comunque molto elevata mentre scende tra i più giovani (43,2%).

E. Un ultimo elemento della tendenza alla soggettivizzazione riguarda gli elementi che permettono di identificare il modello di religione, che vanno spostandosi da quelli devozionali a quelli umanitari. Alla domanda: "Che cosa dovrebbe fare una persona che crede in Dio?" il dato nazionale si distribuisce in modo simile tra "rispettare la vita" con il 68,2% dei consensi, "impegnarsi per gli altri" con il 68,1% e "pregare" con il 64,9%. La ricerca locale vede invece balzare al primo posto la preghiera con l'86,3% delle preferenze; al secondo posto c'è l'impegnarsi per gli altri con il 64,6% e al terzo il rispetto della vita con il 57,4%.

Ulteriore conferma viene dalla domanda sulle azioni della Chiesa che si ritengono più importanti. Il dato nazionale pone al primo posto "aiutare chi ha bisogno" con il 66,2% e "educare i giovani" con il 47,2%; vengono poi "annunciare Cristo e il Vangelo" con il 39% e infine "dare i sacramenti" con il 19,2%. Nel Lodigiano invece è "annunciare Cristo e il Vangelo" che ottiene il risultato più alto con il 92,1%; più alta anche la percentuale di preferenze che va a "dare i sacramenti" con il 37,8%. Secondo i ricercatori dell'Università Cattolica, il pericolo, paventato da molti, che la religione si trasformi in un movimento di carattere puramente umanitario, svuotato di ogni contenuto specificamente religioso, non appare evidente dai risultati. "Di fronte a questi riscontri empirici ci appare fondata l'idea che la dimensione caritativa, nell'identità del credente di oggi, sia profondamente radicata in motivazioni religiose e rappresenti uno dei tratti distintivi più qualificanti agli occhi dei credenti e dei non credenti" (4). I dati raccolti nel Lodigiano confermano e rinforzano questo giudizio.

 

3. Le caratteristiche e le cause della soggettivizzazione: il quadro di riferimento

3.1. La privatizzazione dell'esperienza religiosa

Dobbiamo ora cercare di interpretare gli indicatori e di comprendere più a fondo che cosa significa quel processo di soggettivizzazione della religione che caratterizza anche l'esperienza socio-religiosa del Lodigiano. Esso si situa sullo sfondo di una tendenza più generale della socio-cultura occidentale, che è stata definita dagli studiosi come "rivoluzione individualistica" (5). Se sul piano sociale essa allenta i legami, una volta forti e rigidi, fra struttura sociale e individuo, fra istituzioni e personalità, sul piano religioso spinge alla ricerca di una religione che tende a distanziarsi dal modello proposto dall'istituzione ecclesiastica.

Una delle cause più rilevanti di questo processo è la "privatizzazione" (6) dell'esperienza religiosa, non nel senso che la religione riduca la presenza delle sue pratiche nella sfera pubblica (ciò non sembra vero soprattutto per l'Italia e tanto più per il Lodigiano), ma nel senso che i processi di legittimazione delle esperienze religiose, cioè i discorsi intorno al senso della vita e alla fondatezza delle decisioni fondamentali dell'esistenza, vengono espulsi dall'ambito pubblico e ridotti a questioni di preferenze individuali sulle quali ci si astiene dall'invocare il criterio della verità.

Nelle società moderne la coscienza diventa "privata" e perciò anche soggettiva: gli risulta cioè impossibile fare appello ad evidenze "pubblicamente" riconosciute per legittimare i propri convincimenti, i propri giudizi e quindi anche le proprie scelte in campo religioso. In questo senso la religione assume un ruolo marginale negli spazi del pubblico, che sono quelli dominati dalle logiche specifiche dell'economia, della politica, della scienza.

3.2. Religione e identità personale

Soggettivizzandosi, il "religioso" diventa un campo sempre più indeterminato, soprattutto in relazione a un passato nel quale tra la religione e la sua forma ecclesiastica esisteva una identificazione pacifica. Si crea cioè una marcata distanza tra il credo proposto dalla tradizione religiosa ufficiale e il credo dei singoli credenti.

L'esperienza religiosa viene intesa come un ideale genericamente umano e utilizzata in modo strumentale dai soggetti per costruire la propria identità. In gioco non è quindi "il sacro" come ciò di cui si fa esperienza nel religioso, come realtà che precede il soggetto e gli si impone; in gioco non è neppure la religione come insieme di credenze e pratiche "ecclesiastiche", cioè istituzionalizzate, ma la costruzione del proprio io, in vista della quale si fa ricorso anche al sacro.

La religione assume cioè uno spiccato carattere "antropologico": essa viene apprezzata dalla coscienza moderna soltanto in quanto garante di quell'universo simbolico che può promuovere l'identità personale. Espressioni sintomatiche di questa religione psicologica sono l'enfasi sull'esperienza spirituale soggettiva, sul "sentire" e la ricerca dell'autogratificazione.

Tuttavia poiché uno dei fenomeni più macroscopici delle società moderne è la riduzione al privato dei processi attraverso i quali si forma l'identità personale (7), anche la religione ne sconta gli effetti: il singolo diventa un consumatore autonomo, che sceglie in modo sincretistico i materiali necessari ripescandoli dai simboli religiosi delle istituzioni specializzate o dalla tradizione e se ne serve per costruirsi un sistema privato, individuale, di "significanza" ultima, mediante il quale rimedia alla mancanza di una "visione del mondo" univoca e persuasiva, lasciata dalla frattura del sistema socio-culturale.

I criteri della sintesi sono soltanto psicologici e perciò non argomentabili, ridotti al rango di una opinione personale a proposito dei propri sentimenti: la coscienza religiosa tende a sfumare nell'ineffabile perché non riesce a dare pubblicamente ragione di sé.

Il sistema di "significanza" ultima, così costruito, è tuttavia alquanto precario: la molteplicità delle offerte, in mancanza di evidenze capaci di orientare la sintesi, può essere superata unicamente ricorrendo ad una scelta. Lo stesso contesto socio-culturale, dominato dal diritto alla libera espressione di sé, spinge del resto in direzione di ciò che è stato definito "l'imperativo eretico" (8), cioè della scelta, vale a dire la necessità di una presa di posizione di fronte a concezioni del mondo tanto diverse; una scelta obbligata, ma che quasi mai può basarsi su una precisa convinzione e una chiara evidenza ed è invece provocata dalla necessità di uscire dal disagio.

Questo sfondo più ampio riesce ad illuminare meglio quei fenomeni di soggettivizzazione che abbiamo visto largamente presenti anche nell'esperienza religiosa del territorio. Questi fenomeni non sono soltanto il frutto di decisioni moralmente colpevoli della coscienza soggettiva; non sono almeno prima di tutto questo. L'analisi sociologica ci insegna a riconoscere le pressioni che sulla coscienza del singolo esercitano i contesti socioculturali, le forme indotte che danno espressione alla coscienza religiosa degli individui, anche in quegli aspetti che appaiono meno compatibili con una fede autentica e pienamente ecclesiastica.

 

4. Il problema pastorale della soggettivizzazione

A questo punto formuliamo il problema pastorale: come rendere ragione della oggettività della fede della Chiesa nei confronti della soggettivizzazione della coscienza religiosa attuale? E'chiaro infatti che questo processo è ambiguo perché il suo esito può essere un individualismo radicale, oppure una matura personalizzazione del vissuto religioso. Che cosa fare dunque perché la soggettivizzazione della religione non inclini verso l'individualismo religioso?

4.1. Forme pastorali carenti

Accenniamo dapprima a quelle forme pastorali che sembrano favorire gli esiti negativi della soggettivizzazione (9). Talvolta la pastorale "aggiornata", desiderosa di non ripetere quella condanna che in passato la Chiesa ha opposto alle rivendicazioni civili di libertà da parte della coscienza individuale, si affretta a scambiare il rispetto della coscienza con una cambiale in bianco firmata ai convincimenti individuali o ritiene espressione di coscienza ciò che è soltanto la ripetizione di luoghi comuni diffusi.

In altri casi la pastorale, per uscire dall'accusa di anacronismo delle forme dottrinali e rituali, delle norme morali e disciplinari, tende ad enfatizzare le interpretazioni soggettive del testo biblico, delle formule dogmatiche e degli stessi gesti sacramentali, nella speranza che esse "parlino" alla coscienza, meno preoccupata invece che esse dicano anche la "verità" alla coscienza.

Un'altra tentazione è quella di fare dell'esperienza comunitaria locale l'unico referente del linguaggio cristiano, a tal punto che la testimonianza cristiana diventa il racconto della propria esperienza assai più che l'annuncio del Vangelo. L'esperienza credente risulta in questo modo poco idonea ad uscire dal contesto locale e rischia di naufragare quando si scioglie quel gruppo all'interno del quale è stata generata.

Infine rischia di favorire l'individualismo religioso la tendenza ad utilizzare la simbolica biblica per "giustificare" i grandi valori civili della pace, dei diritti umani, della difesa dell'ambiente, della liberazione della donna e così via. Questi "valori" sono in realtà molto poco univoci e il rischio è quello che il discorso cristiano o biblico su di essi serva soltanto a rinforzare dei contenuti che sono stabiliti in modo del tutto indipendente dalla prassi cristiana. Un pronunciamento corretto "dovrebbe di necessità mirare ad evidenziare quegli aspetti per i quali il perseguimento effettivo dei "valori" in questione impone delle scelte etiche determinate, e quindi in ultima istanza una presa di posizione circa la verità dell'uomo e del suo destino" (10).

4.2. L'oggettività non "oggettivistica" della fede

Nell'istanza di soggettività c'è tuttavia un aspetto legittimo con il quale confrontarsi e che impone la correzione di quella tentazione di "oggettivismo" che costituisce una caratteristica perenne della pastorale ecclesiastica. Sono "oggettivistiche" tutte quelle forme della pratica pastorale che evitano alla coscienza dei singoli la necessità di confrontarsi con la decisione della fede: la ripetizione passiva della tradizione e dei riti, il legalismo morale, il criterio della pratica religiosa e dell'appartenenza come indice esaustivo della fede.

L'oggettivismo pastorale rischia oggi di coniugarsi anche con quella tendenza socio-culturale che, in reazione alla rivoluzione individualistica, viene definita come neofondamentalismo. Esso intende difendere il valore della tradizione e della verità religiosa nei confronti di quel pervasivo "politeismo" dei valori che caratterizza l'odierna società di massa, ma la prospettiva continua a rimanere individualista: l'autorità dei dogmi e la sottomissione alla comunità sono cercate come una domanda di identità, un rifugio securizzante dell'io. "Ecco perché i simboli, anche esteriori e in qualche modo periferici rispetto al nucleo propriamente religioso, sono così importanti nell'atteggiamento fondamentalista" (11).

La mediazione ecclesiastica deve tendere invece a porre il singolo ogni volta di nuovo nelle condizioni di quella decisione libera di fronte alla verità del Vangelo che chiamiamo fede: in questo senso soltanto essa è "oggettiva", in quanto propone un annuncio che pone il soggetto nella necessità di decidersi. Questa necessità non può essere alimentata dalla paura: se è vero che il Vangelo è anche giudizio, esso è però prima di tutto buona notizia, rivelazione di una promessa, di un perdono e di una parola che libera.

La coscienza moderna merita attenzione da parte della Chiesa perché è attraverso i suoi "bisogni", e non astrattamente, che Dio si fa vicino agli uomini di oggi; certo anche al di là dei suoi "bisogni" o almeno della comprensione scadente di essi che circola nella cultura diffusa. In ogni caso non si può prescindere da essi: il confronto è tanto più autentico quanto meno l'esito è predeterminato nel senso di una semplice acquiescenza pastorale alle forme della cultura attuale. La familiarità con le forme diffuse della coscienza soggettiva non può diventare condiscendenza, ma mirare ad abilitare nei singoli la capacità di un discernimento coerente.

Occorre che la predicazione e il ministero "scavino" nel bisogno soggettivo, aiutino le coscienze non a metterlo da parte, il che sarebbe impossibile, ma ad approfondirne il senso e perciò anche a chiarirne le realizzazioni distorte, in modo da rivelarne la profondità etica e infine religiosa e predisporre le condizioni per l'atto di fede.

"Occorre inoltre che la riflessione e poi la predicazione cristiana aiutino positivamente la "coscienza privata" e quasi clandestina a riconoscere - a dare quindi immagine e parola a - la qualità etica e quindi anche religiosa, di quelle esperienze radicali del vivere (amare, donare, promettere, generare e rispettivamente nascere, crescere, soffrire, morire anche), alle quali invece la cultura diffusa sembra non dare in alcun modo parola" (12).

 

NOTE

 

(1) V. CESAREO, R. CIPRIANI, F. GARELLI, C. LANZETTI, G. ROVATI, La religiosità in Italia, Milano, Mondadori, 1995.

(2) Ibidem, pag. 14

(3) Sono il 53,5% del campione nazionale, risultato che si ottiene sommando l'area di quelli che dicono di accettare la Chiesa senza riserve (25,3%) con l'area dei credenti che l'accettano con qualche riserva (28,2%).

(4) Ibidem, pag. 280.

(5) G. AMBROSIO, Tra relativismo e fondamentalismo. Il ritorno della religione nel mondo postmoderno, in "La rivista del clero italiano", 1994 (LXXV), pagg. 724-737.

(6) Per quanto segue vedi G. ANGELINI, Diversità in 'materia di fede e di costumi': le strutture della coscienza 'religiosa' contemporanea e la scelta della 'fede', in AA. VV., Cristianesimo e religione, Milano, Glossa, 1992, pagg. 15-50.

(7) Come dice T. LUCKMANN in La religione invisibile, Bologna, Il Mulino, 1969: "L'identità personale diventa, essenzialmente, un fenomeno privato. È questo forse l'aspetto più rivoluzionario della società moderna".

(8) P. L. BERGER, L'imperativo eretico, Torino-Leumann, Ldc, 1987.

(9) Per quanto segue vedi G. ANGELINI, Oggettività della fede ecclesiastica e soggettività della coscienza religiosa, in L'identità cristiana oggi. L'oggettività della fede in un mondo pluralistico, Quaderni di studi e memorie a cura del Seminario di Bergamo, 10, Casale Monferrato, Piemme, 1993, pagg. 100-120.

(10) Ibidem, pag. 111.

(11) G. AMBROSIO, op. cit., pag. 732.

(12) G. ANGELINI, Diversità in 'materia di fede e di costumi', op. cit., pag. 30.